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Claudio C.

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Blog Entries di Claudio C.

  1. Claudio C.
    Papa Francesco non ha mai detto “Sì a legge sulle unioni civili”. Non ci cascate. Sono solo mezzucci della stampa italiana per far approvare la legge sulle unioni civili.
    Ha detto solo questo: "Homosexuals have a right to be a part of the family. They’re children of God and have a right to a family. Nobody should be thrown out, or be made miserable because of it,” Pope Francis said in the film, of his approach to pastoral care." Qui la fonte con il vero virgolettato CNA News . "Gli omosessuali hanno il diritto di far parte della famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere buttato fuori o essere infelice per questo ”. Come è ben evidente, nulla a che vedere con uanto riportano i giornali italiani che hanno come fine ben preciso quello di far approvare la legge Zan.
    Possiamo chiedergli conto dello scandalo del Cardinale Becciu, del sanguinoso accordo "segreto" con la Cina, e di tanti altri Dubia, ma non di questo.
    Siate veramente cattolici adulti e non cattolici ingenui. Iniziate a comprendere la "macchina mediatica" e come chi tira veramente le fila, la usa.
    #IPC Claudio
  2. Claudio C.
    di Catholic News Agency.
    Quando padre John Hollowell è andato alla Mayo Clinic per le scansioni cerebrali dopo quello che i medici pensavano fosse un ictus, ha ricevuto una diagnosi scioccante. Le scansioni hanno rivelato che invece di un ictus, aveva un tumore al cervello.
    Sebbene si trattasse di una diagnosi seria, Hollowell, un prete dell'Arcidiocesi di Indianapolis, ha affermato di ritenere che il tumore fosse una risposta alla preghiera. "Quando sono scoppiati gli scandali del 2018, molti di voi sanno che mi hanno colpito profondamente, come hanno fatto la maggior parte della Chiesa", ha scritto nel suo blog, On This Rock.
    “Ho pregato nel 2018 che se ci fosse stata qualche sofferenza che avrei potuto subire a nome di tutte le vittime, una croce che avrei potuto portare, sarei stato lieto. Sento che questa è quella croce e la abbraccio volentieri. "
    Hollowell è stato ordinato nel 2009 e serve come parroco della parrocchia di St. Paul Apostolo a Greencastle e parroco della parrocchia dell'Annunciazione in Brasile, Indiana. È anche cappellano cattolico presso la DePauw University e la Putnamville Correctional Facility.
    Il piano per il trattamento di Hollowell prevede la rimozione del tumore attraverso un intervento chirurgico al cervello e quindi sia le radiazioni che la chemioterapia. Hollowell ha affermato che mentre i suoi trattamenti non saranno così duri come quelli per alcuni altri tipi di cancro, vuole ancora offrire ogni giorno il suo recupero, la chemioterapia e le radiazioni per le vittime dell'abuso di clero.
    “Mi piacerebbe avere un elenco di vittime di abusi sacerdotali che potrei pregare ogni giorno. Vorrei dedicare ogni giorno di questa guarigione / chemioterapia / radiazione a 5-10 vittime e, se possibile, vorrei anche scrivere loro una nota per far loro conoscere le mie preghiere per loro ”, ha detto. Ha incoraggiato le vittime, o coloro che sono a conoscenza di una vittima, a scrivergli con il nome della vittima (con il loro permesso) e con un indirizzo in cui poter inviare loro un messaggio quando prega per loro. Ha aggiunto che vorrebbe includere nelle sue preghiere le vittime che sono state aiutate dalla Rete dei sopravvissuti di coloro che sono stati abusati dai sacerdoti e ha chiesto a SNAP di inviargli i nomi delle vittime per le quali può pregare.
    Hollowell ha dichiarato di essere grato per i suoi molti "meravigliosi" medici alla Mayo Clinic e altrove che finora hanno fatto parte delle sue cure. "Ogni persona ha svolto un ruolo chiave in questo processo e sono molto grato e stupito dallo stato della medicina negli Stati Uniti nel 2020", ha affermato.
    Alla fine, il sacerdote disse di essere "molto in pace".

    “Oltre al tempo trascorso in ospedale, gli unici effetti di questo tumore che ho avuto sono stati 5 episodi di spasmo / convulsioni che sono durati ciascuno 90 secondi. Mi rendo anche conto di essere benedetto per averlo scoperto attraverso questo processo vs. scoprire il tumore lungo la strada dopo che era diventato più grande ", ha scritto. "Sarete tutti nelle mie preghiere, mentre prego quotidianamente per la salvezza di tutte le anime di coloro che vivono e studiano entro i miei confini parrocchiali", ho aggiunto. "Possa la Madonna di Lourdes vegliare e intercedere per tutti coloro che sono malati o sofferenti in alcun modo!"

    Libera traduzione da Catholic Herald
  3. Claudio C.
    della Redazione di Documentazione.info
    Qual era il modus operandi dell’inquisizione? Davvero si trattò di una feroce caccia all’uomo per motivi religiosi? Il professor Alessandro Barbero, professore ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e volto noto al pubblico della divulgazione storica di SuperQuark, spiega che in realtà quello dell’inquisizione “rispetto ai tribunali civili era estremamente moderato”.
    Ospite nel ciclo di incontri Le ragioni del torto, al professor Barbero è stato chiesto, in riferimento al processo a Giordano Bruno: “Perché a un certo punto l’istituzione ecclesiastica reagisce in un certo modo?”
    Sicuramente sentire la storia di un tribunale che arresta qualcuno per le sue idee porta l’ascoltatore a parteggiare immediatamente per il perseguitato, ma bisogna considerare che secondo il professor Barbero “abbiamo un’immagine dei tribunali dell’inquisizione che è stata prodotta dai polemisti protestanti a partire dal ‘500, un’immagine pornografica di inquisitori che godono nel torturare donne nude”  
    Il professor Barbero ha contestualizzato la nascita del tribunale dell’inquisizione, avvenuta “in una società integralmente cristiana”. La realtà storica dell’Inquisizione inizia nel Basso Medioevo, con l’aumento di persone che sanno leggere e scrivere e che si pongono come alternative all'interpretazione della fede in un mondo che si basa sull’insegnamento di “testi estremamente difficili da spiegare in maniera razionale”, l’Antico e il Nuovo Testamento.
    Anche a causa di fenomeni oggettivamente pericolosi per la vita di molti, come l’eresia catara, i sostenitori della quale si lasciavano morire di fame credendo che la materia fosse malvagia, la Chiesa attiva l’inquisizione “in totale perfetta convinzione e buona fede”.
    “Il tribunale dell’inquisizione opera con forme e tutele rigidissime: si impianta, convoca testimoni, verbalizza tutto (che poi è il motivo per cui noi conosciamo bene come funzionava un processo dell'inquisizione e meno un processo dello stato della stessa epoca), e il suo scopo non è bruciare la gente. Lo scopo del tribunale dell’inquisizione è spiegare bene a tutti che chi ha sbagliato deve chiedere scusa e pentirsi. Meglio se pubblicamente”.
    Per questa ragione ordinariamente un processo dell’inquisizione si conclude con l’accusato che “confessa, chiede perdono a santa madre chiesa e fa una bella penitenza”.
    Il professor Barbero ha quindi spiegato che “l’inquisizione era un tribunale che rispetto ai tribunali civili era estremamente moderato. Nei tribunali civili era normale torturare la gente [...]. Generazioni e generazioni di coltissimi magistrati fino al ‘700 hanno dato per scontato che si torturano gli imputati se non vogliono confessare. L’inquisizione in confronto tortura pochissimo e lo fa solo perché tutti i tribunali lo fanno”.
    Inoltre, ha aggiunto Barbero, le torture degli inquisitori erano sottoposte a dei limiti indicati dal Papa: bisognava osservare dei giorni di riposo, doveva esserci un consulto medico e si poteva praticare solo per alcune ore al giorno.
    Questo è il primo degli articoli estratti dal canale non ufficiale di Alessandro Barbero, curato da Fabrizio Mele e disponibile gratuitamente a questo link di Spotify. Nel canale sono raccolti i podcast degli interventi del professore.
    Articolo redatto su Documentazione.info e che riteniamo importante riprendere per il bene della Verità Cattolica. Vi invitiamo a visitare il portale per trovare la continuazione di questi interessantissimi articoli. #IPC.
    Da Documentazione.info: Se ti è piaciuto l'articolo condividilo su Facebook e Twitter, sostieni Documentazione.info. Conosci il nostro servizio di Whatsapp e Telegram?  
     
  4. Claudio C.
    Video integrale in calce della Catechesi: Adora il Signore Dio tuo, non la "madre terra", solo Lui è padre di SER Card. Raymond Burke e  Mons. Nicola Bux del 25.03.2020 (diretta dal Canale Facebook https://www.facebook.com/ilpensierocattolico/ )
    La chiave di volta del discorso sull'uomo è il confine della sua libertà, da cercare non solo nell'ambito della fede - non avrai altro Dio fuori di me - ma nel cuore e nelle leggi immutabili del diritto naturale.
     
    Il Cardinale Raymond Burke e Monsignor Nicola Bux si confrontano su questi tempi di pandemia e altre afflizioni e su cosa Dio ci voglia comunicare permettendo questa sofferenza e li individuano nei peccati contro l'umanità come l'eutanasia, o contro l'Ordine di Dio, come la "teoria del gender", che porta tante anime a definirsi diversamente da quanto Dio ha dato per natura, ma anche i grandi mali della chiesa, come l'idolo demoniaco entrato nella Chiesa, Pachamama, adorato sacrilegamente da alti prelati in Vaticano. Umanamente infatti, abbiamo perso la prospettiva essenziale della Vita Eterna che ordina la Creazione e la vita umana; San Paolo infatti diceva che il Signore ha scritto il buon ordine e la legge nei nostri cuori.
    Il messaggio ultimo che Nostro Signore ci invia è un profondo richiamo alla Conversione a Lui. Il Signore è Re della natura e della terra ed il primo strumento di battaglia contro questo contagio è tornare a Dio.Il Signore non imprime direttamente queste sofferenze, però Lui utilizza questa sofferenza per ispirarci a tornare a Lui e trovare la direzione per le nostre vite.
    Talvolta in queste tragedie l’uomo si chiede "dove è Dio?". Non dobbiamo chiederci tanto dove è Dio ma dove siamo noi? Talvolta noi ci avviciniamo a Lui solo in momenti di tragedia e grande crisi, dimenticandoci di Lui. Torniamo a Lui, di fronte al Tabernacolo, all’Ostia Sacra, sapremo che Dio è tra di noi, anche in questa situazione. Il Signore è sempre presente, ce lo ha promesso, "sarò con voi fino alla fine", ma a volte il Signore distoglie lo sguardo dalle nostre malvagità, attratti dal peccato e lascia agire Satana, come scritto nel libro di Giobbe. Ma, se il Signore ci mostrerà il Suo volto saremo salvi.
    Tante persone sono ricche di beni, ma sono infelici, vivono nelle cose mondane abusandone e non trovano soddisfazione. E' naturale; come disse Sant’Agostino, siamo fatti per Dio e solo in Lui troviamo pace.
    Dobbiamo essere certi che il Signore, che ha stretto l’Alleanza con l’umanità,  la rispetterà. Siamo noi a doverci chiedere se noi guardiamo a Dio rispettandone i Comandamenti, avendone paura ma bensì Timore di Dio. Quando non abbiamo più timore di Dio cediamo alla tentazione come accadde per Adamo ed Eva e da allora il caos ed il peccato regnano nella nostra vita.
    Inoltre, se Cristo ha espiato, è importante che espiamo anche noi la nostra Passione. Noi viviamo in Cristo, siamo tutti chiamati, come afferma San Paolo, ad essere gioiosi di soffrire con il nostro corpo nelle Sofferenze di Cristo per condividere con Lui la Vita Eterna. Qualcuno pensa che la vita in Cristo significhi non avere più problemi, ma sbagliano. La Grazia non è a buon mercato.
    Infine, ci si è chiesti come vivere in questo tempo in cui è difficile accedere ai Sacramenti ed in cui molti giustamente si angosciano ed hanno timore che la nostra vita non sia salva. Quando non è colpa nostra non poterci recare in Chiesa ed accedere ai Sacramenti, preghiamo la Madonna chiedendo di portarci al Signore, con il Santo Rosario e l'Angelus, perché la Madonna è Madre di ogni Grazia, consacrando a Cristo tramite il Cuore Immacolato di Maria noi stessi e le nostre famiglie nelle nostre case. Poi possiamo, se in stato di Grazia, ricevere la Comunione Spirituale.
    Altrimenti, se non si è nello Stato di Grazia, dobbiamo pentirci per i peccati mortali che abbiamo commesso, perché ha offeso Dio, con la Contrizione Perfetta, non solo per paura dell'Inferno, ma anche perché abbiamo mancato l'Amore di Dio.
    Al termine, ci sono state diverse domande dei video-ascoltatori dalla Consacrazione dell'Italia al Cuore Immacolato di Maria, al sacrilegio della adorazione dell'idolo pachamama, all'Apocalisse ed a come vivere in questi tempi. Da ascoltare.
    Ecco il video.
     
  5. Claudio C.
    Il card. Martini mise in guardia dalla papolatria: ed era pontefice Giovanni Paolo II. Il card. Ruini ha detto di recente che criticare il papa non vuol dire essere contro di lui.
    Che sta succedendo? Quelli che hanno sostenuto sempre la dottrina cattolica, vengono ritenuti nemici del papa, quando è noto che solo chi ama la verità è un vero amico: Amicus Plato, sed magis amica veritas. 
    In seguito alle dichiarazioni riemerse di papa Bergoglio, chi ha il pensiero cattolico si chiede: il papa non gode dell'assistenza speciale dello Spirito Santo? Risposta: sì, se è "attaccato alla dottrina sicura, secondo l'insegnamento trasmesso" alla Chiesa (cfr Lettera di san Paolo apostolo a Tito 1,9), ossia "un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi"(Catechismo della Chiesa Cattolica, 892); no, se comunica sue opinioni da esso difformi. Il cattolico medievale sapeva distinguere i due "corpi" del papa: il corpo dell'uomo e il corpo del vicario, ossia quando esprime sue opinioni o quando insegna le parole di Cristo. Nel primo caso, il cattolico (ma anche il laico che segue la retta ragione) non è tenuto ad aderire con religioso ossequio dello spirito, tanto meno con l'ossequio della fede (cfr Ibidem).
    Il polverone mediatico provocato dalle opinioni dell'uomo Bergoglio sul riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, se è stato sollevato per dare assistenza a Biden o Zan, visto che l'ufficio delle comunicazioni vaticane aveva censurato, in precedenza, le frasi imbarazzanti; o se è venuto fuori per iniziativa del Festival del Cinema di Roma, suscita il consenso dei cattolici conformi all'ideologia corrente, ma lascia smarrita quella parte di cattolici che ha ancora il sensus fidei.
    Inoltre, c'è da osservare che, queste opinioni costituiscono un' ingerenza della suprema autorità ecclesiastica nell'ambito civile, dato che auspicano una legge che dia famiglia alla categoria suindicata. Si può supporre che tale passo sia stato compiuto, per autorizzare poi i chierici - quelli sempre pronti ad abbracciare le mode - alla benedizione delle unioni civili? Non pochi segnali vanno in questa direzione. Ma, il polverone era proprio opportuno in questo momento di scandali vaticani? Bisogna ricordare che ai sinodi dei giovani e della famiglia, furono avanzati suggerimenti che contenevano già tali aperture, ma non ottennero il consenso ampio dei padri e furono riportate in modo generico nelle Esortazioni apostoliche seguenti. Fatto sta che alla ribalta vaticana, in questi sette anni, sono venuti personaggi inclini a tali opinioni o coinvolti personalmente in esse. Cui prodest, sollevare il polverone, mentre il pontificato ottiene applausi da chi è fuori della Chiesa, ma una levata di scudi da chi è cattolico? Al di là delle supposizioni, dispiace per i poveri ecclesiastici e laici, che, mancando di strumenti critici, sono smarriti.
    Si vuol provocare l'uscita dalla Chiesa di quanti sono fedeli alla morale cattolica? Non bisogna cadere in questa tentazione, ma fare resistenza con la fede.
    Perciò, vanno rilette le Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, Città del Vaticano 2003 (qui), pubblicate il 3 giugno, nella memoria dei santi martiri ugandesi, che diedero la vita per essersi rifiutati di soggiacere alle lusinghe del re che aveva simili intenti.

     
  6. Claudio C.
    Dal blog Duc inAltum di Aldo Maria Valli, riprendiamo questa considerazione di un lettore della provincia di Milano che ha inviato al famoso giornalista RAI il testo di un foglietto che è stato distribuito giorni fa nella sua parrocchia. Apparso in spagnolo nel sito religiondigital e in italiano in adista.it, è teso a screditare la Comunione in bocca come “usanza arcaica” che forse, grazie all’occasione offerta dalla pandemia, potrà essere eliminata per sempre.
    Il lettore che ha trovato il foglio sulle panche della sua chiesa è rimasto sconcertato. Aldo Maria Valli ha chiesto un commento a monsignor Nicola Bux. 
    Viene proposto prima il testo del volantino e poi il commento di monsignor Bux.
    ** DAL VOLANTINO**
    La comunione in bocca è un’abitudine che (a causa di forza maggiore) potremmo (finalmente) abbandonare
    Il Covid-19 sta incidendo in tutti i settori della nostra vita. Anche la nostra preghiera è cambiata, almeno quella liturgica. La nostra Messa si vive, ora più che mai, nell’intimo. E forse ci stiamo rendendo conto che l’Eucaristia inizia e ruota intorno alla lavanda dei piedi, alla solidarietà e al servizio ai nostri fratelli. Non a caso le parole di Gesù nell’Ultima Cena sono state: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
    Noi credenti sappiamo bene che d’ora in poi dovremo cambiare alcune delle nostre usanze liturgiche. La cosa più curiosa è che alcune di esse, anche se le abbiamo con noi da molti secoli, non sono così “cristiane” o così sacre. La comunione in bocca, per esempio; la sua origine non deriva né dall’epoca della Chiesa dei primi cristiani o dal tempo dei Padri della Chiesa.
    Al momento stiamo guardando le Messe in TV e ricevendo la comunione in modo spirituale. È già stato annunciato che, con il coronavirus nel mondo, non sarà possibile tornare all’usanza di riceverla in bocca, anche se in alcuni ambienti conservatori difendono quest’usanza a tutti i costi. Ma in realtà quando è stata introdotta la comunione in bocca nella storia della Chiesa?
    Lo “spezzare il pane” era ed è il centro di ogni comunità cristiana. Lo era al tempo degli apostoli, lo è oggi. È ben noto il bellissimo testo della catechesi ai catecumeni (IV sec.), che raccomanda loro di fare “della mano sinistra un trono per la mano destra, poiché questa deve ricevere il Re” (VI catechesi mistagogica di Gerusalemme, n. 21: PG 33, col. 1125).
    I cristiani ricevevano la comunione in mano fino al Medioevo, e più precisamente fino all’epoca carolingia. Ricordo come il prof. Klaus Schatz S.J., docente di storia ecclesiastica di Sankt Georgen a Francoforte, ci abbia raccontato che all’epoca dell’impero carolingio nelle abitudini della gente si era infiltrato un senso magico della religione. La comunione in bocca fu introdotta proprio per evitare questo senso magico dell’Eucaristia. Molti contadini germanici, quando ricevevano la comunione in mano, nascondevano la particola consacrata e se la portavano a casa, per darla alla loro mucca o ad un altro animale domestico malato. Per evitare queste cattive usanze, fu introdotta l’abitudine della comunione in bocca, che è rimasta con noi, in parte, fino ai giorni nostri.
    Oggi non sappiamo quando potremo ricevere la comunione. È certo che sarà in mano, e inoltre in mano per tutti. Potremmo almeno approfittare di questa crisi per lasciarci alle spalle la “comunione in bocca”, una pratica che è nata in una maniera un pò arcaica. Prepariamo, tuttavia, il trono delle nostre mani per il Signore, per il Re … E non dimentichiamoci di usare le nostre mani per servire, che è la cosa principale: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
    **FINE VOLANTINO**
    Commento di monsignor Nicola Bux
    Renderemo conto allo stesso nostro Signore Gesù Cristo dello scandalo, ovvero l’ostacolo che tanti ministri sacri pongono ai fedeli, con i loro atteggiamenti dissacranti e persino sacrileghi verso il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, sintomo della grave crisi di fede che attraversiamo (crisi di fede = mancato riconoscimento della Presenza di Dio nella liturgia, che per questo è chiamata sacra).
    Certo, la causa prima è la secolarizzazione, determinata innanzitutto dai chierici, secondo Charles Peguy, per l’eccessiva enfasi sul simbolismo liturgico, ma ancor più per il venir meno del senso del sacro, sempre a causa della crisi di fede.
    Di questa crisi fa parte la riduzione dell’Eucaristia a espressione di solidarietà umana. Così, nel volantino trovato sui banchi di una parrocchia del Milanese, si afferma che “la comunione in bocca è un’abitudine da abbandonare”, perché addirittura non “cristiana” e non sacra, e anche perché non risalirebbe al cristianesimo primitivo e ai Padri: ritorna l’eresia archeologista, per cui dall’antichità si prende quel che si vuole e si lascia quel che non conviene (per esempio, l’orientamento ad Deum di sacerdoti e fedeli durante la celebrazione, di origine apostolica).
    Da altri l’abolizione è proposta in nome di una presunta maggiore contagiosità della bocca rispetto alla mano, sulla quale non pochi esperti dissentono.
    Lo “spezzare il pane”, da cui il nome dato alla Messa dagli Atti degli Apostoli, non significa che il Sacramento sia stato dato in mano ai discepoli, ma, come attesa Giovanni (cfr 13,26-27), che fu come il boccone porto da Gesù a Giuda, uso ancora invalso presso gli orientali, che ancora fanno la Comunione imboccando i fedeli. Un boccone di pane intinto non può essere dato in mano, ma solo in bocca.
    In altra sede abbiamo portato a sostegno il codice purpureo di Rossano del V secolo, quindi ben prima dell’epoca carolingia, e interpretato l’invito di san Cirillo, vescovo di Gerusalemme, a fare delle mani come un trono, con l’esigenza di protenderle sotto la nostra bocca, affinché, ricevendo il “boccone” eucaristico, nessun frammento andasse disperso.
    Si veda pure il tema della Comunione degli Apostoli, nell’iconografia bizantina, che non attinge ex post, come tutte le testimonianze orientali, fino agli occidentali Beato Angelico, Tintoretto eccetera.
    Perciò l’attribuzione del gesto, da parte del gesuita Schatz, all’infiltrazione tra i fedeli di “un senso magico della religione”, portando alla Comunione in bocca, è evidentemente ideologica.
    L’autore del volantino non può ignorare che, ai nostri giorni, non è la Comunione in bocca a essere a rischio di profanazione – posto che distingua il sacro dal profano – ma quella sulla mano: non sa che vi sono fedeli che, ricevuta la particola sulla mano, la portano con sé? Per quali usi? Non sa che è stato accertato persino l’uso per riti satanici? Quindi, il senso per dir così magico di cui si accusa la Comunione in bocca non è sparito, e ritorna con quella in mano.
    Nella conclusione, l’autore del volantino si contraddice, in quanto, dopo aver affermato che la pratica della Comunione in bocca non c’era nel cristianesimo primitivo, afferma che tale “pratica è nata in una maniera più arcaica” e insiste di nuovo sulla riduzione dell’Eucaristia a servizio dei fratelli. In verità, l’autore non vuole riconoscere che Cristo ha istituito il sacramento affinché diventassimo un solo corpo con lui, proprio mediante la Comunione al suo corpo e al suo sangue; solo così diventiamo sue membra e, nella misura in cui altri lo fanno, ci riconosciamo fratelli. Questa è l’agàpe (greco) e la charitas (latino) dei cristiani, vero nome della solidarietà. Non c’è bisogno di alcun Alto comitato per la fratellanza umana, perché questa scaturisce come conseguenza solo dal riconoscimento dell’unico Signore Gesù Cristo, del cui corpo e sangue si nutrono, mediante iniziazione cristiana, quanti si convertono e sono battezzati. Così pure si comprende il noto assioma: “È l’Eucaristia che fa la Chiesa” e, di conseguenza, la Chiesa può fare l’Eucaristia (cfr Giovanni Paolo II, enciclica Ecclesia de Eucharistia, n.26).
    Dunque, nonostante la crisi della fede, è l’insopprimibile senso del sacro – che il Verbo, con la sua Incarnazione, non ha cancellato dal cuore dell’uomo, anzi fatto avanzare – a spingere tanti sacerdoti e fedeli a non accettare di amministrare e rispettivamente ricevere la Comunione mediante un guanto profano. È necessaria la fede per riconoscere il Corpo e il Sangue di Cristo veramente, realmente, sostanzialmente presenti sotto le specie del pane e del vino – apparenze che san Tommaso con termine aristotelico chiama “accidenti” – tant’è che quando una particola eucaristica cade per terra il celebrante non la usa per la Comunione, ma la immette in un vasetto, il “purifichino”, dove si dissolve, quindi finisce la presenza reale.
    Nell’attuale contagio, se si ritenesse insufficiente il lavabo delle mani prima della Messa e dopo l’offertorio, magari con aggiunta di detergente, si potrebbe ricorrere alla pinza o a quanto avviene nel rito romano antico, nella Messa celebrata dal vescovo: questi usa le chiroteche, ossia i guanti in stoffa pregiata, ornati con croci; egli li usa durante tutta la Messa, ma li toglie per fare l’Offertorio, la Consacrazione e la Comunione. Insomma, il contrario di quanto si sta facendo adesso, toccando a mani nude tutto ciò che occorre (messale, microfono, eccetera), e mettendosi il guanto alla Comunione. È paradossale! Sono soprattutto le sacre offerte che il ministro sacro dovrebbe toccare con mani pure, salvaguardando invece codeste mediante le chiroteche per il resto della celebrazione. Non solo i vescovi usavano le chiroteche, ma anche i sacerdoti dei Capitoli canonicali le avevano tra le loro insegne. Perché non riproporre tale modalità d’uso di questi guanti liturgici da parte dei sacerdoti, non solo dei vescovi, almeno in questo tempo eccezionale?
    Chissà perché quei preti, così ecumenici con gli ortodossi d’Oriente, che sono inflessibili nell’amministrare la Comunione col cucchiaio e in bocca, smettono di affermare che bisogna imparare da questi, e diventano arroganti e inflessibili con i loro fedeli latini (romani e ambrosiani) che vogliono comunicarsi in ginocchio e sulla lingua, o porgono un piccolo lino per ricevere l’Eucaristia sul palmo della mano e assumerla direttamente con la bocca. Non sono queste le disposizioni della Chiesa? Non resta che riaffermarle con coraggio di fronte ai preti e ai vescovi, memori di quanto affermava Giovanni Paolo II: “Chi ha timore di Dio non ha paura degli uomini”.
    Nicola Bux
  7. Claudio C.
    Che possiamo fare adesso? Per la formazione di una nuova generazione di cattolici
    Intervista di Natasa Wilkie al Dr. Peter Kwasniewski.per Regina Magazine.
    Il Dr. Peter Kwasniewski è un noto teologo, docente universitario, musicista e autore, nonché un prolifico blogger. È fortemente coinvolto nel movimento tradizionale cattolico sia negli Stati Uniti che in Europa. Ultimamente, data la confusione in cui sembra immersa la Chiesa, il dott. Kwasniewski ha riflettuto sul futuro della Chiesa, per i nostri figli - e su ciò che i laici possono fare oggi per influenzare positivamente il loro futuro.

    REGINA: Qual è la sua biografia dott. Kwasniewski?
    KWASNIEWSKI: Sono nato a Chicago, cresciuto nel New Jersey, ho frequentato il college in California, ho conseguito un dottorato a Washington, D.C., insegnato in Austria, e poi ho contribuito la fondazione di un college nel Wyoming. Inutile dire che non mi sarei mai aspettato un simile percorso a zig-zag nella vita, ma sembra che questo sia stato il piano del Signore [per me ndr]. A livello universitario ho insegnato filosofia, teologia, musica e storia dell'arte - tutte materie di cui sono tuttora appassionato. Negli ultimi 25 anni ho anche diretto cori di canto gregoriano. Attualmente sono uno scrittore e oratore a tempo pieno a difesa del cattolicesimo tradizionale. Io e mia moglie abbiamo due figli.
    REGINA: Qual è il tuo coinvolgimento nel movimento tradizionale?
    KWASNIEWSKI: Da quando mi sono innamorato della Messa tradizionale, poco più di 25 anni fa, ho sempre dedicato un po 'del mio tempo a scriverne con approfondimenti. Mentre ero ancora in Austria, ho iniziato a pubblicare articoli sul Latin Mass Magazine, e da allora ho scritto per loro un articolo in quasi tutti i numeri dal 2006 al 2018. Poi, circa cinque anni fa, ho iniziato a scrivere articoli settimanali per il blog Nuovo movimento liturgico; in questi anni ho poi pubblicato tre libri sulla liturgia tradizionale: Risorgere nel mezzo della crisi: Sacra Liturgia, Messa tradizionale latina e Rinnovamento nella Chiesa (Angelico, 2014) e Bellezza nobile, Santità trascendente: Perché l'età moderna ha bisogno della messa di tutte le Età (Angelico, 2017), Tradizione e Sanità: conversazioni e dialoghi di un esilio postconciliare.
    REGINA: È un curriculum piuttosto prolifico.
    KWASNIEWSKI: Tutti questi scritti sono emersi dalla mia "relazione amorosa" intrattenuta per tutta la vita con il culto tradizionale cattolico. Tutto ciò di cui parlo deriva dalla mia esperienza personale, sia che si tratti delle mie critiche al Novus Ordo o delle mie lodi sull'usus antiquior. Non credo nella "teologia della poltrona". Si tratta di realtà.

    REGINA: Quali sono le tue opinioni sul futuro della fede?
    KWASNIEWSKI: Penso che ci si trovi in un momento cruciale in cui una grande porzione di cattolici - quelli che vogliono vivere la loro fede nella realtà [integralmente ndr] - si rivolgono sia con coerenza totale o comunque in modo più frammentario, ad un cattolicesimo più tradizionale.
    REGINA: Che effetto sta avendo la crisi dell'abuso sessuale del clero su tutto questo?
    KWASNIEWSKI: Mentre i liberali nella Chiesa mostrano i loro muscoli, cresce parimenti anche la reazione del "ne abbiamo abbastanza di questa sciarada". Gli scandali degli abusi clericali aggiungono solo un punto acuto al crescente scontento. Lo si vede in molti ambiti, ma il sorprendente aumento dell'accesso alla vecchia liturgia latina è forse il segno più evidente di ciò.

    REGINA: Può suggerire dei modi per rendere la tradizione cattolica più accessibile ai giovani, specialmente nelle famiglie in cui anche i genitori sono novelli?
    KWASNIEWSKI: Nulla può sostituire l'istruzione nel corso della educazione familiare. Prima era scontato che le famiglie cattoliche leggessero [ai propri figli ndr]  le vite dei santi e testi come l'Anno liturgico di Gueranger (come faceva la famiglia di Santa Teresa di Lisieux). Le famiglie che adottano l'homeschooling ad esempio sono maggiormente facilitate, perché i bambini tendono ad essere low-tech e quindi leggono comunque con una certa frequenza. Nella nostra famiglia abbiamo letto centinaia di libri ad alta voce, dedicando da mezz'ora a un'ora ogni sera a tal fine. Ma ogni famiglia può abituarsi a leggere la sera. Se questo è a posto, si può leggere un libro insieme come "Niente di Superfluo" di James Jackson, che è un racconto così interessante e ben scritto, pieno del ricco simbolismo della vecchia Messa. Sicuramente aiuterà i bambini più grandi e gli stessi genitori.
    REGINA: Allora, bisognerebbe leggere di più ad alta voce con i bambini, invece di seppellire se stessi nell'elettronica.
    KWASNIEWSKI: Davvero, la Fede cattolica è immensamente bella in ogni suo dettaglio, ed è la perdita di conoscenza che più di ogni altra cosa ci ha condannati a quella che sembra un'enorme carreggiata della mediocrità. Dobbiamo uscire da questa routine, e se non possiamo condividere immediatamente i libri con i nostri figli, possiamo almeno leggerli da soli in modo da avere qualcosa da dire durante un viaggio in auto o quando [nei figli, ndr] sorge spontanea qualche domanda.

    REGINA: Molti genitori che sono incuriositi dalla tradizione sono comunque preoccupati che i loro figli non si comportino correttamente in chiesa durante la messa, così come che non rispondano bene in una lingua che non comprendono.
    KWASNIEWSKI: È una sfida, sicuramente, soprattutto con i bambini piccoli. La Messa cantata però, e specialmente la Messa solenne, è molto attraente per i bambini perché c'è così tanto da guardare ed ascoltare (nei canti). Per dirlo in modo provocatorio, la comprensione verbale è il livello più basso e meno importante. L'adorazione del Dio trascendente va molto al di là dei pezzi di lingua di dimensioni mordaci: è un intero ethos, un'atmosfera, un mondo che avvolge i sensi. I bambini sono in grado di comprendere la differenza tra qualcosa che tutti prendono sul serio e qualcosa che nessuno può prendere sul serio. Conosco un ragazzo che è rimasto felicemente occupato [nel corso della Messa] anche solo guardando il turiferario nel suo "giocare col fuoco".

    REGINA: Cosa possono fare i genitori per aiutare i bambini piccoli a messa?
    KWASNIEWSKI: Se i genitori si muniscono di libri illustrati per i più piccoli e messali per coloro che possono usarli, e se i genitori sono disposti a "fare squadra" quando i bambini si agitano o piangono, tutti i bambini finiranno per acclimatarsi ed amare questo tempo che è solenne e bellissimo. Per di più, vorrei segnalare all'attenzione del lettore un paio di articoli pubblicati su OnePeterFive: "Aiutare i bambini a entrare nella tradizionale messa latina", Parte 1 e Parte 2. 
    REGINA: Cos'è che attrae i bambini e gli adolescenti al culto tradizionale?
    KWASNIEWSKI: Penso che la risposta sia semplicemente quanto sia sacro. Non stiamo cantando una cantilena,  non siamo ad una festa di compleanno, una lezione di catechismo, un noioso evento per adulti. Siamo alla presenza del dio tre volte santo, con un silenzio silenzioso, musica strana, nuvole di incenso, un linguaggio esotico, donne che indossano veli e uomini ovviamente intenti a qualcosa. L'intera atmosfera che la vecchia Messa promuove e richiede è di per sé la catechesi più potente mai offerta e comunica molto più potente di mille sermoni o libri.

    REGINA: E se i bambini non la "comprendessero" immediatamente?
    KWASNIEWSKI: Non sto dicendo che per tutti avviene "immediatamente" questo. Ma se una famiglia dà tempo, finisce per avere gli effetti più sorprendenti sui bambini. Imparano a stare fermi, a inginocchiarsi, a guardare, a pregare. Sapevo a malapena come pregare fino a quando non ho iniziato a frequentare la vecchia Messa, e penso che questa sia la stessa esperienza di innumerevoli altri fedeli. Per dirla semplicemente: il tradizionale Sacro Sacrificio della Messa viene compreso da coloro i cui occhi e le cui orecchie sono capaci di adattarsi ad esso.
    REGINA: Perché pensa che sia così?
    KWASNIEWSKI: La Messa tradizionale è così sconcertantemente diversa, così fortemente sprezzante nei confronti della propria individualità, che comanda rispetto. Penso che i giovani indichino ciò in modo più rapido di quanto crediamo. Non è forse simile al modo in cui i giovani, almeno quelli più motivati, sono attratti da un allenatore sportivo o da un insegnante?

    REGINA: Come è nata l'idea di creare un messale tradizionale per bambini?
    KWASNIEWSKI: Quando nostro figlio aveva raggiunto il punto in cui poteva leggere facilmente, volevamo dargli un messale alla Messa che contenesse le principali preghiere da seguire. Non era ancora pronto per un messale di Baronius di 2.000 pagine, che è abbastanza pesante da provocare un forte rumore quando viene lasciato cadere, come abbiamo appreso in molte occasioni, e abbastanza complicato da causare molte distrazioni ("Mamma, che pagina siamo noi ? Dove siamo?").
    REGINA: Sì, il messale emette effettiamente un forte rumore quando viene fatto cadere!
    KWASNIEWSKI: Così ho deciso di creare un messale intermedio che avrebbe avuto l'Ordinario della Messa, con bellissime opere d'arte - quadri classici e icone e xilografie. Ha funzionato molto bene per entrambi i bambini.

    REGINA: E poi?
    KWASNIEWSKI: I nostri amici hanno notato che ce l'avevamo e hanno chiesto se potevano averne una copia. Dopo che è stato "testato" in questo modo in alcune famiglie, ho deciso di renderlo pubblico. Ma non ne ho mai fatto pubblicità, quindi è stato proposto al pubblico solo lentamente, con il passaparola. La Fraternità di San Pietro ha iniziato ad inserirla nella loro libreria.
    REGINA: I cattolici cosa possono fare, in questo momento?
    KWASNIEWSKI: Non vorrei dare l'impressione che la liturgia tradizionale sia solo per i più istruiti. Chiunque frequenta la Messa per un certo numero di anni, apprezzerà le sue sottigliezze e le sue bellezze. Parla direttamente all'anima.
    La cosa più importante da fare ora è capitalizzare questo momento provvidenziale invitando tutti i buoni sacerdoti che sappiamo apprendere o offrire o incrementare la Messa in Latino e gli altri sacramenti tradizionali. Il rinnovamento della Chiesa verrà attraverso la sua tradizione o temo che non verrà affatto.

    da Regina Magazine https://reginamag.com/what-we-can-do-now/ traduzione #IPC CC
  8. Claudio C.
    DOMANDA 
    Qual è il significato di EUCARESTIA che in sé stesso e per la nostra vita? Partiamo dal fatto che la stessa Eucaristia è stata chiamata in modi diversi: cena del Signore, la “fractio Panis” (più antica); questo ci dice che è importante quel gesto della frazione del pane. Una cosa che la teologia ha consolidato è che è il “Memoriale della Pasqua”. Nella storia alcuni hanno privilegiato: Cena del Signore da cui è derivato un “Banchetto”; prima di essere un Banchetto però, la Cena è quanto descritto nella 1° LETTERA di S.Paolo Corinzi e CENA del  SIGNORE:  versetti 23-26 S.Paolo Corinzi.
    RISPOSTA:
    Come definire questo sacramento
    Cristo ha istituito questo sacramento per rendere presente la sua passione e morte, il suo sacrificio sugli altari. Infatti egli dice: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”(Gv 6,51). Lo ha fatto per rimanere con gli uomini tutto il tempo della loro vita: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”,(Mt 28,20).Lo ha fatto per farsi cibo e bevanda dell'anima, dicendo: “Io sono il pane della vita,chi viene a me non avrà più fame”(Gv 6,35). Lo ha fatto, per visitare l'uomo nel momento della morte e per portarlo in Paradiso. Infatti ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. (Gv 6,54).
               L'istituzione dell’eucaristia da parte di Gesù, avviene nel contesto della cena pasquale e, soprattutto, sulla croce. Qui si propone una prima questione, che riguarda le caratteristiche del sacramento eucaristico: è una cena o un sacrificio? Così risponde il Catechismo: “La Messa è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce, e il sacro banchetto della Comunione al corpo e al sangue del Signore”. Non è solo un accostamento, poiché vi è un nesso intimo tra cena e sacrificio. Infatti: “La celebrazione del sacrificio eucaristico è totalmente orientata all'unione intima dei fedeli con Cristo attraverso la Comunione. Comunicarsi è ricevere Cristo stesso che si è offerto per noi”(CCC 1382). Certo, il termine memoriale può essere inteso come ricordo di un fatto passato. Non è così, grazie allo Spirito Santo che ci ricorda ogni cosa (cfr Gv 14,26); l'eucaristia fatta dalla Chiesa rende presente e attuale la pasqua di Cristo e il suo sacrificio offerto una volta per tutte (cfr CCC 1364). Rende presente anche la risurrezione? Col battesimo e soprattutto con l'eucaristia, il cristiano soffre e muore con Cristo, mentre della risurrezione riceve il germe che si svilupperà in pienezza alla fine dei tempi, secondo la parola del Signore: “io lo risusciterò nell'ultimo giorno”(Gv 6,40).Ma finché siamo “nella carne”, noi partecipiamo alla sua passione e attendiamo, nella fede e nella speranza, il giorno della glorificazione.
             Inoltre, si tratta di sacro banchetto, o convito, nel quale si riceve Gesù Cristo, si fa memoria della sua passione, il cuore si riempie di grazia: viene dato l'anticipo della gloria futura. Sacro significa che c'è la sua presenza divina e quindi bisogna avvicinarsi con quel timore di Dio, che è uno dei sette doni dello Spirito Santo.
             Il sacrificio sacramentale è definito eucaristia, termine greco che vuol dire azione di grazie o benedizione, memoriale e presenza di lui, operata dalla potenza della sua parola e dallo Spirito Santo; il tutto culmina nella comunione. E' festa in senso spirituale, non mondano: non vive di trovate accattivanti, non deve esprimere l’attualità effimera, non è un intrattenimento che deve aver successo, ma ravvivare la coscienza che il mistero è presente tra noi. E' festa della fede, in cui deporre, come dice la liturgia bizantina, ogni mondana attitudine, perché “misticamente rappresentiamo i cherubini”(tropario d'offertorio).
     
             Ora, è in voga nei canti, nelle preghiere e nei formulari per l'adorazione eucaristica questa espressione: 'Gesù Cristo è presente nel pane consacrato'. Anche Lutero sosteneva che Cristo fosse nel pane. Con linguaggio approssimativo, e carente di dottrina, si aggiunge: ma è un mistero. Cristo non ha detto di essere presente nel pane e neppure: “questo pane è il mio corpo”, ma: questo è il mio corpo”, questo indica il passaggio dal pane, che ha preso nelle mani, al corpo, perché in quel momento viene consacrato, cioè la sostanza del pane si converte - come dice il concilio di Trento - nella sostanza del corpo. Sotto – in senso ontologico e non spaziale – le apparenze o aspetto(species) del pane (oggi si direbbe fenomeno) sta il corpo di Cristo. Non è più pane, ma Cristo. Le specie sulle quali è stato fatto il 'rendimento di grazie', dal greco …, sono diventate eucaristiche. Perciò si deve parlare della 'presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche'.
             L'espressione 'pane consacrato' va pure spiegata. Anche quando Gesù e, successivamente, Paolo usano espressioni, come: “Chi mangia questo pane”(Gv 6,51) e  “il pane che noi spezziamo”(1 Cor 10,16), esse vanno intese in senso metaforico; comunque, quando Gesù afferma di essere “Pane di vita”(Gv 6,26-71) intende parlare della sua persona e della sua vita: il suo corpo e il suo sangue, nel linguaggio concreto semitico. Difficile? Ecco la necessità della catechesi, anche mediante i canti?
             Gesù ha istituito questo sacramento quando ha preso il pane, dicendo: “questo è il mio corpo offerto in sacrificio...” e, poi, il calice del vino, dicendo: “questo è il calice del mio sangue, versato...” e ordinando: “fate questo in mia memoria”. Il punto è che le parole consacratorie dichiarano il fine: il corpo è offerto in sacrificio per noi e il sangue è versato per la remissione dei peccati. Perciò, in relazione alla passione di Cristo, in cui il sangue era separato dal corpo, il concilio di Trento definisce la santa messa “vero e proprio sacrificio” di Gesù Cristo. Egli si rende presente sull'altare –  alta-res, luogo alto per il sacrificio – in obbedienza alle parole consacratorie del sacerdote,  e, a causa della separazione del corpo dal sangue, è nella condizione di vittima immolata (immolatitius modus: cfr Enciclica Mediator Dei Pio XII, n 70). Per questo, l'altare è anche mensa dell'Agnello immolato (cfr Apocalisse 5,6), per ricevere il pane, separatamente, come sacramento del corpo e il vino come sacramento del sangue (cfr san Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae III q 74 a.1 sc).
             Dunque, quale corpo di Cristo è presente nel sacramento? Quello assunto da Maria nell'incarnazione e trasfigurato con la risurrezione e con l’ascensione: qualcuno direbbe che è meglio non dire 'carne di Cristo', ma corpo spirituale o glorioso; però, il Catechismo dice: “La Comunione alla Carne del Cristo risorto, 'vivificata dallo Spirito Santo e vivificante', conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo”(1392). Sant'Ambrogio osserva: “Noi costatiamo che la grazia ha maggiore efficacia della natura...La parola di Cristo...che ha potuto creare dal nulla quello che non esisteva, non può cambiare le cose che sono in ciò che esse non erano? Infatti non è meno difficile dare alle cose un'esistenza che cambiarle in altre ...Forse che fu seguito il corso ordinario della natura quando Gesù Signore nacque da Maria?...Ebbene quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine...E' dunque veramente il sacramento della sua carne”(sant'Ambrogio, Sui misteri, nn 52-53; SC 25 bis, 186-187).
  9. Claudio C.
    Libera traduzione da infovaticana.com di Carlos Esteban
    I vescovi polacchi non sono indifferenti alla minaccia rappresentata dall'epidemia proveniente dalla Cina, ma la loro soluzione è palesemente diversa da quella di altre conferenze episcopali: aumentare le masse domenicali, in modo che i fedeli possano essere distribuiti e meno sovraffollati.
    Il presidente della Conferenza episcopale polacca, Stanisław Gądecki, arcivescovo di Poznan, ha inviato una lettera ai fedeli polacchi in risposta alla crisi sanitaria causata dal coronavirus COVID-19 con istruzioni che, sebbene piene di buon senso e pragmatismo, contrastano fortemente con le misure di molti suoi colleghi in altre parti d'Europa, in particolare gli italiani, che hanno sospeso le messe fino a venerdì prima della domenica delle Palme: aumentare il numero delle messe domenicali, in modo da evitare un'eccessiva concentrazione di fedeli in Ogni celebrazione
    La lettera di Gądecki osserva che, "in relazione alle raccomandazioni dell'ispettore capo della salute, nel senso che non ci sono agglomerati di persone, chiedo che il numero di messe domenicali sia aumentato il più possibile in modo che Limitare il numero di fedeli presenti a ogni celebrazione, seguendo le linee guida dei servizi sanitari.
    Allo stesso tempo, Gądecki voleva ricordare che se gli ospedali curano le malattie del corpo, le chiese servono, tra le altre cose, a curare le malattie dello spirito. "Pertanto, è impensabile che non preghiamo nelle nostre chiese", sottolinea l'arcivescovo.
    Le persone anziane e vulnerabili, aggiunge la lettera, possono rimanere a casa e seguire la Santa Messa in televisione, e Gądecki sottolinea che "non vi è alcun obbligo di stringere la mano come segno di pace durante la Santa Messa".
    L'arcivescovo termina la sua lettera chiedendo ai fedeli di pregare per coloro che sono morti a causa della malattia e per la fine dell'epidemia.
     
  10. Claudio C.
    The Amazonian post-synodal exhortation? A document that presents "cracks". Word of Don Nicola Bux in a new interview by Vito Palmiotti
    In recent days it has presented expectations. A exhortation now published, what scenarios do you think will open?
    The bishops of the Amazon will ask the competent Authority, the Pope - as foreseen by the Exhortation - because of their particular situation, to be able to use the final document of the Synod, to meet the needs of the communities, since what it says about it can be understood, from the canonical point of view, as an approval expressed in the light of the apostolic constitution of September 2018, Episcopalis Communio. We understand what those needs are. Moreover, there are in this exhortation of problematic openings perhaps far greater than the theme of celibacy itself, which has almost completely absorbed the debate, putting other critical issues concerning the Amazon synod in the background.
    Did the book of Benedict XVI and Sarah exercise its weight?
    Although it has been said by official sources that the document was ready before, since December, it is clear to me that it is not so: indeed, that the very book in question has prompted to drastically review the fourth part of the Exhortation, which however presents cracks in the which to insert what is left out.
    What can we get from the story?
    Benedict XVI and card. Sarah testified to the importance of Catholic thought. To make people think is the task of philosophy, said Paul Ricoeur. The activism prevalent today in the Church and beyond does not help, in fact, it drives many away. Those who are Catholics must, with determination, affirm the truth, and wait patiently for the time of grace that Providence prepares. The Church as a whole cannot incur heresy. If we are members of a body: there are no sociological and political laws but the reality of grace prevails, an ontological and supernatural reality that makes man holy and pleasing to God.
    What do you think of the next bishops' event in Bari "The Mediterranean frontier of peace. A laboratory of synodality and commitment between churches and peoples.
    Many Catholics and non-Catholics expect the Church to make Jesus Christ and his Gospel known: this is why it was established by its Founder. Or should we resort to the deformations of Sanremo and Benigni? The rest is political and leaves the time it finds. The Holy Spirit tells us that the world can be saved by Christ, not by others, and that the Church can be reinvigorated by herself, not by others.
  11. Claudio C.
    Quando la Chiesa elargisce l'indulgenza, significa che il Signore cancella le pene temporali che abbiamo meritato facendo peccati e che dovremo scontare in questo mondo con sofferenze fisiche e morali, o nell'altro, col purgatorio;

    Prima però dobbiamo farci perdonare i peccati mediante la confessione sacramentale, fatta o da fare il prima possibile.

    Chi invece vive in stato abituale di peccato (per es. divorziati risposati, convivenze, unioni civili...) deve abbandonare tale stato o cominciare ad astenersi da rapporti sessuali e confessarsi, altrimenti non si ottiene l'indulgenza.
    NOTA I suddetti consigli sono sintesi dal catechismo della Chiesa Cattolica.      
  12. Claudio C.
    In questi giorni di grave tribolazione, in cui la pandemia priva i Cattolici della Santa Messa e dei Sacramenti, il demonio si scatena moltiplicando i suoi assalti per indurre le anime al peccato. I giorni benedetti della Settimana Santa, un tempo dedicati alla Confessione in preparazione alla Comunione Pasquale, ci vedono tutti costretti ad un confinamento forzato, ma non ci impediscono di pregare il Signore. Voi Sacerdoti e voi semplici fedeli, ognuno secondo quanto è permesso e compete, questo Sabato Santo siete invitati a recitare le preghiere che seguono, alle 3 pomeridiane (15:00 ora di Roma – CEST) di Sabato 11 Aprile 2020, unendoci in una spirituale battaglia contro il comune Nemico del genere umano. I Sacerdoti sono invitati a recitare  tutti insieme l’Esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli (Exorcismus in Satanam et angelos apostaticos, Rituale Romanum, Tit. XII, Caput III); i laici la Preghiera di Liberazione riportata qui di seguito.
    Per i Sacerdoti.
    Essendo un giorno di silenzio, che attende l’annuncio della Resurrezione, questo Sabato Santo può essere una preziosa occasione per tutti i Sacri Ministri. Non occorre uscire, non occorre infrangere alcun divieto dell’Autorità civile.
    Chiediamo di pregare, questo per i soli sacerdoti, nella forma che Leone XIII stabilì per tutta la Chiesa, recitando tutti insieme l’Esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli (Exorcismus in Satanam et angelos apostaticos, Rituale Romanum, Tit. XII, Caput III), alle 3 pomeridiane (15:00 ora di Roma – CEST) di Sabato 11 Aprile 2020, unendoci in una spirituale battaglia contro il comune Nemico del genere umano.
    Compose, Leone XIII, inoltre un esorcismo che fece inserire nel Rituale Romano, nel quale faceva espressa menzione di quanto aveva visto: «La Chiesa, Sposa dell’Agnello Immacolato, è saturata di amarezze e inebriata di veleno da nemici scaltrissimi, che posano le loro sacrileghe mani su tutte le cose più desiderabili. Laddove c’è la Sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della Verità costituita per illuminare i popoli, lì essi hanno stabilito il trono dell’abominio e della loro empietà, affinché colpito il pastore, fosse disperso anche il gregge».
    Il Sabato Santo è il giorno in cui si celebra la discesa agli Inferi di Nostro Signore Gesù Cristo, per liberare le anime dei Padri dalle catene di Satana. Nel gran silenzio dopo la Passione e Morte del Signore, la Vergine Santissima ha vegliato e creduto, aspettando fiduciosa la Resurrezione del Suo amatissimo Figlio. Un momento in cui il mondo sembra aver vinto, ma in cui si prepara la gloria della Pasqua.
    Chiediamo a tutti i Vescovi ed ai Sacerdoti di unirsi nella preghiera dell’Esorcismo, consapevoli che questo potente Sacramentale – soprattutto se recitato in comunione con tutti gli altri Pastori – aiuterà la Chiesa e il mondo nella lotta contro Satana. Raccomando di utilizzare inoltre la stola, segno della potestà sacerdotale, e l’acqua benedetta. In questa richiesta ci uniamo a Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo titolare di Ulpiana.
    Per i Laici.
    E’ importante sapere che, sebbene nella Chiesa Cattolica il rito esorcistico vero e proprio sia affidato ai soli sacerdoti nominati dal vescovo, in realtà tutti i fedeli cattolici, credenti in Gesù, (specialmente se sono sacerdoti ordinati) possono fare preghiere di liberazione per se stessi e per il prossimo sulla base della Parola stessa del Maestro (Marco 16, 17-18). Fare preghiera di liberazione significa semplicemente pregare Dio affinché Egli liberi qualcuno. E’ fortemente sconsigliato per i laici rispondere ai demòni durante le manifestazioni (Atti 19, 13-18).
    Questa preghiera può essere recitata da chiunque, anche per altri, quotidianamente, ed aiuta la liberazione :
    Padre Celeste,
    tu sei il mio rifugio e la mia roccia di salvezza. Tu sei saldamente in controllo di tutto ciò che accade nella mia vita.
    Io sono il/la tuo/a servo/a e porto il Tuo nome. Grazie per avermi donato l’elmo della salvezza. La mia identità nel tuo Figlio Gesù è sicura, niente potrà mai separarmi dal tuo Amore. Grazie perché perdoni i miei peccati e cancelli la mia colpa. Io indosso ora la tua corazza della Giustizia. Spirito Santo ricerca dentro di me e porta alla luce ogni strategia delle tenebre che sia diretta contro di me. Io imbraccio lo scudo della Fede, per stare ben saldo nella parola di Dio che mi assicura che il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo. Perciò, Padre Santo, nel nome glorioso del tuo Figlio unigenito Gesù Cristo, per l’autorità che mi proviene dal mio battesimo, io rinuncio ad ogni opera del maligno, di qualsiasi origine essa sia: occulta, medianica o di stregoneria, e con la Fede che tu Padre mi hai donato proclamo che ogni sua opera nella mia vita sia distrutta.
    Gesù, mio Signore e Salvatore, tu hai trionfato su di lui nel deserto, sulla croce e nel sepolcro, e con la tua gloriosa Resurrezione, lo hai vinto per sempre sigillando così la sua fine e il suo destino. In te anche io trionfo su di lui con la potenza del tuo Santo Nome, davanti al quale ogni ginocchio si pieghi, nei Cieli, in Terra e sotto Terra. Con la forza che mi proviene da te o Signore, io resisto e mi oppongo a tutti gli sforzi del maligno di opprimermi, affliggermi o ingannarmi e voglio lottare energicamente contro il suo sforzo di rubarmi la gioia e il frutto della mia Salvezza. Con la potenza del tuo preziosissimo Sangue versato per me sul Calvario, io ti chiedo di allontanare da me tutte le potenze delle tenebre che mi attaccano, che mi circondano e di ordinare loro di andarsene adesso da me, dove Tu o Signore vorrai affinché non tornino mai più.
    Grazie Signore Gesù.
    La Vergine Santissima, terribile come esercito schierato in battaglia, e San Michele Arcangelo, Patrono della Santa Chiesa e Principe delle Milizie celesti, proteggano tutti noi.
    #IPC Il Pensiero Cattolico.
     
  13. Claudio C.
    Raccogliendo alcune obiezioni all'articolo pubblicato qui Dio Castiga? in cui veniva messo in dubbio che Dio possa castigare, P. Francesco Solazzo ha ritenuto permettere a chi obietta di approfondire portando situazioni che possono essere maggiormente chiarificatrici.
    1- Nella Sacra Scrittura il castigo divino è paragonato alla correzione di un padre verso un figlio (come si comprende dall'ultima citazione biblica che è presa da Eb 12,5-8; di cui mi è sfuggito di riportare i versetti). Ebbene, succede che un padre che corregge un figlio, forse che non si adiri? Ma perché si adira? Non è forse per l'amore che prova verso il figlio? Giacché, al contrario, un padre degenere che non ama il figlio, non lo corregge e non si arrabbia verso i suoi errori: lascia correre come se niente fosse e resta imperturbabile davanti alle deviazioni del figlio. Questo parallelo ci fa comprendere che proprio un dio che non castiga e non si adira sarebbe un dio perfido e sadico. Se attribuissimo questa caratteristica al nostro Dio, dovremmo concludere che Egli non si prende cura della sua creatura, ma che ha soltanto creato l'uomo e lo ha gettato nel creato senza nessuna ulteriore preoccupazione. Ma questo contraddice radicalmente la Croce di Cristo, che è il segno sovreminente dell'amore e della cura di Dio verso l'uomo.
    2- Qui veniamo alla seconda questione: la Croce di Cristo è la testimonianza di come e fino a qual punto è arrivato l'amore di Dio verso l'uomo, quindi negare la possibilità che Dio castighi, significa negare la Croce di Cristo, ma negare la Croce di Cristo è bestemmia contro lo Spirito Santo. Facciamo attenzione alla citazione che ho preso dal libro di Giobbe: «Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male» (Gb 5,19). Il sette è il numero della perfezione divina, quindi qui indica l'opera di Dio. L'Onnipotente, dice Giobbe, libera da sei tribolazioni: innanzitutto va notato che libera, ma non impedisce che arrivino ed, anzi, il libro di Giobbe, ci dice che le manda. Al settimo posto, in cui si mette l'accento sulla perfezione dell'opera di Dio, dice che "non ti toccherà il male". Qui siamo costretti a distinguere tra male e tribolazioni e dobbiamo concludere che le sofferenze, i dolori, i lutti che viviamo su questa terra non sono mali, ma tribolazioni, cioè prove (temptationes in latino, quelle di cui parla il Padre nostro). Il male, nello stretto senso teologico, è la morte dell'anima e la separazione definitiva da Dio. Ebbene, Gesù non è venuto per evitarci le tribolazioni, ma per farci sfuggire al male: Egli si è frapposto fra noi e il colpo letale della morte eterna, poiché solo Lui poteva superare e sconfiggere questo male assoluto. È per questo che, qui su questa terra, noi non siamo liberati dalla morte corporale, perché essa non è un male assoluto, ma la suprema tribolazione cui tutti andiamo incontro. Gesù, sulla Croce, non è semplicemente morto di morte corporale, ma ancor di più, è morto di morte eterna per poi risuscitare alla vita eterna (Lui è il risorto che non muore più). Dunque, Dio non ci risparmia le tribolazioni, ma risparmia il male, cioè la morte dell'anima, a chi crede e resta in comunione con Cristo ("egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana", dice Giobbe).
    3- La terza questione riguarda il perché i castighi divini colpiscano anche gli innocenti. (Nell'articolo che ho citato S. Tommaso ne parla molto meglio di me.) Va prima di tutto sottolineato il fatto che solo Gesù Cristo e la Vergine Maria sono immuni dal peccato originale e dal peccato attuale, quindi nessuno davanti a Dio è mai pienamente innocente. L'uomo non è solo, ma vive in società ed anche in società è chiamato a vivere la fede salvifica in Cristo (la Chiesa); l'uomo, dunque, non pecca solo in un modo personale, ma, quando un peccato è generalizzato, è tutta una società che è riconosciuta peccatrice, come ci attestano i casi di Sodoma e Gomorra in cui sono le due città intere a perire, compresi i bambini e i neonati che non si erano potuti ancora associare coscientemente ai peccati degli adulti. Quindi anche il castigo può avere un significato generale e particolare: generale perché riguarda una intera società, e particolare perché riguarda i singoli individui. Gli innocenti possono perire, prima di tutto, come abbiamo ricordato, perché la morte corporale non è il male assoluto, ma è male assoluto solo la morte dell'anima. La sofferenza degli innocenti, in secondo luogo, li mette in diretta relazione col Sacrificio della Croce di Cristo. Ognuno di noi è chiamato a portare la croce in unione alla Croce di Gesù, sia in modo pienamente cosciente, come ci insegnano i casi di grandi Santi che si sono associati in maniera particolare alla Passione di Gesù (S. Gemma Galgani, S. Caterina da Siena, S. Veronica Giuliani; o i Santi stigmatizzati come S. Paolo Apostolo, S. Francesco o S. Pio da Pietrelcina), ma anche in modo inconsapevole e al di là della propria volontà, come ci testimoniano in modo meraviglioso i Santi Martiri Innocenti che da sempre la Chiesa ha venerato e considerati a tutti gli effetti, testimoni di Cristo.
    4- La quarta ed ultima questione che qui tocco, la possiamo prendere dal libro di Giobbe: il protagonista dell'omonimo libro è colpito da mali (anzi, dobbiamo dire tribolazioni, per usare un linguaggio più preciso cui ho fatto riferimento più sopra) di cui gli è ignota la ragione. Giobbe non conosce il dialogo tra Dio e Satana che è riportato all'inizio del libro, da cui noi potremmo, se ragioniamo in modo grossolano, dedurre che Dio sia sadico. Giobbe leva forte la sua voce verso Dio non comprendendo il suo agire. In pochissimo tempo perde tutto: averi e i figli. Alla fine del libro Dio appare a Giobbe e non gli spiega affatto le ragioni delle amare tribolazioni che ha vissuto, ma semplicemente si presenta come il Dio onnipotente e onnisciente; il senso è che Dio non deve rendere conto all'uomo di ciò che fa e l'uomo non ha alcun bisogno di sapere perché Dio agisce in un modo o in un altro. O meglio: noi sappiamo il perché remoto dell'agire di Dio: la Croce «Ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9); ci dice S. Paolo, cioè di farci Suoi figli. La ragione primitiva dell'agire di Dio è l'infinito amore per noi: questo ci deve bastare per la salvezza. Non ci è necessario sapere i "perché secondari e particolari" del Suo agire. Quando Giobbe viene ristabilito nella sua condizione, come premio della sua fedeltà a Dio, riceve il doppio di quanto aveva: aveva sette figli, che erano periti, ma diviene padre di altri sette figli, non quattordici. Perché? Perché i figli non sono come gli altri beni e, benché periti, non sono morti, perché essi continuano a vivere per Dio e in Dio. Cosa risponde, infatti, Gesù ai sadducei circa la risurrezione dei morti? «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui» (Lc 20,38). Così Giobbe, quando viene ristabilito nella sua condizione, ha il doppio di tutto: aveva sette figli, ora ne ha quattordici: sette con lui sulla terra e sette che vivono in Dio.
    La conclusione, quindi, è che non ammettere che Dio possa castigare significa ammettere che Dio sia un sadico che non si prende cura dell'uomo, ma questo contraddice la Croce di Cristo che è il Sacrificio che ci fa evitare, non le tribolazioni di questo mondo, ma il male della morte eterna. Dio, infine, nei castighi generali, colpisce anche gli innocenti poiché Egli associa questi ai meriti della sua Passione, aumentandone i meriti e perché chi muore in Cristo, anche se morto, vive in eterno. Il Dio che castiga, dunque, non è affatto sadico, ma lo sarebbe se non castigasse.
  14. Claudio C.
    Scriviamo questo pezzo a poche ore dalla sottoscrizione del Protocollo tra Governo Italiano e Conferenza Episcopale Italiana. Lo trovate qui Protocollo Governo-CEI
    Ci limiteremo inoltre alla parte essenziale, per non perderci su altro, che invece non lo sarebbe, sebbene di rilievo. 
    Ci focalizzeremo sulla Santa Eucarestia, il motivo principale per cui ci rechiamo alla Santa Messa e tanto attendiamo il ritorno alla "normalità". Ricordiamo a tutti che la Santa Eucaristia è essenziale, primo fra tutti i Sacramenti, che sono la Via di ordinaria Salvezza dell'anima. Dal Catechismo della Chiesa Cattolica "1331 [...]  mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo;  viene inoltre chiamato le cose sante – è il significato originale dell'espressione « comunione dei santi » di cui parla il Simbolo degli Apostoli –, pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d'immortalità, viatico [...]". 
    In particolare, i cattolici sanno che è nella Transustanziazione che tutto è incardinato; sempre dal Catechismo della Chiesa Cattolica: "1377 La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo."
    Detto questo, ha lasciato basiti leggere il testo del protocollo, sottoscritto dal Presidente della CEI, Cardinal Bassetti, che qui si riporta: "3.4. La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi — indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli."
    Non vogliamo ritenere, come alcuni fanno, che ricevere la Santa Comunione in bocca sia vietato, non viene scritto e non lo crediamo. 
    Ma leggiamo che si vuole profanare il Corpo e Sangue di Cristo con dei "guanti monouso"; in primis, la tipologia di oggetto è quanto di più miseramente freddo ed meccanico si possa pensare, desacralizzante alla sola vista, quasi fossimo di fronte a dei sanitari, burocrati della consumazione di Ostie.
    Ma, cosa ancor più grave è che i guanti sono "usa e getta", il che implica che un oggetto che è venuto a diretto contatto con il Corpo e Sangue di Cristo verrà preso e buttato nel cestino dell'immondizia, dove il Catechismo dice: "Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo". Cosa si sta buttando quindi in quel cestino? Cosa va in discarica insieme ai guanti monouso?
    Razionalmente non farebbe, forse, una piega in tempi di epidemia questo "kit" . Ma la domanda è: la Transustanziazione è vera o no? Il clero che sottoscrive quel protocollo è consapevole della domanda che si erge come un macigno?  Io credo nella Transustanziazione solo per fede, essendo qualcosa che va oltre la ragione. Se Essa viene meno, viene meno un pilastro della Fede e quindi viene giù tutto. Altrimenti, se è Vera, come lo è, abbiamo un grosso problema.
    Eppure la Chiesa ha affrontato per duemila anni le medesime problematiche. Nel Medioevo, ad esempio, erano presenti le "pinze liturgiche". A Roma esse sono ricordate nell’Ordo del vescovo Pietro Amelio, nella seconda metà del XIV secolo, che conferma l’uso papale di trasferire le ostie consacrate dal calice alla pisside mediante le pinze d’oro e precisa che è stato introdotto per rispetto verso le sacre specie e per non toccarle direttamente. Probabilmente era anche strumento per dare la comunione ai lebbrosi. Ma tanti altri strumenti sono stati valutati proprio in funzione della Presenza Reale. Vi invitiamo a leggere anche Utensili eucaristici in tempi di covid-19 dal blog della Scuola Ecclesia Mater dove sono riportati svariati modi, degni e decorosi;
    Con la volontà, se si ha desiderio profondo, le soluzioni si possono trovare. I tempi per affrontare questa situazione fino al giorno della "riapertura" ci sono tutti.
    I Santi Sacerdoti che avranno questi stessi timori, ci sono, e non sono pochi. La richiesta va a loro terrenamente e, siccome nulla si ottiene se non per Grazia di Dio, a Lui va la nostra e, speriamo la vostra preghiera, che illumini le menti e muova i cuori.
    In Corde Jesu, Claudio 
  15. Claudio C.
    Traduzione libera della meditazione rilasciata da SER Cardinal Sarah per Le Figarò, dal titolo Robert Sarah: «L’épidémie du Covid-19 ramène l’Église à sa responsabilité première: la foi»
    Troppo spesso la Chiesa ha voluto dimostrare che era "di questo mondo" dedicandosi alle cause consensuali piuttosto che all'apostolato, deplora il cardinale guineano *.
    La Chiesa ha ancora un posto in un'epidemia nel 21 ° secolo? A differenza di secoli fa, la maggior parte delle cure mediche è ora fornita dallo stato e dal personale sanitario. La modernità ha i suoi eroi secolarizzati in camice bianco e sono ammirevoli. Non ha più bisogno di battaglioni di beneficenza di cristiani per prendersi cura dei malati e seppellire i morti. La Chiesa è diventata inutile per la società?
    Il virus Covid-19 riporta i cristiani alle origini. In effetti, la Chiesa è da tempo entrata in una relazione distorta con il mondo. Di fronte a una società che affermava di non averne bisogno, i cristiani, attraverso la pedagogia, cercavano di dimostrare che potevano esservi utili. La Chiesa si è dimostrata educatrice, madre dei poveri, "esperta di umanità" nelle parole di Paolo VI. Aveva ragione a farlo. Ma a poco a poco i cristiani finirono per dimenticare il motivo di questa competenza. Hanno finito per dimenticare che se la Chiesa può aiutare l'uomo ad essere più umano, alla fine è perché ha ricevuto da Dio le parole della vita eterna.
    La Chiesa è impegnata nella lotta per un mondo migliore. Ha giustamente sostenuto l'ecologia, la pace, il dialogo, la solidarietà e l'equa distribuzione della ricchezza. Tutti questi combattimenti sono giusti. Ma potrebbero far dimenticare la parola di Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo". La Chiesa ha messaggi per questo mondo, ma solo perché ha le chiavi dell'altro mondo. I cristiani a volte hanno pensato alla Chiesa come aiuto dato da Dio all'umanità per migliorare la loro vita qui sulla terra. E non mancavano di argomenti poiché la fede nella vita eterna fa luce sul modo giusto di vivere in questo secolo.
    Il virus Covid-19 ha esposto una malattia insidiosa che stava divorando la Chiesa: pensava di essere "di questo mondo". Voleva sentirsi legittima ai suoi occhi e secondo i suoi criteri. Ma è emerso un fatto radicalmente nuovo. La modernità trionfante è crollata prima della morte. Questo virus ha rivelato che, nonostante le sue assicurazioni e la sua sicurezza, il mondo sottostante rimane paralizzato dalla paura della morte. Il mondo può risolvere le crisi sanitarie. Arriverà sicuramente alla fine della crisi economica. Ma non risolverà mai l'enigma della morte. La sola fede ha la risposta.
    Illustriamo questo punto in modo molto concreto. In Francia, come in Italia, la questione delle case di riposo, il famoso Ehpad, era un punto cruciale. Perché? Perché la questione della morte è nata direttamente. I residenti anziani dovrebbero essere confinati nelle loro stanze a rischio di morire di disperazione e solitudine? Dovrebbero rimanere in contatto con le loro famiglie a rischio di morire di virus? Non sapevamo come rispondere.
    Lo stato, immerso in un secolarismo che sceglie in linea di principio di ignorare la speranza e di restituire i culti al dominio privato, è stato condannato al silenzio. Per lui, l'unica soluzione era fuggire la morte fisica ad ogni costo, anche se ciò significava condannare la morte morale. La risposta potrebbe essere solo una risposta di fede: accompagnare gli anziani verso una probabile morte, con dignità e soprattutto con la speranza della vita eterna.
    L'epidemia ha colpito le società occidentali nel punto più vulnerabile. Erano organizzati per negare la morte, nasconderla, ignorarla. È entrata dalla grande porta! Chi non ha visto questi giganteschi obitori a Bergamo o Madrid? Queste sono le immagini di una società che recentemente ha promesso un uomo aumentato e immortale.
    Le promesse della tecnologia consentono di dimenticare la paura per un momento, ma finiscono per essere illusorie quando colpisce la morte. Perfino la filosofia dà solo un po 'di dignità a una ragione umana sommersa dall'assurdità della morte. Ma non è in grado di consolare i cuori e dare un significato a ciò che sembra esserne definitivamente privato.
    Di fronte alla morte, non esiste una risposta umana che regga. Solo la speranza di una vita eterna può superare lo scandalo. Ma quale uomo oserà predicare la speranza? Ci vuole la parola rivelata di Dio per osare di credere in una vita senza fine. Hai bisogno di una parola di fede per osare di sperare in te stesso e nella tua famiglia. La Chiesa cattolica si rinnova quindi con la sua responsabilità primaria. Il mondo si aspetta da lei una parola di fede che le permetterà di superare il trauma di questo faccia a faccia con la morte che ha appena vissuto. Senza una chiara parola di fede e speranza, il mondo può sprofondare in una morbosa colpa o rabbia indifesa per l'assurdità della sua condizione. Solo questo può permettergli di dare un senso a queste morti di persone care, che sono morte in solitudine e sono state sepolte in fretta.
    Ma poi la Chiesa deve cambiare. Deve smettere di avere paura di scioccare. Deve rinunciare a pensare a se stesso come a un'istituzione del mondo. Deve tornare alla sua unica ragion d'essere: la fede. La Chiesa è lì per annunciare che Gesù ha vinto la morte con la sua risurrezione. Questo è il cuore del suo messaggio: "Se Cristo non è stato risuscitato, la nostra predicazione è vana, la nostra fede è ingannevole e noi siamo il più miserabile di tutti gli uomini". (1 Corinzi 15, 14-19). Tutto il resto è solo una conseguenza.
    Le nostre società emergeranno indebolite da questa crisi. Avranno bisogno di psicologi per superare il trauma di non poter accompagnare gli anziani e i morenti nella loro tomba, ma avranno ancora più bisogno di sacerdoti che insegneranno loro a pregare e sperare. La crisi rivela che le nostre società, senza saperlo, soffrono profondamente di un male spirituale: non sanno dare senso alla sofferenza, alla finitudine e alla morte.
    * Il cardinale Sarah è prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti all'interno della Curia romana.
  16. Claudio C.
    Libera traduzione da Lifesitenews dell'articolo "Water-gun baptisms may be valid, but they’re certainly sacrilegious di Joseph Shaw.
    In questi giorni hanno avuto un certo risalto sul web le fotografie di chierici che puntano delle pistole ad acqua verso i bambini per "battezzarli". Alcune di queste foto sembrano essere posticce, se supponiamo che i Sacerdoti prima abbiano impartito il battesimo in modo ordinario, ma poi si siano messi in posa subito dopo per queste foto "scherzose" . Questo potrebbe comportare, forse in parte, la differenza, ma non ritengo che possa variare il nocciolo della questione chissà di quanto.

    La domanda infatti è: perché dei sacerdoti dovrebbero atteggiarsi a fare il clown, in Chiesa, dopo aver battezzato un bambino?
    In un altro caso, ad esempio, in una foto viene ritratto un prete che, indossando degli abiti liturgici, usa una pistola ad acqua per benedire gli adulti con l'Acqua Santa. Se fosse vera, è grave ma, qualora sia stata una messa in scena, la situazione potrebbe addirittura essere peggiore.
    Alcuni ritenevano che fossero finiti i tempi della "Messa da clown", in voga qualche anno fa, e  di altri esempi estremi di mancanza di rispetto per la Liturgia, ma sembrerebbe che questo spirito sopravviva, sia tra cattolici che non cattolici. Non è peregrino ritenere che coloro che hanno pubblicato queste fotografie e le persone in esse impresse, possano pensare chiaramente che sia tutto terribilmente divertente e che tutto vada bene.
    Prima che a qualcuno possa venire in mente che l'uso delle pistole ad acqua sia una risposta seria al coronavirus, permettetemi di essere la millesima persona a sottolineare che non è così. Tramite gli "asperges", le persone sono state benedette a distanza per secoli, con un attrezzo liturgico chiamato aspergillum, senza alcun tipo di problema.
    Questa è forse una piccola sfaccettatura di un approccio alla liturgia oramai diffuso, e in particolare di un approccio consolidato alla "liturgia" in uso per battesimi e matrimoni, che tende a vedere questi riti come un qualcosa che debba essere animato con battute e parole sentimentali. Anche i "servizi matrimoniali civili"  oramai si ritrovano con questa impostazione. È come se un apprezzamento ed una sottolineatura forte della gravità, intesa come importanza, dell'occasione sia una sorta di disastro che possa mettere le persone a disagio.
    La guida ufficiale ai sacramenti invece sottolinea quanto essi siano invece momenti da vivere seriamente, proprio per l'importante differenza che fanno i Sacramenti nella realtà di un'anima. Realizzarli in modo burlesco è prima di tutto sacrilego, inteso come un abuso di una cosa santa. Ma è anche un'offesa contro tutti coloro che ne sono testimoni, perché rende difficile per loro prenderlo sul serio. Se non prendi sul serio un Sacramento, non puoi parteciparvi proficuamente, né come candidato al Sacramento né come spettatore.
    Si potrebbe obiettare che almeno il Sacramento è valido. Il resto potrebbe non essere della massima importanza, e ...... perché non divertirsi? Forse (?) potrebbe essere così nel caso del Battesimo con la pistola ad acqua, ma un matrimonio in cui la coppia non prende sul serio quello che sta facendo potrebbe non essere valido, e anche se lo fosse, la coppia non otterrà facilmente le grazie del Sacramento ed in modo abbondante come farebbero altrimenti.
    L'appello liturgico degli "anarchici della validità" (coloro che affermano che comunque il Sacramento è valido e possono fare quello che vogliono) non è tuttavia un argomento con fondamenta solide. Accanto ad un clown sacramentalmente valido, infatti, troviamo un clown sacramentalmente invalido. In uno dei miei momenti da "pillola rossa", mentre riflettevo sulla importanza del problema dell'anarchia liturgica, ho approfondito l'argomento della materia non valida usata in alcune diocesi americane negli anni '70 per diversi anni (ndr materia, forma e intenzione servono ai fini della validità dei Sacramenti). Dopo diverso tempo, questo abuso finì, ma la piaga dei matrimoni invalidi non sembra attenuarsi. Nel 2016, anche Papa Francesco ha affermato che forse ben la metà di tutti i matrimoni cattolici potrebbe essere annullata. Persistono anche problemi relativi a formule non valide utilizzate per il battesimo; ma persistono anche problemi importanti circa l'uso dell'assoluzione generale per il sacramento della penitenza senza preoccuparci delle condizioni per la validità, e così via. Non mi risulta ci siano molti "progressisti" liturgici impegnati su questi problemi; forse alcuno.
    Pertanto quindi, il motivo per cui si sentono liberi di giocare in fretta e in libertà con la liturgia non è perché sentono fortemente la validità sacramentale e non si preoccupano di nient'altro, ma perché non si preoccupano molto della validità sacramentale. Potrebbero forse ritenere che i Vescovi e la Santa Sede abbiano forte contezza circa la validità e ci permettono di confortarci con il pensiero, quando è possibile, che il Sacramento possa comunque essere valido in questo o quel caso. Ma se si preoccupassero davvero della validità, prenderebbero seriamente la liturgia, e questo è evidentemente qualcosa che non molti stanno realmente mettendo in atto.
    Gli abusi liturgici sono un'offesa a Dio, come l'abuso di qualcosa di santo. Sono anche un'offesa contro i fedeli, il cui impegno spirituale nella liturgia è impedito. Ancora una volta, sono un'offesa contro nostro Signore, che ha istituito i Sacramenti per la nostra salvezza, e contro la Santa Madre Chiesa, che li ha circondati con cerimonie e testi intesi a dare gloria a Dio e ad aiutarci nella nostra partecipazione. Infine, sono un'offesa contro il sacerdozio stesso, che dovrebbe proteggere la liturgia dalla profanazione e la cui funzione è quella di fornirla agli altri per il bene delle anime.
    Traduzione di Claudio.
  17. Claudio C.
    Libera traduzione da ACI Prensa, articolo ¿El Cristo Milagroso lo hizo de nuevo? Cifras de coronavirus en Italia impactan las redes . E' interessante, a prescindere che possa o meno esserci relazione tra il "Cristo miracoloso" che placò la epidemia del 1522 e la discesa della nuova epidemia del 2020, perché ci ricorda che sta a noi, con la nostra preghiera, con le nostre opere tese ad ottenere la salvezza della nostra anima, possiamo chiedere a Cristo di ri-posare il suo sguardo benevolo su di noi.
    *****
    Un prete dell'arcidiocesi di Milwaukee (Stati Uniti) ha attirato l'attenzione di molti durante il passato fine settimana dopo aver analizzato il bilancio delle vittime del coronavirus in Italia ed identificato  il 27 marzo come il giorno in cui tutto è cambiato.
    Quel giorno Papa Francesco ha presieduto in Piazza San Pietro un extra-ordinario momento di preghiera alla presenza del "Cristo Miracoloso", un'immagine di Gesù crocifisso a cui i romani attribuirono la fine dell'epidemia del 1522. In tale occasione impartì anche la benedizione di Urbi et Orbi e pregò davanti all'immagine del Signore crocifisso.

    Nel suo account Twitter, P. John LoCoco ha identificato quel venerdì come quello di maggior picco in Italia. Infatti è stato il giorno in cui furono registrate ben 919 vittime.
    Da allora è iniziato un graduale declino, fino a ieri [qualche giorno fa] quando sono stati registrati 50 morti in Italia. Come è noto, l'Italia è stato il primo paese europeo in cui la pandemia ha causato il caos dopo che il virus ha lasciato la Cina, causando, secondo i dati della Johns Hopkins University, oltre 230.000 infezioni e 32.800 morti.
    Alcuni giorni fa sono inoltre state revocate diverse misure restrittive in Italia ed è stato possibile anche tornare a celebrare messe con i fedeli, ma mantenendo le raccomandazioni sanitarie per evitare nuovi focolai di coronavirus.
    In quell'extra-ordinario giorno di preghiera, anche Papa Francesco ha pregato davanti all'immagine mariana della Salus Populi Romani.
    Di fronte a una piazza vuota di San Pietro e nel mezzo della pioggia, il Pontefice rifletté sul passaggio del Vangelo in cui Cristo calma la tempesta sul Mare di Galilea.
    "Ci troviamo spaventati e persi. Come i discepoli del Vangelo, siamo stati colpiti da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto che eravamo nella stessa barca, tutti fragili e disorientati; ma, allo stesso tempo, importante e necessario, tutti chiamati a remare insieme, tutti dovevano confortarsi a vicenda ", ha detto.
    Tuttavia, ha ricordato che “il Signore si sveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale". 
    Per questo motivo, ci ha incoraggiato ad abbracciare la Croce di Cristo, poiché in essa “siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciarla essere quella che rafforza e sostiene tutte le possibili misure e vie che ci aiutano a prenderci cura di noi stessi. Abbraccia il Signore per abbracciare la speranza. Questa è la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza ".
    Dopo la sua riflessione, il Santo Padre è andato all'ingresso della Basilica di San Pietro, dove ha celebrato l'adorazione del Santissimo Sacramento in silenzio per diversi minuti, accompagnato da alcuni funzionari vaticani, e quindi ha presieduto alcune preghiere come la supplica nelle litanie.
     
    Tradotto da Claudio
  18. Claudio C.
    Ospitiamo una riflessione profonda inviataci dai Cavalieri del Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis, sulla Regalità di Cristo e sulla ritenuta relazione tra la "perdita" della Regalitas e la mondanizzazione del corpo ecclesiale.
    Il Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi, che ha curato quest’articolo è una Fratrìa costituita da Cavalieri investiti sacramentalmente secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano di S.S. Papa Pio V, tramite investitura originale compiuta da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica. Scopo del Sodalizio è quello di “combattere la buona battaglia” in maniera esemplare, a difesa della S. Chiesa Cattolica, della Sua Santa Fede e di tutti i bisognosi ed oppressi, per mezzo delle caritatevoli armi della preghiera, dell’azione e della cultura di Verità.
    Essendo la Cavalleria, come via di milizia, strettamente legata alla funzione Regale, uno dei propositi di tale Sodalizio – a livello di battaglia culturale – è propriamente quello di conservare, custodire e, nella misura del possibile, trasmettere la conoscenza dell’importanza della Regalità Sacra in un mondo cattolico che purtroppo l’ha evidentemente smarrita.
    A tal proposito, il Sodalitium ci comunica la pubblicazione, entro l’inizio del prossimo anno, di un libro a propria cura contenente una serie di saggi, appunto, sull’argomento della Regalitas.
     
    A cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis
     

    Grande soddisfazione ci procura l’aver notato, negli ultimi tempi, un crescente rinnovarsi dell’attenzione, sia da parte laica che presbiterale, sul tema della “Regalità sociale di Cristo Re”. Tale compiacimento ci deriva dal fatto che, da sempre, riteniamo esser questo l’argomento propriamente atto a fornire il determinante criterio valutativo con cui leggere i motivi alla base di quell’evidente crisi in cui si dibatte l’Ecclesia Christi; e oltretutto, per sperare di trovare allo stesso tempo una decisiva, oltre che realistica, soluzione ad essa. Accanto a ciò, tuttavia, ci è parso di scorgere altresì una ingiustificabile incompletezza nel trarre dal discorso le debite conclusioni che esso sembrerebbe prospettare: mancanza la quale ci procura puntualmente la delusione per l’ulteriore occasione perduta. Il riconoscere infatti come prioritaria necessità quella di riportare il tema della Regalitas Christi al centro dell’impegno cattolico, tanto nella vita privata e familiare quanto in quella sociale e politica, pare rimanere in effetti solo un virtuoso proclama che non viene mai corredato delle concrete, conseguenti soluzioni applicative. E’ proprio alla luce di tali evenienze che ci siamo dunque sentiti stimolati a proporre pubblicamente le seguenti riflessioni.
    Il fondamento di ogni discorso parte dal riconoscimento effettivo della duplice funzione che è propria del Signore Gesù Cristo, in quanto Sacerdos et Rex (oltre che Propheta) secondo l’Ordine di Melchisedec[1]. Fino al momento in cui si è mantenuta, in seno all’Ecclesia Christi, la naturale e tradizionale distinzione di tali due funzioni, il Papato ha specificatamente rappresentato la prima, laddove la seconda è rimasta peculiarità del Sacrum Imperium. Data la differente area di pertinenza, diciamo così, che ha riconosciuto il Sacerdozio quale attivo custode e responsabile della dimensione “spirituale” dell’individuo battezzato e la Regalità di quella invece “temporale”, nel corso dei secoli che ci separano dalla nascita del Sacro Romano Impero (800 d.C.: incoronazione di Carlo Magno) si è venuta così sempre più a puntualizzare e a definire una gerarchia di valori, all’interno della quale si è riconosciuta una ovvia “superiorità” da parte del Papato sull’Impero.
    Va però subito osservato che l’ineccepibilità di tali conclusioni rimane tale purché, come già propugnava Dante alla sua epoca (e come più recentemente è stato ribadito anche da A. Del Noce[2]), tale “gerarchia di dignità” non venga confusa con la “gerarchia di giurisdizione”. In altre parole: se al Sacerdozio spetta il riconoscimento di una più alta dignità in virtù della sua funzione “spirituale” (oltre che di indirizzo morale ed etico) che è ontologicamente superiore rispetto a quella “temporale” espletata dalla Regalità sacra, a quest’ultima spetta di contro una autonomia nella giurisdizione del temporale che il primo non può affatto arrogarsi; la quale giurisdizione, se rettamente esercitata, concorre comunque sempre a conseguire, oltre al “bene comune”, anche il “bene spirituale” della Comunità. L’Impero non è indipendente dal Papato, ma ne è comunque autonomo nell’esercizio della propria funzione, pur dovendo entrambi in ogni caso rimanere correlati alla luce della naturale e necessaria sinergia, della complementarietà che devono con reciprocità mantenere i rispettivi Uffici, per soddisfare adeguatamente alle esigenze della duplice dimensione “fisico-spirituale” che è propria della natura di ogni individuo battezzato.                                                                                                                                               
    Purtroppo, la storia dell’Ecclesia ci ha mostrato come tale complementare reciprocità non sia stata sempre rispettata: e ciò per responsabilità proprie sia dell’una che dell’altra Istituzione. Non è questo il luogo per poter affrontare i dettagli storiografici di un discorso che a noi basta così sommariamente riassumere: le iniziali eccessive ingerenze imperiali sulle questioni spirituali hanno comportato una sorta di reazione difensiva da parte del Papato; il quale, seppur nella necessità di giustamente ribadire la dovuta propria superiorità ontologica rispetto alla Regalità, ad un certo punto è giunto a pretendere eccessivi diritti nella gestione anche della funzione temporale. Gli esiti sortiti dalle vicende, maturatesi lungo un periodo temporale che rimane dell’ordine di svariati secoli, sono quelli odiernamente ben visibili.
    Un altro aspetto della questione, di primaria importanza, è dato dalla circostanza secondo cui l’unzione Regale risulta legittima solo quando amministrata dal Sacerdozio. Ed è appunto questo il nodo su cui si sono poi sedimentati numerosi equivoci. La Regalitas, in quanto eminente dignità che è propria del Signore - accanto al Sacerdotium - non può non considerarsi che munus “direttamente proveniente da Lui”: sono noti i diversi passi biblici (neo e veterotestamentari) che si esprimono in tal senso[3]. La necessità dell’intervento sacerdotale, trattandosi dell’attuazione di un rito, non può dunque essere interpretata come legata alla trasmissione operata dal Sacerdotium dello specifico potere Regale – come esso è giunto a pretendere - in quanto questo non gli appartiene; ma solamente come l’esigenza di operare un suo “riconoscimento”, un suo “avallo” che garantisca e legittimi “spiritualmente” l’effettiva avvenuta acquisizione del sacrale munus Regale da parte dell’Imperatore.
    Un ulteriore rimarchevole elemento è dato poi dalle chiare implicazioni metafisiche, metastoriche – e quindi anche meta-politiche – possedute dalla Regalitas umana, in quanto potere derivante direttamente da Cristo Gesù. Nell’Enciclica Quas Primas (1925), con riferimento al passo di Dn 7,13-14, Pio XI afferma che: «tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l'onore e il regno». L’Ufficio della Regalitas non ha dunque nulla di metaforico[4]; ed inoltre, pur esplicandosi nel concreto del temporale, esso possiede chiari collegamenti con la dimensione meta-temporale, escatologica e salvifica relativa alla missione del Logos incarnato. Se è vero come è vero che Cristo è Re in senso umano, all’inverso anche l’Imperatore, nell’esercizio del proprio Ufficio consacrato, è da ritenersi Suo Vicario: e ciò accanto ed analogamente al Papa. Il detentore del Potere Regale è colui che attua l’archetipo della Regalitas nella sfera temporale, in vista dell’escatologica, completa istituzione del Regno di Dio in terra.
    Anche sul senso della presenza del Regno di Dio sulla terra sono sorti numerosi fraintendimenti: tipica è ad esempio l’obiezione secondo cui si verrebbe a dimostrare, sulla base delle stesse parole del Signore, come esso Regno non possa affatto essere ‘di questo mondo’[5]. Tuttavia, ciò non vuol significare che esso non abbia nulla a che fare con la Regalità esercitata temporalmente, giacché il Regno di Dio è effettivamente già ‘in questo mondo’, come oltretutto affermato altrove da Gesù stesso: «Il Regno di Dio è dentro di voi»[6]. Tutti i Padri ed i Dottori della Chiesa hanno concordemente asserito che il Regno di Cristo Gesù non è mondano; pur tuttavia hanno altresì riconosciuto che Esso è in questo mondo, in nuce nella Sua Chiesa, per fiorire perfettamente - ed in eterno - nell’altro mondo che viene. Possiamo allora dire che la Regalitas, quando espressa dall’Impero, non va intesa in quanto appiattita in una dimensione temporalmente orizzontale, ma piuttosto come conforme ad una dimensione escatologicamente verticale! Anzi, proprio a tal proposito è bene ricordare quanto enunciato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove si dice: «La Chiesa cresce, si sviluppa e si espande mediante la santità dei suoi fedeli, finché arriviamo tutti ‘allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo’ (Ef 4,13)  […]. Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del Regno di Dio, del ‘Regno di giustizia, di amore e di pace’»[7].
    La Regalitas è insomma una funzione necessaria affinché, attraverso l’Ufficio che è ad essa proprio - ossia di amministrare la Iustitia nonché di offrirsi quale baluardo e difesa a favore dell’Ecclesia, contro i suoi nemici esterni ed interni - venga realizzata una condizione “temporale” tale da permettere agli uomini di esser pronti ad ottenere, come conseguenza, gli escatologici fini “spirituali”; i quali sono, a loro volta, più immediatamente e più specificatamente di pertinenza del Sacerdozio.
    Ciò è da intendersi alla luce del fatto che - così come espresso dalla dottrina politica di Dante, nonché da tutto il pensiero teologico-politico fino al XIII sec. (a partire dalla speculazione agostiniana del De Civitate Dei) - la Regalitas  non svolge in verità un’attività dal carattere meramente legislativo-amministrativo, se non nella misura che tale attività, favorendo l’annullamento della cupiditas umana, costituisce propriamente un remedium contro l’infirmitas peccati.
    Tutto ciò è peraltro già chiaramente espresso dalla teologia paolina, secondo cui la divina Giustizia di Dio - della cui azione nell’ambito temporale ne è intermediatrice per l’appunto il Potere Regale[8]  - non possiede un carattere statico bensì dinamico; l’effetto di questa azione si riversa sull’uomo, che viene in tal modo “giustificato”, rinnovato dall’agire di Dio[9]. E poiché la Giustizia è per S. Paolo concetto opposto al peccato[10], ecco che essere sottomesso alla Giustizia implica appunto essere contestualmente liberato dal peccato.
    In altre parole, l’esercizio della Iustitia da parte della Regalitas Imperiale, ponendosi a rinforzo del sacramento battesimale, permette all’anima il recupero ontologico dello stato edenico: cioè quello che era proprio di Adamo, precedentemente al peccato originale. E’ solo dopo aver riguadagnato tale stato di purità, corrispondente al Paradiso Terrestre, che essa anima diviene infatti veramente e completamente pronta per ascendere alla condizione escatologica figurata dalla Gerusalemme Celeste; e ciò, questa volta, sotto l’egida del Papato attraverso la funzione che è ad esso propria: la gestione del magistero della fede attraverso l’amministrazione dei sacramenti e l’insegnamento dei principi dottrinali.
     
    Da tali presupposti conviene a questo punto trarre alcune conclusioni. Ci permettiamo di osservare che la crisi della Chiesa verrebbe ridotta ad una lettura davvero molto superficiale se ci limitassimo a far risalire l’inizio d’ogni “male” al Concilio Vaticano II; lo schema adottato sarebbe infatti fin troppo semplicistico: vi è una realtà ecclesiale perfetta prima del 1963 e vi è un totale disastro successivamente. A nostro modo di vedere, invece, quello a cui stiamo assistendo è l’epilogo di un processo innescatosi, come dicevamo, già molti secoli addietro; ed i cui effetti sono oramai ben evidenti nella caduta in latenza dell’Impero[11], a beneficio dei laicistico-massonici Stati nazionali e delle pseudo-monarchie che nulla più hanno di cattolico; oltre che nell’odierna profonda, implosiva e oramai quasi definitiva secolarizzazione del Papato, tra i cui più evidenti sintomi si annovera la totale perdita di ogni suo senso del trascendente.
    Il grande errore compiuto dal Sacerdotium già in concomitanza del periodo che fu a cavallo tra i secoli XIII e XIV, ossia di interferire in maniera sempre più squilibrante rispetto alla Regalitas sulla gestione diretta del temporale, ha innescato una serie di avvenimenti posteriori non più controllabili che, inanellandosi l’uno dopo l’altro, hanno condotto a quanto oggi risulta sotto gli occhi di tutti (nonostante i ravvedimenti che, ad onor del vero, sono anche successivamente sopraggiunti nel merito, da parte del Papato): ossia, alla perdita per l’Ecclesia non solo dell’unità ecumenica, ma anche del potere di cristianizzare il mondo. La Regalità sacra è infatti parte integrante della Chiesa nella sua integralità; una volta persa questa completezza, la Chiesa istituzionale dei Sacerdoti ha anche perso, in larghissima misura, la sua capacità di incidere sul mondo e di ricostruire una Civiltà cristiana. 
    Qualche critico, a questo punto, potrà ribatterci che la Chiesa si fonda essenzialmente sui Sacramenti e che questi sono conferiti dai Sacerdoti: la Chiesa può dunque esistere, in linea di principio, anche senza la funzione Regale. Tuttavia – e senza nemmeno ricordare che l’unzione Regale col chrisma è una “consacrazione sacramentale” - questa è solo una verità parziale: sarebbe come dire che un individuo umano possa sicuramente “sopravvivere” senza le braccia e le gambe, ma a prezzo di doversi “appoggiare” sulle braccia e le gambe altrui. In realtà la Chiesa, privata così della Regalità, non ha fatto altro nei secoli che appoggiarsi – e alla fine piegarsi – a poteri a Lei del tutto estranei se non ostili.
     
    A mo’ di epilogo, a questo punto ci par giusto citare l’Enciclica di Leone XIII Immortale Dei (1885), nella quale compare un riconoscimento chiaro dell’imprescindibilità della funzione Regale esercitata dall’Impero ai fini di una più completa proiezione dell’Ecclesia verso l’istituzione escatologica del Regno di Dio in terra: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando Sacerdozio e Impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi […]. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: ‘Quando Regno e Sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina’».
    E ancor più recentemente, anche il Cardinal Ratzinger, pochi mesi prima di venir eletto Pontefice, soffermandosi sul senso storico-politico-sociale della separazione tra Papato ed Impero, tra fede e politica, nonché gettando uno sguardo verso il futuro dell’Europa, ebbe emblematicamente modo di scrivere: «Poiché da ambo le parti di contro a tali delimitazioni rimase vivo sempre l’impulso alla totalità, la brama di porre il potere al di sopra dell’altro, questo principio di separazione è divenuto anche l’origine di infinite sofferenze. Come esso debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente rimane un problema fondamentale anche per l’Europa di oggi e di domani»[12].
    L’attualità della questione rimane dunque viva e pertanto anche suscettibile di aprire immediate ulteriori riflessioni soprattutto all’interno del laicato cattolico. E’ infatti compito di quest’ultimo il riflettere sulla necessità di recuperare il legame imprescindibile con i sacrali principi meta-politici della Regalitas; e ciò non solo per rivivificare la Iustitia e l’ordine sociale e politico, ma altresì perché, recuperando l’integralità tutt’oggi mancante all’Ecclesia Christi, si contribuirebbe contestualmente a risollevare il Sacerdotium dalla sua mondanizzazione e dal suo conseguente odierno smarrimento, causato dalla perdita della visione trascendente della propria fede. Solo una Ecclesia non più “vedova dell’Impero” potrà tornare saldamente ad essere l’unica e vera guida spirituale del popolo di Dio.
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    Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis
     
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      [1] Cfr. Gen 14,18-20; Sal 109,4; Eb 7,1-3.
    [2] A. DEL NOCE, Dante e il nostro problema metapolitico, in L’Europa, V, 30 aprile 1971 (ora in A. DEL NOCE,      Rivoluzione Risorgimento Tradizione, a cura di F. Mercadante, A. Tarantino, B. Casadei, Milano 1993, p. 324)
     
    [3] Rm 13,1; Prov 8,15; Sap 6,1-3.
    [4] Si può invece dire che esso mantiene una forte valenza simbolica: che è ben altra cosa.
    [5] Cfr. Gv 18,36.
    [6] Lc 17,21. Cfr. pure Lc 11,20.
    [7] Catechismo della Chiesa Cattolica,  nn. 2045-2046, Libreria Editrice Vaticana, 1999.
    [8] «Chi si oppone all’Autorità resiste all’ordine stabilito da Dio […]. Essa è infatti ministra di Dio per il tuo bene […]
    non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di Dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male» (Rm 13,2.4).
    [9] «[…] per manifestare la Sua Giustizia nel tempo presente, in modo da mostrarsi Giusto Lui, e giustificare chi ha fede
    in Gesù» (Rm 3,26).
    [10] «Quale relazione può esserci tra la Giustizia e l’iniquità?» (2Cor 6,14).
    [11] Non usiamo il termine “scomparsa”, perché gli archetipi non si estinguono, ma semplicemente si occultano alla storia.
    [12] J. RATZINGER, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 2004,  p.14.
  19. Claudio C.
    Dottrina  cattolica e attenzione alle persone, attraverso le scienze umane e il discernimento delle situazioni specifiche, non appaiono affatto in antitesi come vorrebbe una certa leggenda echeggiata da alcuni media cattolici o da alcuni degli stessi uomini di Chiesa: entrambi prodighi a presentare una  la pastorale in rotta di collisione con il deposito della fede, quasi che la prima fosse più efficace se sganciata dal secondo. Ascoltando le parole di Cinzia Baccaglini*,  pastorale e sana dottrina sembrano invece conciliarsi armoniosamente. Ed entrambi aiutano a formare una retta coscienza e ad interpretare  alcuni temi di stretta attualità, come quello dell’utero in affitto,  disumano fenomeno nei confronti del quale il mondo politico e giornalistico mainstream dimostra una sinistra tolleranza. 
    Quali sono le conseguenze sul piano psicologico per le madri che accettano di affittare il loro utero?
    «A parte le testimonianze lette su diverse testate sui ripensamenti e sugli stati psicologici delle madri che hanno affittato l’utero, non mi sono capitate esperienze cliniche di questo tipo. E’ vero che non è affatto difficile intuire cosa si provi a tenere un bimbo per 9 mesi in grembo e darlo ad altri al momento del parto. Questo mi è successo per bimbi dati in adozione legalmente per evitare di abortirli ma non potendoli, per varie ragioni, tenerli con sé (in particolare per stupri o condizioni psichiatriche), lasciarli in ospedale appena nati, cosa peraltro permessa con la legge sull’anonimato del parto.
    Lì la compensazione emotiva è di non averli uccisi, aver dato loro la vita ed averli affidati a qualcuno che se ne occuperà, ma comunque aver dato loro la vita. Esperienza completamente diversa è essere pagata a priori per assumere ormoni, farsi prelevare e fecondare ovuli, inserirli nel proprio utero e chissà per quante volte e quanti embrioni, portare avanti gravidanze comunque a rischio e poi al momento del parto ‘dare il prodotto ai committenti’. Credo che il minimo sia la depressione ma poi vanno indagate le motivazioni per le quali si fa ciò. Il dato di fatto è che confrontandomi anche con colleghi dell’area psicologica nessuno ha avuto casi e nemmeno esistano ricerche mondiali a conoscenza dei più. Non mi sorprenderebbe nemmeno non ce ne fossero. Dire che queste donne più o meno costrette da soldi, e non solo, stiano male non sarebbe affatto una buona pubblicità in quell’ambito di business e marketing».
    Pro - life: tante sigle: buona volontà, attenzione al bene comune e vivacità. Ma l'impressione è anche di proliferazione senza reale necessità, disorganizzazione e di divisione. Perché?
    «Devo essere sincera, ho riflettuto molto su questo aspetto. Ho buone relazioni personali con molti presidenti delle molte associazioni prolife e collaborazioni per provare a legare con un filo rosso con quello che io lo chiamo “cespugliame pro-life” ma è difficile perché spuntano come funghi dopo la pioggia.
    Vedo 3 motivazioni diverse: la prima è che il Movimento per la Vita Italiano, primo ed indiscusso movimento pro-life in Italia fin dagli anni 1990 abbia perso smalto e potere aggregativo per molte ragioni che riguardano modalità e derive contenutistiche in particolare strizzando troppo l’occhio alla politica del momento più che con sguardo profetico ed apologetico; la seconda è che il narcisismo imperante sia di singoli che di associazioni rende effettivamente più debole l’attacco congiunto alla cultura di morte imperante lasciando alcune associazioni legate ad azioni del qui ed ora che seppur importanti non hanno visione profetica ed altre che hanno una vision magari prive di grosse strumenti economici indietro, altre che fanno del compromesso con la politica del momento il loro successo, altre che vogliono essere più legate al territorio perché ciò che viene detto a livello nazionale non è sufficiente, altre che vogliono essere prettamente religiose anche se con errori teologici clamorosi, altre con più attinenza politica affermando che altrimenti non si cambia nulla, altre ancora che vogliono libertà di movimento non legate a statuti sempre più costringenti. Insomma l’equilibrio è veramente difficile e persino lo rende una dote. La terza ed ultima ma non meno importante è che questo spezzettamento , soprattutto in Italia, non fanno altro che riflettere la crisi ecclesiale attuale».
    Queste sigle hanno peso sulla politica «vera»? 
    «Anche dalle ultime vicende non credo proprio. E’ la politica o meglio i singoli politici che dovrebbero essere formati in bioetica e in dottrina sociale della Chiesa per portare avanti con coraggio i valori non negoziabili. Ritengo invece che ci sia , da quel che vedo, una non formazione dei singoli su questi temi che porta un non impegno ed espressione culturale, ovunque si trovino, e quindi anche nella politica reale».
     Arrendevolezza dei cattolici sul piano politico e sociale e promulgazione di leggi ingiuste sul piano morale. Occorrono anticorpi. Quali?  
    «La visione profetica. Dire la verità, costi quel che costi, nella carità ma per carità la verità. Il nostro futuro si giocherà su due pilastri: come riusciremo a far difendere la vita e sua dignità al suo concepimento e alla sua fine. Dovremmo essere degli antiretrovirali dei tanti virus che hanno infettato la cultura per la vita. Persone preparate a dialogare con tutti ma non fare un passo indietro di fronte a nessuno, niente compromessi, niente lusinghe in cambio di potere personale od associativo. Ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini così come egregiamente espresso dalla Samaritanus Bonus».
    Palmaro: una voce profetica. 
    «Faccio fatica a parlare di Mario, amico di vita, da una vita e per la vita. Di una cosa sono certa, rileggendo alcuni suoi scritti è evidente la sua vena profetica, molte situazioni attuali le aveva già descritte molti anni fa. Di una cosa mi rammarico: piuttosto che far dire a Mario ora, da morto, cose che non sappiamo in realtà se corrispondano alle cose che avrebbe detto o ragionamenti che avrebbe fatto, poiché troppo legato al senso del reale e alle dinamiche complesse e per questo profetico, rileggiamolo e riportiamo ciò che ha già scritto e molto lui. Non mettiamo in bocca ad un morto cose che non ha detto».
    Qual è la funzione attuale e futura del Comitato Verità e Vita? 
    «Il Comitato Verità e Vita, che in questo triennio vede me Presidente, ma dopo Mario ne ha già visti altri due ha da sempre rivestito, e nonostante esso, il ruolo del grillo parlante ( con la fine che fa anche in Pinocchio si vedrà!), di funzione critica alla coscienza di chi ci legge delle cose che succedono, di descrizioni della realtà e a cosa necessariamente portano certe scelte. E’ stato così nella faccenda della legge 40, nella legge delle DAT, della possibile attenuazione dell’art 580 ed altre vicende italiane legate ai valori non negoziabili. La forza del Verità e Vita è che siano persone operative in molti campi del sapere (giuristi, filosofi, medici, psicologi, operatori sanitari, insegnanti) e soprattutto al servizio della Verità».
    Il cardinale Caffarra: quando la buona dottrina si incontra con l'autentico spirito pastorale. 
    «Il mio rapporto con Caffarra è noto essere stato molto intenso fin dalla mia giovinezza fino ad essere mio direttore spirituale negli ultimi anni della sua vita. E l’ho visto passare dal Don a Sua Eccellenza a Sua Eminenza e lui ha visto passare me da una giovane pro-life ad una rappresentante di associazioni nazionali. Ho moti di vera rabbia difensiva quando lo descrivono come un uomo algido, pieno di dottrina semplicemente mi fa capire che non l’hanno conosciuto. Il suo grande equilibrio fra Chiesa Maestra e Chiesa Madre mi ha sempre colpito ed insegnato molto anche per la mia professione e su come pormi di fronte a questioni di vita e di morte. E’ noto altresì che solo in un’occasione perché mi è stato richiesto ho parlato del nostro rapporto personale così carico di affetto reciproco, di molta ironia e ricordo nella preghiera reciproca nei vari eventi personali che ci hanno colpito. Credo che la frase che lo rappresenti di più riguardo a questo tema sia quella che lui stesso ha pronunciato al ricordo del cardinale Biffi al primo anno di anniversario di morte: “Oggi nella Chiesa si corre il pericolo di trascurare la dottrina per l’azione pastorale, ma una chiesa povera di dottrina non è una chiesa più vicina all’uomo è solo più ignorante"».
     
    Simone Ortolani
     
      
    * Cinzia Baccaglini, Presidente del Comitato Verità e Vita, del Movimento per la Vita di Ravenna e dell’Associazione privata di fedeli «Progetto Gemma» che ha come fine la sequela di Gesù Concepito psicologa clinica e di comunità, psicoterapeuta con specializzazione sistemico-relazionale, è autrice dell’agile ma ben ponderato volume «50 Domande e risposte sul Post Aborto» (Generazione Voglio Vivere).
  20. Claudio C.
    La data della nascita di Gesù è veramente il 25 dicembre? Che cosa ci permettono di accertare le scienze storiche? La coordinata che ci offre l’evangelista Luca per stabilire l’anno della nascita di Gesù è l’editto di Cesare Augusto. Quando è avvenuto? Ovvero, in quale anno del calendario romano? Non possiamo,  ovviamente qui addentrarci nei dettagli su questa vicenda… Ma, anche in questo caso, si deve notare che con troppa facilità si è parlato di errore di calcolo del monaco Dionigi: egli era stato incaricato dalla Chiesa di Roma di proseguire la compilazione della tavola cronologica della data di Pasqua preparata a suo tempo in Egitto dal vescovo Cirillo Alessandrino. Dionigi però non partì dalla data d’inizio dell’impero di Diocleziano (285 del nostro calendario cristiano) – data che ancora oggi la chiesa copta adopera per il computo del suo calendario, cioè l’inizio dell’era dei martiri – ma dall’incarnazione di Gesù Cristo. Sebbene non si conosca esattamente il metodo da lui seguito, come appena detto, da molti è data per assodata la tesi che si sarebbe sbagliato, ponendo la nascita di Gesù “dopo la morte di Erode”, ovvero quattro o sei anni dopo la data in cui sarebbe avvenuta, e che corrisponderebbe al 748 di Roma. Si può dimostrare che invece non è così, perché le obiezioni mosse ai suoi calcoli non tengono conto, per esempio, che Giuseppe Flavio, al quale normalmente ci si riferisce per questa ed altre datazioni, si è sbagliato, e proprio sulla morte di Erode il Grande, in base ad un’eclissi lunare da lui ricordata. Inoltre, gli si imputa di non aver usato lo zero nel computo, cifra che a quel tempo non era stata ancora inventata.
    Dionigi, in ogni caso, recepì la data del 25 dicembre che non era stata introdotta arbitrariamente dalle Chiese cristiane. Secondo Tertulliano, Gesù sarebbe nato nel 752 di Roma, 41° anno dell’impero di Augusto. Che Gesù sia nato il 25 dicembre, lo afferma con chiarezza per primo Ippolito di Roma nel suo Commento al libro del profeta Daniele, scritto verso il 204 d.C. Lo ha ricordato a tutti Benedetto XVI, nell’Udienza generale del 23 dicembre 2009. Si aggiunga un’omelia di Giovanni Crisostomo sul Natale, nel 386, in cui sostiene che la Chiesa di Roma conosceva il vero giorno (25), perché gli atti del censimento eseguito per ordine di Augusto in Giudea, si conservavano negli archivi pubblici di Roma.
    I moderni strumenti di indagine permettono di collegare i dati con gli elementi astronomici che ne garantiscono la precisione; si superano così i contrasti tra mondo ebraico e cultura cristiana che possono aver condizionato gli storici, anche per il fatto che gli ebrei non avevano un calendario fisso, ma lo formulavano in base all’osservazione diretta dei vari fenomeni astrali, in specie il novilunio che determinava le feste, per far corrispondere l’anno lunare a quello solare. Ma non di rado tale calendario differiva dalla realtà astronomica (cfr G. Ricciotti, Vita di Gesù (1941),  Milano 2006, p. 178ss).
    Una coincidenza che potrebbe avere qualche nesso col 25 dicembre: il 25 di Casleu, nono mese del calendario ebraico, si celebra la ridedicazione del Tempio, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. (cfr 1Mac 4,59). Dunque la cronologia deve essere ricostruita comparando tavole cronologiche differenti.
    Il censimento è parte della questione della storicità della data del Natale. Luca, intendendo inquadrare storicamente Gesù e la sua venuta, fornisce un’altra coordinata: comincia il suo vangelo riportando una tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, un fatto apparentemente marginale ma storicamente verificabile dai suoi contemporanei, ancor prima del 70 d.C. Secondo l’evangelista,  l’angelo Gabriele aveva annunziato al sacerdote Zaccaria, – mentre «esercitava le sue funzioni davanti a Dio, nel turno (in greco taxis) della sua classe (ephemeria)» (Lc 1,8), quella di Abia (Lc 1,5) – che la sua sposa Elisabetta avrebbe concepito un figlio. Luca rimanda pertanto ad una rotazione disposta da David (cfr. 1Cr 24,1-7.19): le 24 classi si avvicendavano in ordine immutabile nel servizio al tempio da sabato a sabato, due volte l’anno. Questo era noto tra i giudei e almeno in ambiente giudeo-cristiano.
    Il turno di Abia, prescritto per due volte l’anno, cadeva dall’8 al 14 del terzo mese del calendario (lunare) ebraico e dal 24 al 30 dell’ottavo mese. Questa seconda volta, secondo il calendario solare, corrisponde all’ultima decade di settembre. In tal modo si dimostra storica anche la data della nascita del Battista (cfr. Lc 1,57-66) corrispondente al 24 giugno, nove mesi dopo. Così è anche per l’annunciazione a Maria «nel sesto mese» (Lc 1,28) dalla concezione di Elisabetta, corrispondente al 25 marzo. Dunque, quale ultima conseguenza, è storica la data del 25 dicembre, nove mesi dopo.
    Nel calendario liturgico siriaco v’è il Subara, il tempo dell’annuncio, costituito da sei domeniche (v. Avvento ambrosiano) la prima dedicata all’annuncio della nascita di Giovanni al padre Zaccaria, celebrato dal calendario bizantino e dalla chiesa latina di Terrasanta al 23 settembre. Così i bizantini e i latini conservano al 23 settembre una data storica quasi precisa. Altrettanto dicasi per la data delle feste della natività del Battista, dell’annunciazione a Maria e della natività di Gesù. La liturgia della Chiesa ha fissato e commemorato queste date innanzitutto storicamente (v. la Circoncisione all’ottavo giorno dopo la nascita, la Presentazione al quarantesimo), in special modo il Natale del Signore. Che la data del Natale sia stata a volte assimilata a quella del 6 gennaio, è dovuto al fatto che il calendario bizantino ricordava un insieme di eventi epifanici (l’arrivo dei Magi, il battesimo al Giordano, le nozze di Cana), ma anche al fatto che le Chiese si comunicavano le date delle celebrazioni e avevano possibilità di verificarne l’attendibilità storica.
    Luca, infatti, osserva che Gesù al momento del battesimo «stava cominciando quasi i trent’anni» (Lc 3,23): dunque un compleanno di Gesù, il trentesimo. Se Gesù è stato battezzato il 6 gennaio, in quella data trent’anni prima è nato. In origine, come ancora attestano l’oriente bizantino e il breviario romano, il 6 gennaio era la Teofania del Signore alle acque del Giordano. Una tradizione trattenuta dai Padri, ad esempio san Massimo di Torino: «La ragione esige che questa festa segua quella del Natale del Signore, perché i due eventi si verificarono nel medesimo tempo anche se a distanza di anni» (Discorso 100 sull’Epifania, 1; CCL 23,398).
    Invece, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, si divulgò, da parte di liturgisti, l’idea che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta dai cristiani di Roma per sostituire il Natale del Sole invincibile, cioè una festa del dio Mitra o dell’imperatore, che cadeva intorno al solstizio invernale. In realtà, soprattutto dopo l’editto di Costantino, la Chiesa avrebbe pure potuto essere mossa dal desiderio di valorizzare qualche festa del paganesimo decadente, ma non inventare di sana pianta una data così centrale. Si pensi che nel rito bizantino la data dell’Annunciazione prende il posto della domenica e del giovedì santo, e se coincide con la Pasqua si canta metà canone – la composizione poetica propria della festa – dell’una e dell’altra.
    Dunque, la memoria ininterrotta fu consacrata dalla liturgia, ma il vangelo di Luca, con i suoi accenni a luoghi, date e persone, vi ha contribuito in modo fondamentale.
    Per approfondimenti, cfr. N. Bux, Gesù il Salvatore. Luoghi e tempi della sua venuta nella storia, Cantagalli, Siena 2009
    I cristiani sopportarono la celebrazione della festa del Sole invincibile istituita dall'imperatore Aureliano a metà del III sec., perché erano perseguitati. Dopo la libertà concessa da Costantino(313), i cristiani d'Occidente, poterono celebrarlo apertamente. Poi, la crisi del paganesimo fece sì che la festa del 'sole invitto', fosse oscurata da quella de vero Sole invincibile. In Oriente i cristiani continuarono a celebrarla il 6 gennaio, perché ritenuta più vicina al solstizio da loro. Nel Medioevo si produsse lo scambio: il 25 dicembre fu accolto dai bizantini,come Natale e il 6 gennaio dai latini, come Epifania. 
     
    Mons. Nicola Bux, per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Bux
  21. Claudio C.
    Nell’Antico Testamento (AT) ebraico i termini prossimo (reaˁ ) e fratello (ˀakh) praticamente coincidono. Il termine prossimo significa “Colui che ti sta vicino”: è insomma un uomo con cui ho a che fare, senza che ciò implichi particolari vincoli parentali. Può essere il vicino (Es 11,2); l’amico (2Sam 13,3), il prossimo (Es 2,13; At 7,27), il proprio simile (Pr 6,1), o semplicemente “l’altro”. Tutti costoro però vivono all’interno della sfera dell’alleanza di JHWH (cfr U. Falkenroth, DCBNT, 735).
     
    Anche il comandamento dell’amore: “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18) riguarda i membri del proprio popolo di Dio. La considerazione per lo straniero nel capitolo 19 del Levitico è aggiunta solo alla fine del discorso (al v. 34 di 37).
    Ma mentre “fratello” in tutto l’AT indica sempre e solo il membro del popolo eletto, il termine “prossimo” invece subisce una evoluzione semantica di tipo universalista, venendo a designare il proprio simile in generale ed il proselito in particolare, cioè ogni uomo in quanto possibile soggetto di conversione. Questo soprattutto nei LXX (la traduzione greca più antica dell’AT che data dal 300 a.C.).
    Il termine “fratello” resta invece strettamente vincolato ai limiti dell’alleanza e dell’appartenenza al popolo eletto.
    La cosa non cambia affatto nel Nuovo Testamento (NT), che usa sempre e solo i termini dell’AT (soprattutto nell’accezione data dalla LXX), senza mutarne mai il significato, eccetto il caso in cui questo sia stato fatto direttamente da Gesù. La fedeltà terminologica degli agiografi del NT è simile a quella dei Padri della Chiesa e dei primi sette Concili Ecumenici, che nelle loro definizioni dogmatiche non si permettevano mai di usare termini che non fossero già contenuti nella Sacra Scrittura.
    Gesù si permette di  mutare un poco il significato di questi due termini a partire da … Lui stesso in persona. Chi è il prossimo nella parola del Buon Samaritano? “Colui che ha avuto compassione di lui” si legge nel testo di Lc 10,37. Ora l’espressione “colui che ha compassione di… “ nel Vangelo di Luca è usata solo per designare l’atteggiamento di Gesù verso gli uomini. E chi denota nella tradizione evangelica il termine Samaritano? Ancora Gesù (cfr Gv 8,48).  Solo Gesù infatti è in grado di dichiarare superate le barriere legali giudaiche e di venire incontro al povero pagano assalito dai demoni e lasciato semi morto lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Lui solo è in grado di abbattere il muro di separazione che esiste tra i due popoli per mezzo della riconciliazione che Egli ha operato sulla croce (cfr Ef 2,14-18).
    In conclusione, il discepolo diventa prossimo di qualcuno quando si prende cura di lui come ha fatto Gesù, nel senso di imitarne non solo l’atto, ma anche la modalità di azione, che nella sua complessità ora qui non stiamo ad esaminare, ma che comporta sempre un tentativo di suscitare una risposta di fede o di abbandono fiducioso.
    Va’ e anche tu fa lo stesso (Lc 10,37), significa che il cristiano deve essere “Gesù” per ogni uomo che si imbatte nel suo cammino. Questo è il suo prossimo: l’universale destinatario del messaggio di Gesù di cui è latore,  da lui concretamente incrociato.
    Per il termine fratello invece la dinamica non cambia di molto rispetto all’AT. Infatti anche per il NT il termine fratello si riferisce solo e sempre ai membri dell’alleanza. Come abbiamo detto nell’articolo precedente pubblicato in Stilum Curiae (Che tutti siano Uno,) nel NT il termine fratello designa innanzitutto il comune rapporto col corpo di Cristo nel quale i discepoli del Regno sono inseriti mediante il battesimo ed il dono dello Spirito Santo.
    Secondo il NT infatti vi sono delle diversità fondamentali tra il comportamento che il cristiano deve tenere verso il prossimo e quello che deve avere verso il fratello.
    Se verso il fratello di dice di non mescolarsi con i fratelli impudichi, ma di “togliere il malvagio di mezzo a voi” (1Cor 6,12), e “questo individuo sia dato in balia a satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (1Cor 5,5);  del prossimo invece si dice che bisogna comunque convivere anche con gli impudichi, gli avari e gli  idolatri, “altrimenti dovreste uscire dal mondo!” (1Cor 6,10) e di farsi tutto a tutti “con la speranza di salvarne qualcuno” (1Cor 9,22).
    Se del prossimo si dice che ciascuno sarà giudicato in base alla testimonianza della sua stessa coscienza che ora lo accusa, ora lo assolve, per mezzo di Gesù Cristo e del vangelo predicato dagli apostoli (cfr Rom 2,15), dei fratelli si dice : “esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi? A meno che la prova non sia contro di voi. E se si, spero almeno che riconosciate che essa non è contro di noi!” (2Cor 13,5), e che i figli del Regno saranno giudicati in base a come hanno saputo far rendere i talenti che Cristo ha dato a loro (Mt 25,14-30), in base ai frutti che hanno prodotto (Gv 15,8) e come hanno saputo perseverare sino alla fine ( cfr Lc 21,19).
    Se del comportamento verso prossimo si dice: la vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4,5), “perché la tristezza del mondo produce la morte” (2Cor7,10), del comportamento verso io fratelli si dice: “noi siamo pronti a reprimere ogni disobbedienza, appena la vostra obbedienza sia perfetta “ (2Cor 10,6 ), “perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza” (2Cor 7,10). Perciò verso di voi dobbiamo agire severamente, con il potere che Cristo  ha dato a noi [apostoli] per edificare e per distruggere (cfr 2Cor 13,10).
    Se del prossimo si dice: “ama il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31), comandamento base della Legge antica e fondamento dell’amore naturale e carnale degli uomini come creature di Dio (cfr 1Cor 2,13ss.) del fratello si dice: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; cfr Gv 15,17), comandamento che fonda l’amore infra-ecclesiale tra membra che formano un solo corpo in Cristo. Gesù Cristo è il primogenito di ogni creatura  .. ed è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa. Il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti… (Col 1,16.18).
    Se dei fratelli si dice che sono tutti membra del corpo di Cristo (1Cor 12,27: ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte), perché siate uno in Cristo come il Padre è uno con il Figlio (cfr Gv 17,11),  del prossimo invece si dice: “salvatevi da questa generazione perversa!” (At 2,40); “non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli!” (2Cor 6,14.17) e vivete nel mondo: “come stranieri e pellegrini .. la vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere buone giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,11-12; cfr Eb 13,13).
    Proseguendo su questa linea molto comune a tutti gli scritti del NT, potremmo aggiungere che esiste anche una modalità di sviluppo orizzontale, diciamo così, del termine fratello. Infatti, mentre diventa prossimo chi è oggetto terminale dell’azione caritativa-missionaria del fratello, può diventare fratello nell’escaton, cioè entrare nel Regno di Dio, colui che fa un’azione caritativa verso i fratelli più piccoli del Signore. Un pagano diventa prossimo se si lascia aiutare da un fratello, ma diventa fratello nel Regno se aiuta un cristiano. “Chiunque avrà dato un solo bicchiere d’acqua ad uno di questi miei fratelli più piccoli perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa”(Mt 10, 42).
    I “fratelli più piccoli” del Signore, termine che nel vangelo di Matteo designa sempre e solo i discepoli di Gesù, sono infatti coloro che sono costantemente perseguitati, discriminati, imprigionati, malati, poveri, ignudi, affamati e assetati (cfr Mt 25,31-46). Allora chiunque li accoglie e li aiuta è come se accogliesse Cristo in persona, perché “Dio .. ha messo gli apostoli all’ultimo posto, come condannati a morte” (1Cor 3,9 ). Se Gesù ha detto : “chi non è contro di noi è per noi” (Mc 10,40) e “chi accoglie voi accoglie me” (Mt 10,40), a maggior ragione può dire chi aiuta voi aiuta me (cfr Mt 25,45).
    Se per far diventare prossimo un uomo occorre mettere in atto un complesso e impegnativo cammino di guarigione e di liberazione, nella speranza che qualcuno diventi anche fratello accogliendo non solo l’opera caritatevole del discepolo, ma anche e soprattutto la Parola di Gesù che egli incarna, per far diventare  invece un pagano fratello basta che il discepolo di Gesù si lasci aiutare nella sua croce che porta come perseguitato dal mondo (hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi: Gv 15,20). E a questo fine il vero discepolo deve imitare veramente lo stile di vita apostolico  accettando di essere il povero in spirito, l’affamato, l’assetato, lo straniero, il malato, il carcerato, in una parola  il perseguitato dal demonio e dagli uomini di questo mondo, nonché dai falsi fratelli  (cfr 2Cor 11,26), come Gesù.
    Non deve tanto fare, ma essere. Paradossalmente, ma non troppo, si può dire che il discepolo non deve preoccuparsi tanto di accogliere gli stranieri, quanto di accettare lui stesso di essere straniero; non tanto di dar da mangiare agli affamati, quanto di accettare lui stesso di diventare affamato, assettato ….. per amore di Gesù: “io non ho né argento, né oro, ma quello che io ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina” (At 3,6).
    Non deve cercare potere, ricchezza affermazione.. ma di restare sottomesso a tutti e servo di tutti per realizzare quella parola di Paolo: “noi apostoli siamo diventati la spazzatura del mondo” (cfr 1Cor 4,13) e: “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45);  e vivere ed agire nella potenza dello Spirito (cfr 1Cor 2,4). La vera azione caritativa, che è un obbligo inderogabile, è verso i propri fratelli nella fede: “da questo sapranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altr”i (Gv 13,35), perché costituisce una testimonianza che può far diventare il prossimo fratello (cfr Gc 2,16).
    In realtà noi apostoli siamo la spazzatura del mondo, dice San Paolo; ma Paolo è la spazzatura del mondo, perché lui stesso ha considerato spazzatura tutto il mondo per avere Cristo (cfr Fil 3,8) che il mondo considera scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,21), per non avere nessun altro vanto che nella Croce di Cristo (cfr Gal 6,14).
    E questa è esattamente anche l’esegesi di San Francesco, che ha chiamato i suoi frati “minori” proprio a partire da questa imitazione di Cristo, e proprio su questo termine ha fondato la modalità di presenza e di missione dei suoi frati nel mondo, come veri discepoli di Gesù.
    Don Sandro Carbone
    biblista
    Ripreso dal Blog di M. Tosatti. Stlum Curiae
  22. Claudio C.
    A settembre del 2018 papa Francesco convocò in Vaticano i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo per un Summit dedicato agli abusi sessuali operati all’interno della Chiesa. L’incontro si svolse a febbraio del 2019. Nell’aprile di quell’anno il papa emerito Benedetto XVI decise di contribuire al dibattito pubblicando sul giornale tedesco Klerusblatt un testo destinato a far più rumore degli stessi interventi del vertice vaticano. I cosiddetti “Appunti” del papa Emerito furono accolti con stupore e con sorpresa ma generarono le reazioni scomposte di chi ha considerato l’intervento di Benedetto un affronto al Pontefice regnante e una intromissione nella Sua gestione (ed interpretazione) della crisi degli abusi sessuali. Reazioni stizzite e rabbiose quelle di coloro che avrebbero preferito un Emerito in religioso silenzio per il resto dei suoi anni. Eppure non sarebbe l’ultima volta che papa Benedetto avrebbe deciso di intervenire pubblicamente su un tema di fondamentale importanza contribuendo con le sue riflessioni al dibattito intra-ecclesiale: nel gennaio 2020 il suo testo sul celibato, pubblicato assieme al card. R. Sarah fu
    considerato da molti suoi nemici un “attentato” teologico al dibattito in corso durante il Sinodo dell’Amazzonia (conclusosi, da quel punto di vista, con un nulla di fatto).

    La sterile polemica sugli Appunti contribuì a derubricare i fatti come semplici bagarre clericali e ad far passare quasi inosservato un testo che merita ben altra considerazione. Il testo di Benedetto XVI resta un’acuta e profonda analisi dei motivi che stanno alla radice di quello che l’Autore definisce il progressivo “collasso morale” che ha coinvolto la società e la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Il nucleo degli Appunti è racchiuso nell’appello pressante per un ritorno a Dio, ad “anteporlo e non presupporlo”, perché Dio rischia ormai di scomparire dalla nostra società ma anche dalla teologia e dalla vita dei sacerdoti. Ritrovare col primato di Dio per rispondere alle sfide del permissivismo o della logica funzionalistica, che dopo la rivoluzione sessuale del 1968 ha investito l’Occidente. Un testo acuto e documentato, un appello impellente, frutto della riflessione di uno dei teologi più rappresentativi degli ultimi decenni, un sincero contributo di colui che per otto anni ricoprì il soglio di Pietro… eppure un testo che fino ad oggi non sembra aver meritato l’attenzione dei teologi né degli esperti di categoria.

    Ecco dunque la meritevole iniziativa dell’editore Cantagalli di offrirci un commento a più voci del testo del papa Emerito. Nel volume “Chiesa sotto accusa”, curato da Livio Melina e Tracey Rowland, sono raccolti (oltre al testo integrale degli Appunti) diversi saggi scritti da esperti di grande spessore teologico e culturale come il card. Ruini e i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma: Granados, Noriega, Pérez-Soba e Kampowski. Non poteva mancare il prezioso contributo di don Fortunato di Noto che da anni combatte sul campo la piaga della pedo pornografia. Mentre la professoressa Gabrielle Kuby, sociologa tedesca autrice dell’imperdibile “Rivoluzione Sessuale”, offre un’ulteriore analisi delle disastrose conseguenze del sessantotto anche all’interno della Chiesa Cattolica. Contribuiscono ad impreziosire l’opera i testi dei vescovi G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, R. Voderholzer, di H.-B. Gerl-Falkovitz, A. Diriart, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev e N. Bux*.

    Prefazione di Georg Gänswein. 
    Saggi di: Card. C. Ruini, R. Voderholzer, G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, H.-B. Gerl-Falkovitz, J. Granados, J. Noriega, J.J. Pérez-Soba, A. Diriart, S. Kampowski, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev, N. Bux*, G. Kuby, F. Di Noto.
    *"Il dissenso sulla natura della liturgia"
  23. Claudio C.
    Auguri di Santo Natale per i lettori del Blog http://www.scuolaecclesiamater.org/
      Nel Santo Giorno di Natale non possiamo dimenticare il Festeggiato, la vera Luce del Mondo, che nessuno può fermare, nonostante i suoi nemici. L’augurio del nostro Blog è, quindi, di ricordare che il Natale è questo ricordo. Tutto il resto, benché scintillante, distrae l’attenzione dal vero Protagonista, il Signore Gesù. D’altro canto, come nota il prof. Massimo Viglione in un suo post, «Tre Natali della nostra fede, della nostra civiltà, della nostra storia. - Natale dell'anno 800: in San Pietro, un Re conquistatore e profondamente cristiano, in ginocchio davanti al Vicario di Cristo, come i Re Magi si inginocchiarono a Cristo, viene incoronato Imperatore: nasce simbolicamente la Res Publica Christiana, la nostra società, la più grande civiltà mai esistita; - Natale 1223: a Greccio, un umile frate di nome Francesco, tutto ricolmo di amore per Cristo, "inventa" il presepe: segnando da quel momento la storia stessa di tutte le chiese e le famiglie cattoliche; - Natale 1914: nel momento tragico del più grande massacro della storia umana, preparato e voluto al fine della distruzione della società nata simbolicamente nel Natale dell'anno 800, i soldati del fronte franco-tedesco, spontaneamente, escono dalle trincee per vivere un momento di fratellanza in nome del Santo Natale. Nei giorni in cui il Natale è divenuto coca-cola, rossetto e lingerie, nei giorni in cui gli stessi preti della "neo-chiesa" bestemmiano il presepe o lo buttano nell'immondizia per far posto alla nuova "religione" del migrante mondialista, nei giorni del... "Buone feste"... ricordare questi tre meravigliosi istanti della nostra civiltà è senz'altro opera utile. Il Natale è solo la festa della venuta al mondo della Luce del Mondo, della Salvezza, della Speranza. Dal Natale è nata la nostra civiltà, siamo nati noi» (Fonte: Facebook, 24.12.2018). Il nostro augurio non è “scomodo”. Oggi, ma anche ieri, gli auguri scomodi erano quanto di più conformista e radical-chic ci potesse essere, impregnati com’erano di sentimentalismo buonista, mondialista, ecc., distraendo dal vero Protagonista ed allontanando l’attenzione dal Mistero che si compì in quell’oscura cittadina della Giudea, Betlemme, il cui nome, in ebraico, Beit Leḥem, è “Casa del Pane” ed, in arabo, Bayt Laḥm, “Casa della Carne”. Pane e Carne, ecco racchiuso nel nome di quel luogo tutto il Mistero, che si compì e che avrà il suo culmine nel Sacrificio del Calvario: il Figlio di Dio si fa Carne e Pane (nell’Eucaristia) per noi. Questo i cristiani, estatici, devono contemplare e per il quale devono rendere gloria a Dio, come gli angeli, che portarono l’annuncio ai pastori in veglia al loro gregge: Gloria in excelsis Deo!
    Per questo, il nostro augurio a tutti i frequentatori e lettori del Blog non può che essere quello evangelico, che pone al centro di tutto non l’uomo, ma il Verbo. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. […] Erat lux vera, quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognovit. In propria venit, et sui eum non receperunt. […] Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis : et vidimus gloriam ejus, gloriam quasi unigeniti a Patre plenum gratiæ et veritatis. (Joan. 1, 1. 9-11. 14)   Auguri di Santo Natale nel Signore!!!  
  24. Claudio C.
    O santi Innocenti, primizie della Cattolica Chiesa, che continuamente lodate e contemplate il Divino Immacolato Agnello, e sempre cantate nuovi cantici dinanzi al trono dell’Altissimo, ottenetemi vi prego una #vita innocente, una #contrizione perfetta,e un #dolore immenso dei miei peccati,e una retta e pura #intenzione in tutti i miei pensieri,parole ed opere,acciò mi conservi nella grazia di Dio, e sia poi vostro #compagno in quella gloria immortale, che vi siete acquistata con lo spargimento del vostro sangue innocente.
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    Così sia.

  25. Claudio C.
    Padre celeste, ti ringrazio per questo tempo di Natale, in cui celebriamo il mistero del Verbo che si è fatto carne. Aiutami perché, come il vecchio Simeone, in silenzio possa ascoltare la tua parola e accoglierla nel mio cuore. Il tuo Spirito scenda su di me e mi guidi perché io possa compiere la tua volontà, fino a che Cristo sia del tutto presente in me. Amen
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