
don Mario Proietti
Cos’è il modernismo e perché la Chiesa lo ha condannato
Un errore antico con un vestito moderno

Ci sono errori che attraversano la storia sotto nomi diversi, ma con lo stesso cuore: relativizzare la verità, adattare Dio all’uomo, piegare il Vangelo alle mode. Il modernismo è uno di questi. Nacque in un tempo di grandi cambiamenti: la scienza faceva passi da gigante, la filosofia metteva in discussione le verità assolute, la cultura moderna esaltava l’autonomia della coscienza individuale. In questo contesto, alcuni pensatori cattolici cercarono di conciliare la fede con la modernità, ma finirono per piegare la fede alle categorie del mondo.
Uno dei casi emblematici fu Alfred Loisy, sacerdote e teologo francese, che nel suo commento al Vangelo scrisse: ‘Gesù annunziava il Regno, ma ciò che è venuto è la Chiesa.’ Questa frase, apparentemente innocua, conteneva in realtà una frattura: la separazione tra Gesù storico e Cristo della fede, tra l’annuncio evangelico e la realtà ecclesiale. Fu proprio da simili idee che nacque la reazione del Magistero.
San Pio X reagì con determinazione. Non solo promulgò encicliche e documenti, ma promosse anche una riforma della formazione del clero, incoraggiò la filosofia tomista, rinnovò i seminari e rafforzò la vigilanza dottrinale. Nel 1907, nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis, usò parole nette: “Il modernismo è la sintesi di tutte le eresie.” Parole forti. Ma vere. Perché il modernismo non è un solo errore, ma un’intera visione della fede, che la snatura alla radice.
Che cosa insegna davvero il modernismo?
Chi aderiva al modernismo non diceva: “Non credo”. Diceva: “Credo, ma a modo mio”.
Non rifiutava la fede, ma la reinterpretava. In questo consiste il pericolo più grande: la deformazione del vero sotto l’apparenza del bene. Non si trattava più di negare esplicitamente la fede, ma di trasformarla dall’interno, cambiandone il linguaggio, lo stile, il contenuto. Come un vino che rimane nella bottiglia originale ma ha perso il sapore. O come una casa ristrutturata che, sotto l’intonaco moderno, non regge più.
Ecco alcune idee tipicamente moderniste — ancora oggi diffuse, a volte inconsapevolmente:
- “Non possiamo conoscere Dio con certezza: è solo un’esperienza soggettiva.”
- “La religione nasce dal bisogno dell’uomo, non da una rivelazione dall’alto.”
- “I dogmi cambiano nel tempo, come cambia la cultura.”
- “I miracoli non sono eventi reali, ma simboli spirituali.”
- “La Chiesa deve adattarsi al mondo, non guidarlo.”
Apparentemente innocue, queste affermazioni capovolgono la fede cattolica: la Rivelazione non è più un dono di Dio, ma un’espressione della coscienza collettiva; la verità non è più oggettiva, ma frutto del sentimento personale; la dottrina non è più stabile, ma fluida e modificabile.
Perché è pericoloso?
Perché il modernismo non distrugge la fede a colpi di martello, ma la svuota dolcemente, con l’inganno della ragione, della sensibilità, della modernizzazione.
Ecco cosa succede quando si accetta questa mentalità:
- La fede diventa un’emozione e non più un’adesione alla verità.
- Il Vangelo diventa un mito edificante, ma non la Parola viva di Dio.
- I dogmi diventano opinioni in evoluzione, non verità eterne.
- La liturgia diventa un’esperienza umana, non un incontro col Mistero.
- La Chiesa diventa un’organizzazione sociale, non il Corpo di Cristo.
In apparenza, tutto resta “cattolico”. Ma sotto sotto, la sostanza è mutata. Una conseguenza di un altro aspetto poco noto ma centrale: il modernismo fu anche una crisi mistica. Alcuni modernisti, affascinati dalle esperienze interiori, finirono per ridurre la fede a sentimento religioso. Il problema non era la spiritualità, ma l’idea che l’esperienza soggettiva fosse più importante della verità oggettiva. In altre parole: sentire Dio era più importante che credere in ciò che Dio ha detto.
Ma non è un problema solo del passato…
Chi pensa che il modernismo sia una pagina chiusa si sbaglia. La Chiesa l’ha condannato, sì, ma l’errore si è travestito. Ha cambiato linguaggio. Ha assunto sembianze più morbide. Oggi non si parla più apertamente di “modernismo”, ma si ricorre a espressioni come:
- “Aggiornamento pastorale”
- “Adattamento culturale”
- “Nuova ermeneutica della fede”
- “Dialogo con la modernità”
- “Misericordia che supera la dottrina”
E dentro queste espressioni, a volte — non sempre — si nasconde lo stesso rischio: fare della fede qualcosa di soggettivo, relativo, mutevole. Di questa logica ne vediamo gli effetti indiretti quando si preferisce ‘fare esperienza’ a ‘conoscere la dottrina’, si privilegia la ‘narrazione’ alla ‘verità’, si accetta tutto ciò che emoziona e si rigetta ciò che sfida e converte. E gli esempi li troviamo in queste affermazioni:
- Quando si dice: “La dottrina deve cambiare perché il mondo è cambiato”.
- Quando si afferma: “La coscienza personale vale più dell’insegnamento della Chiesa”.
- Quando si pensa: “I miracoli non servono, conta solo amare”.
- Quando si tace su peccato, salvezza, giudizio, in nome di una misericordia senza verità.
La risposta della Chiesa: custodire, non chiudere
La Chiesa non è mai stata nemica della modernità in sé. Ha saputo discernere, dialogare, incarnare il Vangelo in tutte le epoche. Ma ha anche sempre difeso il cuore della fede: la verità rivelata, affidata alla Chiesa, non può essere modificata. La Chiesa non combatte mai contro le persone, ma contro le idee sbagliate. Anche i modernisti, spesso, erano sinceramente in ricerca. Ma la sincerità non basta: bisogna anche essere nella verità. Per questo il discernimento è necessario, così come la carità: una carità che ama talmente tanto da non volere che nessuno viva nell’inganno.
Ecco perché il Magistero ha più volte ribadito che:
- Dio si è davvero rivelato all’uomo, e quella Rivelazione non muta.
- La Scrittura è ispirata, non solo edificante.
- I dogmi sono verità divine, non simboli culturali.
- La Chiesa non è democratica: non inventa la verità, la custodisce.
Papa Benedetto XVI l’ha espresso con chiarezza: “La verità non è determinata da ciò in cui credono molti, ma da ciò che è veramente vero.” Chi vuole conoscere il pensiero della Chiesa sul modernismo, non può fermarsi a opinioni personali o a slogan. Deve leggere i testi. In particolare: il Catechismo della Chiesa Cattolica, i documenti di san Pio X, e le encicliche di Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Solo così si forma una coscienza illuminata, capace di riconoscere il vero errore.
Una fede sana ha bisogno di radici
Il modernismo, dunque, è come un fungo invisibile: non distrugge la pianta da fuori, ma la corrode dall’interno. Per questo è necessario oggi:
- formare bene le coscienze, soprattutto nei giovani;
- educare alla dottrina, con amore e senza paura;
- riscoprire il Catechismo, che non è un museo, ma una bussola;
- restare uniti al Magistero, evitando derive ideologiche di ogni tipo.
Verso il prossimo articolo
Nel prossimo approfondimento, vedremo come i Papi del Novecento e del nostro tempo hanno continuato a vigilare contro le insidie del modernismo. Perché la Chiesa, anche quando tace, non dorme mai. “Annuncia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.” (2Tm 4,2) Annunciare, ammonire, correggere ed esortare sono atti di carità che provengono dalla fede. Ma una fede senza dottrina è come un cuore senza ossa: può battere, ma non regge.
L’enciclica ‘Pascendi’ fu accolta da alcuni con entusiasmo, da altri con disagio. Ma col tempo ha mostrato la sua forza profetica. Ha salvato la fede di intere generazioni, ha dato alla Chiesa un fondamento solido per affrontare il secolo delle ideologie. Oggi è il momento di riscoprirla, non per tornare indietro, ma per andare avanti con chiarezza. Una battaglia che ha visto impegnati tutti i Sommi Pontefici che si sono succeduti.
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Modernismo o modernità? Riconoscere i segni, comprendere la dottrina
Tappa 2 – I Papi contro il modernismo: la Chiesa non si è mai addormentata
Tappa 3 – Il modernismo oggi: come riconoscerlo nella vita della Chiesa
