Il Pensiero Cattolico

27 Luglio 2024

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
27 Luglio 2024

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Redazione IPC

Proposizioni per un’Arte Sacra secondo lo Spirito

Sintesi di un incontro tenuto sul tema dell'Arte Sacra.
Relatori: Don Nicola Bux, Giorgio Esposito, Maria Teresa Ferrari, Nicola Barile, Chiara Troccoli, Antonio Calisi.

Veni, Creator Spiritus
mentes tuorum visita
Imple superna gratia
quae tu creasti pectora

  1. E’ ormai da molti anni che la Chiesa Cattolica ha sperimentato una nuova epoca nel suo millenario rapporto con l’arte e l’architettura sacra. Una nuova epoca segnata dalla ribellione dell’arte contemporanea e dal suo disprezzo verso “le forme vive o le forme degli esseri viventi”, secondo la definizione di Ortega y Gasset, disprezzo espresso in particolare dall’arte astratta ed informale.
  2. La via per il recupero di un sano rapporto fra arte e Chiesa Cattolica venne indicata nel 1964 da Sua Santità papa Paolo VI, nel suo memorabile “Discorso agli Artisti”. Il Santo Padre indicava allora i seguenti punti per il rilancio di un “patto” fra artisti e Chiesa:

    1. “Se vogliamo dare, ripetiamo, autenticità e pienezza al momento artistico religioso, alla Messa, è necessaria la sua preparazione, la sua catechesi; bisogna in altri termini farla prendere o accompagnare dalla istruzione religiosa.”
    2. “C’è poi bisogno del laboratorio, cioè della tecnica per fare le cose bene. E qui lasciamo la parola a voi che direte che cosa è necessario, perché l’espressione artistica da dare a questi momenti religiosi abbia tutta la sua ricchezza di espressività di modi e di strumenti, e se occorre anche di novità.”
    3. “E da ultimo aggiungeremo che non basta né la catechesi, né il laboratorio. Occorre l’indispensabile caratteristica del momento religioso, e cioè la sincerità. Non si tratta più solo d’arte, ma di spiritualità. Bisogna entrare nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore.”

  3. A distanza di 60 anni da quelle parole, i risultati sono modesti se non del tutto deludenti. In una parola l’arte e l’architettura sacra oggi non sembrano favorire l’incontro con Dio, quanto piuttosto ostacolarlo costantemente.


Le cause della presente situazione

  1. Nonostante siano passati quatto secoli dalla sua pubblicazione il “Discorso intorno alle immagini sacre e profane” del Cardinal Gabriele Paleotti (1582) espone con chiarezza la causa principale dello sbandamento attuale: “E’ nostro parere che gli abusi non siano tanto da ascrivere agli errori che gli artisti commettono nel dar forma alle immagini, quanto piuttosto agli errori dei signori che le commissionano e che trascurano di commissionarle come si dovrebbe: essi sono le vere cause degli abusi, in quanto gli artisti non fanno che seguire le loro indicazioni.”


I riferimenti teologici

  1. Perfectio, Claritas, Armonia: i tre fondamentali dell’estetica cattolica sono riassunti nella Bellezza della Verità. L’unità, la verità, la bontà e la bellezza concorrono in modo determinante alla chiarezza e alla pienezza del sacro trinitario e della liturgia, ne costituiscono lo statuto fondamentale, la natura stessa della res sacra e ad un tempo della relazione di dipendenza con essa del fedele riunito al Cristo e alla Chiesa. L’arte sacra deve dunque essere Vera.
  2. La somiglianza, che nella Trinità è perfetta, sostanziale e piena, si sparge nella creazione per partecipazione, e vi si sparge proprio a causa del fatto che la ss. Trinità vuole avere anche fuori della sua arcana trascendenza delle creature, immagini di Sé, capaci di compiere intelligentemente e dunque liberamente la stessa santa Liturgia che Essa compie in Sé. L’Incarnazione del Signore è principio e fonte dell’arte sacra. Un’arte che irrida o non rispetti fedelmente il dogma dell’Incarnazione, rinnegandolo attraverso l’astrattismo e la rinuncia alle forme, è incompatibile con la definizione di “arte sacra”.
  3. La liturgia ci invita a rivolgerci al Signore distogliendo lo sguardo da noi stessi o da altre creature, per fissarlo, attraverso lo stesso sacerdote celebrante tutt’uno col Cristo, nella Gloria del Padre che lo stesso Cristo è. Dunque, la liturgia è sacra perché scende dall’alto, da Dio Trinità che è nei cieli, perciò è ‘il cielo sulla terra’, ed è sacra poi perché così deificante risale attraverso il sacrificio di Cristo al Padre che è nei Cieli.
  4. Il percorso parallelo e l’intima integrazione dell’arte con la Liturgia non ne concludono il senso. L’opera artistica ed architettonica, a differenza della liturgia, permane anche dopo la Liturgia. Essa ha perciò il compito aggiuntivo di essere eco della liturgia, una volta che questa sia terminata. Nella Liturgia nulla è superfluo, poiché anche ciò che non è necessario contribuisce alla sua bellezza, la quale a sua volta si rivela utile alla descrizione delle realtà celesti. La Liturgia è inoltre organica poiché nessuna sua parte ha senso se isolata dalle altre. Allo stesso modo la decorazione della chiesa e la sua struttura architettonica devono rivendicare una funzione pedagogica verso la fedeltà al messaggio evangelico e liturgico, il suo arricchimento estetico, e la comunicazione con il Signore nella Sua dimora.


Committenti ed Artisti

  1. Il sacerdote e il liturgista devono avere innanzitutto chiara l’identità cristiana e cattolica che ne fa la pars magna della committenza: di qui la verifica dell’identità dell’artista che, qualora non fosse altrettanto chiara, deve compiere un itinerario che parta dalla sua vocazione tecnica per giungere a quella cristiana e liturgica che sola può permettergli di creare un’arte sacra.
  2. La desacralizzazione ha reso incapaci di stupore chierici e fedeli, stupore che dipende proprio dalla presenza del Sacro. Se l’Incarnazione è la cifra essenziale, non è l’uomo che diventa Dio, ma è Dio che è diventato uomo. Per questo motivo nell’arte cristiana bisogna insistere sul ruolo dell’immagine. «L’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come, ad esempio, l’armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell’arredo e del luogo sacro». (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, n.42).
  3. L’assenza nel percorso formativo del clero di indirizzi su arte ed architettura sacra è oggi percepita come una grave lacuna. E’ dunque fortemente sentita la necessità di istituire un percorso di formazione artistica ed architettonica fino al livello universitario patrocinato dalla Chiesa.
  4. L’artista deve essere innanzitutto tale, ovvero deve possedere una oggettiva maestria, specialmente nell’uso dei materiali e delle tecniche, per eseguire quanto gli viene commissionato e nello stesso tempo deve conoscere il Credo della Chiesa e la sua liturgia. Se in passato talvolta il primo requisito è stato negletto, oggi rischia di esserlo il secondo.
  5. La costruzione di un edificio sacro cristiano o una composizione musicale per la liturgia sono annuncio permanente di Gesù Cristo all’uomo. L’attività creatrice dell’artista non può dunque prescindere dalla morale e dalla fede. San Paolo ha esortato i cristiani a conoscere Cristo “secondo lo Spirito” e a non conformarsi alla mentalità mondana, a non secolarizzarsi. Vuol dire che la conoscenza interiore di Gesù porta alla conversione e all’abbandono di ogni accorgimento mondano. Un artista non credente può giungere a realizzare una chiesa se, operando, si immedesima nel mistero della fede pur commettendo alcune ingenuità o alfine ne scopre la grazia: la sua arte allora diventa testimonianza del vero ricercato e alfine trovato agendo. Tuttavia, ciò è possibile grazie ad un incontro, al rapporto con la presenza di Cristo, tramite qualcuno che ti introduce ad un diverso modo di conoscere la realtà. L’arte per sua natura non può essere lontana dalla fede, se non a causa di progetti ben calcolati e pagati.
  6. Quindi, essere contrari alle “grandi firme” non significa che i progetti di un architetto non credente o non cristiano o cattolico non praticante siano inutili e sempre fuorvianti. Possono invece risultare quali premesse o ‘ prove di stampa ’ per un dialogo che porti alla conversione o come si suole dire a un cammino di fede, prima che a progetti di edifici sacri veri e propri. Perché con un artista si dovrebbe fare eccezione? Tuttavia l’appartenenza ecclesiale non è un requisito secondario per costruire un edificio sacro. La prima ‘regola’ per fare arte sacra, sia essa architettonica o musicale, è appartenere alla Chiesa.
  7. L’artista cristiano è umile e quasi non deve comparire: a lui come a tutti è richiesta la conversione. Joseph Ratzinger ricorda che per essere condotti ad un nuovo modo di vedere, prima si deve cambiare il cuore: a partire dal centro interiore che è la croce e la risurrezione (Cfr. Introduzione allo spirito della liturgia, p 117). Perciò gli orientali esigono che per fare una icona ci voglia il digiuno. E’ la seconda ‘regola’: senza conversione non si può produrre arte sacra adatta alla liturgia.
  8. Ecco perché, la terza ‘regola’ dell’artista è la conoscenza della liturgia e della Scrittura, la continuità con la tradizione e col magistero di due millenni: l’artista cristiano non lavora da solo ma in comunione con la comunità ecclesiale di tutti i tempi. Una chiesa odierna non può essere in rottura con le forme consacrate dalla tradizione, pur innovandole e sviluppandole dall’interno. Non basta il consulente liturgico: questa è una figura propria di una Chiesa concepita come azienda.
  9. Una quarta ‘regola’ è la bellezza divina, che costituisce la fondazione ontologica dell’arte sacra. La caratteristica della liturgia è l’intima connessione di celebrazione rituale col suo simbolismo, di disposizione architettonica e iconografica e di mistagogia o interpretazione liturgica. Perché nella liturgia Dio si rivela all’uomo. Perciò ne segue che l’artista è ministro della bellezza, perché la Chiesa è casa di Dio e del popolo che gli appartiene.
  10. Quinta regola: se l’artista è umile, non c’è bellezza migliore che lasciarsi trasformare da Cristo. Solo così la bellezza può salvare il mondo mettendo ordine, l’ordine dell’amore. Per questo alla fine “solo l’amore è credibile”. Come può un artista costruire una chiesa immagine del corpo di Cristo senza l’amore teologale?
  11. Dunque l’arte sacra cristiana – cioè un’arte ordinata alla liturgia – si fonda su uno sguardo che si apre in profondità, poggia sulla dimensione ecclesiale della fede condivisa, chiede che l’artista sia formato interiormente nella Chiesa (cfr. Ibidem, p 127-131). La libertà dell’arte non significa arbitrio. Senza fede non c’è arte adatta per la liturgia, ma un conoscere Cristo “secondo la carne”.


Lo Spazio Sacro

  1. Centro della chiesa è Colui che in essa dimora. Sarebbe opportuno quindi reintrodurre l’orientamento a Cristo, e rendere fulcro dello Spazio Sacro il Tabernacolo e la Presenza Reale del Signore.
  2. Per reintrodurre la definizione di “spazio sacro” nel concetto di “templum” bisogna ribadire i suoi fondamenti costitutivi. La sacralità dell’edificio chiesastico è un dato di fatto dopo la sua consacrazione, atto che taglia una porzione di spazio agli usi profani e lo dedica, lo consacra, al culto di Dio. Per questa procedura le chiese possono bene essere dette anche templi, come manifesta l’etimologia della parola tempio dal greco τέμνω. Uno dei requisiti fondamentali dunque per esprimere la sacralità di uno spazio è proprio l’espressione della sua alterità rispetto al circostante. La tradizione architettonica ci ha trasmesso l’uso della monumentalizzazione dell’ingresso che sottolinea l’importanza del varco della soglia ed il suo carattere di spazio di transito tra due dimensioni diverse, e così anche l’interno delle chiese è stato caratterizzato da numerosi recinti a proteggere le aree di stretto uso sacerdotale da quelle laicali, e a sua volta quelle dedicate ai sacramenti da tutte le altre.
  3. Altro accorgimento importante che ritroviamo nell’architettura ecclesiastica occidentale fino a tempi recenti è la simmetria. La Chiesa corpo di Cristo prendeva corpo nella chiesa edificio e come un uomo si dedica a Cristo dal suo battesimo così per lo spazio si faceva altrettanto. Nella sua comparazione al corpo battezzato dunque, era inevitabile che nell’edificio consacrato si facesse allusione al corpo umano, massima creazione divina. Oltre alla pianta in forma di croce, molto spesso usata per le medesime ragioni, un elemento di somiglianza più generico ma più sostanziale è la simmetria, criterio di composizione che inoltre informa una tanto grande parte della creazione.
  4. Un terzo criterio utile alla definizione dello spazio sacro cristiano è la gerarchia degli spazi. Si intende qui una gerarchia nella disposizione spaziale delle diverse parti che compongono il luogo di culto, sia gerarchia della decorazione delle stesse. Quanto alla prima è opportuno che gli spazi dove si compiono le azioni liturgiche siano posizionati su un piano più elevato degli altri, elevazione che esprime l’importanza delle azioni da compiersi, che diventa simbolo del cammino di elevazione dell’uomo verso Dio, che avvicina al cielo, luogo simbolico della presenza divina, che infine aiuta la visibilità. Quanto alla seconda è opportuno altresì che la decorazione operi una gradazione dagli spazi meno sacri a quelli più sacri, gradazione per materiali, colori, soggetti.
  5. Sarebbe opportuno ripensare i cosiddetti adeguamenti delle chiese precedenti al Vaticano II, che hanno causato spesso la distruzione del patrimonio artistico con lo smantellamento iconoclasta di altari, balaustre e tabernacoli.
  6. Il recupero del canto gregoriano, della buona polifonia e musica organistica, antiche, moderne e contemporanee, servirebbe certamente a recuperare dei “vocaboli” liturgici che la Tradizione artistica e musicale cattolica ci ha offerto per secoli, ridonando una dimensione profondamente spirituale anche allo spazio sacro all’interno del quale la liturgia stessa si sviluppa.
  7. L’unità, la verità, la bontà e la bellezza concorrono in modo determinante alla chiarezza e alla pienezza del sacro e della liturgia – fatta di persone, cose e azioni – ne costituiscono in certo senso lo statuto fondamentale, la natura stessa della res sacra e ad un tempo della relazione con essa del fedele. La res sacra ha una dimensione giuridica, cioè è anche iusta per la sua natura cultuale e la sua essenza pubblica: perciò fare rito, arte e musica secondo tale dimensione “quadriforme”, è cosa buona e giusta.
  8. La formazione deve riguardare anche la committenza ove vige una confusione generale in ambito artistico. Per giudicare come valida un’opera d’arte sacra è necessaria una commissione di esperti. Inoltre si dovrebbero proporre Concorsi d’Arte sacra per consentire anche a sconosciuti artisti di esser scoperti e valutati. E’ importante che ci siano scuole o facoltà di architettura, che includano quanto fin qui descritto. Secondo una tradizione che si è vivamente conservata nella Chiesa orientale ed è definita “naodomia”, sarebbe altresì opportuno che la Chiesa Cattolica ripensasse le norme per la costruzione degli edifici sacri.

...articoli recenti

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Nona Riflessione

San Juan Diego, per quanto fosse fedele messaggero della Madonna, non capì in pienezza i desideri di Nostra Signora. Pur avendo portato le rose miracolose al palazzo del Vescovo,
non avrebbe mai potuto immaginare il miracolo ancor più grande che sarebbe presto avvenuto, né avrebbe potuto conoscere fino a che punto il suo cooperare con i desideri della Madonna avrebbe glorificato Dio, né in che misura questo miracolo avrebbe aiutato a trasformare la sua nazione e la Chiesa nel continente americano e oltre.

San Juan Diego non sapeva niente di tutto ciò mentre si affrettava ad andare dal Vescovo. Eppure, è stato mediante la sua fede nel Signore e la sua cooperazione con i desideri della Madonna, col piano di Dio, che queste innumerevoli benedizioni si sono avverate. Miei fratelli e sorelle in Cristo, imitiamo questa fede nelle nostre vite.
Non possiamo conoscere la piena ampiezza dell’operare della grazia attraverso di noi – almeno non da questo lato dell’eternità. Tuttavia, Dio vuole agire attraverso di noi in modi che non possiamo neanche immaginare.
Desidera elargire grazie che non possiamo misurare. Dobbiamo solo offrirGli i nostri cuori nel compiere la Sua volontà in ogni cosa. Non sta a noi valutare il costo o il merito totali delle opere della nostra vita.
In ogni caso, questo è un compito impossibile per noi. È nostro dovere combattere per la santità e lasciare che la Divina Provvidenza disponga il resto. Per l’intercessione di Maria, possa Dio mettere ordine nei nostri cuori, in unione col Cuore Immacolato di Maria, così che possano sempre riposare nel Suo Cuore divino.

Preghiamo…

Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

ESSERI IN RELAZIONE: L’IMPORTANZA DI GENESI 2, 18-20

Proseguiamo nel percorso che ci sta portando, con semplicità, a riscoprire nei racconti della Genesi sulla creazione dell’uomo e della donna, la visione del giudeo-cristianesimo e quindi della Chiesa relativamente al mondo femminile in se stesso e in relazione col maschile. Prendiamo in esame il secondo racconto della creazione: esso non è da considerarsi cronologicamente successivo al primo né alternativo ad esso, ma semplicemente un altro racconto che specifica e arricchisce il primo, concentrandosi in particolare sull’uomo e la donna e la loro reciproca relazione.

La relazionalità è una caratteristica essenziale della persona umana: siamo esseri in relazione già dal grembo materno e non possiamo, neanche volendolo, “liberarci” di questa caratteristica. Anzi, la psicologia, la pedagogia, la sociologia e le scienze umane in genere ci dicono che la nostra identità si forma proprio ed esclusivamente nella relazione con l’altro, motivo per cui il modo in cui ci posizioniamo nelle relazioni dice qualcosa di importante su chi noi siamo. Quest’ultimo concetto è estremamente importante quando si tratta di relazione fra maschio e femmina: se la dignità e la specificità di ognuno influenza e caratterizza la relazione fra i due, è anche vero il contrario, e cioè che la relazione fra i due definisce la dignità e l’identità di ciascuno.

“Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.” Gn 2, 18-20.

Il testo si apre con la solitudine esistenziale dell’uomo adam, inteso quindi come persona umana non ancora sessualmente specificata, solitudine che Dio giudica negativamente, dando l’idea di non aver completato l’opera della creazione di questo essere (infatti in Genesi 1, 31 l’uomo ormai creato maschio e femmina è giudicato “cosa molto buona”); il racconto prosegue con il vano tentativo dell’uomo, pedagogicamente indotto dallo stesso Creatore, di trovare una soluzione alla solitudine nella compagnia degli animali (e quanto si potrebbe dire anche su questo guardando la società occidentale contemporanea!).
La parola ebraica tradotta con “solo” è molto forte, indica un tipo di isolamento che è chiusura totale alla relazione con l’altro, totale impossibilità o incapacità di esprimere e comunicare la propria identità profonda [1]. Questa condizione non appartiene all’essere umano così come è pensato e voluto da Dio: “L’adam, maschio o femmina che sia, è creato non per l’isolamento-solitudine, ma per il dialogo, per la condivisione e la reciprocità, per la comunione. La relazione all’altro allora non è facoltativa, ma indispensabile perché la vita abbia senso, anche se può essere realizzata con modalità diverse” [2].
Il tentativo fallito del Creatore di far uscire l’uomo dall’isolamento esistenziale (“gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”) relazionandosi con gli animali, si conclude con la frase: “l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile”.
Essa denota innanzitutto una delusione da parte dell’uomo, che si riscopre superiore alle altre creature (impone il nome agli animali), ma al contempo incapace di trovare in esse la soddisfazione che cerca, delusione che lo aiuterà ad apprezzare la diversità sostanziale della donna, della cui creazione parleranno i versetti immediatamente successivi [3].
Questa sottolineatura è una rottura con la mentalità del tempo in cui tali testi sono stati redatti: la donna non dev’essere confusa con gli animali, di cui l’uomo è padrone, e la relazione fra uomo e donna non può essere improntata sul possesso, come altri passi biblici potrebbero erroneamente indurre a pensare [4].
L’espressione “ un aiuto che gli sia simile” non rende la profondità dell’originale ebraico: l’uomo ha bisogno di aiuto per uscire dall’isolamento esistenziale e può trovarlo solo in un essere “che gli stia davanti” (questa la traduzione che appare più appropriata), cioè che possa stargli di fronte e guardarlo negli occhi senza abbassare lo sguardo, come un essere assolutamente alla pari nella dignità e nelle facoltà psicofisiche, col quale si possa entrare in un dialogo profondo [5].
Ecco la donna.
Anche in questo è possibile ravvisare una profonda rottura del Giudaismo, e quindi del Cristianesimo, rispetto alla considerazione che si aveva in quell’epoca della donna, ravvisabile per esempio nei miti dei popoli antichi: “come un oggetto misterioso finalizzato alla soddisfazione del maschio o alla riproduzione di altri schiavi per gli dèi o come una attrazione fatale colpevole di portare l’uomo sulla strada sbagliata” [6].
Da notare che queste e altre visioni svalutanti la dignità della donna, appartenenti al paganesimo, sono state e sono ancora attribuite al Cristianesimo e alla Chiesa, con buona pace del testo biblico, della Tradizione, del Magistero e dei testi liturgici (basti pensare alle benedizioni e orazioni del matrimonio ebraico e cristiano) che da esso si sono propagati nel corso dei secoli e che sono e saranno per sempre testimoni autentici della verità.
Nel prossimo articolo approderemo alla famosa “costola di Adamo”, tanto nota quanto tristemente e lungamente fraintesa.

___________________________________________________________________________

[1] Cfr. https://www.simoneventurini.com/non-e-bene-che-luomo-sia-solo/
[2] G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, pag. 139.

[3] “Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa/è carne dalla mia carne/e osso dalle mie ossa./La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta»”. Genesi 2, 21-23.
[4] Per esempio: “Non desiderare la casa del tuo prossimo./Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Esodo 20, 17.

[5] Cfr. Cappelletto, pag. 139.

[6] Ibidem, pag. 138.

...articoli recenti

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Ottava Riflessione

Non ci sono forse Io qui, Io che ho l’onore di essere tua Madre? Non sei forse tu sotto la Mia ombra, la Mia protezione? Non sono Io la fonte della tua gioia? Non sei tu sotto il Mio manto, nel Mio abbraccio? Hai bisogno di altro, oltre a questo?

La Madonna ha pronunciato queste parole estremamente consolanti a Juan Diego in un momento profondamente doloroso. Juan Diego ha mancato nel corrispondere alla Sua richiesta, e suo zio, Juan Bernardino, che amava molto, era prossimo a morire.
La Tradizione di Santa Madre Chiesa ci rammenta come la Madonna non fosse estranea alla sofferenza: la Chiesa indica sette dolori particolari di Maria, e la preghiera del Rosario ci porta alla contemplazione dei cinque Misteri Dolorosi, in cui Ella ha partecipato con tutto il Suo cuore.
Noi sappiamo che anche Suo Figlio, Nostro Signore, ha patito grande sofferenza. Leggiamo nelle Scritture che Gesù ha pianto su Gerusalemme, ha pianto per la morte di Lazzaro, ha sudato sangue nel Giardino del Getsemani. Sappiamo pure, negli studi della parola di Dio dei Padri della Chiesa, che Cristo ha subíto tutto il peso del dolore per i nostri peccati durante la Sua Passione e Morte.
Non eluderemo mai il dolore in questo mondo: la Madonna, infatti, ha seguito alla perfezione la volontà di Nostro Signore, e Lei pure fu afflitta da dolori che non possiamo immaginare. Ma non dobbiamo mai lasciare che questa sofferenza diventi paura, né disperazione.
Dobbiamo abbracciare il dolore come opportunità per crescere nella vicinanza a Cristo, per offrire le nostre sofferenze e dunque unire le nostre vite più strettamente alla Sua. Non è forse Lui ad insegnarci che, per essere una cosa sola con Lui, dobbiamo prendere la nostra croce ogni giorno e seguirLo?
E se il dolore in questo mondo cresce al punto da credere di non poterlo sopportare, non dobbiamo esitare, neanche per un istante, a gridare alla nostra Beata Madre, che non mancherà di tenerci al sicuro “sotto il Suo manto, nel Suo abbraccio”.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Settima Riflessione

Questo mese, riflettiamo sulla Quarta Apparizione della Madonna a San Juan Diego. Nella fatica di assistere suo zio, gravemente malato, San Juan Diego non ha adempiuto la richiesta della Madonna di tornare sul colle Tepeyac. Deve aver provato grande vergogna a motivo di ciò, poiché ha fatto una deviazione per evitarLa, mentre accompagnava il prete da suo zio, ormai in fin di vita.

Ovviamente, non è possibile ingannare la nostra Madre Beata, la Quale è discesa dal Tepeyac per incontrare Juan Diego nella sua deviazione. Prendiamoci un momento per riflettere sulle parole della Madonna, forse le più famose di queste apparizioni. Invece di sgridare Juan Diego, lo consola.
Anch’Ella conosce tutto ciò che ci preoccupa; con le Sue parole a San Juan Diego, parla anche a noi, circa 500 anni dopo, così che possiamo esserne confortati anche noi.
Ascolta, mettiti in cuore, mio giovane figlio, che ciò che ti ha preoccupato, ciò che ti ha afflitto è nulla; non lasciare che ti turbi il volto, il cuore; non temere questa malattia, né qualsiasi altra malattia, né alcuna cosa aspra o dolorosa.
Non ci sono forse Io qui, Io che ho l’onore di essere tua Madre? Non sei forse tu sotto la Mia ombra, la Mia protezione? Non sono Io la fonte della tua gioia? Non sei tu sotto il Mio manto, nel Mio abbraccio? Hai bisogno di altro, oltre a questo?
Miei fratelli e sorelle in Cristo, non c’è nient’altro di cui abbiamo necessità.
Affrettiamoci a porci sotto la protezione della nostra Madre Celeste. Portiamo a Lei tutto ciò che ci causa paura.
Lasciamo che il nostro cuore diventi una cosa sola col Suo Cuore Immacolato, che è sempre unito alla volontà di Dio e attraverso il quale, in ogni cosa, Ella ci porta sempre più vicino a Colui che solo è la nostra salvezza.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Sesta Riflessione

Continuiamo a riflettere sulla Terza Apparizione e sulla richiesta del Vescovo di un segno a San Juan Diego. Nostro Signore chiama “beati” coloro che crederanno senza aver visto. Eppure, nella Sua misericordia, Nostro Signore ci concede segni del Suo amore in abbondanza, così che possiamo crescere ancor più nell’amore per Lui.

La tilma su cui Dio ha miracolosamente impresso l’immagine della Madonna per noi, suoi figli, è proprio uno di questi segni, un segno eccezionale del Suo amore.

Prendiamo un momento per esaminare i segni che Dio ha dato a ciascuno di noi.

Abbiamo permesso alle nostre anime di indurirsi sempre più e di logorarsi nella miopia del materialismo che pervade la nostra società? O crediamo che Dio manifesti segni del Suo Amore per noi, ogni singolo giorno?

Stiamo mettendo alla prova il Signore nostro Dio, richiedendo risultati esatti secondo la nostra limitata comprensione? O ci sforziamo di apprezzare la grazia di Dio secondo la situazione attuale della nostra vita?

Dovremmo sapere e credere che, anche se stiamo lottando per scorgere i segni che Dio ci ha mostrato, possiamo sempre rivolgerci alla meraviglia e all’amore che sono a nostra disposizione qui ed ora nel miracolo dei Sacramenti, mediante i quali Dio Figlio Incarnato agisce direttamente per santificarci, per concederci incommensurabilmente e incessantemente la Sua grazia e la Sua vita. Egli sta offrendo la Sua misericordia proprio adesso nell’incontro sacramentale con Lui nella Confessione. Sta offrendo la propria vita – il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità – nella Santa Eucaristia.

La Madonna ci porti ad amare sempre più il Suo Divin Figlio. Dunque, vi imploro: nel continuare questa novena di nove mesi, dedicate più tempo all’adorazione davanti al Santissimo Sacramento, riposto nel Tabernacolo o esposto per noi nell’ostensorio. L’Ostia Sacra è il segno più grande che abbiamo dell’amore di Dio; possa il nostro amore per Nostro Signore nel Santissimo Sacramento crescere in vivacità e forza ogni giorno.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Eleonora Casulli

LA DONNA NEL GIUDEO-CRISTIANESIMO E NELLA CHIESA CATTOLICA

MASCHILE E FEMMINILE IN GENESI 1, 27

Nel mio primo intervento sulla tematica inerente alla «questione femminile» in relazione al Cristianesimo e alla Chiesa, avevo esplicitato che, proprio perché le accuse e le mistificazioni rivolte alla religione e alla istituzione partono da «problematiche» percepite come radicali, è necessario andare alla radice e, quindi, partire dalla Genesi. Così, dopo aver parlato delle donne prime testimoni del Risorto nel precedente intervento, mi accingo a ripartire dal principio.

Genesi 1, 26 recita: “E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»”. Genesi 1, 27 recita: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Mi preme ricordare inizialmente (e non me ne vogliano i lettori più addentrati) che i racconti della creazione contenuti nella Genesi vanno interpretati in modo allegorico e simbolico, non letterale: essi non presentano verità storico-cronologiche o scientifiche, bensì, attraverso un racconto senza tempo (il mito) ricco di immagini, simboli e metafore, dispiegano e veicolano verità profonde e immutabili su Dio, sul cosmo e sull’uomo (inteso come essere umano)[1].
Solo tali verità ultime e immutabili costituiscono l’oggetto della fede dei credenti, non il racconto dal quale vengono tratte. In Genesi 1, 26 la parola «uomo» nell’originale ebraico è «adam», scritto senza articolo, per cui va considerato un nome collettivo che indica la razza umana, l’umanità, ogni uomo sulla Terra, unica creatura fatta simile (a nostra immagine) al Creatore ma non del tutto uguale a Lui (a nostra somiglianza) in quanto, appunto, creatura. L’assoluta importanza di questo versetto è dovuta al fatto che “la verità rivelata sull’uomo come «immagine e somiglianza di Dio» costituisce l’immutabile base di tutta l’antropologia cristiana”[2], concetto che va tenuto sempre presente, poiché nel giudeo-cristianesimo rappresenta ciò che essenzialmente accomuna tutti gli esseri umani, di ogni tempo, luogo, condizione.
Al versetto 27 le parole «maschio» e «femmina» sono rese con «zakar» (letteralmente «il puntuto») e «neqebah» (letteralmente «la perforata»), il che potrebbe far pensare a una caratteristica esterna dell’essere, non così essenziale. In realtà, è l’andamento stesso della frase che ci fa capire altro: l’insistenza nel ripetere sia il verbo “creò”, sia “a sua immagine, a immagine di Dio”, prima di concludere con “maschio e femmina” serve a farci capire che sta proprio nell’essenza della creatura-uomo essere a immagine del Creatore in quanto maschio e femmina[3]. Il maschile e il femminile proprio in virtù delle reciproche differenze costituiscono quel tutto che è l’immagine del Creatore, non sono un «di più» rispetto all’essere esseri umani (in filosofia dovremmo dire che non sono accidenti, bensì limiti costitutivi dell’essere). La ripetizione «essere esseri» è da me voluta, a sottolineare che la teoria gender e quelle affini, tanto diffuse ormai nel mondo occidentale, si basano proprio sull’opposto: la femminilità/mascolinità non sono considerate caratteristiche dell’essere umano in quanto tale, bensì abitudini dettate dall’ambiente e dall’educazione che diventano identitarie o, peggio, sono ritenute orpelli, quasi come un vestito che può essere cambiato quando se ne ha voglia[4]. Questo mi spinge a un’ulteriore considerazione.
Dire che l’essere maschio e femmina fa parte dell’essenza dell’essere umano, la quale essenza reca l’impronta indelebile dell’immagine e somiglianza divina, significa dare un eguale nonché altissimo grado di dignità sia al maschile, sia al femminile; affermare il contrario, invece, toglie questa dignità tanto alla femminilità, quanto alla mascolinità. Questo ragionamento ci aiuta a capire quanto infondate, falsate e ideologicamente mistificate siano le affermazioni di chi attribuisce proprio al substrato culturale del giudeo-cristianesimo, al diffondersi della religione cristiana e all’azione della Chiesa nella società il dislivello nella dignità e nei diritti delle donne rispetto agli uomini, a favore di questi ultimi.
In realtà è proprio l’opposto! Il giudeo-cristianesimo ha introdotto nel mondo la novità assoluta della pari dignità sostanziale, che nel mondo pagano oggi tanto rimpianto e idealizzato non esisteva! Noi che, per grazia e senza meriti, riusciamo a cogliere tutto ciò, abbiamo il dovere di documentarci sempre meglio e non temere di difendere queste verità davanti al mondo che tanto le stravolge.
Non si può negare che nella storia ci siano state delle storture in ordine allo sbilanciamento della dignità e dei diritti a favore del mondo maschile, sia nel giudaismo sia nell’era cristiana; ma tali storture andrebbero considerate come tali e attribuite alle circostanze storico-culturali delle varie epoche e, in ultima analisi, all’imperfezione e fallibilità dell’essere umano corrotto dal peccato; è un grave errore considerare come causa diretta di queste deviazioni la sostanzialità del messaggio cristiano e la visione dell’uomo propria del giudeo-cristianesimo, agita dalla Chiesa per oltre duemila anni. Anche questo siamo chiamati a comprendere sempre meglio e a riaffermare con forza.
Nei prossimi appuntamenti approfondiremo gli altri passi della Genesi che ho elencato nel mio primo intervento.

___________________________________________________________________________

[1] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento – I, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p. 110-111.
[2] Mulieris Dignitatem n. 6

[3] Cfr. G. Cappelletto, In cammino con Israele…, p. 128.
[4] “Io non so mai chi sono eppure sono io/Anche se oltre il vetro per me non c’è mai un dio/Ma questo qui è il mio corpo benché cangiante e strano/Di donna dentro un uomo eppure essere… umano”. Ritornello del brano “Io sono una finestra”, di Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi (in arte Platinette), in gara al Festival di Sanremo del 2015.

Testo completo: https://www.vanityfair.it/show/musica/15/02/10/festival-sanremo-2015-grazia-di-michele-e-mauro-coruzzi-io-sono-una-finestra-testo?refresh_ce=

Videoclip ufficiale (davvero eloquente): https://www.youtube.com/watch?v=ubhMk0FFPU4

...articoli recenti

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Quinta Riflessione

Riflettiamo, questo mese, sulla Terza Apparizione della Madonna a San Juan Diego. Quando Juan Diego ritornò dal Vescovo per trasmettergli nuovamente le intenzioni della Madonna, il Vescovo chiese un segno – un segno che la Madonna promise per il mattino seguente. 


La richiesta del Vescovo di avere un segno, per quanto possa essere stata ragionevole, colpisce una corda strana e risonante nella nostra società profondamente materialistica. Il nostro mondo è così affamato di segni di qualcosa di più grande che prova, penosamente e invano, a trovare un significato più profondo nella politica, nelle ideologie, nei piaceri materiali – nelle cose di questo mondo, che non lasceranno appagati.

Questo, però, non accade per mancanza di segni dell’amore di Dio. Accade perché abbiamo perso la nostra capacità di vederli.

L’apparizione della Madonna ci dà l’antidoto a questo materialismo: oggi siamo chiamati a essere segni della presenza di Nostro Signore nel nostro mondo. Quando viviamo con il cuore unito al Suo Cuore Immacolato nel Sacro Cuore di Gesù, Nostro Signore accompagna la nostra testimonianza con altri segni per confermarci e sostenerci nel nostro pellegrinaggio.

Questa non è una mera frase fatta. La Madonna sta chiamando ciascuno di noi a vivere la propria vita in maniera tale che la verità e l’amore di Cristo siano immediatamente chiari a tutti coloro che ci circondano. Cristo effonde nei nostri cuori, dal Suo Cuore Sacratissimo, la grazia per vivere così. Vivere le nostre vite in questa maniera è un obbligo che abbiamo davanti alla Madre Nostra e davanti al suo Figlio Divino, Nostro Signore e Salvatore: dobbiamo vivere le nostre vite nella ricerca fedele e generosa della santità che squarcia le tenebre del mondo circostante.

Sia chiaro, questo è un compito grande e difficile. Dobbiamo chiedere alla Madonna di intercedere per noi, così da poter ricevere la grazia di essere collaboratori di Cristo nella Sua opera di verità e d’amore.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Rossella Pastore

Basta parlare (solo) di misericordia

Si fa un gran parlare, oggi, di misericordia e amore di Dio. La maggior parte dei predicatori mette in risalto esclusivamente l’aspetto legato alla Sua bontà e compassione, confermando nell’errore i tanti fedeli (la maggioranza, anche in questo caso) già ampiamente persuasi che Dio perdoni tutto… a prescindere. A prescindere dal pentimento, a prescindere dal sacramento della Confessione… sempre che resti qualcosa da perdonare.

Il primo problema, infatti, è la perdita del senso del peccato, o almeno la relativizzazione della morale cattolica. Relativizzazione che si esplica in modi diversi: si può per esempio affermare che certe norme siano desuete («i tempi sono cambiati e anche la Chiesa deve aggiornarsi», come se quelle norme fossero di diritto umano e non divino), oppure dire che la tale parola/opera sarebbe pure peccato, ma le circostanze la rendono lecita (l’esempio più classico è quello della bugia di scusa [qui per approfondire], come se il fine giustificasse i mezzi…).
Assumendo che resti qualcosa da perdonare, che cioè qualche anima non abbia ancora del tutto smarrito la percezione del peccato, chi predica un Dio “tutto misericordia e niente giustizia” non fa altro che dare il colpo di dis-grazia, a queste anime. Chi confida temerariamente nella misericordia divina, infatti, non lascerà mai di peccare.
Obiezione comune, rispetto a questa visione, è la seguente: si può arrivare a lasciare il peccato anche “innamorandosi” di Dio, non solo per timore dei castighi o dell’eterna dannazione. In effetti, è risaputo che esistano due vie per arrivare a Lui: la via “del cuore”, tracciata dal beato Duns Scoto (sulla scia di san Francesco d’Assisi) e la via della ragione, un approccio meno sentimentale suggerito da san Tommaso d’Aquino. Entrambe le vie sono di per sé valide; anche la prima, perché alcuni Dio davvero li attrae con delicatezza e dolcezza, facendoli innamorare di Lui e al contempo facendo loro provare somma tristezza per esserGli stati lontano.
Tuttavia, la seconda sembrerebbe essere una via più sicura, perlomeno di questi tempi. Tempi di lassismo quasi totale; in cui, soprattutto, gli uomini sono meno sensibili al linguaggio dell’amore (tanto più che il loro concetto di amore è più che falsato… stravolto).
Insomma, i discorsi blandi e vaghi sull’amore di Dio non funzionano (quando non sono controproducenti). Non funzionano in particolare con i peccatori incalliti, a detta – tra gli altri – di san Giovanni Maria Vianney, patrono dei presbiteri e dei parroci. Le omelie del santo Curato d’Ars erano omelie “infuocate”, ricche di invettive contro gli impenitenti. Ma è questa, in certi casi, la vera misericordia: ammonire i peccatori è esattamente una delle sette opere di misericordia spirituale.
Più propriamente, misericordia e giustizia non si escludono a vicenda: pare invece che l’una comprenda l’altra. Quando è giusto, ad esempio quando castiga, Dio è anche misericordioso: Dio castiga, cioè – etimologicamente – “rende casto”, colui che ama, come si legge in Proverbi 3,12. Persino l’inferno è campo di esercizio della misericordia di Dio: Egli infatti non permette che le pene inflitte ai dannati siano superiori alla gravità dei loro peccati.
Allo stesso modo, quando ama, è anche giusto. Ama con amore di compassione il peccatore, e con amore di compiacenza il virtuoso. Con amore di predilezione, colui che più lo ama (si pensi a san Giovanni, l’apostolo vergine).
Inoltre, sembra essere tipico di Dio inviare prima dei “san Giovanni Battista”, che chiamino a conversione e lo facciano in maniera impetuosa, per poi manifestarsi personalmente e in tutta la Sua bontà/dolcezza. Del resto, l’instaurarsi di un rapporto confidenziale con Dio viene solo dopo essersi riconciliati con Lui. Questa prima fase è tipicamente dolorosa; ma, superatala, ci si può permettere di trattarlo con familiarità (ferma restando la riverenza). Nessuno che non sia casto (che lo sia stato reso a seguito di un castigo, se necessario), è degno di ciò.
Non solo: chi non teme Dio non è degno nemmeno della Sua misericordia. La Sacra Scrittura è chiara: «… salda egli rese la sua misericordia per quei che lo temono… ha compassione il Signore di quei che lo temono» (Sal 102,11. 13). Dunque, Dio usa misericordia con chi ha timore di Lui, ovvero con chi è pentito. Completa sant’Alfonso in Apparecchio alla morte (220): «Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare.
Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d’aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: “Irrisor est, non poenitens”. Ma all’incontro ci fa sapere l’Apostolo che Dio non si fa burlare: “Nolite errare, Deus non irridetur” (Gal. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso».
A proposito di Paradiso, si consideri che non è la stessa cosa, accedervi dopo essersi pentiti in extremis (ammesso che in punto di morte si abbia avuta la grazia di formulare un atto di pentimento) e accedervi al termine di una vita ricca di meriti. Senza contare il Purgatorio che si avrà da scontare (e il Purgatorio non è una sala d’aspetto, ma luogo di tormenti, per quanto temporanei), il grado di gloria acquisito sarà diverso. Per ragioni di giustizia… e di misericordia: Dio ama e ricompensa chi più lo ama e più ha faticato per la Sua gloria.
Si è accennato, citando sant’Alfonso, alla “volontà di peccare”. Ma in un cristiano che sia ben formato, il peccato volontario è totalmente escluso. Quello in materia grave, evidentemente, ma anche quello in materia lieve: «Chiunque è nato da Dio, non fa peccato, perchè tiene in sè un germe di Lui; e non può più peccare, perchè è nato da Dio» (1Gv 3,9). Con ciò, non stiamo assolutamente affermando che sia vano dirci peccatori e bisognosi di misericordia. Colpevoli, manchevoli, lo rimaniamo: sì, ma di quali colpe, di quali mancanze? Non certamente di quelle volontarie! Il peccato “volontario”, in quanto tale, può essere sempre evitato. Si rimane miseri solo in quanto portatori del peccato originale e quindi naturalmente tendenti ad agire malamente o almeno imperfettamente (Rm 7,19). Ma, con l’aiuto di Dio e certamente con una buona dose di sforzo ascetico, è possibile raggiungere anche un grado altissimo di perfezione. I santi lo testimoniano.

...dello stesso Autore

...articoli recenti

S.E.R. Card. Raymond Leo Burke

Novena di 9 mesi a Nostra Signora di Guadalupe

Chiamata mondiale alla preghiera: per il ritorno a Nostra Signora

Quarta Riflessione

Continuiamo a contemplare l’importanza della perseveranza. Sebbene San Juan Diego abbia fallito nel convincere il Vescovo riguardo alla veridicità delle sue affermazioni, non ha però lasciato che il suo insuccesso fosse motivo di disperazione. Piuttosto, egli ha diligentemente seguito l’invito della Vergine Madre di Dio a tornare dal Vescovo Zumárraga.


L’abilità di riconoscere i nostri fallimenti con onestà ed umiltà è, di per sé, un dono della grazia, ed invero un segno del sano operare delle nostre coscienze. Infatti, i santi erano profondamente consapevoli dei loro fallimenti. Quando ci sentiamo colpevoli, dovremmo ringraziare Dio per il fatto che la grazia ci ha risparmiati (almeno in quel dato momento) dagli errori di una coscienza lassista o ottusa, condizione che sembra affliggere molti, in maniera particolarmente insidiosa, nei nostri tempi.

Quando falliamo, lasciamo che il nostro orgoglio intervenga, spingendoci a supporre che possiamo conquistare il peccato? O piuttosto ci voltiamo verso Dio, in cerca di aiuto? E quando chiediamo aiuto, domandiamo risultati immediati? O siamo disposti a perseverare nel piano di Dio per la nostra salvezza eterna? Riflettiamo onestamente su queste domande.

Come San Juan Diego ha imparato, i frutti dell’intercessione della Madonna non sono sempre immediatamente manifesti. Nondimeno, essi sono reali, e sono potenti. Continuiamo a chiedere alla Madre Nostra di ottenere per noi tutto ciò che di buono e santo desideriamo, conformemente al piano di Dio su di noi.

Preghiamo…

Tutte le meditazioni della Novena a Nostra Signora di Guadalupe

Scroll to Top