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Claudio C.

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  1. La portata dell’essere umano assume una valenza che giunge ai limiti di una conoscenza profonda ed esauriente per cogliere in maniera esaustiva gli aspetti della persona umana oggetto di studio di varie discipline. Pur restando complessa e quasi inesplicabile la ricerca di un nesso comune tra le diverse discipline, è evidente che l’oggetto di studio assume in se una vasta complessità tale da riconoscere nell’uomo stesso un essere complesso. La proprietà riconosciuta dalle varie discipline è il carattere relazionale intrinseco ed essenziale per la sua vitalità. Negare questo aspetto equivale a non rendere compatibile la natura stessa dell’uomo con l’oggetto della relazione fino ad affermare una asfittica autosufficienza non potendo essere in sé stesso esauriente da considerarsi tale e poter prescindere da qualsiasi relazione. Pertanto l’uomo non può essere riconosciuto come essere autosufficiente. Secondo Pascal “L’uomo non è un essere autosufficiente. È essere che si leva al disopra di se stesso. La sua natura si realizza appunto non nel dispiegamento di una disposizione chiusa in se stessa, ma in quanto essa sia portata al di sopra di sé nella comunione di vita con Dio.” Nel tempo attuale è diffusa la consapevolezza che l’uomo è una persona razionale e relazionale. Un’antropologia della relazione e dell’incontro si rende così necessaria, per ripensare l’individuo come persona e i rapporti umani alla luce dell’esodo dell’io verso il tu, in dialogica reciprocità. Il movimento verso il tu non può esaurirsi nella finitezza della materia per non lasciare inascoltata l’esuberanza di questa inclinazione da esaudire nella esperienza di infinito conosciuta come pienezza dell’essere. Sollecitato da questo profondo bisogno l’uomo deve cogliere il coraggio di interrogarsi sul vuoto opprimente dell’esistenza mondana orientata nei rivoli del godimento effimero … rivolti alla ricerca di falsi idoli. A tal punto è necessario “indagare” la dimensione relazionale umana a partire dalla individualità. L’idolatria dell’io espressa nell’individualismo lascia l’uomo nella solitudine e nell’insoddisfazione indotto da un’edonismo che la massificazione e la pubblicità invadente in un tempo di incertezza e di frammentazione sociale provocano il rischio della disumanizzazione dominante in una società globalizzata e postmoderna. Resta quindi la sfida di un essere umano che vive la sua umanità nella famiglia umana partecipe della convivenza comunitaria in un processo di crescita e di formazione della persona. Nel Tempo attuale è urgente proporre un cristianesimo autentico, credibile e adulto ricorrendo alle Scritture fonte di sapienza universale dalla quale attingere per rivelare una visione profonda dell’essere umano. Resta necessario ricorrere all’antropologia filosofica col fine di indagare sull’essere umano nella sua unità e globalità oltre le visioni particolari delle scienze umane. L’uomo è quindi un essere in relazione essendo innata questa prerogativa sia come organismo biologico che come essere spirituale. La propria vitalità dipende dal contesto relazionale nel mondo. Per la sua dipendenza da una Causa suprema ne deriva quindi l’essere come creatura. La sua dipendenza relazionale assume soprattutto un carattere spirituale. L’uomo realizza la sua umanità nel suo essere in relazione costante col Tu infinito nella dinamica di una crescita fino ad una perfezione di somiglianza col Creatore. Questa dinamica è l’espressione di un rapporto di comunione che trova caratteri salienti nella preghiera e nella contemplazione. I Il significato della preghiera per il cristiano. La preghiera valorizza la vita della Chiesa nella sua unità e nella sua missione salvifica. Nella sua condizione comunitaria il fedele come individuo è chiamato a trovare lo spazio e il tempo propizio nella meditazione per entrare in rapporto con Dio e rendere speciale la sua vita da cristiano. Per la chiesa la preghiera diventa una funzione naturale e una esigenza nella vita cristiana. La preghiera assunta come segno di mediazione tra L’uomo e Dio presenta l’espressione di un bisogno innato di Infinito. Quel bisogno esprimibile nel ricercare uno spazio interiore in cui Dio segna nel cuore del fedele le parole di amore, speranza, pace, comunione. Il clima del silenzio è la condizione propizia per instaurare una comunione feconda nella meditazione. Nella comunione il fedele giunge a scoprire un rapporto di fiducia per essere chiamato da Dio a portare la Sua Croce per salvare il mondo. La ricchezza dei Salmi La forma e la sostanza della preghiera è espressa nella scuola dei Salmi. La loro origine risale alla liturgia di Israele tramandata secondo la tradizione giudaica da David composti in forma poetica. La chiesa dalle sue origini ha recitato i salmi essendo stati preghiera di Cristo che li ha proclamati nell’assemblea del suo popolo, li ha meditati nel colloquio personale col Padre e li ha citati più volte nelle scritture. Gesù risorto così ha spiegato ai discepoli. “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” ? (Lc 24,44) I salmi sono una preghiera della chiesa adottata come esempio di preghiera quotidiana degli apostoli che vi hanno riconosciuto la profezia degli avvenimenti della passione, morte e resurrezione di Gesù. I testi dei salmi furono adottati nelle liturgie cristiane come profezia del mistero di Cristo. Nel corso dei secoli i salmi sono entrati nella liturgia fino ai nostri tempi. I salmi parte integrante nella tradizione della vita liturgica sono scuola di preghiera come edificazione personale e comunitaria. Mario Mascia
  2. L’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa (https://www.vanthuanobservatory.org/), istituzione culturale fondata dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi e diretta dal professor Stefano Fontana, ha tra le proprie finalità l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa (DSC). Sono così nate le Scuole di DSC “Mater et Magistra” (Area Scuole DSC : News dell'Osservatorio (vanthuanobservatory.org) organizzate dall’Osservatorio in diverse regioni d’Italia (Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, etc.) con un ricco insegnamento articolato in moduli di base e moduli specialistici. Queste Scuole hanno contribuito negli anni alla formazione di un laicato consapevole e socialmente attivo, sono nate esperienze associative locali e diversi partecipanti alle Scuole “Mater et Magistra” si sono poi impegnati in politica a livello locale. Purtroppo da un anno ormai è tutto bloccato a causa delle norme governative anti-covid. Ci siamo interrogati a lungo sul da farsi, se aspettare o se optare per soluzioni alternative alla tradizionale lezione in presenza. Considerato che è passato più d’un anno e che non si vede la fine di questo stato di cose, l’Osservatorio ha ritenuto di non poter più attendere perché oggi c’è assoluto bisogno di un solido insegnamento della DSC per formare un laicato cattolico consapevole e intellettualmente attrezzato alla battaglia culturale. Con queste ragioni, auspicando il crescere della militanza cattolica impegnata socialmente, politicamente e culturalmente, l’Osservatorio ha dato vita alla SCUOLA NAZIONALE DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA on-line. Vedi il Programma qui https://www.vanthuanobservatory.org/wp-content/uploads/2021/02/VAN-THU%C3%82N-2021-scuola-programma.pdf ]. Dieci lezioni, arricchite dalla possibilità di interloquire con i docenti, sui fondamenti del pensiero socio-politico cattolico, sulla grande tradizione sociale della Dottrina Cattolica. Chiarezza, rigore razionale, nessuna autocensura politicamente corretta. La Scuola vuole essere una palestra di verità dove pensare cattolicamente l’economia, il diritto, la politica, la vita sociale. Questa Scuola Nazionale on-line vuole essere l’inizio d’un progetto più grande, una rete nazionale di Scuole di DSC presenti su tutto il territorio italiano dove si possa formare stabilmente il laicato cattolico alla plurisecolare Dottrina sociale. La Scuola è aperta a tutti quanti siano interessati a conoscere la Dottrina sociale della Chiesa nella sua integralità. E’ importante che vi siano iscritti di ogni regione e provincia d’Italia e che vi aderiscano realtà cattoliche locali con i propri associati così da costituire il naturale punto di partenza per un futuro locale della DSC. I dieci docenti, tutti altamente qualificati ed esperti nella materia, tratteranno alla luce della DSC molti temi di natura filosofico-teologica, giuridica, economica, politica: dal bene comune alla sussidiarietà, dal lavoro alla famiglia, dal rapporto politica/religione al concetto di popolo e nazione. Per informazioni e iscrizioni inviare una e-mail alla Segreteria dell’Osservatorio (info@vanthuanobservatory.org ) . Don Samuele Cecotti Vice-Presidente Osservatorio Van Thuân
  3. "Strappate i vostri cuori, non le vostre vesti, e tornate al Signore, vostro Dio". [1] Queste parole dell'odierna epistola esprimono il programma della nostra osservanza quaresimale annuale. È un programma per rivolgere i nostri cuori in modo più completo e perfetto al glorioso Cuore trafitto di Gesù. Nelle parole delle Sacre Scritture, siamo chiamati a guardare a Colui il cui Cuore amorevole abbiamo trafitto dai nostri peccati. [2] Contemplando il Cuore trafitto di Gesù, siamo pieni di stupore davanti all'incommensurabile amore di Dio per noi. Innalzando i nostri cuori, appesantiti da tante cure e distrazioni e affetti disordinati, al Cuore di Gesù, riceviamo la grazia di amare come Dio ama, di essere purificati dai nostri peccati e rafforzati dalla grazia divina per l'amore di Dio e del nostro vicino. Nostro Signore attira i nostri cuori al Suo Cuore trafitto, affinché conosciamo il Suo amore, lo amiamo a nostra volta e portiamo il Suo amore ai nostri fratelli e sorelle. Possa la nostra osservanza quaresimale riempirci di gioia per l'amore di Dio, riversato su di noi ogni giorno dal glorioso Cuore trafitto di Gesù, e di zelo per portare il dono dell'amore di Dio al mondo. Quando iniziamo il Tempo di Quaresima, riflettiamo sui mezzi con cui squarciamo i nostri cuori, aprendoli al dono dell'amore divino, elevandoli al Signore, affinché riposino nel Suo Sacro Cuore. Il vangelo di oggi, tratto dal Discorso della Montagna di nostro Signore, ci ricorda i tradizionali e comprovati mezzi di conversione del cuore: la preghiera, il digiuno e l'elemosina. I nostri giorni quaresimali sono segnati da una nuova attenzione alla preghiera, da una limitazione intenzionale nell'uso dei beni materiali e dal dono dei beni della nostra sostanza per aiutare i nostri fratelli e sorelle bisognosi. Grazie a queste pratiche quaresimali tradizionali, arriviamo a conoscere il nostro peccato e rispondiamo, non con scoraggiamento, ma con la fiducia nell'immancabile settuplo dono dello Spirito Santo effuso nei nostri cuori dal Sacro Cuore di Gesù. Dom Prosper Guéranger, nel suo commento al Mercoledì delle Ceneri, ci istruisce: All'inizio di ogni giorno di Quaresima, ricordiamo le parole di san Paolo nella sua seconda lettera ai Corinzi , esortando i primi cristiani a Corinto e esortandoci a "non ricevere invano la grazia di Dio". [4] Prendiamoci un po 'di tempo oggi per riflettere sui modi pratici in cui ognuno di noi sarà più devoto nella nostra preghiera quotidiana e nella partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa, più rispettoso e contenuto nel nostro uso dei beni materiali e più altruista nel il nostro amore per il prossimo, specialmente per i nostri fratelli e sorelle che hanno più bisogno. In modo speciale, la nostra osservanza quaresimale si concentri sulla Santa Eucaristia, sulla partecipazione alla Santa Messa e sulla preghiera e devozione eucaristica. Come ci insegna san Tommaso d'Aquino, "il bene spirituale comune di tutta la Chiesa è contenuto sostanzialmente nel sacramento stesso dell'Eucaristia". [5]Nella Santa Eucaristia, incontriamo la presenza reale di nostro Signore per la nostra guarigione e forza. Innalzando i nostri cuori al Cuore di Gesù nel Sacrificio eucaristico, riceviamo in abbondanza il dono dell'amore di Dio per la cura di ogni fratello e sorella e del nostro mondo. Possano le ceneri che ora verranno imposte sulle nostre teste essere il segno della conversione dei nostri cuori al Sacro Cuore di Gesù, che intraprendiamo durante il tempo di Quaresima. Possano essere il segno della nostra comunione con il nostro Signore Gesù Cristo nel suo sacrificio eucaristico, con il quale giustamente iniziamo la nostra osservanza quaresimale. Possano essere il segno del dono della nostra vita, in Cristo e con Cristo, nell'amore puro e disinteressato di Dio e del prossimo. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Raymond Leo Cardinal Burke [1] Gioele 2, 13. [2] Zacc 12, 10. [3] "Ces soddisfazioni, si adoucies aujourd'hui per l'indulgence de l'Église, étant offertes à Dieu avec celles du Rédempteur lui-même, et fécondées par cette communauté qui réunit en un faisceau de propitiation les saintes œuvres de tous les membres de l'Église militante, purifieront nos âmes et les rendront dignes de participer aux joies si pures de la Pâque. Ne soyons donc pas tristes de ce que nous jeûnons; soyons-le seulement d'avoir, par le péché, rendu notre jeûne nécessaire. " Prosper Guéranger, L'Année liturgique , Le Temps de la Septuagésime, 17 ème éd. (Tour: Maison Alfred Mame et Fils, 1924), p. 254. Traduzione inglese: Prosper Guéranger, The Liturgical Year, Septuagesima, tr. Laurence Shepherd (Fitzwilliam, NH: Loreto Publications, 2000), p. 215. [4] 2 Cor 6, 1. [5] "… bonum commune spirituale totius Ecclesiae continetur substantiter in ipso Eucharistiae sacramento." Summa Theologiae , III, q. 65, art. 3, ad 1. Traduzione inglese: San Tommaso d'Aquino, Summa Theologica , vol. 4, Tr. Padri della provincia dominicana inglese (Westminster, MD: Christian Classics, 1981), p. 2372.
  4. Forse il termine migliore per descrivere lo stato attuale della Chiesa è confusione, confusione che spesso rasenta l’errore, confusione che sembra voler mettere alla prova il limite tra il vero e il falso in quanto attiene alla fede e alla morale. La confusione non è limitata all’una o all’altra dottrina o disciplina o aspetto della vita della Chiesa, ma, piuttosto, è pervasiva. In fondo, sembra esserci una confusione sull’identità stessa della Chiesa. Perché è importante studiare la confusione che segna così profondamente lo stato attuale della Chiesa? La confusione ha la sua origine in un mancato rispetto della Verità, o nella negazione della Verità o nella finzione di non conoscere la Verità o nell’incapacità di dichiarare la Verità che si conosce. Nel suo confronto con gli scribi e i farisei in occasione della Festa dei Tabernacoli, Nostro Signore ha parlato chiaramente di coloro che promuovono la confusione, rifiutando di riconoscere la verità e di dire la verità. La confusione è opera del Maligno, come insegnò Nostro Signore stesso, quando pronunciò queste parole agli scribi e ai farisei: Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio[1]. La cultura delle bugie e la confusione che esse generano non ha assolutamente nulla a che fare con Cristo e con la Sua Sposa, la Chiesa. Ricordate l’ammonimento di Nostro Signore nel Discorso della Montagna: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”[2]. Perché è importante per noi riflettere sullo stato attuale della Chiesa, segnato com’è da tanta confusione? Ciascuno di noi, in quanto membri viventi del Corpo Mistico di Cristo, è chiamato a combattere la buona battaglia contro il Male e il Maligno, e a seguire la strada del Bene, la strada di Dio, con Cristo. Ciascuno di noi, secondo la nostra vocazione di vita e i nostri doni particolari, ha l’obbligo di dissipare la confusione e di manifestare la luce che viene solo da Cristo, vivo per noi nella Tradizione vivente della Chiesa. Non dovrebbe sorprendere che, nello stato attuale della Chiesa, coloro che si attengono alla verità, che sono fedeli alla Tradizione, siano etichettati come rigidi e tradizionalisti perché si oppongono all’agenda prevalente della confusione. Sono descritti dagli autori della cultura della menzogna e della confusione come persone povere e carenti, malate bisognose di cure. In realtà, se tali etichette significano che aderiamo alla Sacra Tradizione e siamo pronti a lottare per essa, allora dovremmo essere orgogliosi di essere così etichettati, anche se il fatto delle divisioni che manifestano ci rende profondamente tristi. Alla fine, vogliamo solo una cosa, cioè poter dichiarare, come dichiarò San Paolo alla fine dei suoi giorni terreni: Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione[3]. Non resistiamo alle bugie e alla confusione perché siamo agguerriti. È per l’amore di Nostro Signore e della Sua presenza viva con noi nella Chiesa che combattiamo per la verità e per la luce che porta sempre nella nostra vita. Oltre al dovere di combattere le bugie e la confusione nella nostra vita quotidiana, come membra vive del Corpo di Cristo, abbiamo il dovere di far conoscere le nostre preoccupazioni per la Chiesa ai nostri pastori: il Romano Pontefice, i Vescovi e i sacerdoti che sono i principali collaboratori dei Vescovi nel pascere il gregge di Dio. Uno dei primi canoni del Titolo I, “Gli obblighi e i diritti di tutti i fedeli”, del Libro II, “Il popolo di Dio”, del Codice di diritto canonico recita: CAN. 212 §1. I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa. §2. I fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri. §3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone[4]. Le fonti del can. 212, novità del Codice di Diritto Canonico, sono gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, in particolare il n. 37 della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, e il n. 6 del Decreto sull’apostolato dei laici, Apostolicam Actuositatem. L’efficace comunicazione tra coloro che esercitano l’ufficio pastorale ed i fedeli laici che svolgono l’apostolato della santificazione del mondo in tutte le sue dimensioni mira sia alla cura spirituale dei fedeli laici, affinché possano fronteggiare le sfide dell’apostolato, sia al bene della Chiesa stessa, a cui i fedeli laici sono giustamente chiamati a dare il loro contributo. Come sottolinea la legislazione canonica, in fedeltà all’insegnamento della Chiesa nei documenti appena citati, i fedeli laici sono chiamati a far conoscere le loro preoccupazioni per il bene della Chiesa, anche rendendo pubbliche queste preoccupazioni, sempre nel rispetto dell’ufficio pastorale così come costituito da Cristo nel fondare la Chiesa durante tutto il suo ministero pubblico, soprattutto attraverso la sua Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione e invio dello Spirito Santo a Pentecoste. In effetti, gli interventi dei fedeli laici con i loro pastori per la crescita della Chiesa non solo non sminuiscono il rispetto per l’ufficio pastorale ma, di fatto, lo confermano. Il numero 37 di Lumen Gentium conclude: Da questi familiari rapporti tra laici e pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti è fortificato nei laici il senso della loro responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e più giustamente sia in materia spirituale che temporale; così che tutta la chiesa, sostenuta da tutti i suoi membri, possa compiere con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo[5]. Purtroppo, oggi, tra alcuni nella Chiesa, la legittima espressione di preoccupazione per la missione della Chiesa nel mondo, da parte dei fedeli laici, è giudicata priva di rispetto per l’ufficio pastorale. Ciò che occorre è l’accettazione rispettosa delle espressioni di preoccupazione e una risposta tempestiva, in accordo con la fede e con la ragione. Il Decreto sull’Apostolato dei Laici, infatti, ci ricorda l’importanza cruciale di tali scambi tra pastori e fedeli laici in un momento in cui la cultura è totalmente secolarizzata e spesso ostile alla Chiesa e alla sua missione. Dichiara: Siccome in questo nostro tempo sorgono nuovi problemi e si diffondono gravissimi errori che cercano di distruggere dalle fondamenta la religione, l’ordine morale e la stessa società umana, questo Sacro Concilio esorta vivamente i laici, perché, secondo le doti di ingegno e la dottrina di ciascuno, seguendo il pensiero della Chiesa, adempiano con più diligenza la parte loro spettante nell’enucleare, difendere e rettamente applicare i principi cristiani ai problemi attuali[6]. La già formidabile sfida presentata da una secolarizzazione sempre crescente e più aggressiva è resa ancora più formidabile da diversi decenni di mancanza di una sana catechesi nella Chiesa. Soprattutto, nel nostro tempo, i fedeli laici guardano ai loro pastori affinché espongano chiaramente i principi cristiani e la loro fondazione nella tradizione della fede così come è stata tramandata nella Chiesa in una linea ininterrotta. Vediamo ora due delle manifestazioni più allarmanti dell’attuale cultura della menzogna e della confusione nella Chiesa, che tutti siamo chiamati ad affrontare. La prima manifestazione che tratto è la confusione sulla natura stessa della Chiesa e sul suo rapporto con il mondo. Oggi sentiamo sempre di più che tutti gli uomini sono figli di Dio e che i cattolici dovrebbero relazionarsi con persone di altre religioni e di nessuna religione come figli di Dio. Questa è una menzogna fondamentale e fonte della più grave confusione. Tutti gli uomini sono creati a immagine e somiglianza di Dio, ma, dalla caduta dei nostri Progenitori, con la conseguente eredità del peccato originale, gli uomini possono solo diventare figli di Dio in Gesù Cristo, Dio Figlio, che Dio Padre ha mandato nel mondo, affinché gli uomini potessero tornare a diventare suoi figli e figlie attraverso la fede e il Battesimo. È solo attraverso il Sacramento del Battesimo che diventiamo figli di Dio, figli e figlie adottivi di Dio nel Suo unigenito Figlio. Nei nostri rapporti con persone di altre religioni e di nessuna religione, dobbiamo mostrare loro il rispetto dovuto a coloro che sono creati ad immagine e somiglianza di Dio ma, allo stesso tempo, dobbiamo dare testimonianza della verità del peccato originale e della giustificazione attraverso il Battesimo. Altrimenti, la missione di Cristo, la Sua Incarnazione redentrice e la continuazione della Sua missione nella Chiesa non hanno senso. Non è vero che Dio vuole una pluralità di religioni. Ha mandato il Suo unigenito Figlio nel mondo per salvare il mondo. Gesù Cristo, Dio Figlio Incarnato, è l’unico Salvatore del mondo. Nelle nostre interazioni con gli altri, dobbiamo sempre dare testimonianza della verità su Cristo e sulla Chiesa, affinché coloro che seguono un’altra religione o non hanno religione possano ricevere il dono della fede e cercare il Sacramento del Battesimo. Una seconda area della cultura delle bugie e della confusione ha a che fare con la Regalità di Cristo. Dio Padre ha costituito Cristo come Re del Cielo e della terra. Dal suo glorioso Cuore trafitto, Cristo riversa la grazia della verità e dell’amore divini, affinché i nostri cuori siano purificati e infiammati per portare la sua verità e il suo amore al mondo. È Cristo, vivo nella sua Chiesa, che ci permette di vivere nel mondo in modo giusto e amorevole. Oggi si sente spesso affermare che la Chiesa deve seguire ciò che dichiara lo Stato o ciò che dichiara la scienza, come se non avesse nulla da dire sulle situazioni in cui si trova l’uomo. Stiamo assistendo tragicamente agli effetti di questa menzogna e di questa confusione nella risposta della Chiesa al virus di Wuhan, che ha lasciato molti fedeli senza il ministero dei suoi sacerdoti e la grazia dei Sacramenti in un momento di intensa sofferenza e di fronte alla morte stessa. Ne siamo testimoni anche nella risposta alle questioni ambientali e alle questioni di giustizia sociale, come ad esempio l’accoglienza degli immigrati, senza riferimento al costante insegnamento della Chiesa. Oggi, alcuni nella Chiesa danno l’impressione che la dottrina e la disciplina perenne della Chiesa non abbiano nulla a che fare con una risposta cristiana alle sfide del tempo. Di conseguenza, il pensiero politico e il pensiero scientifico non sono inseriti nel pieno contesto della verità e dell’amore divini, che corregge ed eleva tale pensiero, in modo che possa veramente servire il bene dell’uomo e della società. Papa Benedetto XVI ha affrontato il giusto rapporto tra fede e politica nel suo discorso ai rappresentanti della società britannica alla Westminster Hall il 17 settembre 2010. Ha dichiarato: La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un processo che funziona nel doppio senso. Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede origine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà[7]. Ciò che è centrale nell’incontro effettivo della Chiesa con il mondo è la fedeltà a Cristo Re, che solo può garantire l’integrità della ragione e della fede. A volte, oggi, l’approccio della Chiesa è avvicinarsi al mondo, anche molto vicino al mondo, senza rendere chiara la propria missione salvifica in Cristo. In una tale situazione, la verità sia della ragione sia della fede viene tradita perché la grazia purificatrice ed elevante che Cristo porta sempre in ogni situazione è assente nelle parti che dialogano. Va sempre ricordato che l’ispirazione e il fine del dialogo è l’arrivo alla verità, che sola può servire al bene della Chiesa e del mondo. Per chiarire le falsità e la confusione riguardo alla Regalità di Cristo, sarà utile rivolgersi all’insegnamento di Papa Pio XI sulla Regalità di Cristo. Papa Pio XI, nell’Enciclica Quas Primas, nel fissare “La festa di nostro Signore Gesù Cristo re, stabilendo che sia celebrata [ogni anno] in tutte le parti della terra”[8] constatò: E non occorre, venerabili fratelli, che vi esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la solennità di Cristo re distinta dalle altre feste, nelle quali sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa medesima dignità regale. Basta infatti avvertire che mentre l’oggetto materiale delle attuali feste di nostro Signore è Cristo medesimo, l’oggetto formale, però, in esse si distingue del tutto dal nome della potestà regale di Cristo. La ragione, poi, per cui volemmo stabilire questa festa in giorno di domenica è perché non solo il clero con la celebrazione della messa e la recita del divino Ufficio, ma anche il popolo, libero dalle consuete occupazioni, rendesse a Cristo esimia testimonianza della sua obbedienza e della sua devozione…Pertanto questo sia il vostro ufficio, venerabili fratelli, questo il vostro compito di far sì che si premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni stabiliti, in ogni parrocchia un corso di predicazione, in modo che i fedeli, ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita che sia veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e fedeli del Re divino[9]. L’osservanza liturgica della Festa della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo dà la grazia di un’obbedienza più perfetta a Lui, che è il solo nostro Salvatore, a Lui che solo è “la via, la verità e la vita”[10]. Papa Pio XI ha espresso la grande realtà della Regalità di Cristo così come è sempre stata intesa nella Chiesa. Ha dichiarato: Da gran tempo si è usato comunemente chiamare Cristo con l’appellativo di re per il sommo grado di eccellenza che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che egli regna “nelle menti degli uomini” non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché egli è Verità, ed à necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da lui la verità; similmente “nelle volontà degli uomini”, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto “re dei cuori” per quella sua “carità che sorpassa ogni comprensione umana” (Ef 3,19) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo-uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di re; infatti soltanto in quanto è uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre “la potestà e l’onore e il regno” (Dn 7,13-14), perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero[11]. La comprensione della Regalità di Cristo è intimamente legata alla comprensione del Suo Sacratissimo Cuore. Il tempo non consente una trattazione più lunga del rapporto tra la Regalità di Cristo e il suo Sacro Cuore. Basti pensare che, in virtù dell’unione consustanziale del Cuore di Gesù – umano e divino – con il Cuore divino del Padre, Egli regna su tutti i cuori. Purifica e santifica tutti i cuori con l’effusione dello Spirito Santo dal Suo glorioso Cuore trafitto. La Regalità di Cristo è, per natura, universale, cioè si estende a tutti gli uomini, al mondo intero. Non è una regalità solo sui fedeli o solo sulle cose della Chiesa, ma su tutti gli uomini e su tutti i loro affari. La regalità è esercitata dal Cuore di Cristo nei cuori umani. Non pretende di governare direttamente il mondo, ma di governarlo attraverso l’uomo, l’amministratore del mondo. Papa Pio XI, citando Papa Leone XIII, dichiarò: D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto sottostà al suo arbitrio. Tuttavia, finché fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane, così permise e permette che i possessori debitamente se ne servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: “Non toglie il trono terreno colui che dona il regno eterno dei cieli”. Pertanto il dominio del nostro Redentore abbraccia tutti gli uomini, come affermano queste parole del Nostro predecessore di immortale memoria Leone XIII, che Noi qui facciamo Nostre: “L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla chiesa, sebbene le errate opinioni li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi de fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”. Ne v’è differenza fra gli individui e la società domestica e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quanto lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salvezza privata e pubblica: “In nessun altro c’è salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale possiamo essere salvati” (At 4,12), è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli cittadini sia per gli stati: “Poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, in quanto la società non è altro che una concorde moltitudine di uomini”[12]. I cristiani, che non pretendono di governare lo stato civile per mezzo della Chiesa, sono, allo stesso tempo, chiamati a dare un’eroica testimonianza pubblica della verità della legge morale, della legge di Dio. Così, la Regalità di Cristo è esercitata dai cuori insieme con il suo Cuore Reale. Papa Pio XI fa riferimento alla Lettera Enciclica Annum Sacrum di Papa Leone XIII con la quale Papa Leone consacrò tutta l’umanità al Sacro Cuore di Gesù. Nell’Annum Sacrum, Papa Leone, riferendosi al potere sovrano e assoluto di Cristo, ha dichiarato: Di fatto egli esercitò questo suo proprio e individuale diritto quando ordinò agli apostoli di predicare la sua dottrina, di radunare, per mezzo del battesimo, tutti gli uomini nell’unico corpo della chiesa, e di imporre delle leggi, alle quali nessuno può sottrarsi senza mettere in pericolo la propria salvezza eterna[13]. Cristo esercita la sua Regalità attraverso la grazia dello Spirito Santo che riversa instancabilmente e infallibilmente nei cuori dei suoi fedeli che sono Suoi collaboratori nella missione della salvezza del mondo. Sono gli amministratori del Suo diritto divino in virtù della Sua grazia che dimora nei loro cuori. Qui, è importante notare che la Regalità di Cristo sui cuori umani precede qualsiasi stato o governo. Lo Stato o il governo, infatti, deve prima di tutto rispettare la libertà di religione, la libertà dell’uomo nel suo rapporto con Dio, che ha la sua espressione più fondamentale nella libertà di coscienza. Uno Stato o una nazione sani faranno tesoro, in modo particolare, della pratica della religione cristiana come essenziale per il giusto ordine delle famiglie e della società in generale. Allo stesso modo, i diritti fondamentali dell’uomo nella società – e non sto parlando del numero sempre crescente di cosiddetti diritti inventati per promuovere la secolarizzazione di tutta la vita – sono anteriori allo Stato, hanno il loro fondamento nell’analogia dell’essere, nella partecipazione dell’uomo all’Essere di Dio, alla sua Verità, Bellezza e Bontà. Papa Leone XIII ha chiarito che la famiglia è una “…società piccola ma vera e anteriore a ogni civile società; perciò con diritti e obblighi indipendenti dallo stato”[14]. Tali diritti e doveri sono inerenti alla natura dell’uomo, maschio e femmina, che conduce il singolo uomo e la singola donna al matrimonio e al suo frutto, la famiglia. La Regalità di Cristo in casa libera i membri della famiglia e la famiglia come società per godere di quei diritti e adempiere a quei doveri, in accordo con la volontà di Dio. La natura essenzialmente sociale della Regalità di Cristo è evidente. L’anima individuale esiste sempre in relazione con Dio e con gli altri, a partire dalla famiglia e si estende allo stato o alla nazione e al mondo. L’obbedienza del cuore umano al Cuore di Cristo pone l’individuo non solo in un giusto rapporto con Dio, ma anche con tutti gli uomini che Egli desidera salvare, per i quali il Cuore di Cristo non cessa mai di battere con incommensurabile e incessante amore. Quando riflettiamo sulla ribellione contro il buon ordine e la pace con cui Dio dota ogni cuore umano, specialmente attraverso la coscienza, guidando il mondo e persino la Chiesa in una sempre maggiore confusione, divisione, distruzione degli altri e di se stessi, comprendiamo, come Papa Pio XI comprese, l’importanza della nostra adorazione di Cristo sotto il suo titolo di Re del Cielo e della Terra. Tale adorazione non è una forma di ideologia. Non è l’adorazione di un’idea o di un ideale. È la comunione con Cristo Re, specialmente attraverso la Santissima Eucaristia, mediante la quale la nostra missione regale in Lui viene compresa, abbracciata e vissuta. È la realtà in cui siamo chiamati a vivere, la realtà dell’obbedienza alla Legge di Dio scritta nei nostri cuori e nella natura stessa di tutte le cose. È la realtà a cui la nostra coscienza ci chiama immancabilmente a conformare il nostro essere e secondo la quale giudica anche i nostri pensieri, parole e azioni. È la realtà della nostra dignità in Cristo e dell’alta missione insita in quella dignità. È la realtà di tutte le cose, del nostro mondo, di ogni ordine politico, che ci viene comandato con forza di rispettare e osservare, per cui siamo dotati della grazia di trasformare non solo le nostre vite individuali e le nostre famiglie, ma tutta la società. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel trattare del “dovere sociale della religione e il diritto alla libertà religiosa”, ci insegna: Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l’uomo individualmente e socialmente. È «la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo». Evangelizzando senza posa gli uomini, la Chiesa si adopera affinché essi possano «informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità» in cui vivono. Il dovere sociale dei cristiani è di rispettare e risvegliare in ogni uomo l’amore del vero e del bene. Richiede loro di far conoscere il culto dell’unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica ed apostolica. I cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo. La Chiesa in tal modo manifesta la regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane[15]. L’unico modo in cui possiamo avvicinarci al mondo, nella verità e nell’amore, è servirlo servendo Cristo Re con obbedienza nel Suo regno su tutti i cuori umani dal Suo glorioso Sacro Cuore trafitto. Ci sono molte altre aree in cui menzogna e confusione affliggono la vita della Chiesa nel nostro tempo. Spero che questi due esempi che ho sviluppato abbastanza estesamente non solo siano utili per correggere falsi pensieri e approcci, che generano confusione e divisione all’interno della Chiesa. Spero inoltre che siano una fonte di incoraggiamento per tutti noi nell’affrontare le grandi preoccupazioni per la Chiesa nel tempo presente. Abbiamo nel magistero della Chiesa gli aiuti di cui abbiamo bisogno, ciascuno secondo la nostra vocazione e doni particolari, per affrontare responsabilmente le menzogne e le conseguenti falsità. Ciò che è importante è che attingiamo al magistero che ci espone l’immutabile verità tramandataci nella Chiesa attraverso la Tradizione apostolica. Grazie per l’attenzione. Che Dio benedica voi e le vostre case. Raymond Leo Cardinal BURKE NOTE [1] Gv 8, 43-47 [2] Mt 5, 37. [3] 2 Tm 4, 6-8. [4] “CAN. 212 – §1. Quae sacri Pastores, utpote Christum repraesentantes, tamquam fidei magistri declarant aut tamquam Ecclesiae rectores statuunt, christifideles, propriae responsabilitatis conscii, christiana oboedientia prosequi tenentur. §2. Christifidelibus integrum est, ut necessitates suas, praesertim spirituales, suaque optata Ecclesiae Pastoribus patefaciant. §3. Pro scientia, competentia et praestantia quibus pollent, ipsis ius est, immo et aliquando officium, ut sententiam suam de his quae ad bonum Ecclesiae pertinent sacris Pastoribus manifestent eamque, salva fide morumque integritate ac reverentia erga Pastores, attentisque communi utilitate et personarum dignitate, ceteris christifidelibus notam faciant.” Codex Iuris Canonici auctoritate Ioannis Pauli II promulgatus [CIC-1983]. Traduzione italiana: Codice di Diritto Canonico Commentato, a cura della Redazione di Quaderni di Diritto Ecclesiale (Milano: Ancora, 2019), pp. 233-234. [5] “Ex hoc familiari commercio inter laicos et Pastores permulta bona Ecclesiae exspectanda sunt: ita enim in laicis roboratur propriae responsabilitatis sensus. Hi vero, laicorum experiential adiuti, tam in rebus spiritualibus quam in temporalibus, distinctius et aptius iudicare valent, ita ut tota Ecclesiae, ab omnibus membris suis roborata, suam pro mundi vita missionem efficacius compleat.” Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, “Constitutio Dogmatica de Ecclesia, «Lumen gentium»,” 21 Novembris 1964, Acta Apostolicae Sedis 57 (1965), p. 43, n. 37. Traduzione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 1 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1981), pp. 202-205, n. 385. [6] “Cum autem hac nostra aetate novae quaestiones oriantur, et gravissimi grassentur errores qui religonem, ordinem moralem et ispam societatem humanam funditus evertere nituntur, haec Sancta Synodus ex corde hortatur ut laicos, iuxta cuiusque ingenii dotes et doctrinam, ut secundum mentem Ecclesiae, suas diligentius expleant partes in principiis christianis enucleandis, defendendis et rite applicandis ad problemata huius aetatis.” Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, “Decretum de Apostolatu Laicorum, «Apostolicam actuositatem»,” 18 Novembris 1965, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966), p. 843, n. 6. Traduzione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 1 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1981), pp. 530-533, n. 936. [7] “The central question at issue, then, is this: where is the ethical foundation for political choices to be found? The Catholic tradition maintains that the objective norms governing right action are accessible to reason, prescinding from the content of revelation. According to this understanding, the role of religion in political debate is not so much to supply these norms, as if they could not be known by non-believers – still less to propose concrete political solutions, which would lie altogether outside the competence of religion – but rather to help purify and shed light upon the application of reason to the discovery of objective moral principles. This “corrective” role of religion vis-à-vis reason is not always welcomed, though, partly because distorted forms of religion, such as sectarianism and fundamentalism, can be seen to create serious social problems themselves. And in their turn, these distortions of religion arise when insufficient attention is given to the purifying and structuring role of reason within religion. It is a two-way process. Without the corrective supplied by religion, though, reason too can fall prey to distortions, as when it is manipulated by ideology, or applied in a partial way that fails to take full account of the dignity of the human person. Such misuse of reason, after all, was what gave rise to the slave trade in the first place and to many other social evils, not least the totalitarian ideologies of the twentieth century. This is why I would suggest that the world of reason and the world of faith – the world of secular rationality and the world of religious belief – need one another and should not be afraid to enter into a profound and ongoing dialogue, for the good of our civilization”. Benedictus PP. XVI, “Allocutiones: V, Iter Apostolicum Summi Pontificis in Regnum Unitum: Londinii in Aula Vestmonasteriensi colloquium Benedicti XVI cum primoribus Societatis Civilis; cum doctis vivis culturae, scientiis et operum conductioni deditis; cum Corpore Legatorum et Religiosis Auctoritatibus,” 17 Septembris 2010, Acta Apostolicae Sedis 102 (2010) 636-637.Traduzione italiana: http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20100917_societa-civile.html. [8] “… festum D. N. Iesu Christi Regis …, quotannis, ubique terrarum agendum.” Pius PP. XI, Litterae Encyclicae Quas primas, “De Festo Domini Nostri Iesu Christi Regis constituendo,” 11 Decembris 1925, Acta Apostolicae Sedis, 17 (1925) 607. [QP]. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 5 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1999), p. 189, n. 158. [9] “Neque est cur vos, Venerabiles Fratres, diu multumque doceamus, qua de causa festum Christi Regis ab reliquis illis distinctum agi decreverimus, in quibus quaedam inesset regiae ipsius dignitatis et significatio et celebratio. Unum enim animadvertere sufficit, quod, quamquam in omnibus Domini nostri festis materiale obiectum, ut aiunt, Christus est, obiectum tamen formale a regia Christi potestate ac nomine omnino secernitur. In diem vero dominicum idcirco indiximus, ut divino Regi non modo clerus litando ac psallendo officia praestaret sua, sed etiam populus, ab usitatis occupationibus vacuus, in spiritu sanctae laetitiae, obedientiae servitutisque suae praaeclarum Christo testimonium daret…. Itaque hoc vestrum, Venerabiles Fratres, esto munus, vestrae hae partes sunto, ut annuae celebritati praemittendas curetis, statis diebus, ad populum e singulis paroeciis contiones, quibus is de rei natura, significatione et momento accurate monitus atque eruditus, sic vitam instituat ac componat, ut iis digna sit, qui divini Regis imperio fideliter studioseque obsequuntur.” QP, 608. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 5 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1999), pp. 189-191, n. 159. [10] Gv 14,6. [11] “Ut translata verbi significatione rex appellaretur Christus ob summum excellentiae gradum, quo inter omnes res creatas praestat atque eminet, iam diu communiterque usu venit. Ita enim fit, ut regnare is in mentibus hominum dicatur non tam ob mentis aciem scientiaeque suae amplitudinem, quam quod ipse est Veritas, et veritatem ab eo mortales haurire atque obedienter accipere necesse est; in voluntatibus item hominum, quia non modo sanctitati in eo voluntatis divinae perfecta prorsus respondet humanae integritas atque obtemperatio, sed etiam liberae voluntati nostrae id permotione instinctuque suo subiicit, unde ad nobilissima quaeque exardescamus. Cordium denique rex Christus agnoscitur ob eius supereminentem scientiae caritatem et manusuetudinem benignitatemque animos allicientem: nec enim quemquam usque adeo ab universitate gentium, ut Christum Iesum, aut amari aliquando contigit aut amatum iri in posterum continget. Verum, ut rem pressius ingrediamur, nemo non videt, nomen potestatemque regis, propria quidem verbi significatione, Christo homini vindicari oportere; nam, nisi quatenus homo est, a Patre potestatem et honorem et regnum accepisse dici nequit, quandoquidem Dei Verbum, cui eadem est cum Patre substantia, non potest omnia cum Patre non habere communia, proptereaque ipsum in res creatas universas summum atque absolutissimum imperium.” QP, 595-596. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 5 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1999), pp. 162-165, n. 144. [12] “Turpiter, ceteroquin, erret, qui a Christo homine rerum civilium quarumlibet imperium abiudicet, cum is a Patre ius in res creatas absolutissimum sic obtineat, ut omnia in suo arbitrio sint posita. At tamen, quoad in terris vitam traduxit, ab eiusmodi dominatu exercendo se prorsus abstinuit, atque, ut humanarum rerum possessionem procurationemque olim contempsit, ita eas possessoribus et tum permisit et hodie permittit. In quo perbelle illud: Non eripit mortalia, qui regna dat caelestia. Itaque principatus Redemptoris nostri universos complectitur homines; quam ad rem verba immortalis memoriae decessoris Nostri Leonis XIII Nostra libenter facimus: «Videlicet imperium eius non est tantummodo in gentes catholici nominis, aut in eos solum, qui, sacro baptismate abluti, utique ad Ecclesiam, si spectetur ius, pertinent, quamvis vel error opinionum devios agat, vel dissensio a caritate seiungat; sed complectitur etiam quotquot numerantur christianae fidei expertes, ita ut verissime in potestate Iesus Christi sit universitas generis humani». Nec quicquam inter singulos hac in re et convictiones domesticas civilesque interest, quia homines societate coniuncti nihilo sunt minus in potestate Christi quam singuli. Idem profecto fons privatae ac communis salutis: Et non est in alio aliquo salus, nec aliud nomen est sub caelo datum hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri; idem et singulis civilibus et rei publicae prosperitatis auctor germanaeque beatitatis: Non enim aliunde beata civitas, aliunde homo; cum aliud civitas non sit, quam concors hominum multitudo.” QP, 600-601. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 5 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1999), pp. 172-175, n. 150. [13] “Re autem vera ius istud evulgare doctrinam suam, congregare homines in unum corpus Ecclesiae per lavacrum salutis, leges denique imponere, quas recusare sine salutis sempiternae discrimine nemo posset.” Leo PP. XIII, Litterae Encyclicae Annum Sacrum, “De hominibus Sacratissimo Cordi Iesu devovendis,” 25 Maii 1899, Acta Sanctae Sedis, XXXI, 648. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 3 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 2008), pp. 1132-1133, n. 1427. [14] “… vera societas, eademque omni civitate antiquior; cui propterea quaedam iura officiaque esse necesse est, quae minime pendeant a republica.” Leo PP. XIII, Litterae Encyclicae Rerum Novarum, “De condicione opificum,” 15 Maii 1891, Acta Sanctae Sedis, XXIII, 645. Traduzione italiana: Enchiridion delle Encicliche, vol. 3 (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 2008), pp. 610-611, n. 880. [15] “Officium Deo cultum authenticum tribuendi hominem individualiter et socialiter respicit. Hoc constituit «traditionalem doctrinam catholicam de morali hominum ac societatum officio erga veram religionem et unicam Christi Ecclesiam». Ecclesia, homines incessanter evangelizans, laborat ut ipsi possint informare «mentem et mores, leges et structuras communitatis», in qua vivunt. Christianorum sociale officium est in unoquoque homine observare et suscitare amorem veri et boni. Ab illis petit ut cognoscendum praebeant cultum unicae verae religionis quae in catholica et apostolica Ecclesia subsistit. Christiani vocantur ut lux mundi efficiantur. Sic Ecclesia regalitatem manifestat Christ super totam creationem et speciatim super humanas societates.” Catechismus Catholicae Ecclesiae (Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1997), pp. 545-546, n. 2105. Traduzione italiana: Catechismo della Chiesa Cattolica (Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2017), pp. 569-570, n. 2105.
  5. Del Prof. Mario Mascia. Il tempo in cui la Chiesa vive la sua crisi richiama la dinamica di una involuzione morale che attraversa la società e l’evanescenza dei caratteri della missione della Chiesa che ha smarrito la capacità autorevole della comunicazione educativa e formativa. La lettura di questa involuzione nella storia consente di svelare il vuoto dei valori alla base di una comunità orientata alla costante ricerca della Verità nella vita cristiana. Nello smarrimento dei valori spirituali risiede la crisi di una umanità incapace di riconoscere la propria identità che le generazioni passate hanno impresso nella cultura. I segni del vuoto dei valori è visibile in una mentalità che infrange le leggi del diritto naturale in nome di falsi diritti propugnati da una ideologia relativistica sotto forma di un permissivismo che supera i limiti della dignità della persona. I detentori del potere mediatico assoggettati dalle Lobby finanziarie ed economiche perpetrano capillarmente stereotipi comportamentali materialistici ispirati a un nuovo umanesimo globalista. La storia riporta progetti di nuovi umanesimi con esiti nefasti con l’obiettivo di proporre una nuova concezione dell’uomo ignorando la vera natura umana. Il nuovo umanesimo con l’intento di creare un nuovo uomo stravolge la natura umana. Nel configurare i caratteri del “Nuovo Umanesimo” resta ineludibile riconoscere una ideologia che introduce l’uomo nel culto verso se stesso detronizzando Dio e propugnando come diritti: aborto, eutanasia, utero in affitto, immigrazionismo inglobati nel nuovo idolo umano superando ogni ostacolo morale. Sorge l’interrogativo se la Chiesa è segno di contraddizione in questo mondo. Il dubbio grava sulle gerarchie ecclesiastiche che in nome di una conversione modernista scientemente giustificano e promuovono una nuova ideologia. Qual è quindi la posizione della Chiesa? La risposta può essere già riportata nel messaggio di Papa Francesco all’ONU in occasione del 75.mo anniversario della sua fondazione. Il pontefice si esime dal denunciare le cause dalle quali artificialmente è scaturita l’epidemia covid 19. Ha fatto passare sotto silenzio il grave problema economico e sociale frutto di un rigorismo politico che ha negato i diritti di tutela nei confronti di categorie economiche ad essere indennizzate da una crisi senza precedenti, inoltre è mancato un richiamo alla dittatura sanitaria che ha colpito numerosi pazienti con gravi patologie ai quali è stata impedita la fruizione di una assistenza sanitaria adeguata e costante. Parafrasando le dichiarazioni di professor Stefano Fontana …. Il Papa cogliendo l’occasione sugli effetti dell’emergenza sanitaria avanza la richiesta della crescita di un multilateralismo condannando la chiusure nazionalistiche e qualunque sovranismo cause di dissidi, diffidenze e incomprensioni tra stati. Una maggiore collaborazione internazionale non si può contrapporre con una valorizzazione delle risposte adottate da ogni nazione, in difesa dal contagio non da ascriversi semplicemente come atto di egoismo politico. Cfr Stefano Fontana ….Editoriale “La nuova bussola quotidiana” 28/09/2020. Tali dichiarazioni tendono a suffragare gli obiettivi dei poteri finanziari, economici e politici che intendono instaurare un umanesimo globalista per omologare un pensiero unico, e i principi accreditati dai poteri delle multinazionali. Risulta pertanto ignorata la concezione di popolo e di nazione resa significativa nella socialità dell’individuo. Emerge inoltre una questione antropologica fondamentale: mentre nella visione cristiana la natura umana è immutabile in quella post-moderna la natura umana è mutabile per l’intervento della biotecnologia. Dalla critica del canoni assoluti metafisici, riguardante tra gli altri l’uomo, nasce nel pensiero post moderno l’indebolimento del concetto di uomo soggetto manipolabile grazie all’ingegneria genetica. L’uomo non è più definibile nella sua integrità biologica e spirituale perché è diventato un materiale biologico, di ricambio e geneticamente modificabile. Bisogna chiedersi come fece Primo Levi se quello condizionato dalla globalità e trasformato dalle biotecnologie sia un vero uomo. Emerge il punto debole della cultura del nuovo umanesimo che rappresenta l’uomo nel suo involucro esterno senza penetrare nella profondità dell’essenza dell’essere. A questo punto si contrappone il significato cristiano dell’uomo nella sua essenza spirituale come dipendente da Dio creatore a sua immagine. Nella concezione del neoumanesimo l’uomo si presenta assolutamente indipendente senza vincoli verso l’Entità superiore oltre ad essere concepito nella sua finitezza quale negazione di un destino eterno. La dignità umana dell’essere ha come fondamento la partecipazione della natura di Dio ((Ef 2,18; 2Pt 1,4). Inoltre L’antropologia cristiana dà un grande valore al corpo essendo l’uomo creato ad immagine di Dio. Il significato antropologico nella concezione dell’uomo è il nucleo centrale della dottrina sociale della Chiesa. Dovendo cogliere nell’uomo il valore di persona nella concezione cristiana si evince nei documenti del magistero e nella concezione del pensiero teologico e filosofico che l’uomo è persona in quanto possiede una natura razionale libera avendo l’inclinazione di autodeterminarsi e autorealizzarsi. Il magistero della Chiesa ha dato nel corso dei secoli una ricchezza di pronunciamenti sulla concezione dell’uomo sul piano teologico e filosofico formulando risposte univoche alla domanda di significato dell’essere uomo. Resta quindi la missione di annunciare la verità con fermezza e il sostegno della Fede senza naufragare nella tentazione di inseguire una cultura trasformista in senso antropologico e radicale. Mario Mascia
  6. Riportiamo di seguito una breve riflessione del Prof. Mascia sullo stato d'animo generato in moltissimi dalla situazione contingente. "Avvertiamo in questa contingenza di sofferenza sociale, causata dall’emergenza sanitaria ed economica, la necessità di una purificazione degli effetti di una sfrenata mentalità materialistica che concepisce l’uomo come un soggetto di richieste consumistiche. I limiti di questa concezione sono evidenti nel godimento effimero in quanto la frustrazione in questo periodo della scarsa disponibilità di risorse pone frequenti domande sui bisogni fondamentali dell’esistenza. La citazione di S. Matteo (4,4) “Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” ha un effetto dirompente nel presente senza disconoscere la necessità del “pane quotidiano” ma conferma l’essenzialità della Parola di Verità che appaga il bisogno profondo della pienezza dell’essere. L’uomo realizzato vive la pienezza del suo essere uomo come Cristo , il quale è vero Dio e vero uomo. L’uomo divinizzato è perfettamente realizzato nella sua umanità e nella sua spiritualità L’uomo essendo essere che viene da Dio se consente di appartenere a Dio vive nella pienezza dell’essere." Chi, oggi, si riconosce nella pienezza dell'essere di Cristo?
  7. Di seguito riportiamo la Catechesi di Don Nicola Bux sulla importanza della sanità del corpo comparata alla salvezza dell'anima. Le considerazioni fatte nel corso della meditazione, espongono un confronto impietoso tra i pesi che le persone, anche i cristiani, ritengono di dare ai due aspetti. Il video ed anche la trascrizione (grazie all'amico della Scuola Ecclesia Mater, Maurizio Vuittoni che ne ha trattato la edizione scritta). Buon ascolto e buona lettura. "Non dobbiamo dimenticare che tutti i beni mondani, materiali vanno poi paragonati al bene eterno cioè alla salvezza. Gesù ha detto una frase importante: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima?” Questo vuol dire che noi abbiamo un bene ben più grande a cui dobbiamo tenere, perché a questo mondo, prima o poi, moriremo e lasceremo la materialità nostra, il nostro corpo ma non l'anima, questo è il punto. Sapete, è come quando succede nei terremoti o negli incendi che tu sai di avere una cassaforte con un tesoro oppure hai messo, in un angolo della casa, qualcosa di prezioso e, allora, ti preoccupi, mentre vuoi salvare te, dici: “(Madonna) devo andare a recuperare quella cosa perché non si perda” Allora, noi abbiamo un tesoro che è la anima che riguarda la nostra vita eterna. Il nostro corpo finisce con la morte; questo dobbiamo, una buona volta, cominciare a rifletterci quindi la cura del corpo la salute del corpo, il bodybuilding eccetera sono tutte cose relative se noi poi perdiamo l’anima, se ce la danniamo. Questo non vuol dire che non dobbiamo tenere a tutte le altre cose, però dobbiamo sempre aver chiaro che tutto quello che facciamo e perseguiamo deve essere in rapporto alla Salvezza La nostra libertà é indebolita a causa del primo peccato, l'indebolimento è reso più acuto dai peccati successivi perché i peccati successivi aumentano la debolezza a partire dal primo, ma “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” dice San Paolo nella lettera ai Galati “Con la sua Grazia lo Spirito Santo ci conduce alla libertà spirituale per farci suoi liberi collaboratori nella Chiesa e nel mondo”. Ecco, questo, può riprende quello che ho detto prima, cioè la cooperazione della Grazia divina alla libertà dell’uomo. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Per esempio, in questo tempo di contagio, noi dobbiamo solo fissarci sulla questione del contagio, dobbiamo anche puntare su che cosa? Su Dio! Qui dobbiamo pregare più perché il Signore allontani da noi il contagio, dei nostri cari e da mondo. Dovremmo, allora, intensificare il ricorso a Dio non semplicemente starci a preoccupare quanti numeri di contagiati, quanti sono morti; questa è la malattia del mondo materialista cioè che ha eleminato Dio e, quindi, tutto crede che si risolva in questa maniera. Noi dovremmo, proprio perché siamo in pericolo, intensificare il ricorso al Signore. Voi immaginate quando, nei secoli scorsi, la medicina non era quella di oggi, e c'erano le pestilenze, che cosa faceva la Chiesa? Organizzava le processioni, organizzava le preghiere, le suppliche per ottenere dal Signore quello che non possiamo ottenere dagli uomini. Adesso invece che succede nella Chiesa? Che si chiudono le porte! Ho sentito gente anziana, che è sola, che mi ha detto che nei mesi scorsi, dopo quello che è accaduto, che si è ammalata di depressione perché diceva: “Io, prima, almeno andavo in chiesa; ero sola, arrivava una cert’ora e andavo chiesa e adesso hanno chiuso pure le chiese. Sono rimasta chiusa in casa giorno dopo giorno, mi sono intristita ancora di più e mi sono pure ammalata” Perché voi sapete il sistema immunitario ne risente quando tu sei depresso perché, siamo sempre lì, l’essere umano non è solo corpo, é anche anima, spirito, quindi le cose interagiscono tra di loro. Quindi come si può dire … oggi ho sentito Renato Zero che ha fatto un appello per gli artisti che, come sapete, non possono lavorare e ha detto: “Vorrei dire ai signori che hanno bloccato tutto che noi – ha avuto il coraggio di dire lui – che noi siamo come i medici dello spirito. Non basta solo il medico – lo ha detto Renato Zero ma io me lo sarei aspettato da un Cardinale - non potete chiudere le chiese perché le chiese sono le cliniche dello spirito”. L’ ha detto Renato Zero per gli artisti e io credo che l’arte sia così perché l'arte serve allo spirito; la bella musica, la bella arte (le chiese sono rivelate tutte brutte per cui la gente, quando va in chiesa non si ricrea neanche nello spirito). Allora vedete a che livello ci hanno ridotti, cioè a farci credere quasi che l'unica salute è quella medica; virologi, epidemiologi, infettivologi eccetera eccetera, che non si mettono manco d’ accordo fra di loro, naturalmente, che litigano perché, chiaramente, non c'è una certezza. Ogni tanto qualcuno ha il coraggio di dire: “Ma noi non lo conosciamo questo virus” Io una volta ho detto: “E’ un virus invisibile perché, ovviamente, non si vede a occhio nudo, a mala pena si vede al microscopio, bene, questo è il contrappasso perché avete detto che l’embrione dell'uomo è invisibile, non è ancora un essere umano, quindi si può fare l’aborto”. Questo è il contrappasso perché se solo quello che si vede esiste, questo virus non si vede ma esiste e si vedono i risultati. Vedete che contraddizione! Noi erriamo, erriamo. Quindi dobbiamo recuperare il rapporto tra libertà umana e ordine della Salvezza perché la Salvezza ha un ordine, come quando viene un terremoto o un incendio che devi scappare, che fai? Salvi te stesso non puoi manco prendere le borse, le tue cose. Qui c'è una cosa più importante nell'ordine della Salvezza, una gerarchia. Allora tu devi salvare l'anima, S.O.S., voi sapete che deriva da “Save our soul” cioè salvale le nostre anime. Una volta i preti erano chiamati curati - ancora lo dicono in alcuni paesi europei - ma perché? Perché il curato si cura delle anime, non delle mense delle questioni sociali e di tutte le chiacchiere di cui oggi i preti si riempiono la bocca e perdono tempo perché queste cose le possono fare benissimo altri in maniera, forse anche, più professionale. Noi siamo, dovremmo essere coloro che curano le anime perché le anime sono la parte più preziosa dell’uomo."
  8. A settembre del 2018 papa Francesco convocò in Vaticano i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo per un Summit dedicato agli abusi sessuali operati all’interno della Chiesa. L’incontro si svolse a febbraio del 2019. Nell’aprile di quell’anno il papa emerito Benedetto XVI decise di contribuire al dibattito pubblicando sul giornale tedesco Klerusblatt un testo destinato a far più rumore degli stessi interventi del vertice vaticano. I cosiddetti “Appunti” del papa Emerito furono accolti con stupore e con sorpresa ma generarono le reazioni scomposte di chi ha considerato l’intervento di Benedetto un affronto al Pontefice regnante e una intromissione nella Sua gestione (ed interpretazione) della crisi degli abusi sessuali. Reazioni stizzite e rabbiose quelle di coloro che avrebbero preferito un Emerito in religioso silenzio per il resto dei suoi anni. Eppure non sarebbe l’ultima volta che papa Benedetto avrebbe deciso di intervenire pubblicamente su un tema di fondamentale importanza contribuendo con le sue riflessioni al dibattito intra-ecclesiale: nel gennaio 2020 il suo testo sul celibato, pubblicato assieme al card. R. Sarah fuconsiderato da molti suoi nemici un “attentato” teologico al dibattito in corso durante il Sinodo dell’Amazzonia (conclusosi, da quel punto di vista, con un nulla di fatto).La sterile polemica sugli Appunti contribuì a derubricare i fatti come semplici bagarre clericali e ad far passare quasi inosservato un testo che merita ben altra considerazione. Il testo di Benedetto XVI resta un’acuta e profonda analisi dei motivi che stanno alla radice di quello che l’Autore definisce il progressivo “collasso morale” che ha coinvolto la società e la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Il nucleo degli Appunti è racchiuso nell’appello pressante per un ritorno a Dio, ad “anteporlo e non presupporlo”, perché Dio rischia ormai di scomparire dalla nostra società ma anche dalla teologia e dalla vita dei sacerdoti. Ritrovare col primato di Dio per rispondere alle sfide del permissivismo o della logica funzionalistica, che dopo la rivoluzione sessuale del 1968 ha investito l’Occidente. Un testo acuto e documentato, un appello impellente, frutto della riflessione di uno dei teologi più rappresentativi degli ultimi decenni, un sincero contributo di colui che per otto anni ricoprì il soglio di Pietro… eppure un testo che fino ad oggi non sembra aver meritato l’attenzione dei teologi né degli esperti di categoria.Ecco dunque la meritevole iniziativa dell’editore Cantagalli di offrirci un commento a più voci del testo del papa Emerito. Nel volume “Chiesa sotto accusa”, curato da Livio Melina e Tracey Rowland, sono raccolti (oltre al testo integrale degli Appunti) diversi saggi scritti da esperti di grande spessore teologico e culturale come il card. Ruini e i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma: Granados, Noriega, Pérez-Soba e Kampowski. Non poteva mancare il prezioso contributo di don Fortunato di Noto che da anni combatte sul campo la piaga della pedo pornografia. Mentre la professoressa Gabrielle Kuby, sociologa tedesca autrice dell’imperdibile “Rivoluzione Sessuale”, offre un’ulteriore analisi delle disastrose conseguenze del sessantotto anche all’interno della Chiesa Cattolica. Contribuiscono ad impreziosire l’opera i testi dei vescovi G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, R. Voderholzer, di H.-B. Gerl-Falkovitz, A. Diriart, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev e N. Bux*. Prefazione di Georg Gänswein. Saggi di: Card. C. Ruini, R. Voderholzer, G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, H.-B. Gerl-Falkovitz, J. Granados, J. Noriega, J.J. Pérez-Soba, A. Diriart, S. Kampowski, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev, N. Bux*, G. Kuby, F. Di Noto. *"Il dissenso sulla natura della liturgia"
  9. Nel contesto meraviglioso del Natale del Signore si inserisce la splendida figura di San Giuseppe. L’uomo giusto: Custode e marito esemplare della Vergine Maria. custode e padre adottivo del piccolo Gesù. La vocazione di San Giuseppe è unica e straordinaria, perché unico e straordinario fù l’Evento della nascita di Gesù! San Giuseppe ha saputo accogliere il progetto del Padre sulla sua vita con animo generoso. Non era facile ciò che il Signore gli chiedeva: – Essere sposo e custode di una donna straordinaria, Maria, l’Immacolata, rispettandone per sempre la sua “verginità” , vivendo nella perfetta castità ! Egli infatti fu un marito esemplare. – Accogliere un “bambino”, davvero “speciale”, Gesù, come suo vero figlio e guidarlo, da vero padre, verso la maturità. Egli infatti fu un educatore paziente , un padre amorevole. La vocazione di Giuseppe è narrata soprattutto dall’evangelista Matteo, il quale, con pochi e semplici brani, riassume la grandezza del “Custode della Sacra Famiglia”. Dal Vangelo di Matteo ( 1, 18- 19 ) "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.. . .Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.” Dal Vangelo di Matteo ( 2, 13- 14 ) “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. … Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea.” 1) San Giuseppe, l’uomo dei “sogni” ! ! ! Era allenato, Giuseppe, a fare attenzione al “soffio dello Spirito”, che lo interpellava. Egli si lasciava guidare dalla “voce” , per lui inconfondibile , dello Spirito che parlava al suo cuore e “gli rivelava” il progetto del Padre sulla sua vita. San Giuseppe ha saputo comprendere la sua vocazione, giorno per giorno, grazie alla docilità del suo cuore e della sua mente alla “Parola” di Dio. Sarebbe bello se i nostri giovani, oggi, avessero un cuore così docile, come lo fu quello di San Giuseppe e fossero guidati da sapienti educatori, all’ascolto della Parola del Signore, al “soffio dello Spirito” per saper discernere, anch’essi, la propria vocazione. 2) San Giuseppe ha accolto Gesù bambino come suo vero figlio e lo ha guidato, da vero padre, verso la maturità. Egli infatti fu un educatore paziente , un padre amorevole. Sarebbero bello se i nostri giovani, oggi, fossero educati e guidati pazientemente, lungo il difficile percorso della crescita umana e spirituale, da padri maturi, buoni ed accoglienti, rispettosi dei ritmi di crescita dei propri figli , desiderosi solo del loro vero bene, come sapienti educatori ! L’esemplarità della paternità di San Giuseppe , possa diventare modello per ogni padre di famiglia, perché sappia custodire, amare ed educare i propri figli ai valori più alti della vita. Ogni padre sappia soprattutto offrire ai propri figli un sano esempio di fede e di preghiera 3) San Giuseppe ha accolto il dono della paternità spirituale del piccolo Gesù. Egli è stato un padre esemplare e modello di ogni paternità. Anche i sacerdoti ed i vescovi, per mandato divino, hanno ricevuto il compito, o meglio il ministero, della paternità spirituale dei fedeli loro affidati. Sarebbe bello se essi, in forza del loro mandato e con la “grazia di stato” che li accompagna, si impegnassero a vivere pienamente la vocazione alla paternità spirituale! Siano padri sapienti, giusti, pazienti, amorevoli, veri !!! Siano padri, nell’amministrare i sacramenti , nell’ascolto sincero ed accogliente di tutti coloro che ad essi si rivolgono , per una guida spirituale, una formazione catechistica, un discernimento vocazionale. 4)San Giuseppe, inoltre, è considerato padre e custode della Chiesa!!! Il Santo Padre, Papa Francesco, illuminato dal suo esempio, sappia guidare e custodire la Chiesa, mantenendo fede al proprio alto mandato! -Sia fedele al compito che il Signore gli ha affidato, quello di guidare con fermezza ” la Barca di Pietro“ ( la Chiesa ) , nella tempesta del mondo ed “orientare”, con saggezza e serio discernimento, il Suo Timone ! ! ! –Rimanga sempre ancorato alla sana e vera dottrina cristiano-cattolica , fortemente contestata dalla nuova cultura relativistica ed atea, che pretende, in ogni parte del mondo, di “dettar legge ” persino alla Chiesa ! -Custodisca, difenda e confermi quei valori cristiani , che oggi definiremmo ” non negoziabili” , e li riproponga con forza al mondo , senza compromessi con la nuova mentalità culturale, che viene ad imporsi in maniera così confusa e ribelle! –Confermi i fratelli nella fede! Come disse Gesù a Simon Pietro, primo Papa:” Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». (Luca 22,31-34) San Giuseppe guida, proteggi e custodisci ogni uomo, così come facesti con Maria, la tua dolce sposa ed con il piccolo Gesù! Anna Maria De Matteis
  10. La musica sacra, almeno dal Vaticano II in poi, è stata ed è spesso oggetto e fonte di tensioni interne alla Chiesa a tutti i livelli. Ho vissuto questa realtà nella mia esperienza ormai quasi ventennale di musicista di chiesa, attraversando in prima persona il territorio impervio e accidentato, del quale non si possiede una mappa sufficientemente veritiera e dettagliata quale appare ancora oggi la musica sacra nella Chiesa Cattolica in Italia e nel mondo. In questa traversata Benedetto XVI si è rivelato senza dubbio una guida sicura, autorevole, ricca di esperienza e capace di guardare lontano e illuminare la strada, motivo per cui la trattazione in questo testo si basa sul suo pensiero, da cardinale, da papa e da papa emerito. Insieme a lui mi chiedo: non è sotto gli occhi di tutti la totale eterogenesi dei fini a cui si è andati incontro introducendo nella liturgia musica prettamente funzionale, spesso banale, semplice musica d’uso, usando la comprensibilità a tutti come unica categoria e mettendo alla porta la bellezza? La liturgia non è diventata più comprensibile, ma solo più povera, banale e noiosa; le chiese non si sono nuovamente riempite, ma inesorabilmente svuotate. La Prof.ssa Eleonora Casulli ne propone una disamina nel testo: "Senza Bellezza non possiamo vivere. La Musica Sacra secondo Benedetto XVI", con prefazione di Don Nicola Bux. Per maggiori informazioni sul libro: Whatsapp al +39 3803523294; e-mail a eleonora.casulli@libero.it
  11. La data della nascita di Gesù è veramente il 25 dicembre? Che cosa ci permettono di accertare le scienze storiche? La coordinata che ci offre l’evangelista Luca per stabilire l’anno della nascita di Gesù è l’editto di Cesare Augusto. Quando è avvenuto? Ovvero, in quale anno del calendario romano? Non possiamo, ovviamente qui addentrarci nei dettagli su questa vicenda… Ma, anche in questo caso, si deve notare che con troppa facilità si è parlato di errore di calcolo del monaco Dionigi: egli era stato incaricato dalla Chiesa di Roma di proseguire la compilazione della tavola cronologica della data di Pasqua preparata a suo tempo in Egitto dal vescovo Cirillo Alessandrino. Dionigi però non partì dalla data d’inizio dell’impero di Diocleziano (285 del nostro calendario cristiano) – data che ancora oggi la chiesa copta adopera per il computo del suo calendario, cioè l’inizio dell’era dei martiri – ma dall’incarnazione di Gesù Cristo. Sebbene non si conosca esattamente il metodo da lui seguito, come appena detto, da molti è data per assodata la tesi che si sarebbe sbagliato, ponendo la nascita di Gesù “dopo la morte di Erode”, ovvero quattro o sei anni dopo la data in cui sarebbe avvenuta, e che corrisponderebbe al 748 di Roma. Si può dimostrare che invece non è così, perché le obiezioni mosse ai suoi calcoli non tengono conto, per esempio, che Giuseppe Flavio, al quale normalmente ci si riferisce per questa ed altre datazioni, si è sbagliato, e proprio sulla morte di Erode il Grande, in base ad un’eclissi lunare da lui ricordata. Inoltre, gli si imputa di non aver usato lo zero nel computo, cifra che a quel tempo non era stata ancora inventata. Dionigi, in ogni caso, recepì la data del 25 dicembre che non era stata introdotta arbitrariamente dalle Chiese cristiane. Secondo Tertulliano, Gesù sarebbe nato nel 752 di Roma, 41° anno dell’impero di Augusto. Che Gesù sia nato il 25 dicembre, lo afferma con chiarezza per primo Ippolito di Roma nel suo Commento al libro del profeta Daniele, scritto verso il 204 d.C. Lo ha ricordato a tutti Benedetto XVI, nell’Udienza generale del 23 dicembre 2009. Si aggiunga un’omelia di Giovanni Crisostomo sul Natale, nel 386, in cui sostiene che la Chiesa di Roma conosceva il vero giorno (25), perché gli atti del censimento eseguito per ordine di Augusto in Giudea, si conservavano negli archivi pubblici di Roma. I moderni strumenti di indagine permettono di collegare i dati con gli elementi astronomici che ne garantiscono la precisione; si superano così i contrasti tra mondo ebraico e cultura cristiana che possono aver condizionato gli storici, anche per il fatto che gli ebrei non avevano un calendario fisso, ma lo formulavano in base all’osservazione diretta dei vari fenomeni astrali, in specie il novilunio che determinava le feste, per far corrispondere l’anno lunare a quello solare. Ma non di rado tale calendario differiva dalla realtà astronomica (cfr G. Ricciotti, Vita di Gesù (1941), Milano 2006, p. 178ss). Una coincidenza che potrebbe avere qualche nesso col 25 dicembre: il 25 di Casleu, nono mese del calendario ebraico, si celebra la ridedicazione del Tempio, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. (cfr 1Mac 4,59). Dunque la cronologia deve essere ricostruita comparando tavole cronologiche differenti. Il censimento è parte della questione della storicità della data del Natale. Luca, intendendo inquadrare storicamente Gesù e la sua venuta, fornisce un’altra coordinata: comincia il suo vangelo riportando una tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, un fatto apparentemente marginale ma storicamente verificabile dai suoi contemporanei, ancor prima del 70 d.C. Secondo l’evangelista, l’angelo Gabriele aveva annunziato al sacerdote Zaccaria, – mentre «esercitava le sue funzioni davanti a Dio, nel turno (in greco taxis) della sua classe (ephemeria)» (Lc 1,8), quella di Abia (Lc 1,5) – che la sua sposa Elisabetta avrebbe concepito un figlio. Luca rimanda pertanto ad una rotazione disposta da David (cfr. 1Cr 24,1-7.19): le 24 classi si avvicendavano in ordine immutabile nel servizio al tempio da sabato a sabato, due volte l’anno. Questo era noto tra i giudei e almeno in ambiente giudeo-cristiano. Il turno di Abia, prescritto per due volte l’anno, cadeva dall’8 al 14 del terzo mese del calendario (lunare) ebraico e dal 24 al 30 dell’ottavo mese. Questa seconda volta, secondo il calendario solare, corrisponde all’ultima decade di settembre. In tal modo si dimostra storica anche la data della nascita del Battista (cfr. Lc 1,57-66) corrispondente al 24 giugno, nove mesi dopo. Così è anche per l’annunciazione a Maria «nel sesto mese» (Lc 1,28) dalla concezione di Elisabetta, corrispondente al 25 marzo. Dunque, quale ultima conseguenza, è storica la data del 25 dicembre, nove mesi dopo. Nel calendario liturgico siriaco v’è il Subara, il tempo dell’annuncio, costituito da sei domeniche (v. Avvento ambrosiano) la prima dedicata all’annuncio della nascita di Giovanni al padre Zaccaria, celebrato dal calendario bizantino e dalla chiesa latina di Terrasanta al 23 settembre. Così i bizantini e i latini conservano al 23 settembre una data storica quasi precisa. Altrettanto dicasi per la data delle feste della natività del Battista, dell’annunciazione a Maria e della natività di Gesù. La liturgia della Chiesa ha fissato e commemorato queste date innanzitutto storicamente (v. la Circoncisione all’ottavo giorno dopo la nascita, la Presentazione al quarantesimo), in special modo il Natale del Signore. Che la data del Natale sia stata a volte assimilata a quella del 6 gennaio, è dovuto al fatto che il calendario bizantino ricordava un insieme di eventi epifanici (l’arrivo dei Magi, il battesimo al Giordano, le nozze di Cana), ma anche al fatto che le Chiese si comunicavano le date delle celebrazioni e avevano possibilità di verificarne l’attendibilità storica. Luca, infatti, osserva che Gesù al momento del battesimo «stava cominciando quasi i trent’anni» (Lc 3,23): dunque un compleanno di Gesù, il trentesimo. Se Gesù è stato battezzato il 6 gennaio, in quella data trent’anni prima è nato. In origine, come ancora attestano l’oriente bizantino e il breviario romano, il 6 gennaio era la Teofania del Signore alle acque del Giordano. Una tradizione trattenuta dai Padri, ad esempio san Massimo di Torino: «La ragione esige che questa festa segua quella del Natale del Signore, perché i due eventi si verificarono nel medesimo tempo anche se a distanza di anni» (Discorso 100 sull’Epifania, 1; CCL 23,398). Invece, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, si divulgò, da parte di liturgisti, l’idea che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta dai cristiani di Roma per sostituire il Natale del Sole invincibile, cioè una festa del dio Mitra o dell’imperatore, che cadeva intorno al solstizio invernale. In realtà, soprattutto dopo l’editto di Costantino, la Chiesa avrebbe pure potuto essere mossa dal desiderio di valorizzare qualche festa del paganesimo decadente, ma non inventare di sana pianta una data così centrale. Si pensi che nel rito bizantino la data dell’Annunciazione prende il posto della domenica e del giovedì santo, e se coincide con la Pasqua si canta metà canone – la composizione poetica propria della festa – dell’una e dell’altra. Dunque, la memoria ininterrotta fu consacrata dalla liturgia, ma il vangelo di Luca, con i suoi accenni a luoghi, date e persone, vi ha contribuito in modo fondamentale. Per approfondimenti, cfr. N. Bux, Gesù il Salvatore. Luoghi e tempi della sua venuta nella storia, Cantagalli, Siena 2009 I cristiani sopportarono la celebrazione della festa del Sole invincibile istituita dall'imperatore Aureliano a metà del III sec., perché erano perseguitati. Dopo la libertà concessa da Costantino(313), i cristiani d'Occidente, poterono celebrarlo apertamente. Poi, la crisi del paganesimo fece sì che la festa del 'sole invitto', fosse oscurata da quella de vero Sole invincibile. In Oriente i cristiani continuarono a celebrarla il 6 gennaio, perché ritenuta più vicina al solstizio da loro. Nel Medioevo si produsse lo scambio: il 25 dicembre fu accolto dai bizantini,come Natale e il 6 gennaio dai latini, come Epifania. Mons. Nicola Bux, per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Bux
  12. La cristianità si è predisposta verso la totale impreparazione all’accoglienza del ritorno del Re ponendosi sempre più secondo una difformità rispetto alla Iustitia del Regno di Dio (alla maniera dell’“impreparazione” mostrata dalle cinque vergini stolte della parabola evangelica in Mt 25,1-13). ll tempo odierno di crisi e confusione può rappresentare un’opportunità che ci viene provvidenzialmente offerta: ossia quella di “rinnovarci”, ancora una volta eppur con inedita maggior incisività rispetto ad altri tempi storici precedenti, secondo l’incessante richiamo alla purificazione ed alla conversione già avviato col nostro Battesimo. Non si allude certo alla malsana ed erronea ricerca del relativistico “nuovo”, che tanto affligge l’odierna Chiesa modernista e mondanizzata, quanto piuttosto alla continua e “rinnovante ricapitolazione” che veramente santifica l’Ecclesia Christi nella storia, rendendola sempre “nuova” nell’eterno della metastoria. L’Era moderna, quindi, perseguendo decisamente una predisposizione impreparata al Giudizio oggi si costituisce in verità quale un’“apostasia” (separazione, allontanamento, astensione, ribellione), ossia come un “allontanamento” dall’Ordine della Legge divina (la Tradizione) ed un contestuale decadimento verso il Chaos. Con “apostasia” deve pertanto intendersi il “rifiuto a conformarsi”; ed è scritto che essa debba attuarsi, di necessità, nel tempo storico che preannuncia l’escatologico “svelamento finale”: allorché “sarà tolto di mezzo” il Katechon che si oppone all’“uomo iniquo”, ovvero all’anticristo. Così facendo, se certamente egli non allontanerà l’anticristo, la cui venuta nel tempo storico rimane escatologicamente inevitabile, nondimeno “affretterà” la venuta del Tempo metastorico del Regno di Cristo ed il compimento della Giustizia. E testimoniando in tal modo la propria “purezza”, il proprio essere “giusto” e “conforme”, egli sarà “giustificato”: ossia “pronto” per essere “ricapitolato nel Cristo Giudice”. Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12). La riflessione che segue è a cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis Il Tempo del Katechon (A cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis) Il veloce precipitare degli odierni eventi “storici” che stanno coinvolgendo tanto la Chiesa Cattolica quanto la sfera politico-sociale mondiale, e di cui noi siamo testimoni come Christi fideles, risulta altresì proporzionato ad un palpabile senso di sempre più diffusa impotenza. Le grida di smarrimento elevate tramite pubbliche denunce, petizioni, appelli, manifestazioni e quant’altro, si rivelano infatti insufficienti a fermare quella spirale di confusione che, come si paventa, si è innescata in maniera ormai irreversibile sia in ambito clericale che laico; a tal punto che la particolare gravità delle situazioni in atto è da più parti letta come sintomatica di un passaggio epocale dalle forti connotazioni escatologiche. Se ciò non vuol significare la certezza della imminente Parousia - non è dato a noi, infatti, il poterne prevedere i tempi né tantomeno stabilirli[1] - si può tuttavia a ragione presumere che la presente contingenza “storica” stia costituendo, tanto per la fede cattolica nelle sue componenti laiche e clericali quanto per l’intera umanità stessa, una prova che in ogni caso influenzerà profondamente gli aspetti e le direzioni ontologiche che ne caratterizzeranno l’immediato futuro. Fatta salva l’imponderabilità del Mistero messianico e dei tempi che ci separano dal pieno compimento del Regnum Christi sulla terra, sappiamo tuttavia che la nostra attesa non deve essere inoperosa, in quanto a noi è dato di poter perlomeno “affrettare la venuta del giorno di Dio”[2]. In siffatto frangente, come in varie occasioni già da noi riaffermato[3], la nostra convinzione rimane una volta di più che i fenomeni “storici” non possano esser letti e compresi senza averli contestualmente posti in relazione con i divini Principi “metastorici”, i quali, sempre e comunque, archetipicamente li informano. Allorché le contingenze “storiche” risultino ormai talmente compromesse, tanto da inibire e rendere insufficiente qualunque tipo di decisione o di iniziativa puramente “orizzontale”, è proprio allora che conviene “verticalmente” rivolgersi a siffatti Principi, per trarne “consiglio” e guadagnare quella migliore intonazione che permetta il più giusto temperamento al nostro gioioso annuncio, alla nostra invocazione piena di speranza: “Maranà tha”[4]. Da un punto di vista escatologico, l’attesa della Parousìa risulta immediatamente inaugurata già nel momento dell’Ascensione al Cielo del Signore Gesù. Nonostante rimanga inconoscibile il momento storico del realizzarsi completo del tempo dell’Ultimo Giorno (il Giorno del Signore) esso mantiene sempre e comunque il carattere dell’“imminenza”[5]. Il mandato rilasciato dal Signore Gesù, in occasione dell’Ascensione, è poi chiaro ed esplicito: l’Ecclesia deve informare il continuo presente “storico”, nell’attesa escatologica, con l’insonne “vigilanza”[6]. Oltretutto, il tempo presente, tempo dello Spirito e della testimonianza, ha di già inaugurato anche i “combattimenti” degli ultimi tempi[7]. In definitiva: l’imminenza della Parousìa, pur temporalmente indeterminabile, implica per noi la necessità di incessanti “vigilanza e combattimento”; ed entrambe queste azioni sono evidentemente di massima pertinenza di quella che è la componente “miliziana” della Regalitas Imperiale: la Cavalleria. Infatti, nell’azione del “vigilare” rientra il compito di “conservare e proteggere la Tradizione”, mentre nell’azione del “combattere” per la Verità del Cristo, contro la menzogna dell’anticristo, si riconosce la peculiarità dell’azione propriamente di militia con la quale la Cavalleria deve “difendere e mantenere integra la Tradizione”[8]. E qui, val bene precisarlo, per Tradizione si vuole propriamente significare, in senso lato, tutto ciò che ab initio stabilisce e mantiene il Creato in quell’Ordine disposto dal Logos, suo Creatore. La Tradizione è insomma la Legge per antonomasia: ecco dunque perché le funzioni proprie della Regalitas sono quelle di riconoscere e mantenere lo stato dello ius naturale attraverso l’esercizio della Iustitia, che è “vigilanza” sull’osservanza della Lex e “combattimento” contro ciò che non la rispetti o tenda addirittura a sovvertirla. Lo scopo di tali azioni è quello di “approntare”, ossia di “render pronta” l’Ecclesia (che non può che essere intesa, dunque, quale l’insieme complementare e sinergico di Papato ed Impero, ovvero di Sacerdotium e di Regalitas) al ritorno del Re dei Re, predisponendola all’accoglienza di quei nuovi cieli e di quella terra nuova nei quali la Iustitia di Dio ha la sua stabile dimora[9]. Questa è la consegna, ovvero la “chiamata” data dal Cristo Gesù alla Regalitas Imperiale, in quanto Istituto che deve improntare il “temporale” secondo le direttive “spirituali” del Sacerdotium; questo è propriamente il suo Ufficio, i talenti ad Essa consegnati e da Essa da riconsegnare, moltiplicati, nell’Ultimo giorno[10]. Da questo punto di vista, “vigilanza e combattimento” costituiscono nel loro insieme il sinonimo del perseguimento dell’archetipica Iustitia Regale, del “disporsi conforme” dell’Ufficio della Regalitas Imperiale con la Iustitia del Regno di Dio, in vista del compimento del “Giudizio” finale[11]. Il compito di instaurare la Iustitia in terra, in maniera tale che questa risulti “approntata”, ossia “pronta” ad accogliere la Iustitia del Cielo (alla maniera della “preparazione” mostrata dalle cinque vergini sagge della parabola evangelica in Mt 25,1-13), essendone divenuta “conforme”, rappresenta la principale prerogativa della Regalitas Imperiale in obbedienza al comando del Signore: “Estote parati!”[12]. Che tale esser “pronti” corrisponda poi ad un esser “conformi”, lo mostra il fatto che il lat. promptus significa “manifesto, visibile, palese, evidente” oltre che “disposto, propenso”. Colui che è “pronto”, insomma, è colui che si è reso “disposto e propenso” ad operare attraverso la “conformità” della Iustitia terrena. Ma conformità con che cosa? Appunto: la sua conformità con la Parousìa, ossia con la nuova manifestazione visibile del Logos, col Suo secondo palesarsi evidente nel mondo, nella veste di Iustitia finale ed eterna[13]. Il tempo della Parousìa non va semplicemente immaginato come riferibile ad un indeterminato e del tutto relativo futuro momento storico (il giorno e l’ora), ma come ontologicamente contestuale a quel momento in cui “vigilanza e combattimento” siano ormai finalmente pervenuti ad un “punto qualitativo” tale che, per “giusto merito” (dal lat. mereo, “attrarre la propria parte, essere degno”), venga annullata l’“imminenza” che separa la Giustizia terrena dalla Parousìa stessa, ritrovandosi così l’una oramai “pronta e conforme” per venir connessa con l’altra; e ciò, avendo quella risposto pienamente alla chiamata di questa, ed essendosi per ciò collocata in piena conformità con Essa[14]. Con un’immagine simbolico-matematica potremmo esprimere suddetto “punto qualitativo” quale quello ontologicamente collocato all’infinito, in cui si vadano ad incontrare due rette parallele[15]. Il raggiungimento di tale “punto qualitativo”, insomma, non prescinde affatto dal quantitativo tempo storico, semmai lo “trascende”. Per dirla con altre parole, ciò non vuole significare che “la fine del mondo” non sia un avvenimento futuro riconducibile cronologicamente ad un momento della storia, oppure, all’inverso, che sia semplicemente “il presente rappresentato con le categorie del futuro”, come afferma una cattiva teologia. Piuttosto, il “Giorno del Signore” consiste sì un momento di là da venire, eppure Esso, nel momento in cui si realizzerà, si rivelerà contestualmente “come già venuto”, sancendo pertanto il superamento del tempo storico. Tale sfumatura è in certo qual modo implicita nel significato che è proprio del termine Parousìa (dal gr. παρα + ειμί: “essere presso”), il quale traduce propriamente “presenza”. Se dunque il Re è effettivamente e comunque già sempre presente “in mezzo a noi” (δια)[16] sin dall’Ascensione, tuttavia la Sua presenza rimane ancora da essere manifestamente “svelata” come pienamente “presso noi” (παρα) in quanto “Gloria”. E la Gloria non significa altro, appunto, se non l’“irradiazione della manifestata presenza di Dio”. A tal proposito è significativo che il termine parousìa fosse anticamente adoperato per indicare il momento della “visita” compiuta dall’Imperatore romano in una sua provincia. Infatti, seppur egli non fosse ancora visibilmente e solennemente giunto in quel luogo, la sua signoria Regale in quella provincia, precedentemente cioè alla propria parousìa, era comunque effettivamente già presente ed in atto. Egli era insomma il vero centro dell’Impero, a prescindere dal luogo in cui si trovava. Per quel che ci riguarda, ciò permette finalmente di intuire in modo chiaro che qui si è al cospetto di due differenti e sovrapponibili livelli di “presenza” del Logos, e quindi di “presente temporale”: il presente del tempo storico e quello del tempo escatologico; ma è necessario il non pensarli come appartenenti ad un medesimo stato ontologico, cioè a dire posti in una medesima successione lineare e quantitativa della temporalità! In quanto si usa associare l’esercizio dell’Ufficio del Potere Regale al cosiddetto dominio “temporale”, distinguendolo da quello “spirituale”, dovremmo allora tener conto dell’anzidetta specificazione: la “temporalità” della Regalitas Imperiale, in virtù della sua sacralità, è in definitiva pertinente sia ad un presente storico che ad uno escatologico. Quantunque possa risultare arduo ricollocarsi secondo prospettive siffatte - per noi cattolici che, purtroppo, da troppo tempo ci siamo ormai disabituati a guardare la “storia” che viviamo, ed anzi a vivere la nostra stessa “fede”, alla consapevole luce di quei “segni e simboli” celesti che ricamano in filigrana la realtà terrena - il tempo odierno di crisi e confusione può rappresentare un’opportunità che ci viene provvidenzialmente offerta: ossia quella di “rinnovarci”, ancora una volta eppur con inedita maggior incisività rispetto ad altri tempi storici precedenti, secondo l’incessante richiamo alla purificazione ed alla conversione già avviato col nostro Battesimo. Non stiamo di certo alludendo alla malsana ed erronea ricerca del relativistico “nuovo”, che tanto affligge l’odierna Chiesa modernista e mondanizzata, quanto piuttosto alla continua e “rinnovante ricapitolazione”[17] che veramente santifica l’Ecclesia Christi nella storia, rendendola sempre “nuova” nell’eterno della metastoria. La Regalitas è archetipo divino che riconosce la propria identità di funzione nel Cristo Signore in quanto Rex et Sacerdos secondo l’Ordine di Melchisedec[18]. E’ un fatto che sia proprio tale funzione archetipica e metastorica, storicamente incarnatasi nel Sacrum Romanum Imperium, a rivestire una particolare significatività all’interno del mistero escatologico, dato che il Cristo vincitore si manifesterà alla fine dei tempi nell’aspetto proprio di un Cavaliere il cui nome è Re dei Re, Signore dei Signori[19]. E’ in tutto tale contesto, allora, che viene senz’altro ad inserirsi la figura ed il “Tempo” del Katechon. All’interno del cammino escatologico dell’Ecclesia, per la prima volta da duemila anni a questa parte, la cristianità ha assunto oggi una posizione di estremo affievolimento, se non di azzeramento, di quella “vigilanza e combattimento” che avevano caratterizzato i secoli passati (con un apice soprattutto in corrispondenza dell’Età di Mezzo), decadendo da una visione teocentrica della realtà ad una sempre più antropocentrica. Con l’insorgere dell’Umanesimo e poi, via via a seguire, del Rinascimento, dello scisma protestante, del razionalismo, della nascita degli Stati nazionali, delle rivoluzioni massonico-illuministiche, del modernismo, etc., l’Ecclesia si è gradualmente orbata: la Chiesa clericale si è cioè resa vedova, mentre quella laicale si è resa orfana della Regalitas[20]. In altre parole, la cristianità si è predisposta verso la totale impreparazione all’accoglienza del ritorno del Re e dell’avvento definitivo della Sua Regale Signoria, ponendosi sempre più secondo una difformità rispetto alla Iustitia del Regno di Dio (alla maniera dell’“impreparazione” mostrata dalle cinque vergini stolte della parabola evangelica in Mt 25,1-13). In tale frangente, con la caduta del Sacrum Romanum Imperium l’archetipo Regale si è ritirato nella latenza escatologica, ossia nello stato di non-manifestazione durante il presente storico! Da parte sua il Sacerdotium, incarnato nel Papato, si è contestualmente sempre più mondanizzato, fino a pervenire alla patologica anomalia - mai registratasi prima nella storia dell’Ecclesia - della compresenza sul Soglio Petrino di due Pontefici, entrambi riconosciuti come legittimamente tali. L’Era moderna, quindi, perseguendo decisamente una predisposizione impreparata al Giudizio - perché attuata secondo una modalità capovolta, “sovvertita” o più esattamente di “non-predisposizione”, di “indisponibilità” - oggi si costituisce in verità quale un’“apostasia” (separazione, allontanamento, astensione, ribellione), ossia come un “allontanamento” dall’Ordine della Legge divina (la Tradizione) ed un contestuale decadimento verso il Chaos. Con “apostasia” deve pertanto intendersi il “rifiuto a conformarsi”; ed è scritto che essa debba attuarsi, di necessità, nel tempo storico che preannuncia l’escatologico “svelamento finale”: allorché “sarà tolto di mezzo” il Katechon che si oppone all’“uomo iniquo”, ovvero all’anticristo[21]. Legittima appare dunque la domanda del Signore: «Ma Dio non farà giustizia (εκδικησιν) ai suoi eletti (εκλεκτων) che gridano (βοωντων) giorno e notte verso di lui, e sarà longanime con essi? Vi dico che darà loro prontamente soddisfazione. Ciononostante, quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»[22]. Gli “eletti che pregano giorno e notte” pronunciando il Maranà thà, il “Vieni Signore Gesù”, sono i “giusti”; ossia coloro che, liberamente ed instancabilmente, manifestano in tal modo la propria pronta disponibilità a conformare, attraverso la Regalitas Imperiale, la Iustitia terrena con la Iustitia di Dio, affinché quella riceva da questa la propria “giustificazione”. I “chiamati”, coloro che costituisco l’Ecclesia (da εκ-καλεω, “chiamare”), sono quegli “eletti dal Logos” (= εκλεκτων) che, non avendo apostatato, possiederanno ancora la fede per “elevare grida di guerra” (= βοωντων)[23], affinché “ritorni” Giustizia[24]. Il nuovo risvegliarsi dalla latenza della Regalitas Imperiale comincia pertanto col suo rinnovare al Logos la propria pronta disponibilità a “conformarsi”, facendosi inoltre carico di riorganizzare il “piccolo resto fedele”[25]: quella “reliquia” dell’Ecclesia che, non avendo apostatato, è chiamata ad accogliere con “integrità” la Parousìa, vigilando e combattendo. Ed è chiaro che “accogliere con integrità”, equivale già di per sé ad “integrarsi”. In quanto così intimamente implicata nella questione, nonché sollecitata a reagire al rifiuto a conformarsi con la Iustitia di Dio operato da quella parte di Ecclesia che risulta soggiogata dall’apostasia, è dunque alla Regalitas Imperiale che compete la funzione di Katechon. Riprendendo il passo paolino di 2Ts 2,3-7, notoriamente caposaldo di tutte le argomentazioni escatologiche, leggiamo: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia (ἀποστασία) e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione (τῆς ἀπωλείας), colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce (τὸ κατέχον) la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità (τῆς ἀνομίας) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo (ἐκ μέσου) chi finora lo trattiene (ὁ κατέχων)». Nel corso del tempo, innumerevoli e varie sono state le proposte esegetiche volte ad interpretare tale enigmatico passo, nonché a comprendere, in special modo, a chi e a che cosa debba venir riferito quel termine Katechon. Tuttavia, tra di esse, la spiegazione tradizionalmente più accolta da tutti i Padri, Latini e Greci, è stata certamente quella secondo cui τὸ κατέχον indica una forza, un potere: l’ “Impero Romano”; la qual cosa si concretizza allo stesso tempo in una persona: ὁ κατέχων, l’“Imperatore”. Mentre S. Leone Magno[26] e S. Tommaso[27] proclamavano la “sacralità” di Roma, da parte loro Tertulliano[28], Giovanni Crisostomo[29], Giovanni Damasceno[30], Lattanzio[31], S. Cirillo Gerosolomitano[32], S. Girolamo[33], S. Ambrogio[34], S. Agostino[35], S. Beda il Venerabile[36] (e molti altri) tutti concordavano nell’indicare l’Impero Romano come “ciò che impedisce, trattiene, frena, contiene, regge” il manifestarsi dell’anticristo. Ebbene, alla luce di ciò, rimane allora indubitabile come sia il Sacrum Romanum Imperium a dover essere riconosciuto quale Katechon nella sua più propria identità ontologica, avendo esso raccolto, appunto, la sostanziale eredità dell’antico Imperium latino, dopo averlo cristianizzato. Oltre a ciò, il fatto che tale funzione risulti di effettiva ed esclusiva pertinenza della Potestas Regale lo attesta chiaramente la natura di ciò a cui essa funzione si oppone: intendiamo quel “mistero di iniquità” a cui si allude nel passo succitato della Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Il testo greco rende infatti il significato di “iniquità” con ανομια, come abbiamo già visto; ma pure con αδικια, come compare in un successivo versetto del medesimo capitolo[37]. Orbene, se il primo termine (anomia) traduce letteralmente “senza legge”, il secondo (adikia) significa “senza giustizia, senza equità”. L’iniquitas di cui in questione, la “mancanza di equità”, si costituisce pertanto come l’esatta inversione dell’Imperium, la cui peculiare prerogativa è appunto quella di emanare la Lex ed amministrare l’equità della Iustitia. La funzione Regale, in analogia con la sapienziale funzione ordinatrice del Creatore, è in definitiva quanto concorre al mantenimento dell’ordinata ed equilibrata (equa) disposizione del Mondo. Il suo venir meno al proprio ruolo di “medianità equale” tra il temporale e lo spirituale dell’uomo (laddove il Sacerdotium media tra la parte spirituale dell’uomo e Dio), il suo esser “tolto dal mezzo”, l’esser “allontanato” (apostasìa) dalla propria posizione “mediatrice”, è ciò che causa la venuta del “figlio della perdizione”, ossia l’anticristo: “figlio” in quanto conseguenza dell’“abolizione” dell’Impero[38] e quindi della distruzione e perdita dell’ordinamento, che è a sua volta causa di rovina in quanto caduta al di fuori dello ius rectum stabilito dal Rex. L’apostasìa (dal verbo gr. ἀφίστημι, “allontanare, disgiungere, rimuovere, far sparire”), che si dice debba di necessità precedere la venuta dell’anticristo, significa per l’appunto l’“allontanamento”, la sparizione dell’Impero dalla sua funzione di Katechon. Alcune riflessioni finali. Nell’imminenza di una “svolta” escatologica, a cui la presente contingenza storica sembrerebbe condurci, accogliamo con favore e soddisfazione la recente rinnovata attenzione operata da più parti attorno alla figura del Katechon: attenzione che appare indubbiamente quanto mai attuale e necessaria. Tuttavia, soprattutto alla luce di quanto sopra delineato, andrebbero fatte altresì alcune precisazioni. Assodato che la funzione “katechetica” rimane di pertinenza della componente “temporale” dell’Ecclesia, allo stato attuale non pare esserci alcuna realtà politico-sociale che possa assolvere a tale ruolo svolgendo le veci della Regalitas Imperiale; e ciò fondamentalmente per due ragioni che attengono rispettivamente al “chi” ed al “che cosa”. La prima è che la persona atta a svolgere tale funzione non può che essere un “consacrato”, un individuo cioè che abbia ricevuto dal Sacerdotium quel riconoscimento sacramentale che avalli il possesso da parte sua del carisma regale[39]. La seconda è che l’Istituto deputato a svolgere la suddetta funzione “temporale” non può venir confuso con una qualunque semplice Monarchia; né tantomeno con una qualunque altra forma di governo tra quelle oggi attuate, stante l’abiura dello ius naturale da esse perpetrata, il che le rende in verità ontologicamente illegittime. L’Imperium, almeno fino al momento storico in cui esso ha mantenuto sino in fondo la purezza del proprio status ontologico, si è difatti sempre distinto per rappresentare un “potere sovranazionale”. La sua essenza gerarchica, dottrinalmente delineata in maniera tale che l’Imperatore si pone sulla terra secondo un’analogica immagine di quel che Dio è per l’Universo, si riferisce insomma alla reductio multitudinis ad unitatem, ad un’unità “universale” che trascende, senza pur tuttavia annullare, la pluralità. Proprio alla luce dell’odierna totale disgregazione in atto tanto in ambito politico-sociale quanto ecclesiale, risulta opportuno ricordare che tale concezione “unitaria, sintetica e universale”, propria della Regalitas Imperiale, prima ancora di costituire un’aspirazione materiale e storica si presenta piuttosto quale un metastorico Principio d’Ordine, rivestito di una natura e di una necessità spirituali. Essa è difatti l’unico Istituto a poter contrastare il ribaltamento e la sovversione che si intende operare allorché si tenta di “contraffare” l’Universalità col globalismo, che è come dire la qualità con la quantità; operazione, questa, che è sintomatica del tentativo di instaurazione del “nuovo ordine mondiale”. La renovatio Imperii è dunque un obiettivo che andrebbe perseguito, “a prescindere” dalla sua, apparentemente improbabile, imminente realistica attuabilità. L’individuo non può incidere sui Principi “metastorici” influenzandone la manifestazione storica, ma può comunque liberamente scegliere se “storicamente” aderirvi o meno: nella fattispecie, egli può aderire o meno alla realtà del Katechon. Così facendo, se certamente egli non allontanerà l’anticristo, la cui venuta nel tempo storico rimane escatologicamente inevitabile, nondimeno “affretterà” la venuta del Tempo metastorico del Regno di Cristo ed il compimento della Giustizia. E testimoniando in tal modo la propria “purezza”, il proprio essere “giusto” e “conforme”, egli sarà “giustificato”: ossia “pronto” per essere “ricapitolato nel Cristo Giudice”. Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12). “O SS. Vergine Maria, rinunciamo a noi stessi per donarci a Te, nostra cara Madre” ***** Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi), che ha curato quest’articolo, è una Fratrìa costituita da Cavalieri investiti sacramentalmente secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano di S.S. Papa Pio V, tramite investitura originale compiuta da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica. Scopo del Sodalizio è quello di “combattere la buona battaglia” in maniera esemplare, a difesa della S. Chiesa Cattolica, della Sua Santa Fede e di tutti i bisognosi ed oppressi, per mezzo delle caritatevoli armi della preghiera, dell’azione e della cultura di Verità. Essendo la Cavalleria, come via di milizia, strettamente legata alla funzione Regale, uno dei propositi di tale Sodalizio – a livello di battaglia culturale – è propriamente quello di conservare, custodire e, nella misura del possibile, trasmettere la conoscenza dell’importanza della Regalità Sacra in un mondo cattolico che purtroppo l’ha evidentemente smarrita. A tal proposito, ci sia concesso di annunciare la pubblicazione, entro l’inizio del prossimo anno, di un nostro libro contenente una serie di saggi, appunto, sull’argomento della Regalitas. Per informazioni: www.reginaequitum.it Per contatti: reginaequitum@gmail.com [1] Cfr. At 1,7. [2] Cfr. 2 Pt 3,11-12. [3] Cfr. “La perdita della Regalità”, in https://www.maurizioblondet.it/la-perdita-della-regalita-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (23.08.20); “La Chiesa vedova”, in https://www.marcotosatti.com/2020/09/02/la-chiesa-vedova-perdita-di-regalita-clero-mondanizzato/ (02.09.20); idem in https://www.ilpensierocattolico.it/index.php?/entry/321-la-chiesa-“vedova”-la-perdita-della-regalitas-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (28.09.20). [4] 1 Cor 16,22; cfr. Ap 22,20. [5] Cfr. 1 Ts 4,16. [6] Cfr. Mt 25,1-13; Mc 13,33-37. [7] Cfr. 1 Gv 2,18 e 4,3; 1 Tm 4,1. [8] «Portio mea Dominus dixi custodire legem tuam» (Sal CXVIII, 57), ossia: “Io elessi come mia porzione, Signore, di custodire/difendere/proteggere la tua legge”. Qui, con portio, si intende letteralmente la “propria parte nel rapporto”. Ancor più esplicita e completa è la versione in greco dei LXX, la quale adopera il sostantivo μερις; infatti, oltre al senso suddetto, esso emblematicamente detiene anche quello di “fazione, classe politico-sociale”. [9] Cfr. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap 21,1. [10] Cfr. Mt 25,14-30. [11] Cfr. Rm 8,29-30. [12] Cfr. Mt 24,44; Lc 12,40. [13] «Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia» (Sal VII, 9). [14] «Convertitevi a lui con tutto il cuore e con tutta l’anima, per fare la giustizia davanti a lui; e allora Egli si convertirà a voi e non vi nasconderà il Suo volto» (Tb 13,6); «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). [15] Per “retta” va intesa propriamente l’azione del rex. [16] Cfr. Mt 18,20 e 28,20; Lc 17,21 e 22,27; Gv 1,14 e 1,26. [17] Cfr. Ef 1,10. [18] Cfr. Gen 14,18-20; Sal CIX,4; Eb 7,1-3. [19] Cfr. Ap 19,11-16. [20] Questo spiega peraltro, in senso analogico, perché la protezione della vedova e dell’orfano rappresenti una tra le principali missioni della Cavalleria. [21] Cfr. 2 Ts 2,3-4. [22] Lc 18,7-8. [23] «Grida a piena voce, senza riguardo, fa risuonare la tua parola come una tromba; dichiara al mio popolo le sue Iniquità» (Is 58,1). [24] «Beato chi hai scelto e chiamato vicino, abiterà nei tuoi atri…Con i prodigi della tua giustizia, tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza» (Sal LXIV, 5-6). [25] Cfr. Rm 9,27; 11,1-10; Is 4,3; 10,10-22. Sul “piccolo resto” cfr. pure Is 11,11-16; 37,4-32; Ger 23,3-6; 31,7; 50,20; Ez 20,37; Mi 2,12-13; Sof 3,11-13; Zc 8,3-12. [26] S. LEONE MAGNO, Sermo I in natali Apostolorum. [27] S. TOMMASO, In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1. [28] TERTULLIANO, Apologeticum, XXXII, 1. [29] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in II ad Thessalonicenses, coll. 485-486. [30] S. GIOVANNI DAMASCENO, La seconda ai Tessalonicesi, col. 923. [31] LATTANZIO, Divinae institutiones, XXV, coll. 812-813. [32] S. CIRILLO GEROSOLOMITANO, Katechesis XV, 12. [33] S.GIROLAMO, Ad Algasia, 11. [34] S. AMBROGIO, In Epistolam Beati Pauli ad Thessalonicenses secundam. [35] S. AGOSTINO, De Civitate Dei, XX, 19, 3. [36] S. BEDA IL VENERABILE, Expositio ad Thessalonicenses II. [37] E’ significativo che, nel versetto qui menzionato, l’“iniquità” intesa come “mancanza di giustizia” venga posta in relazione con la mancanza di “verità”: «…e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità» (2Ts 2,12). [38] Il termine che traduce ‘perdizione’, ἀπωλεία, deriva dal verbo ἀπόλλῦμι, che è a sua volta in relazione con il lat. aboleo, “abolire”. [39] Abbiamo già in più occasioni ribadito, ma è bene ricordarlo, che la dignità regale è munus direttamente elargito da Dio, come affermato in diversi luoghi della Scrittura: cfr. Rm 13,1; Prov 8,15; Sap 6,1-3; Zc 4,1-14. Non è dunque competenza del Sacerdotium trasmetterla, perché tale dignità non gli appartiene. E’ necessario però che la Regalitas venga riconosciuta, avallata, legittimata, consacrata dal Sacerdotium.
  13. Una amica della Scuola Ecclesia Mater invia una lettera "di cuore" a Monsignor Nicola Bux, dopo averne letto le considerazioni apparse pochi giorni fa su l'Occidentale Giovanni Paolo II e quella santità che le “quinte colonne” nella Chiesa non possono capire. E' una lettera di impatto che, come l'articolo di Mons. Bux, fa da contraltare ai numerosi attacchi alla figura, al pensiero ed alle azioni di Papa Giovanni Paolo II, ristabilendone la verità che, chi non vuole il bene della Chiesa, tende ad offuscare. Non potevamo non pubblicarla. Grazie ad Annamaria De Matteis. ************************************* Brindisi 23 novembre 2020 Carissimo don Nicola, ieri ho letto il suo articolo su “L’Occidentale”, nel quale parlava di Papa Giovanni Paolo II, il “Grande”!!! Ed è stato per me un articolo molto interessante e di piacevole lettura. Fu un vero Papa!!! Un santo Papa: sosteneva la Chiesa con la sua santità di vita, implorava dal Signore l' Unità della Sua Chiesa, istruiva, custodiva, conduceva, amava il Gregge che il Signore aveva a lui affidato. Seguo purtroppo, da giorni, l’irriverente tentativo di screditare agli occhi del mondo la figura del grande Papa, Giovanni Paolo II, che ha guidato, in maniera magistrale, il Popolo di Dio ed il mondo intero al Nuovo Millennio! Papa, Giovanni Paolo II, fu principalmente Pastore della Chiesa Cattolica, dei cristiani, del Popolo di Dio! Fu il Vicario di Cristo in ordine ai credenti cristiani cattolici! Aveva, si, nel cuore, l’ardente desiderio ecumenico di Unità tra i cristiani delle diverse Confessioni, ma nello stesso tempo non si discostava di una virgola dalla vera identità cristiano - cattolica ! Aveva a cuore anche il dialogo Interreligioso, ma proponendo con certezza e chiarezza il nostro essere cristiani, “depositari” dell’unica Verità! Non ha mai ceduto in nulla della sana dottrina cristiana, secondo la volontà di tanti che, per quella “falsa carità” e buonismo, chiedevano compromessi e cedimenti. Inoltre, pur sentendosi Padre e Pastore di ogni uomo, non cercava principalmente l’approvazione del mondo (laico e modernista), anche se sapeva parlare al mondo con autorevolezza rivolgendosi ad ogni uomo di buona volontà. Rimproverava con autorevolezza il mondo prepotente, i “sistemi economici” ingiusti e discriminatori, la mafia, le “strutture di peccato”….! Fu un vero Papa, svolse egregiamente, santamente, in “forma eroica” , il suo mandato, come dovrebbe fare ogni Papa: Confermare i Fratelli nella fede, insegnando la vera e sana dottrina, esortando la fedeltà al Vangelo, la costanza nel cammino di fede, la conversione permanente della propria vita al Signore! Annunciare il Vangelo ai lontani; proporre al mondo il rispetto di quei valori umani “non negoziabili”; garantire il rispetto della vita e della dignità di ogni uomo. Giovanni Paolo II fu un “Gigante”!!! Io ebbi l’occasione , ma soprattutto l’onore, di parlargli, nelle stanze del Vaticano, come rappresentante dell’Azione Cattolica Ragazzi, della mia diocesi. Fu il 23 dicembre 1985. Lui era giovanissimo e forte. Eravamo quaranta persone, tra giovani e ragazzi, rappresentanti di 10 diocesi italiane, in occasione degli auguri natalizi. Avevo 20 anni! Fù per me un’esperienza indimenticabile: parlai con lui, per dieci minuti, “da sola”, perché mi invitarono a portargli dei libri. Mi chiese alcune cose e poi mi sorrise teneramente e, fissandomi con quegli occhi azzurri, con quello sguardo così profondo, mi benedisse con una croce sulla fronte!!! Per me fu un momento eterno!!! Lo ricordo come se fosse accaduto oggi: pur essendo molto giovane e quindi non in grado di comprendere appieno la portata di quell’evento così straordinario, mi resi conto che avevo ricevuto una grande Grazia. Con la sua santità di vita il Papa mi aveva benedetto e affidato al Signore, mi aveva legata per sempre a Lui! Aveva forse “letto nel mio cuore” il desiderio interiore ed ancora segreto, di consacrarmi a Lui per sempre? Desiderio che mi accompagnava dall’infanzia e che mi accingevo in quegli anni a fare discernimento. Poi ebbi l’occasione di incontrarlo a Loreto, 9 anni dopo, nel raduno giovanile europeo- mondiale. Eravamo infatti in 400 mila giovani provenienti da tutte le parti del mondo. Ero lontanissima dall’altare, il Papa lo vedevo solo dal maxi schermo, il Palco del Papa era quasi invisibile eppure …la mattina, dopo aver dormito la notte per terra nel sacco a pelo, per un caso misteriosamente fortunato , mi ritrovai sull’altare del Papa, insieme agli otto giovani scelti per portare i fiori alla Madonna !!! Lì lo vidi in estasi: il Papa incensava la statua della Madonna ed era in estasi, vedeva “qualcosa”, tanto che noi tre giovani che eravamo alla destra della Madonna ci ritrovammo a fisare la Madonna incantati! Mentre quelli di sinistra guardavano naturalmente lui, il Papa. Quando svanì l’incenso, il Papa scorse noi giovani che eravamo a due passi da lui e ci sorrise: ci vedeva solo in quel momento, prima aveva da “contemplare qualcos’altro o qualcun’altro”, che mai sapremo!. Infine l’8 dicembre del 1996, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa, già anziano , ammalato e convalescente, camminava lento lungo la navata centrale transennata, io “per caso” mi trovai lì, ero postulante tra le suore comboniane, e le presi la mano destra benedicente che era gelata e la misi tra le mie mani per riscaldarlo, anche se per pochi secondi. Lui ebbe grato quel gesto e rimase qualche secondo in più! Pochi secondi prima aveva “indovinato” la provenienza della mia amica africana ed aveva “anticipato” la richiesta di preghiera che lei aveva preparato precedentemente consultandosi con me. Il Papa aveva letto nel cuore di quella giovanissima donna africana, la quale scoppiò a piangere perché era rimasta sbalordita dalla santità di “quell’uomo” così speciale. La straordinaria santità di Giovanni Paolo II , LA SUA STRAORDINARIA VITA, l’unicità della sua esperienza di uomo, di sacerdote, vescovo, cardinale e Papa, va contemplata, imitata, seguita!!! La nostra gratitudine al Signor per aver donato alla Sua Chiesa un Gigante della fede, non dovrebbe mai terminare!!! Chiediamo a lui, dal cielo di intercedere presso il Padre , perché la Chiesa ritorni ad essere secondo il Suo Cuore!!! Grazie carissimo don Nicola, per avermi dedicato parte del suo tempo per leggere questa mia lunga lettera, sentivo il desiderio di ringraziarla per il suo impegno pastorale e poi mi sono attardata nell’offrirle alcune mie personali confidenze! Sorella in Cristo Anna Maria. #IPC Lettera pubblicata col permesso dell'autrice
  14. Nell’Antico Testamento (AT) ebraico i termini prossimo (reaˁ ) e fratello (ˀakh) praticamente coincidono. Il termine prossimo significa “Colui che ti sta vicino”: è insomma un uomo con cui ho a che fare, senza che ciò implichi particolari vincoli parentali. Può essere il vicino (Es 11,2); l’amico (2Sam 13,3), il prossimo (Es 2,13; At 7,27), il proprio simile (Pr 6,1), o semplicemente “l’altro”. Tutti costoro però vivono all’interno della sfera dell’alleanza di JHWH (cfr U. Falkenroth, DCBNT, 735). Anche il comandamento dell’amore: “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18) riguarda i membri del proprio popolo di Dio. La considerazione per lo straniero nel capitolo 19 del Levitico è aggiunta solo alla fine del discorso (al v. 34 di 37). Ma mentre “fratello” in tutto l’AT indica sempre e solo il membro del popolo eletto, il termine “prossimo” invece subisce una evoluzione semantica di tipo universalista, venendo a designare il proprio simile in generale ed il proselito in particolare, cioè ogni uomo in quanto possibile soggetto di conversione. Questo soprattutto nei LXX (la traduzione greca più antica dell’AT che data dal 300 a.C.). Il termine “fratello” resta invece strettamente vincolato ai limiti dell’alleanza e dell’appartenenza al popolo eletto. La cosa non cambia affatto nel Nuovo Testamento (NT), che usa sempre e solo i termini dell’AT (soprattutto nell’accezione data dalla LXX), senza mutarne mai il significato, eccetto il caso in cui questo sia stato fatto direttamente da Gesù. La fedeltà terminologica degli agiografi del NT è simile a quella dei Padri della Chiesa e dei primi sette Concili Ecumenici, che nelle loro definizioni dogmatiche non si permettevano mai di usare termini che non fossero già contenuti nella Sacra Scrittura. Gesù si permette di mutare un poco il significato di questi due termini a partire da … Lui stesso in persona. Chi è il prossimo nella parola del Buon Samaritano? “Colui che ha avuto compassione di lui” si legge nel testo di Lc 10,37. Ora l’espressione “colui che ha compassione di… “ nel Vangelo di Luca è usata solo per designare l’atteggiamento di Gesù verso gli uomini. E chi denota nella tradizione evangelica il termine Samaritano? Ancora Gesù (cfr Gv 8,48). Solo Gesù infatti è in grado di dichiarare superate le barriere legali giudaiche e di venire incontro al povero pagano assalito dai demoni e lasciato semi morto lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Lui solo è in grado di abbattere il muro di separazione che esiste tra i due popoli per mezzo della riconciliazione che Egli ha operato sulla croce (cfr Ef 2,14-18). In conclusione, il discepolo diventa prossimo di qualcuno quando si prende cura di lui come ha fatto Gesù, nel senso di imitarne non solo l’atto, ma anche la modalità di azione, che nella sua complessità ora qui non stiamo ad esaminare, ma che comporta sempre un tentativo di suscitare una risposta di fede o di abbandono fiducioso. Va’ e anche tu fa lo stesso (Lc 10,37), significa che il cristiano deve essere “Gesù” per ogni uomo che si imbatte nel suo cammino. Questo è il suo prossimo: l’universale destinatario del messaggio di Gesù di cui è latore, da lui concretamente incrociato. Per il termine fratello invece la dinamica non cambia di molto rispetto all’AT. Infatti anche per il NT il termine fratello si riferisce solo e sempre ai membri dell’alleanza. Come abbiamo detto nell’articolo precedente pubblicato in Stilum Curiae (Che tutti siano Uno,) nel NT il termine fratello designa innanzitutto il comune rapporto col corpo di Cristo nel quale i discepoli del Regno sono inseriti mediante il battesimo ed il dono dello Spirito Santo. Secondo il NT infatti vi sono delle diversità fondamentali tra il comportamento che il cristiano deve tenere verso il prossimo e quello che deve avere verso il fratello. Se verso il fratello di dice di non mescolarsi con i fratelli impudichi, ma di “togliere il malvagio di mezzo a voi” (1Cor 6,12), e “questo individuo sia dato in balia a satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (1Cor 5,5); del prossimo invece si dice che bisogna comunque convivere anche con gli impudichi, gli avari e gli idolatri, “altrimenti dovreste uscire dal mondo!” (1Cor 6,10) e di farsi tutto a tutti “con la speranza di salvarne qualcuno” (1Cor 9,22). Se del prossimo si dice che ciascuno sarà giudicato in base alla testimonianza della sua stessa coscienza che ora lo accusa, ora lo assolve, per mezzo di Gesù Cristo e del vangelo predicato dagli apostoli (cfr Rom 2,15), dei fratelli si dice : “esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi? A meno che la prova non sia contro di voi. E se si, spero almeno che riconosciate che essa non è contro di noi!” (2Cor 13,5), e che i figli del Regno saranno giudicati in base a come hanno saputo far rendere i talenti che Cristo ha dato a loro (Mt 25,14-30), in base ai frutti che hanno prodotto (Gv 15,8) e come hanno saputo perseverare sino alla fine ( cfr Lc 21,19). Se del comportamento verso prossimo si dice: la vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4,5), “perché la tristezza del mondo produce la morte” (2Cor7,10), del comportamento verso io fratelli si dice: “noi siamo pronti a reprimere ogni disobbedienza, appena la vostra obbedienza sia perfetta “ (2Cor 10,6 ), “perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza” (2Cor 7,10). Perciò verso di voi dobbiamo agire severamente, con il potere che Cristo ha dato a noi [apostoli] per edificare e per distruggere (cfr 2Cor 13,10). Se del prossimo si dice: “ama il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31), comandamento base della Legge antica e fondamento dell’amore naturale e carnale degli uomini come creature di Dio (cfr 1Cor 2,13ss.) del fratello si dice: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; cfr Gv 15,17), comandamento che fonda l’amore infra-ecclesiale tra membra che formano un solo corpo in Cristo. Gesù Cristo è il primogenito di ogni creatura .. ed è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa. Il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti… (Col 1,16.18). Se dei fratelli si dice che sono tutti membra del corpo di Cristo (1Cor 12,27: ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte), perché siate uno in Cristo come il Padre è uno con il Figlio (cfr Gv 17,11), del prossimo invece si dice: “salvatevi da questa generazione perversa!” (At 2,40); “non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli!” (2Cor 6,14.17) e vivete nel mondo: “come stranieri e pellegrini .. la vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere buone giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,11-12; cfr Eb 13,13). Proseguendo su questa linea molto comune a tutti gli scritti del NT, potremmo aggiungere che esiste anche una modalità di sviluppo orizzontale, diciamo così, del termine fratello. Infatti, mentre diventa prossimo chi è oggetto terminale dell’azione caritativa-missionaria del fratello, può diventare fratello nell’escaton, cioè entrare nel Regno di Dio, colui che fa un’azione caritativa verso i fratelli più piccoli del Signore. Un pagano diventa prossimo se si lascia aiutare da un fratello, ma diventa fratello nel Regno se aiuta un cristiano. “Chiunque avrà dato un solo bicchiere d’acqua ad uno di questi miei fratelli più piccoli perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa”(Mt 10, 42). I “fratelli più piccoli” del Signore, termine che nel vangelo di Matteo designa sempre e solo i discepoli di Gesù, sono infatti coloro che sono costantemente perseguitati, discriminati, imprigionati, malati, poveri, ignudi, affamati e assetati (cfr Mt 25,31-46). Allora chiunque li accoglie e li aiuta è come se accogliesse Cristo in persona, perché “Dio .. ha messo gli apostoli all’ultimo posto, come condannati a morte” (1Cor 3,9 ). Se Gesù ha detto : “chi non è contro di noi è per noi” (Mc 10,40) e “chi accoglie voi accoglie me” (Mt 10,40), a maggior ragione può dire chi aiuta voi aiuta me (cfr Mt 25,45). Se per far diventare prossimo un uomo occorre mettere in atto un complesso e impegnativo cammino di guarigione e di liberazione, nella speranza che qualcuno diventi anche fratello accogliendo non solo l’opera caritatevole del discepolo, ma anche e soprattutto la Parola di Gesù che egli incarna, per far diventare invece un pagano fratello basta che il discepolo di Gesù si lasci aiutare nella sua croce che porta come perseguitato dal mondo (hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi: Gv 15,20). E a questo fine il vero discepolo deve imitare veramente lo stile di vita apostolico accettando di essere il povero in spirito, l’affamato, l’assetato, lo straniero, il malato, il carcerato, in una parola il perseguitato dal demonio e dagli uomini di questo mondo, nonché dai falsi fratelli (cfr 2Cor 11,26), come Gesù. Non deve tanto fare, ma essere. Paradossalmente, ma non troppo, si può dire che il discepolo non deve preoccuparsi tanto di accogliere gli stranieri, quanto di accettare lui stesso di essere straniero; non tanto di dar da mangiare agli affamati, quanto di accettare lui stesso di diventare affamato, assettato ….. per amore di Gesù: “io non ho né argento, né oro, ma quello che io ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina” (At 3,6). Non deve cercare potere, ricchezza affermazione.. ma di restare sottomesso a tutti e servo di tutti per realizzare quella parola di Paolo: “noi apostoli siamo diventati la spazzatura del mondo” (cfr 1Cor 4,13) e: “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45); e vivere ed agire nella potenza dello Spirito (cfr 1Cor 2,4). La vera azione caritativa, che è un obbligo inderogabile, è verso i propri fratelli nella fede: “da questo sapranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altr”i (Gv 13,35), perché costituisce una testimonianza che può far diventare il prossimo fratello (cfr Gc 2,16). In realtà noi apostoli siamo la spazzatura del mondo, dice San Paolo; ma Paolo è la spazzatura del mondo, perché lui stesso ha considerato spazzatura tutto il mondo per avere Cristo (cfr Fil 3,8) che il mondo considera scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,21), per non avere nessun altro vanto che nella Croce di Cristo (cfr Gal 6,14). E questa è esattamente anche l’esegesi di San Francesco, che ha chiamato i suoi frati “minori” proprio a partire da questa imitazione di Cristo, e proprio su questo termine ha fondato la modalità di presenza e di missione dei suoi frati nel mondo, come veri discepoli di Gesù. Don Sandro Carbone biblista Ripreso dal Blog di M. Tosatti. Stlum Curiae
  15. «Oggi la verità è dissolta nella filantropia umana della praxis, nella falsa pastorale. Per reagire, occorre difendere la verità nella carità», afferma Monsignor Gilles Wach, Priore Generale dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote in quest’intervista rilasciata in occasione del XXX anniversario della sua fondazione. «Il Cardinal Zuppi a Gricigliano? La sua visita è un onore. Ci rifiutiamo di considerare la Chiesa, che è un’istituzione divina, come un partito, con contrapposizioni solo mondane» Con 130 sacerdoti membri, 51 case nel mondo; una comunità femminile, le “Adoratrici del Cuore Regale di Cristo Sommo Sacerdote”, un seminario ormai famoso, a Gricigliano, in Toscana, nella dolce armonia delle colline del Chianti, intitolato a San Filippo Neri e fiorente per numero di vocazioni: un luogo di formazione considerato un baluardo della romanità cattolica classica, dottrinale e liturgica, sia da chi lo apprezza, sia da chi ne contesta la stessa esistenza. La missione in Gabon, che ha conosciuto nel corso del tempo un crescente sviluppo, è all’origine, trent’anni fa, dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, fondato il 1 settembre 1990 con decreto di Monsignor Ciriaco Simeone Obamba, Vescovo di Mouila, e divenuto Istituto di diritto pontificio nell’ottobre 2008. Ordinato diacono dal Cardinale Giuseppe Siri nel 1978 e sacerdote da Giovanni Paolo II nel 1979, Monsignor Gilles Wach è, con l’Abbè Philippe Mora, Rettore del Seminario, il fondatore dell’Istituto, di cui è stato rieletto Priore Generale nello scorso agosto per altri sei anni. Considerato da alcuni uomini di Chiesa «progressisti» troppo conservatore nel favorire il ripristino di aspetti secondari dell’antico cerimoniale, della liturgia o della disciplina o di usi ecclesiastici ormai tramontati, è paradossalmente contestato anche da alcuni ambienti del tradizionalismo cattolico che lo reputano eccessivamente «diplomatico» e «silenzioso» sulla «crisi della Chiesa» e sulle sue cause. Senza alcuna reticenza, accetta cortesemente di rispondere a tutte le domande. Mons Gilles Wach di Simone Ortolani. Monsignore, in un’epoca nella quale molti seminari chiudono, l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote attrae molte nuove vocazioni. Cosa attira i giovani che desiderano entrarvi? Oggi abbiamo più di cento seminaristi in formazione. Siamo molto grati alla Divina Provvidenza per il fatto di ricevere così tante vocazioni. Quest’anno sono ventitré per Gricigliano, e quasi quaranta candidati che si preparano per il Seminario nelle nostre case in vari Paesi. Considero che sia sempre bene rammentarsi le parole di Nostro Signore: “Non voi avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi”. È Dio che chiama, e anche oggi, in questi nostri tempi, Lui non cessa mai di chiamare. La spiritualità dei nostri Santi Patroni, inoltre, per la sua bellezza e la sua forza, riesce ad attrarre i giovani. San Benedetto, innanzitutto, con la sua regola, che è alla base della Cristianità, alla sua scuola possiamo sottolineare l’importanza fondamentale riservata al culto, da cui nasce la cultura; al primo posto vanno messi il culto, l’adorazione, la riparazione e il ringraziamento: in breve direi che si tratta della pratica dei primi tre Comandamenti di Dio. San Tommaso d’Aquino, poi, con la sua teologia mai superata ed insuperabile, e con il suo fervente amore per la verità, espone la Fede della Chiesa in un modo così chiaro e netto che ci permette realmente di contemplare ed adorare le grandi Verità rivelate. Infine, il grande Dottore dell’Amore di Dio, San Francesco di Sales, suggerisce alle anime il suo equilibrio, la sua bontà, il suo zelo apostolico radicato nel primato della carità: in un mondo imbevuto di soggettivismo, per cui si rifiuta ogni forma oggettiva di vita retta, l’attenzione portata dal Santo Vescovo di Ginevra per le anime permette di avvicinarsi a tutti e di portare a tutti, compatibilmente alle forze di ciascuno, l’oggettività della Verità e del Bene. SER Card R. Burke con Mons Wach Quali sono state le motivazioni che hanno portato alla fondazione dell’Istituto e qual è la sua vocazione nella Chiesa? Le motivazioni sono venute da diversi giovani che, davanti alla decadenza teologica e morale di tanti seminari, hanno chiesto a me e a don Mora un aiuto per diventare sacerdoti secondo il Cuore di Gesù e l’insegnamento perenne della nostra Santa Madre Chiesa. Sotto la tutela e i consigli di grandi e compianti Cardinali romani - come i Cardinali Mayer, Palazzini, Oddi e Stickler – abbiamo iniziato questa grande avventura. La nostra vocazione è di servire ed amare la Chiesa. Il nostro motto può aiutare a capire chi siamo: Veritatem facientes in caritate. Oggi, la verità è dissolta nella filantropia umana della praxis, nella falsa pastorale. Per reagire, c’è chi vuole difendere la verità; ma, ci ammonisce Pascal, senza la carità “la verità è un idolo diabolico, perché ha l’aspetto di un’opera virtuosa”. Dobbiamo dunque mantenerle entrambe: verità e carità non sono in alcun modo opposte l’una all’altra; al contrario, si uniscono nella persona divina di Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Sommo Sacerdote; come scriveva Sant’Antonio di Padova: “Chi predica la verità con amore professa Cristo. Chi invece nella predicazione tace la verità, rinnega Cristo”. Chiesa dell'Istituto a Libreville, Notre Dame de Lourdes Perché l’Istituto ha scelto di celebrare i Sacramenti secondo l’antica Liturgia romana? Ricordiamo, come ha detto Papa Benedetto XVI, che i riti celebrati dalla Chiesa nel corso dei secoli non possono né essere abrogati, né essere un male in sé. La ricchezza teologica e liturgica di questi riti che sono stati trasmessi fin dall’epoca apostolica e si sono formati, come scriveva Dom Guéranger, con l’assistenza speciale dello Spirito Santo, sono un inesauribile tesoro di grazie e di vita, che hanno formato tanti Santi e tutta la nostra cara cristianità. Tempi belli e buoni. Rammentiamo quello che diceva Sant’Agostino “Cristianizzare è umanizzare”. I nuovi riti apparvero in un’epoca che si voleva, prima di tutto, pastorale, per toccare l’uomo moderno dei nostri tempi. Io direi che quasi sessant’anni dopo la riforma postconciliare, il mondo si è risvegliato pagano. Lasciamo che sia la storia a giudicare, ma da parte nostra, preferiamo rimanere sui sentieri sicuri che la Chiesa ci indica da secoli per la nostra salvezza eterna. Qual è il Suo bilancio del Motu Proprio “Summorum Pontificum” dopo 13 anni dalla sua promulgazione? Ringraziamo la Divina provvidenza per questo Motu Proprio che era più che necessario in un’epoca in cui nell’ambiente ecclesiastico, sperimentando il pluralismo e il dialogo, dovevamo porre fine ad una stupida guerra liturgica, in un periodo in cui la maggioranza della gente non va più in chiesa. Ci sono sempre stati diversi riti nella Chiesa. E questa è una ricchezza. Chi parla di divisione non ricorda più le parole del Cardinal Suenens durante il Concilio: “Unità non significa uniformità”. Il nostro Istituto, fiorito in vari continenti, è lieto di offrire, senza polemiche o divisioni, la bellezza della liturgia Romana ad un numero sempre crescente di fedeli, e soprattutto di giovani. Il pontificato di Papa Benedetto XVI sarà ricordato nella storia della Chiesa per aver restituito la sacra liturgia alla Chiesa e la Chiesa alla sacra liturgia. Nelle missioni sparse nel mondo, come in Gabon, i fedeli non gradirebbero una liturgia più vicina alla loro specifica dimensione antropologico-culturale? Ho avuto il dono prezioso di svolgere il ministero e l’ufficio di Vicario Generale in una Diocesi africana ormai qualche decennio fa; per cui mi sento di poter notare che la sua richiesta è tipica della nostra povera società europea, prematuramente invecchiata, che non sa più cosa sia realmente l’Africa e conosce l’Africa solo attraverso gli slogan di potenti correnti ideologiche che non fanno bene alla cara Africa, né alla sua immagine. Noi vi siamo presenti da ormai trent’anni ed ammiro sempre il loro senso del sacro, l’amore del bello e come cantano bene sia il gregoriano che la polifonia. Basteranno due aneddoti per illustrare quel che dico. Il primo: la vigilia dell’inaugurazione della nostra bella chiesa che abbiamo edificato a Libreville, c’erano tanti bambini davanti alla facciata e le mamme avevano difficoltà a riportarli a casa, perché esclamavano continuamente “Che bello! Rimaniamo qui! Quant’è bello!”. Il secondo: un mio caro amico africano stava assistendo con tristezza alla demolizione d’un bell’altare antico ad opera di un missionario europeo. Questo sacerdote voleva innalzare al suo posto delle pietre grezze ed un strano pezzo di legno. L’africano chiese perché; “Per l’inculturazione”, rispose il missionario. “Ma -disse l’Africano- allora, perché voi non fate i vostri altari con le lattine di Coca-Cola?” Gli africani hanno così tanto da insegnarci: sulla liturgia e anche sulla morale. Alcune delle nostre nuove leggi civili, come per esempio sulla famiglia, sono per loro, e giustamente, prive di ragione e di buon senso. Ho notato che spesso le cosiddette teologie africane sono composte da “vecchi intellettuali” europei. Che gioia vedere in questa bella Africa la freschezza e la bellezza della liturgia romana, celebrata con tanto entusiasmo da tanti giovani! Sono veramente attratti dalla liturgia romana e questo prova che è una liturgia divina per tutti i secoli e per il mondo intero. I canonici dell'ICRSS Lei e l’abbè Philippe Mora entrarono nel seminario di Genova, nell’epoca del Cardinale Giuseppe Siri. Qual è l’eredità teologica e liturgica di questo Porporato e quale il Suo ricordo personale? Questa eredità è ancora vitale per la Chiesa? Lei mi chiede di parlare di uno dei più grandi cardinali del XX secolo. È stato nominato Vescovo giovanissimo (38 anni) e Cardinale nel 1953 (aveva 47 anni) dal Venerabile Papa Pacelli. Sarebbe molto utile rileggere i suoi insegnamenti; sono di una profondissima e giustissima qualità; per la teologia, è bene rileggere il suo famoso libro Getsemani e anche le sue lettere pastorali sulla liturgia. Tutto era profetico; aveva ragione in tutto. Egli diceva che le conseguenze dell’era postconciliare erano incalcolabili e che il disastro era universale. Il Cardinal Siri ha certamente sofferto molto nel vedere distruzioni, tradimenti e rovine, nella Chiesa degli anni sessanta, settanta e dopo. Ma l’insegnamento che abbiamo imparato da quei tempi difficili è la memoria del suo grande amore per la Chiesa. La sua immancabile lealtà rivela una visone soprannaturale e veramente santa della Chiesa. La Chiesa, infatti, non è degli uomini ma di Dio. Nell’ultima udienza che ho avuto con lui prima che morisse, l’ho ringraziato perché ci aveva comunicato l’amore del servizio alla Chiesa, ricordandoci che siamo poveri, miserabili, ma che, nonostante la nostra debolezza, l’ufficio rimane grande e divino; noi non salveremo la Chiesa, ma la Chiesa ci salverà. Pur proclamando le verità della fede davanti ai peggiori eretici, Sant’Agostino amava dire: “La verità è come un leone. Non avrai bisogno di difenderla. Lasciala libera. Si difenderà da sola”. In questi tempi, di fronte ai grandi scandali che stanno sconvolgendo i ministri della Chiesa, ringrazio Dio di aver conosciuto questo grande Cardinale; questo ci aiuta ad essere fedeli nelle tribolazioni, mantenendo la nostra anima nella pace e il nostro cuore nella gioia di servire un Dio così buono ed una Chiesa così madre. SER Card Zuppi in visita a Gricigliano. Una critica che Le viene mossa da alcuni ambienti tradizionalisti riguarda le Sue relazioni con alti ecclesiastici di fama “progressista”. Alludo anche alla recente visita al Seminario del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, nello scorso agosto. Qual è il motivo che La porta ad intrattenere relazioni anche con esponenti della Gerarchia lontani la cui visione teologica o liturgica appare lontana dalla sensibilità tradizionale? Un’altra eredità del Cardinal Siri è che noi non siamo rivoluzionari. Ci rifiutiamo di accettare una visione eccessivamente politica e, per così dire, manichea della Santa Chiesa. Replicare il triste spettacolo di vedere rivoluzionari di destra opposti a rivoluzionari di sinistra nella Chiesa, non ci passa nemmeno per la testa. Sarebbe una visione troppo mondana. Noi non siamo rivoluzionari; tutt’altro, siamo controrivoluzionari e siamo servi inutili, essendo seri senza prenderci sul serio. A Gricigliano, da quando ci siamo, abbiamo ricevuto più di venti Cardinali. Sono successori degli Apostoli e membri del Sacro Collegio. È importante che i nostri giovani vedano come lavoriamo e come loro dovranno lavorare domani con la nostra Gerarchia cattolica. La Chiesa è una cosa seria, non un partito politico, no! Non abbassiamola al livello di cose meramente umane. I giovani seminaristi devono vederla come la Sposa di Cristo, “sine macula, sine ruga”. Visione soprannaturale non sociologica. Intendiamoci: non vuole dire a occhi chiusi. Vedere, sì, la triste situazione di oggi, ma al nostro posto. Sono seminaristi, non Vescovi! Sono in seminario per imparare, non per insegnare. Con la scusa della crisi, diventano magisteri ambulanti che devono avere una posizione su tutto e tutti. Questo non è la Chiesa ma è l’anarchia. Dirò di più, sono rari quelli che hanno la vocazione grande e bella di santa Caterina da Siena di chiamare gli alti prelati secondo giustizia e verità col nome di “demoni incarnati”. Da noi, nessuno ha questa vocazione, io per primo non ce l’ho. Fare bene il nostro dovere e già tanto. Domani sarà domani, oggi facciamo la volontà di Dio. Le idee devono essere chiare, certo, ma stando al nostro posto! Qui, a Gricigliano, siamo ad un piccolo posto di servizio alla Chiesa. Per carità, non chiudiamo le menti dei seminaristi solo con i fastidiosi problemi di oggi. Potranno affrontarli domani se avranno ricevuto i migliori e più solidi insegnamenti sulla teologia, sulla morale, sulla liturgia, sulla storia della Chiesa, sul diritto canonico, nella tranquillità e non nell’agitazione delle dispute che portano spesso all’orgoglio! Facciamo loro amare la Chiesa, per meglio combattere il male che può esservi anche dentro. A Gricigliano, vogliamo insegnare come amare, servire e soffrire per la Chiesa e forse anche dalla Chiesa come diceva il padre Clérissac (O.P.). Il Cardinal Arcivescovo di Bologna, che ci ha fatto l’onore della sua visita, noi lo conosciamo da anni e in occasione della sua visita a Gricigliano, ci ha indirizzato un bellissimo discorso sulla Madre Chiesa e i suoi diversi figli. È stato un bell’insegnamento per noi. Allo stesso modo, il giorno dopo abbiamo ricevuto il Cardinal Betori, il nostro Arcivescovo di Firenze, proprio come negli anni passati avevamo ricevuto i suoi predecessori, il Cardinal Piovanelli ed il Cardinal Antonelli. Ai nostri giovani, avendo idee ortodosse e ben chiare su ogni punto di vista dottrinale, dobbiamo anche trasmettere un grande senso di rispetto, di correttezza cristiana, di disciplina, che tanti ambienti tradizionalisti o progressisti, per dire come Lei, non hanno più, forse perché questi ambienti sono moderni, noi grazie al Cielo, no!
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