
Guido Vignelli
Il Concilio di Nicea e il suo insegnamento per l’oggi

Impero unificato ma Chiesa divisa
All’inizio del IV secolo, Costantino il Grande, divenuto unico signore del riunificato Orbis Romanus, sosteneva che l’impero avesse bisogno di una parallela unità culturale e religiosa per mantenervi la concordia e la pace. Anche per questa ragione, egli aveva promosso il Cristianesimo allo stato di religio licita, dandogli così non solo libertà di culto, ma anche riconoscimento giuridico e favori politici.
Eppure, proprio in quell’epoca, il demonio aveva avviato un altro tipo di persecuzione anticristiana, più pericolosa perché proveniente dall’interno della Chiesa: ossia le eresie, spesso animate e guidate da sacerdoti o da vescovi, talvolta favorite da politici. Quella più influente e pericolosa era quella di Ario, un sacerdote libico diventato teologo di successo.
La sua dottrina semplificava il complesso dogma trinitario al fine di renderlo più comprensibile e accettabile per la filosofia neoplatonica allora dominante nel mondo culturale ellenistico. Ario riduceva il Verbo eterno alla prima e più eccelsa emanazione dell’unico Dio, a Lui di sostanza simile ma inferiore subordinata; il Padre Creatore avrebbe creato il Figlio Redentore dal nulla e nel tempo. L’insegnamento di Ario poteva sembrare ortodosso, perché si presentava come una doverosa reazione all’eresia di Sabellio, il quale aveva ridotto la Persona del Figlio a una mera modalità di quella paterna. Quindi, la Chiesa dell’epoca era tentata dalla falsa alternativa tra due eresie opposte, come spesso accadrà nella storia futura.
Gli ariani diffondevano abilmente le loro tesi usando non solo discorsi e scritti ma anche poesie, filastrocche, canzoni e rappresentazioni teatrali; di conseguenza, perfino il popolino discuteva sulle più sottili questioni teologiche, prendendo parte per l’una o per l’altra tesi. Più si dibatteva sul tema, più le polemiche e le divisioni crescevano, né i sinodi ecclesiastici locali riuscivano a pacificare gli animi. Preoccupato per il diffondersi del conflitto religioso, Costantino decise di convocare una qualificata rappresentanza dell’episcopato cristiano in un Concilio ecumenico da tenersi nel fastoso palazzo imperiale della città di Nicea, l’attuale Iznik, che si trovava in Bitinia, ossia nella Turchia nord-occidentale.
Svolgimento del Concilio niceno
Il Concilio niceno si aprì il 20 maggio 325 sotto la presidenza del vescovo Osio di Cordova, amico e consigliere dell’Imperatore, e di due sacerdoti romani delegati da Papa Silvestro. Vi parteciparono 320 vescovi, alcuni dei quali in fama di santità e altri rimasti feriti o mutilati per le ultime persecuzioni imperiali.
La stragrande maggioranza dei presuli proveniva dal settore orientale dell’Impero, che era stato cristianizzato prima e meglio di quell’occidentale, ma era influenzato da varie e opposte eresie. Il Concilio seguì una procedura simile a quella del Senato romano, assumendo una funzione sia legislativa che giudiziaria e affidando quella esecutiva al potere imperiale diventato fedele alleato della Chiesa.
Costantino seguì personalmente le sessioni conciliari, ma lasciò piena libertà ai vescovi, riservandosi il diritto di far applicare le loro decisioni con la forza del potere imperiale. All’inizio dei dibattiti, la fazione favorevole ad Ario, composta da quasi 80 vescovi, era minoritaria ma influente e guidata dall’abile e prestigioso Eusebio di Nicomedia, collaboratore di Costantino. La fazione contraria ad Ario, composta da oltre 20 vescovi, era anch’essa minoritaria ma animata da personalità sante e combattive come Alessandro di Alessandria, assistito dal giovane segretario Atanasio. In mezzo a queste due opposte fazioni diventava decisivo il “terzo partito”, quello semi-ariano, composto da oltre 20 presuli, guidato dal colto e influente Eusebio di Cesarea, consigliere e amico di Costantino.
Il semi-arianesimo riteneva che la pace religiosa della Chiesa e quella politica dell’Impero fossero più importanti delle sottili polemiche teologiche. Esso lavorava per la moderazione, la mediazione e il compromesso, in una prospettiva che oggi diremmo “pastorale”, “resiliente” e “inclusiva”. Pertanto, i semi-ariani tentavano di trovare una via media tra gli “opposti estremismi” della fazione eretica e di quella ortodossa, al fine di superare il contrasto, giungere a una posizione comune e salvare l’unità dell’episcopato. Non essendo vescovi, sia Ario che Atanasio non poterono parlare né votare nell’assemblea conciliare, però riuscirono a influenzarla agendo riservatamente nelle sessioni riservate ai teologi.
Essendo sicuro della vittoria della propria fazione, l’orgoglioso Ario si comportò in maniera così sprezzante da provocare l’imbarazzo dei semi-ariani e la reazione degli anti-ariani, tanto che il vescovo san Nicola lo schiaffeggiò in pubblico; questa memorabile scena è stata recentemente ritratta dal pittore Gasparro in un suo bellissimo quadro.
Decisioni del Concilio niceno
Nel suo momento culminante, su proposta di Osio, il Concilio proclamò solennemente il Simbolo della Fede, ossia il celebre Credo niceno che riprese e ampliò quello degli Apostoli. Esso costituì la prima confessione dogmatica ufficiale della Fede cristiana contenente la vera dottrina cristologica, secondo la quale il Figlio è veramente “Dio emanato da Dio, generato ma non creato, della stessa sostanza del Padre”, usando la decisiva parola greca omoùsion, ossia “consostanziale”. Alle votazioni finali dell’assemblea, la fazione ariana si astenne e quella semi-ariana, alleandosi con quella anti-ariana, approvò la tesi e le decisioni conciliari, riservandosi però d’interpretarle e applicarle in modo elastico. L’arianesimo fu condannato come “eretico e blasfemo”; pertanto, il Concilio dispose che i suoi libri fossero vietati e bruciati.
Inoltre, l’autorità conciliare e quella imperiale, di comune accordo, scomunicarono, deposero dalla carica e mandarono in esilio Ario e due vescovi rimasti suoi seguaci, perché non si erano sottomessi alle decisioni del Concilio. Le sessioni conciliari si conclusero il 25 agosto 325; tramite i suoi due rappresentanti, papa Silvestro ne approvò e ratificò le decisioni. Nell’autunno di quello stesso anno, Costantino mantenne il proprio impegno di promotore della Fede cattolica, prima con una lettera ufficiale inviata ai vescovi cristiani e ai governatori imperiali, poi con un discorso tenuto in Antiochia.
Egli fece proprie le direttive conciliari, sancì il Credo niceno come sola vera Fede della “grande Chiesa del Cristo” e diede all’episcopato i poteri e i mezzi per imporre l’obbedienza conciliare al clero rimasto dissidente e oppositore.
Dalla crisi dell’ortodossia al suo trionfo
Tuttavia, poco dopo la fine del Concilio, gettando la maschera della ortodossia e della obbedienza, la fazione semi-ariana ruppe l’accordo con quella anti-ariana e si alleò a quella ariana superstite, al fine d’impedire che l’episcopato e il governo applicassero rigorosamente e coerentemente le direttive conciliari.
Questo tradimento avviò la grave e lunga crisi post-nicena, che divise e devastò la Chiesa per quasi un secolo mediante polemiche, ostilità, disordini e persecuzioni. Alcuni influenti vescovi eretizzanti, in un sinodo episcopale riunitosi nuovamente a Nicea (327), rimisero in discussione la formula nicena accusandola di tendere pericolosamente a identificare il Padre col Figlio in una sola Persona, e proposero di sostituire il termine “consostanziale” con “simil-sostanziale”. Inoltre, la fazione semi-ariana calunniò quella anti-ariana accusandola di turbare la pace della Chiesa suscitando dissensi e conflitti. Non essendo santo né dotto, Costantino desiderava soprattutto mantenere la pace religiosa superando le polemiche.
Di conseguenza, cedendo alle pressioni dei vescovi eretizzanti, l’Imperatore tollerò ch’essi perseguitassero, deponessero ed esiliassero prestigiosi difensori del dogma niceno, come quell’Atanasio che nel frattempo era diventato vescovo di Alessandria d’Egitto. Eroicamente, questi campioni della Fede non si lasciarono vincere da intrighi, calunnie, minacce e violenze. Approfittandosi della situazione favorevole, Ario finse di sottomettersi al dogma niceno sottoscrivendo un’ambigua formulazione teologica che gli permise di tornare dall’esilio per essere solennemente riabilitato dalla Chiesa e dall’Impero a Costantinopoli nel giorno della Pasqua (336). Invece, proprio alla vigilia di questa sua rivincita, Ario morì per una improvvisa esplosione dell’intestino che fu interpretata dai fedeli come una divina punizione per la sua perfidia. La crisi iniziò quindi con il momentaneo successo del semi-arianesimo, sostenuto da alcuni fra gl’imperatori succeduti a Costantino e tollerato perfino da un Papa, il debole Liberio, ma poi fu combattuto da Papa san Giulio I e dall’Imperatore Costanzo II fin dal suo Sinodo di Roma (331).
Un testimone dell’epoca, san Basilio vescovo di Cesarea, scrisse che il succedersi di polemiche, condanne e assoluzioni dava l’impressione di essere coinvolti in “una battaglia navale notturna”, nella quale non si riconoscevano bene amici e nemici, tutti combattevano tutti, non si si capiva dove si sarebbe finiti. Si noti che, proprio per aver tentato un compromesso pratico che sacrificava l’esigenze della Fede a quelle della pace, Costantino e alcuni suoi successori non riuscirono a ristabilire l’unità religiosa e anzi persero anche quella politica. Solo la rottura di quel compromesso e la riaffermazione del dogma violato, attuate da un Papa e da un Imperatore ortodossi e alleati, potevano risolvere la grave crisi e riportare unità e pace politico-religiose nell’Orbis Romanus.
Difatti, la soluzione giunse nel 380 per opera dell’intervento congiunto di due energici spagnoli: Papa san Damaso e l’Imperatore Teodosio il Grande. Nell’assise del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, il Papa condannò come eretico il semi-arianesimo; nei decreti di Tessalonica, l’Imperatore ne vietò il culto pubblico, ne sciolse i Sinodi, ne depose i capi e impose a loro restituire alla Chiesa gli edifici sottrattile.
Inoltre, con successive disposizioni, l’Imperatore proclamò quella cristiana cattolica come unica religione ufficiale dell’Impero Romano. Dopo ben 55 anni di eresia dominante, con l’aiuto d’influenti vescovi come sant’Ambrogio, la fazione ortodossa era riuscita a isolare e a reprimere quella eretizzante in modo da avviare la soluzione della crisi. Ciò dimostra che la concordia religiosa, la omogeneità culturale e la pace sociale si possono ottenere o mantenere solo preservando l’autentica dottrina e disciplina della Chiesa. Così si formò la Cristianità (impropriamente detta “medioevale”), intesa come famiglia di popoli cattolici sotto la guida spirituale del Romano Pontefice e la tutela politica dell’Imperatore o di un’altra potenza internazionale.
Attualità del Concilio di Nicea
A un’analisi attenta e trasparente, l’attualità del Concilio di Nicea emerge ancor oggi, sia in positivo che in negativo. In positivo, constatiamo che le definizioni fondamentali della Fede proclamate dai Concili di Nicea e di Costantinopoli sono rimaste fisse e valide lungo la storia della Chiesa, il cui costante e coerente magistero ha precisato e approfondito la verità rivelata, però mantenendo una continuità non solo nel dato concettuale ma anche nella sua espresione lessicale.
In negativo, però, constatiamo che l’eresia ariana, degradandosi da dottrina a ideologia, ha percorso la storia della Chiesa come un fiume carsico periodicamente riemergente. Ancor oggi, con al crisi post-conciliare, un arianesimo di ritorno dilaga nel mondo non solo laicale ma anche clericale e perfino episcopale, come fu ammesso fin dal 1984 dall’allora cardinale Ratzinger nel suo Rapporto sulla Fede (1984). Ad esempio, molti teologi contemporanei insegnano che Gesù Cristo non è il Verbo divino disceso sulla Terra ma un uomo eletto salito al livello della divinità, dunque qualcuno meno augusto del Figlio immaginato da Ario. La duplice natura teandrica del nostro Redentore viene così ridotta a quella umana, negando o sminuendo quella divina e abbassando la figura di Gesù ad apostolo dell’umanesimo o paladino del progresso o vendicatore degli oppressi o protettore della natura.
Inoltre, altri teologi pretendono che la condanna nicena dell’arianesimo sia stata uno sbaglio che ha causato gravi conseguenze storiche. Infatti, ciò avrebbe avviato una nefasta preminenza della teologia “sacerdotale, apologetica e razionale” su quella “monacale, profetica e mistica”, favorendo così quel successivo dissidio tra i cosiddetti “due polmoni della Chiesa” poi consumatosi con l’irrisolto scisma bizantino. Infine, altri teologi accusano gli antichi Concilî di aver sostituito il concreto linguaggio semitico tipico della Bibbia con quello astratto tipico della filosofia greca classica, usando parole metafisiche (essenza, sostanza, natura, persona, relazione, emanazione) che travisano la divina Rivelazione. Pertanto, quei teologi pretendono che oggi le verità dottrinali debbano essere espresse sostituendo le formule tradizionali con quelle moderne ammesse dal “pensiero concreto” o “pensiero debole”, ossia relativistico, e che le decisioni pastorali debbano essere adeguate all’esigenze della “inculturazione” ecumenica e del permissivismo etico.
Un prezioso esempio per il nostro tempo
Sebbene sia considerato come un evento ormai lontano nel tempo, la complessa vicenda del primo Concilio Ecumenico ufficiale della storia rimane un prestigioso e prezioso esempio di Chiesa docente e governante che manifesta alcuni aspetti significativi utili per la nostra epoca così confusa e tormentata. Qui ne evidenziamo tre.
1. Nonostante la società dei primi secoli soffrisse di gravissimi drammi e miserie, compresa la schiavitù, la neonata Chiesa cristiana non si limitò a impegnarsi in una missione umanitaria, ossia ad alleviare le sofferenze del popolo mediante la pratica della carità assistenziale. Vescovi, clero e laici s’impegnarono anche e soprattutto nel diffondere, chiarire e difendere la dottrina teologica del Vangelo riguardante il divino Redentore, trattando molto di doveri morali e poco di diritti civili.
Ciò accadde perché la “Chiesa delle origini” era convinta che solo la retta evangelizzazione avrebbe suscitato una carità soprannaturale capace di favorire la dignità umana e ottenere le conquiste sociali, mentre l’errore religioso e il vizio morale avrebbero oscurato la verità, raffreddato la carità e danneggiato l’opera civilizzatrice della Chiesa. È per questo che i vescovi dell’epoca erano non tanto benefattori e amministratori del loro popolo, quanto maestri di verità ed esempi di santità.
2. La formulazione dogmatica della Fede cristiana non sorse da un processo della cosiddetta “inculturazione”, ossia dal tentativo di adeguare la verità rivelata alla dominante cultura ellenistica, la quale avrebbe anche accettato d’inserire nel suo ecumenico Pantheon il mitico personaggio di un Figlio ridotto a inferiore manifestazione del Padre celeste. Al contrario, i Padri di Nicea svilupparono la teologia evangelica del Logos (Parola, Verbo) separandola dalla filosofia neoplatonica del Nous (Mente, Coscienza), e la formularono in termini soprannaturali, proclamando la misteriosa eguaglianza del Figlio al Padre e così salvando il mistero teandrico dalla mitologia gnosticheggiante dell’epoca.
3. L’illuminante e santificante proclamazione della Fede cattolica nel Concilio di Nicea non risultò dalla prudente e compromissoria mediazione tra gli “opposti estremismi” dell’arianesimo e dell’anti-arianesimo, vanamente tentata per oltre mezzo secolo dai vescovi semi-ariani. Al contrario, il dogma niceno risultò dalla franca e intransigente proclamazione della verità teologica avanzata dall’audace e vittoriosa offensiva della fazione ortodossa sia su quella eretica che su quella eretizzante. Domani, un’analoga proclamazione della verità rivelata preparerà potentemente sia la restaurazione della Chiesa, sia la ricostruzione della civiltà cristiana, forse ancora una volta ad opera di un Pontefice e di un Imperatore cattolici, come fu preannunciato da molte profezie dette e scritte da veggenti approvati dalla Chiesa.
