Il Pensiero Cattolico

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Guido Vignelli

Ricuperare il corretto linguaggio per salvarsi da quello “ecclesialmente corretto”

Da secoli siamo sottoposti a un sistema rivoluzionario globale che, prima di essere politico o economico, è culturale; infatti, esso sta tentando di “rieducare” l’umanità al fine di realizzare una trasmutazione antropologica, ossia a creare l’uomo nuovo e una nuova società, dato che si rifiuta non solo la Redenzione cristiana ma anche la stessa Creazione divina.

In questo contesto, la propaganda rivoluzionaria scatena contro la civiltà cristiana una “guerra culturale” che talvolta è una pesante offensiva, ma più spesso è una logorante guerriglia, nella quale il sistema della informazione mass-mediatica svolge un ruolo decisivo.
Siccome questa rivoluzione usa molto l’immagine e il gesto, si tende a dare meno peso all’uso della parola; ma sia le immagini che i gesti tentano di giustificarsi con le parole e queste, a loro volta, suscitano immagini e gesti; si tratta quindi di fattori strettamente connessi tra loro che insieme influenzano quello che chiamiamo “senso comune”. Un secolo fa, Antonio Gramsci affermò che il comunismo si sarebbe pienamente realizzato solo quando, esercitando una egemonia culturale sulla popolazione, sarebbe riuscito a sostituire il vecchio “senso comune borghese” con un nuovo “senso comune proletario”. Per ottenere questo risultato, egli raccomandò agli agenti comunisti di avviare una guerra psicologica che favorisse una rivoluzione nel linguaggio capace sia d’imporre nuove parole, sia di dare un nuovo significato alle parole vecchie, in modo da renderle capaci di spargere “germi di socialismo”.
Negli ultimi tempi, questa rivoluzione nel linguaggio sta avendo manifestazioni particolarmente gravi e violente per opera della propaganda woke, la quale non solo compie genti simbolici, ma anche vieta o travisa o impone parole al fine di realizzare esplicitamente una cancel culture che in realtà non è “cultura della cancellazione” ma è “cancellazione della cultura”.
Il recente fenomeno del woke (ossia la “vigilanza”) con la conseguente offensiva della cancel culture (ossia la “cancellazione della cultura” tradizionale) hanno riacceso la “guerra delle parole” e quindi rilanciato il problema del linguaggio. Approfittiamone per riallacciarlo alle sue antiche radici.
Da qui nasce il problema della correttezza linguistica. Se un individuo, una società o una cultura usano un linguaggio falso, esso può veicolare errori che confondono la mente, vizi che seducono la volontà e tendenze che traviano il comportamento. Quando ciò accade, il linguaggio si perverte nella sofistica, si prostituisce alla moda dominante, fa degradare la conoscenza a opinione, con tutte le gravi conseguenze intellettuali e morali che ne derivano.
La Sacra Scrittura ammonisce che le parole false «seminano vento e raccolgono tempesta» (Os 8, 7); «morte e vita sono in potere della lingua» (Pv 18, 21); «se molti sono i morti trafitti dalla spada, ben più numerosi sono quelli trafitti dalla lingua» (Sir 28, 18). La sapienza cristiana approfondì il problema, anche in reazione alle insidie verbali delle eresie; ad esempio, san Girolamo affermò: «con gli eretici non bisogna avere in comune nemmeno le parole, perché bisogna evitare di dare l’impressione di favorire i loro errori»…[]

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