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  1. SEM IPC
    Recensione di «Venenum caritatis est cupiditas». La povertà volontaria secondo il «De perfectione» e l’«Apologia pauperum» di san Bonaventura di Roberto Caria, Roma 2022
               
    Venenum caritatis est cupiditas di don Roberto Caria è un esempio del fascino che ancora esercita sui contemporanei il mito della povertà evangelica e del dibattito che suscitò nel medioevo, ovvero quella lunga disputa che oppose l’Ordine francescano a papa Giovanni XXII (1316-1334) e il cui oggetto fu la questione se Cristo e gli apostoli avessero posseduto gli alimenti e i beni che consumavano; una questione da cui poi discendeva la legittimità della Regola francescana (approvata da Onorio III nel 1223), che prescriveva ai frati la povertà assoluta e interdiceva loro l’uso del denaro. Il grande sviluppo dell’Ordine francescano aveva infatti richiesto la creazione di una struttura organizzativa e l’uso di una vasta quantità di beni mobili ed immobili, a cominciare dai conventi, sicché la coerenza con il dettato della Regola era garantita da un espediente giuridico: ai frati minori veniva attribuito solo l’uso dei conventi, dei beni e del denaro necessari al loro sostentamento ed all’organizzazione dell’Ordine; la cui proprietà, invece, rimaneva formalmente di “amici” o dello stesso papato. Più precisamente, nella bolla Exiit qui seminat (1279), Niccolò III distinse cinque tipi di relazioni fra un soggetto umano e un oggetto materiale: proprietà, possesso, usufrutto, diritto d’uso e semplice uso di fatto: solo quest’ultimo veniva ammesso per i francescani, mentre i primi quattro erano considerati casi di dominium; ma l’ultimo no, perché il titolare poteva solo consumare il bene, non alienarlo. Questo espediente giuridico si rivelò una potente arma ideologica nella disputa sulla povertà evangelica: i francescani, infatti, potevano presentarsi come l’unico Ordine che conduceva la vita perfetta degli apostoli, come coloro che, a differenza del clero secolare, vivevano in uno stato di perfezione paragonabile all’innocenza precedente il peccato, finché la politica filo-francescana della Santa sede non venne, ad un certo, ribaltata appunto da Giovanni XXII, che decise di imporre all’Ordine la titolarità della proprietà dei beni.
    Parte del fascino della disputa sta nel fatto che, secondo studiosi sensibili all’«esistenza di qualcosa che, pure essendo più una tendenza che uno sviluppo di pensiero, merita di essere chiamato oeconomica franciscana»[1] (o «economia francescana»), mise in discussione la proibizione canonica dell’usura nel medioevo, da non considerarsi non più un dogma inscalfibile ma, al contrario, da sgretolare nella discussione minuta della liceità o meno di questo o quell’atto, ipotizzando casi precisi di elusione alla rigidità del principio[2].
    Mentre oggi infatti usura si riferisce a un tasso di interesse esorbitante, nel medioevo con lo stesso termine ci si riferiva, invece, a una realtà specifica, ispirata al diritto romano ed elaborata successivamente dal diritto canonico, ovvero ad un qualsiasi sovrappiù rispetto al capitale di un mutuum (o contratto di prestito) che, secondo S. Tommaso d’Aquino, si riferiva soltanto a quei beni che non possono essere usati senza essere consumati o, detto altrimenti, il cui uso non può essere separato dalla loro sostanza, come ad esempio il grano, il vino e, appunto, il denaro. Venderne l’uso, quindi, come separato dai beni in sé, significava vendere qualcosa che non esiste o vendere due volte lo stesso bene; è per questo motivo, secondo il santo, che vendere l’uso del denaro, che si consuma se speso in una transazione economica, o riscuotere usura, è un’azione ingiusta[3]. 
    Venenum caritatis est cupiditas è lo sforzo di assimilare e, in qualche modo, leggere in chiave di attualità per un cristiano oggi, la disputa sulla povertà evangelica; partendo soprattutto dall’Apologia pauperum (1269) di S. Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274) per ricostruirne i tratti salienti, l’Autore si sofferma quindi sulle «conseguenze sociali e politiche della vita povera delineata dal Dottore Serafico, a partire dalla istruttiva e sempre feconda distinzione tra la proprietà e l’uso dei beni economici. Grazie a questa distinzione e nei casi necessari separazione, gli Ordini Mendicanti avviarono anche audaci e approfonditi dibattiti in ambito economici e politico, che faranno scuola fino al sorgere dell’epoca moderna e della economia di tipo capitalistico. Solo per fare un esempio, la distinzione tra proprietà e uso si è rivelata fondamentale per capire il fenomeno dell’usura» (pp. 198, 185; corsivo delle parole italiane mio).
    Io sarei però più cauto nell’applaudire all’attualità della disputa sulla povertà evangelica. Se è vero che la storiografia concorda nell’attribuire grande rilievo a tale discussione, i suoi esiti si presentano problematici per la posterità cristiana. La disputa sulla povertà evangelica fu uno dei canali di diffusione di una visione metafisica, gnoseologica ed etica alternativa al tomismo; infatti, nel momento in cui i francescani affermavano una visione del diritto di proprietà funzionale ad esaltare la loro scelta di povertà, segnava anche il passaggio da una cultura giuridica organicistica, significativamente compendiata nella forma mentis del diritto naturale oggettivo, a una mentalità individualista, che assumeva invece come vessillo i diritti naturali del soggetto, considerati anteriori all’istituzione della proprietà e del potere politico[4].
    Aderendo convintamente al tomismo, fino a canonizzare S. Tommaso il 18 luglio 1323 nella chiesa di Notre Dame in Avignone, Giovanni XXII riconobbe ufficialmente l’irrazionalità della posizione francescana e intimò all’Ordine di possedere tutto ciò che si usa, anche le cose che si consumano con l’uso, perché il consumo di un bene implica pure il suo possesso, che è il cuore (e non altri) dell’argomento di S. Tommaso sulla proibizione dell’usura. «Perché quale persona sana di mente», spiegava il papa nella bolla Ad conditorem canonum (1322), «potrebbe credere che fosse intenzione di un così grande padre [cioé papa Niccolò III] mantenere la proprietà per la Chiesa romana, e l'uso per i Frati, di un uovo, o di un formaggio, o di una crosta di pane, o di altre cose consumabili con l’uso, che spesso vengono dati agli stessi Frati perché li consumino sul posto?».
    Le bolle di Giovanni XXII aiutano a capire perché allora il papa passò dalla iniziale repressione alla successiva imposizione del silenzio sulla disputa sulla povertà evangelica: lungi dall’essere più solo una mera questione dottrinale, la disputa sulla povertà evangelica si era trasformata infatti in una discussione sul significato per i religiosi dell’autorità e dell’obbedienza nella Chiesa[5]. Ecco perché il papa si trovò costretto a spiegare che, dei tre voti emessi dai religiosi, quello di povertà era il meno importante; se la perfezione della vita cristiana consisteva principalmente ed essenzialmente nella carità, per i religiosi era l’obbedienza ai superiori, se preservata intatta, ad essere di primaria importanza, perché la disobbedienza può distruggere la vita religiosa (Quorundam exigit, 1317).
    Credo pertanto che occorra cautela nell’affidarsi a quegli studî moderni che ripropongono, in chiave attualizzante, dottrine pur sostenute dai francescani, come quella secondo la quale Cristo e gli apostoli non possedettero nulla né a titolo individuale né in comune ma che, non dimentichiamolo, furono dichiarate eretiche dalla Santa Sede (Cum inter nonnullos, 1323). Se si vuole partire le fonti francescane per colmare la lacuna di una lettura della disputa sulla povertà evangelica dal punto di vista cattolico, non si deve, allora, considerare la ricostruzione offerta da padre Henri de Lubac (1896-1991), laddove il teologo spiega con chiarezza che S. Bonaventura approfondì l’ideale evangelico di povertà già espresso da S. Girolamo (347-420): «Nudo per seguire Cristo nudo», che poi S. Francesco riecheggiò: «Nudo fu lasciato, perché seguisse il crocifisso Signore che egli amava», come ricordava S. Bonaventura, perché «Non c’è altra via verso Dio»[6].        
     
      [1] R. Lambertini, «Usus» ed «Usura». Difesa della povertà e teoria economica nelle risposte francescane a Giovanni XXII, in Id., La povertà pensata, Modena 2000, pp. 227-247, qui p. 247.
    [2] P. Grossi, Somme penitenziali, diritto canonico, diritto comune, «Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Macerata», n. s., I (1966), pp. 95-134, qui pp. 132-133.
    [3] R. de Roover, San Bernardino of Siena and Sant’Antonino of Florence. The Two Great Economic Thinkers of the Middle Ages, Boston 1967, pp. 27-29.
    [4] L. Baccelli, Il particolarismo dei diritti. Poteri degli individui e paradossi dell’universalismo, Roma 2009, pp. 15-35.
    [5] Per una lettura più approfondita delle più importanti bolle papali sulla disputa sulla povertà evangelica, si consulti il sito di Jonathan Robinson dell’Università di Toronto: http://individual.utoronto.ca/jwrobinson/.
     
    [6] H. de Lubac, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, I, Dagli Spirituali a Schelling, Milano 2016, p. 169.
  2. SEM IPC
    Riprendiamo una pungente ma quanto mai verace riflessione di Eusebio Episcopo, tratta da "Lo Spiffero", il quale mette in fila date, circostanze e nomi di chi oggi versa lacrime di coccodrillo.
     
    Nel 1998 alla conferenza che tenne al Regio era assente tutta la nomenclatura della Chiesa locale, quella che oggi è al potere. In seminario i suoi saggi erano semiclandestini. Lo stringato messaggio dell'arcivescovo Repole. 
     
    Benedetto XVI se ne è andato l’ultimo giorno dell’anno così come ha sempre vissuto, con il suo inconfondibile stile, fatto di umiltà, dolcezza e innata eleganza. Avremo modo di parlare a lungo di lui e del suo magistero che ne fanno un moderno Padre della Chiesa. Il suo pensiero può essere considerato l’ultimo grande tentativo di fare incontrare tradizione e modernità. Joseph Ratzinger è stato il teologo, il prefetto della fede e il papa che si è posto in piedi di fronte alla modernità e ai suoi miti. Oggi la Chiesa è tornata ad essere, come scrisse Jacques Maritain nel 1966, «in ginocchio di fronte al mondo». Da quella prostrazione – frutto non del Concilio dei Padri ma del concilio dei media – la trassero Giovanni Paolo II e Ratzinger non per sfidare il mondo ma per mostrargli semplicemente Gesù Cristo. E per capire quanto Ratzinger fosse avversato bisogna leggere le rabbiose reazioni seguite alla pubblicazione della dichiarazione Dominus Jesus o al motu proprio Summorum Pontificum o il continuo tentativo dei vescovi tedeschi di infangarlo. Perché i suoi veri nemici erano tutti interni alla Chiesa, numerosissimi e adesso al comando. Pensiamo alla mafia di S. Gallo che per anni tramò alle sue spalle fino a farlo dimettere – Vatileaks rispetto agli scandali odierni non è niente – o ai teologi più in vista (molti di loro sono vescovi), uno dei quali, Peter Hünermann, arrivò a fondare un istituto teologico per contrastare il suo pensiero. Oggi i più ipocriti lo piangono, i più sinceri dicono che era un personaggio “complesso e contradditorio” e nei prossimi giorni ne sentiremo di tutti i colori. Ma perché Benedetto era tanto osteggiato? Per capirlo basta rileggere, ma è solo un esempio fra i tanti, il magistrale discorso di Ratisbona, centrato sulla de-ellenizzazione del cristianesimo o la proposizione dei “principi non negoziabili” che i vescovi boicottarono in tutti i modi, così come avvenne per la liberalizzazione del rito antico che il suo successore ha abrogato.
    Nell’avversione a Ratzinger/Benedetto XVI, la Torino progressista fu in prima fila. E poiché lo Spiffero ha la pretesa di dire quello che gli altri non dicono, ricordiamo a chi adesso ne tesse le lodi solo alcuni episodi, ma se ne potrebbe raccogliere una antologia.
    Nel 1998 il cardinale Ratzinger venne a Torino, invitato dall’arcivescovo Giovanni Saldarini. Visitò e parlò ai seminaristi e la sera tenne una conferenza al teatro Regio ove, platealmente e fragorosamente, era assente tutta la notevole porzione della Chiesa locale progressista, quella che oggi è al potere. I seminaristi del tempo presero a leggere i suoi libri, ma clandestinamente in quanto il rettore – che per la verità ne capiva poco – era contrario. Addirittura, il testo di una conferenza sulla liturgia tenuta da Ratzinger presso l’abbazia di Fontgombault– che oggi è nell’Opera Omnia – fu tradotta e poi stampata a spese di un privato e letta e diffusa quasi di nascosto. Da ricordare che, all’epoca, padre Eugenio Costa S.J. affermava che Ratzinger era l’esponente di un «pensiero nazista» e un vescovo da lui nominato, ora emerito liturgista “grillino”, non risparmiava critiche a Summorum Pontificum scagliando la sua bolla di nomina in latino addosso ai fedeli che gli chiedevano di fare ciò che Benedetto ordinava di fare. Enzo Bianchi, che però oggi – come sembrerebbe – si è addolcito, non lesinava critiche su tutti fronti. Alla proposta di invitare Ratzinger a parlare alla facoltà teologica, l’arcivescovo Severino Poletto si oppose preferendogli il cardinal Walter Kasper. Quando nel 2010 Benedetto XVI venne in visita a Torino, l’ufficio liturgico si oppose al canone romano in latino per la Messa in piazza S. Carlo, per fortuna invano. Uno dei più autorevoli esponenti del “cerchio magico” di S. Lorenzo disse che con l’elezione di Francesco la Chiesa «si era liberata di un peso». Per capire il mainstream basta entrare nel santuario di S. Giuseppe di via Santa Teresa retto dai Padri Camilliani dove troverà, sulla sua sinistra, una nicchia in cui attorno al Volto della Sindone, sono esposte le icone del cattolicesimo progressista: Lutero, Giovanni XXIII, Bonhoeffer, Che Guevara, Kennedy, Martin Luther King, il cardinale Martini, i martiri del razzismo e nessuna vittima del comunismo salvo, un po’ nascosto, Florenskij. In simile pantheon Benedetto XVI non troverà mai posto e questo, per chi non si è arreso alla «dittatura del relativismo», non è l’ultima delle sue glorie. Stringatissimo e di circostanza, il messaggio dell’arcivescovo Roberto Repole in occasione della morte di Benedetto XVI e forse è meglio così.
    Nessuno più lo ricorda, ma Benedetto XVI nel 2008 fu oggetto di una delle pagine più vergognose dell’accademia italiana quando, dopo averlo invitato, gli fu impedito di parlare alla Sapienza, avendo l’università accettato il diktat di un gruppo di professori tra cui – sembra incredibile – il premio Nobel per la fisica 2021 Giorgio Parisi e con il plauso del paladino di ogni libertà, Eugenio Scalfari, il quale scrisse che, secondo amici gesuiti, Joseph Ratzinger era «un modesto teologo». Invitiamo tutti a rileggere l’intervento che il papa avrebbe dovuto pronunciare e che è un inno alla libertà di ricerca.
    Ma come vedeva sé stesso Joseph Ratzinger? Qual era la funzione e l’immagine del vero teologo e, più in generale, del cristiano oggi? Lo scrive egli stesso all’inizio del primo capitolo del suo capolavoro, Introduzione al Cristianesimo, pubblicato la prima volta nel 1969 riferendosi al noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard dove si racconta di un circo viaggiante in Danimarca, colpito da un incendio. Il direttore mandò subito il clown, già abbigliato per la recita, a chiedere aiuto al villaggio vicino, oltretutto perché c’era il pericolo che il fuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti e quindi secchi, s’appiccasse al villaggio. Il clown corse affannato al villaggio, supplicando gli abitanti ad accorrere al circo per dare una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attirare il maggior numero possibile di persone alla rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il povero clownaveva voglia di piangere e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando loro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco, bensì di una amara realtà, giacché il circo stava bruciando per davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: tutti trovarono che egli recitasse la sua parte in maniera stupenda… La commedia continuò così finché il fuoco s’appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: villaggio e circo finirono entrambi distrutti dalle fiamme. Benedetto XVI può apparire come quel clown, paludato in quegli abiti tramandati dal passato, e nella Chiesa di oggi di lui è rimasto poco. Ma la storia è lunga e soprattutto la Provvidenza è grande e il suo pensiero porterà i frutti domani.
     
  3. SEM IPC
    Sia lodato Gesù Cristo. Nel Vangelo (Gv 6,56-59), Gesù richiama l'episodio dell'Antico Testamento quando, nel deserto, gli ebrei affamati, non avendo possibilità di confezionare il pane, videro cadere dal Cielo un alimento simile al pane che suscitò in loro la domanda Man hu? - cos'è questo? Di qui viene il termine manna. 
    Quindi, la questione di come potesse Gesù apprestare un pane celeste, se l’erano già posta gli israeliti, non riuscendo a comprendere come dal cielo potesse scendere qualcosa di simile al pane; grazie a quell'alimento, gli ebrei sopravvissero per quarant'anni dopo la liberazione in Egitto, finché non giunsero alla Terra Promessa. Questo fatto è simbolo di che cosa? Della nostra traversata, della nostra vita; a volte viviamo più di quarant'anni, ma non è molto diverso: ogni giorno è una traversata del deserto, con tutte le tentazioni che il deserto riserva. Nel posto di lavoro, nella famiglia, nel mondo: le opinioni più variopinte cui sei sottoposto sono spesso tentazioni e, per poter resistere ad esse, il Signore ci dà un pane, disceso dal cielo che, a guardarlo, sembra banale. Infatti, l'ostia che noi riceviamo nella Comunione, in apparenza, non dice quasi nulla, eppure il Signore ha detto - e qui si è giocato tutto perché come sappiamo, molti dei suoi discepoli se ne andarono dopo averlo ascoltato – “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita”. Il discorso che l'evangelista Giovanni riporta nel capitolo sesto, riprende e approfondisce le parole del Signore: per oltrepassare la morte, bisogna nutrirsi di Lui; chi non mangia di questo Corpo e di questo Sangue rimarrà nella morte ovvero risusciterà per la dannazione eterna. Chi, invece, se ne nutrirà, Egli lo risusciterà per la Vita Eterna; qui la promessa del Signore ha raggiunto il culmine. 
    Ma, non è altro che la conseguenza ultima del fatto che Dio è venuto nel mondo, si è fatto carne, è entrato nella nostra condizione umana; quindi, la Carne e il Sangue assunti da Dio, non sono come la carne e il sangue nostri: sono la Carne e il Sangue divinizzati da Dio. In definitiva, quando noi assumiamo questa Carne e questo Sangue, noi immettiamo la divinità in noi e questa divinità pian piano ci trasforma e ci farà resuscitare nel giorno del Giudizio. Pensate un po': come si può superare la morte!  
    Giustamente, i Santi e i dottori che hanno riflettuto su queste parole di Cristo, su questa promessa di Cristo, hanno definito la Carne e il Sangue del Signore farmaco d’immortalità. E’ un alimento che estende a tutto il nostro essere l’immortalità, non solo l’anima ma anche il corpo. Pertanto, come tutti i farmaci speciali che noi in questo mondo assumiamo quando siamo malati, dobbiamo stare molto attenti: i farmaci, si chiamano così perché derivano dalla parola greca pharmakon che vuol dire veleno - anche se noi oggi la intendiamo come rimedio curativo. 
    Naturalmente, può accadere che un farmaco diventi veleno. Lo dicono le avvertenze del foglietto illustrativo. Bisogna stare attenti quando si assume. Ci sono delle condizioni affinché faccia effetto. Analogamente il Sacramento Eucaristico che Cristo ha istituito ha i suoi effetti: l'effetto fondamentale è che ci trasforma pian piano in Lui medesimo. Quindi ci fa passare pian piano quasi senz’accorgercene dalla morte alla vita, già in questo mondo, a condizione che ci lasciamo trasformare e non resistiamo o addirittura assumiamo questo Sacramento in situazioni controindicate che finiscono per trasformarlo in veleno, come dice San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver descritto come egli ha ricevuto questo Sacramento e come lo trasmette. L'Apostolo, è come se dicesse: non sono il padrone del Sacramento, non lo posso manipolare, in nessun senso: come l'ho ricevuto così lo devo trasmettere. Ricorda le parole che Gesù ha detto sul pane sul vino: “questo è il mio Corpo”, “questo è il mio Sangue” e poi aggiunge: “state attenti a come lo ricevete, perché se lo riceverete in modo indegno”, cioè in stato di peccato, “assumerete la vostra condanna. Ed è per questo che tra voi molti sono malati e tanti muoiono” (11,29-30). Allora, non è un pane qualsiasi, non è una bevanda usuale: è qualcosa di inusitato, di divino, anche se a noi si presenta sotto l'apparenza abbastanza semplice, del pane e del vino. 
    La sequenza che abbiamo cantato, composta da San Tommaso d'Aquino, Lauda Sion, in una strofa lo dice con chiarezza:  “sotto quello che vedi si nasconde qualcosa di sublime”. Poi, sta’ attento, perché l'esito di chi assume la stessa Comunione è opposto: se la assume il malvagio, l’esito è cattivo, se la assume il buono, l’esito è salutare. Quindi non prenderlo come se fosse un pezzo di pane comune; non appena è un alimento, è “panis vivus et vitalis”, cioè rimedio alla morte, appunto un farmaco: può avere un effetto negativo se tu lo assumi in condizioni negative, in disgrazia di Dio, non hai confessato i tuoi peccati, non hai fatto penitenza, quindi non sei riconciliato con Lui. Un esempio ricorrente: mentre assisti alla Messa, il tuo cellulare squilla e corri fuori per rispondere. Che hai fatto? Hai interrotto il tuo ascolto, il tuo colloquio col Signore per rispondere ad un’altro. Questo è uno dei peccati più gravi che si possa fare: peccato d’idolatria - contro il primo comandamento: “Io sono  il Signore Dio tuo, non altri”. Noi, invece, abbiamo anteposto l’uomo a Dio! Il contrario di ciò che prescrivono Cipriano e Benedetto. Non ci accorgiamo che abbiamo messo Dio sotto i piedi. E quindi diamo spazio all'umano, che è ciò che ci conduce alla morte e alla dannazione. L'idolatria, di cui i profeti spesso accusavano gli israeliti, è qualcosa di terribile perché si attacca a noi senza accorgersene, perché viviamo condizionati dal materialismo e dall’edonismo e quindi si è attaccato a noi questo virus che, giorno dopo giorno, ci corrode fino a che non moriamo; anche se apparentemente viviamo, siamo  ‘biologici’, esistiamo fisicamente, come zombies; non siamo ‘zoofori’ cioè anime viventi e portatori di vita: ecco il dramma della società contemporanea, da cui dobbiamo stare in guardia, se vogliamo salvare la nostra anima. 
    Gesù Cristo ha voluto giungere al supremo Sacrificio di sé per farci comprendere a cosa dobbiamo rinunciare, se vogliamo vivere. Dobbiamo rinunciare al nostro io se vogliamo che Dio viva in noi ma, se andremo dietro al nostro io, volessimo salvare il nostro io, allora noi moriremo, ma non della morte temporanea, quella che viene quando chiudiamo gli occhi, ma della morte eterna: la dannazione dell’inferno. Sono le parole del Signore che condanna chi mangia la Carne e beve il Sangue in maniera indegna. 
    Cari fratelli e sorelle, questa festa del Corpus Domini, come sapete, è nata dall’atto di un incredulo, di un prete - guardate un po’ -, uno potrebbe dire: “i preti sono increduli?” Beh, è accaduto e accade che siamo i primi che non hanno fede. Non c'è da stupirsi. Il sacerdote boemo, Pietro da Praga, aveva dubbi sulla presenza reale; mentre celebrava la Messa, quei dubbi lo assalirono, nel momento culminante, quando il celebrante dice le parole di Cristo. Non sono parole sue: sono parole di Cristo, noi semplicemente prestiamo a Cristo la voce, niente altro; a quelle parole i dubbi di quel prete sulla reale possibilità che il pane fosse la Carne di Cristo e che il vino fosse il suo Sangue, lo assalirono. Però accadde l'imprevisto: vide nelle sue mani l’ostia sanguinare e macchiare il corporale - il lino quadrato che si ripiega in quattro parti e si mette sotto le sacre specie, e i gradini dell’altare e il pavimento. Era il 1263. Mensa e Corporale si ammirano a Bolsena e a Orvieto, nello stupendo duomo edificato oltre vent’anni dopo nel 1290, e che costituisce una sorta di grande reliquiario. 
    La notizia si diffuse e, secondo la tradizione, il sacerdote che, spaventato, aveva avvolto tutto nel corporale per nascondere l’accaduto, si recò dal papa Urbano IV che si trovava a Orvieto in quel momento; questi mandò il vescovo a Bolsena per verificarlo. Così si constatò il miracolo eucaristico e, per celebrarlo - non era il primo e non è stato nemmeno l'ultimo – ma il più celebre, un anno dopo, con Bolla dell’11 agosto 1264, il papa estese alla Chiesa universale la festa del Corpus Domini. Papa Urbano IV incaricò Tommaso D’Aquino, di comporre la Messa e l'Ufficio del Corpus Domini. Egli non era solo un grande teologo, ma anche un uomo di grande fede, di mistica devozione, che faceva teologia in ginocchio, cioè in adorazione. 
    In conclusione, ricordiamoci che noi non viviamo per noi stessi, ma per Uno che è morto e risorto per noi, come dice l’Apostolo. E che il senso della nostra vita e il nostro destino dipende dal nostro dire “Tu” a Gesù Cristo. Se noi impareremo a dire “Tu” a Gesù Cristo e a trarne le conseguenze, la nostra vita cambierà, metteremo da parte tante cose dietro cui andiamo ogni giorno, che sono frutto spesso di psicologismi, capricci, velleità: niente altro che le tentazioni del demonio; da quel momento, cominceremo a vivere non appena in modo ‘biologico’ ma ‘zooforico’: avvertiremo, avendo messo da parte il nostro io, che comincia in noi a vivere Cristo, esattamente come è successo a san Paolo. Questi, era stato un persecutore dei cristiani, e giunse ad affermare: “vivo, ma non io, vive invece Cristo in me… che mi ha amato e ha sacrificato sé stesso per me” (Gal 2,20). E’ il vertice a cui deve giungere la nostra fede. Se non arriviamo a questo vertice, stiamo perdendo tempo. La morte incombe - non importa quanti anni vivremo -  e si rischia la dannazione. Ma se apriamo gli occhi in tempo, convertiremo la nostra vita dicendo ogni giorno “Tu” a Gesù Cristo, luce e vita del mondo. Sia lodato Gesù Cristo.
  4. SEM IPC
    In punta di piedi e sommessamente, come colui che osa sussurrare qualche banalità mentre assiste alla discussione tra due giganti, mi intrometto nel dialogo tra Don Alberto Strumia ed il Prof. Gotti Tedeschi, ringraziandoli sin d’ora per le riflessioni che hanno condiviso. Don Alberto, in prima battuta, indica in modo chiaro la “radice del problema”, evitando che certe letture sociologiche, psicologiche o ecclesiologiche falliscano il bersaglio e non arrivino alla radice della questione. Primo auspicio: che tutti possano aver chiaro chi sia il nemico, come i medici che intendano combattere la malattia e non il sintomo. Trovo, personalmente, decisivo il richiamo nella citazione del Card. Biffi: “Gesù Cristo, per trionfare giustamente e ragionevolmente dell’Anticristo, ha bisogno della nostra collaborazione”. Secondo auspicio: che tutti sentano l’esigenza di collaborare alla battaglia. Il Prof. Gotti Tedeschi, raccogliendo la splendida indicazione, sospinge la riflessione sulla strategia della battaglia, ovvero sul come si possa offrire collaborazione e partecipare al trionfo di Cristo. Senza scordare che tutto ciò accade in tempi abbastanza apocalittici, per non dire escatologici e, secondo Don Alberto (che in parte risponde alla questione posta dal professore sulla direzione dell’operato della Chiesa), e accade quando "può dirsi ormai conclusa l’epoca dei movimenti con la morte dei loro fondatori”. In nulla volendo correggere, mi premono alcune considerazioni che contribuiscano, forse, ad integrare il quadro tracciato. Uno dei protagonisti della -usando la definizione di Don Alberto- “epoca dei movimenti”, ha affermato: “Non solo non ho mai inteso "fondare" niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l'urgenza di proclamare la necessità di tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta”. Un altro fondatore, come sintesi di una immediata e chiara comprensione, intuisce “l’obbligo" di cercare la santità: “Avevo ventisei anni, grazia di Dio e buon umore. Null’altro. E dovevo fare l’opera”. Nella storia, come non ricordare il Crocifisso che si rivolge al giovane assisano: “Su di lui, veramente poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza e bontà; non soltanto lo sollevò, mendico, dalla polvere della vita mondana, ma lo rese campione, guida e araldo della perfezione  evangelica e lo scelse come luce per i credenti…” (Leggenda maior). E prima di lui c’è chi, lasciando disgustato le dissolutezze romane, trascorse il suo tempo vivendo da eremita in una grotta in isolamento spirituale, generando una delle aggregazioni di cristiani più decisive per il nostro continente e per il mondo. Prima o dopo l’ultimo concilio, non credo esista, se non nel commento storico, “un’epoca dei movimenti” (…e cosa sia un movimento, quali formazioni rientrino della definizione, quali mantengano l’ortodossia, quali l’intuizione iniziale, quali l’afflato profetico… a posteri l’arduo giudizio). Esiste invece, dalla risurrezione di Cristo in poi, il tempo dei santi. Santi, ovvero pienamente uomini, che hanno involontariamente in comune, pur in epoche diverse, una strategia: un luogo preciso, una necessità precisa, alcuni volti precisi e una relazione al destino in Cristo. Nella storia del mondo e della Chiesa, il passo è segnato da Cristo attraverso i santi e i beati. Quando il buon Dio ne dona uno, in modo tanto imperscrutabile quanto imprevedibile, appare una luce per i credenti, che allora si aggregano, spiritualmente o fisicamente, intorno a quella grazia. Persino le questioni ecclesiologiche su movimenti, associazioni, opere… appaiono necessarie ma successive, per tempo e gerarchia. E poi fatico ad immaginare Benedetto nella grotta a chiedersi se il gregge debba essere piccolo o grande, o Francesco a La Verna ad arrovellarsi sul numero di possibili followers...  Questo anche perché, citando Von Balthasar, “Quale sia l’estensione della fecondità di un santo rimane, almeno sulla terra, un segreto di Dio“. Occorre, quindi, capire cosa ci aiuti nel cammino verso la santità (come riconoscimento attuale della presenza di Cristo), ovvero verso la nostra piena umanità. Ma non vorrei nascondermi dietro al generico richiamo alla santità. Oggi manca, nella stragrande maggioranza dell’umanità che incontro, la coscienza delle categorie fondamentali del pensiero cattolico. Parlo volutamente di coscienza: che lo si riconosca lucidamente oppure no, la natura della radice fondamentale di ogni uomo è sempre in ogni caso e in ogni epoca ordinata al medesimo logos, quindi sempre ordinata alla creazione e, pertanto, coerente con il pensiero cattolico. Ma la coscienza della natura del proprio cuore è, più meno gravemente, offuscata. E cosa forma rettamente la nostra coscienza? Dobbiamo ristudiare Caritas in Veritate, come propone il professore? O forse, ormai giunto il momento “ratzingeriano”, dobbiamo rifugiarci in piccole comunità come suggerisce Don Alberto? Mi permetto di citare Don Nicola Bux: prima dello studio (studium come zelo, passione, ricerca, lavoro) c’è un antefatto, l’amicizia. Si studia, innanzitutto, per una amicizia (la “teologia come amicizia”, nella riflessione di Don Nicola). Per una amicizia, anzitutto con Cristo, che poi è “il” soggetto che studiamo nei rivoli delle varie materie della vita. La piccola o grande comunità in cui cercar rifugio e studiare Caritas in veritate e non solo, è l’amicizia in e con Cristo (con le armi che Lui ci ha consegnato, a partire dai sacramenti). Collaborare con il Suo trionfo è, in primo luogo, gustare la Sua compagnia e la Sua amicizia, con la certezza che questa vince il “mondo, la carne e il maligno”. Lo si chieda al Card. Van Thuan, lo si chieda a padre Kolbe: il nemico non vince neppure quando sembra lo faccia. Sopporto l’idea di un nemico a cui dar battaglia (e del grande sacrificio che una battaglia richiede) solo nella certezza dell’amico, esattamente come uno scienziato inizia una lunga e faticosa opera di ricerca solamente nella convinzione, seppure remota, che esista l’oggetto del proprio cercare. Combatto perché Lui c’è e perché Lui è proprio Lui, quel bambino che tiene nel palmo della mano l’intero universo.  
  5. SEM IPC
    LA “FORMA D’INSEGNAMENTO” DELLA SCUOLA ECCLESIA MATER(SEM)
     
    1. L'idea
     
    La Scuola Ecclesia Mater nasce nel 2005, all’inizio del pontificato di Benedetto XVI per seguirne il pensiero e il metodo, che possiamo ritenere racchiusi in questa affermazione: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva"(Benedetto XVI, Enciclica Deus caritas est, 1). Questa è la “forma d’insegnamento” a cui ci siamo affidati, in specie per comprendere e vivere la Chiesa e la Liturgia, che include “l’ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005). Questa è la “linea” della nostra Scuola, che riteniamo sia espressa in modo visibile dal cardinale Raymond Leo Burke: perciò, con la sua guida, promuoviamo dal 2016 gli Esercizi Spirituali (7 ed.) e dal 2017 la Summer School (6 ed.). Con lui, si sono raccolti altri maestri coi quali studiamo e facciamo esperienza di fede, riconoscendoci in quella forma d’insegnamento a cui ci siamo affidati. Tutti, maestri e alunni, formiamo insieme la Scuola.
     
    2. La scuola nella storia della Chiesa
     
    Siamo Scuola, cioè seguiamo una forma di insegnamento, una “linea” in cui si riconosce chi ne fa parte. Gesù ha formato così i discepoli fino a diventare apostoli, con il fine di diffondere la luce della verità del Vangelo, per fugare le tenebre dal cuore degli uomini. La necessità di fare scuola è raccomandata da San Paolo ai cristiani di Roma: “Siano rese grazie a Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma avete, poi obbedito di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siete stati affidati” (Rm 6,17). In tal modo, si può crescere alla statura di Cristo. Per questo, nella Chiesa vi sono state varie scuole o forme di insegnamento singolari: san Giustino, istituì una scuola a Roma nel II secolo, sant’Efrem a Nisibi nel IV secolo, per non dire delle celebri scuole di Antiochia e di Alessandria sorte attorno a Clemente e Origene, in funzione apologetica (nei confronti dello Stato persecutore, dei filosofi pagani, del giudaismo, dello gnosticismo spurio), oltre che missionaria. San Benedetto pensò il monastero come una scuola per il servizio divino. La scuola francescana s’ispira a san Bonaventura e quella domenicana a san Tommaso, che la Chiesa ha proclamato doctor communis; a lui. si ispirò la “Scolastica”. Dal secolo scorso, anche il pensiero di Benedetto XVI fa scuola.
     
    3. Il metodo 
    In questo tempo di grave crisi nella Chiesa, vi sono forme di insegnamento confuse che producono allontanamento dalla sana dottrina(apostasia)e divisione(scisma); quindi bisogna saper distinguere ciò che è chiaro da ciò che è spurio. Ce lo facciamo suggerire e riassumere da una “formula”, ben nota, che troviamo nell’apostolo Paolo, maestro sicuro di dottrina e di vita (personale e comunitaria: oggi si direbbe con un’altra parola abusata e spesso avvilita strumentalmente, “pastorale”). E la “formula” è: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono (Panta dokimàzete to kalòn katèchete)» (1Ts 5,21). Letteralmente: “il bello” (to kalòn). C’è anche una “bellezza” nel “metodo di giudizio cristiano”!– Il “bene” (bonum) è “bello” (pulchrum)– perché è “vero” (verum)– e costruisce l’“uno” (unum), l’unità interiore ed esteriore della persona– e dell’“ente” (ens) come tale. Sono i “trascendentali” che ci portano subito con il pensiero a san Tommaso d’Aquino (cfr A.Strumia, Introduzione-Metodo: Summer School 2020).
    Affermazioni sintetiche di metodo le troviamo in sant’Agostino: In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas. In san Bernardo: Omnia videre, multa tolerare, pauca corrigere. Noi ci soffermeremo su san Tommaso, al quale la nostra Scuola si è affidata e che desideriamo seguire, proprio perché siamo in tempi di crisi della fede e della ragione. San Tommaso è il dottore dell’armonia, dell’unione, et et e non aut aut: è cattolico, non privilegia un aspetto della dottrina (p.es. o la contemplazione o l’azione). Essere cattolico vuol dire anche non amare le contrapposizioni, ma valorizzare le differenze in modo da far emergere le verità ancora nascoste.
    4. L’attualità di S.Tommaso
    Il metodo di Tommaso, basato su quello aristotelico, si può riassumere in 4 d: dividere, distinguere, definire, dimostrare; è utile non solo per la filosofia e la teologia, ma per ogni altra scienza e per la realtà quotidiana (oggi, è stato sostituito erroneamente dal cosiddetto discernimento). Dottore in umanità, ci insegna che bisogna insegnare, insegnare, insegnare (= introdurre nel segno) a tutti:
    alla filosofia, san Tommaso dice che è smarrita, perché non cerca la verità che è il suo oggetto;
    alla scienza, l’Aquinate ricorda che vorrebbe essere una conoscenza certa mediante le cause; invece, il suo limite è di essere circoscritta a quella parte di realtà che esamina; perciò san Tommaso suggerisce di cercare le cause che vengono prima e la finalità che viene dopo (per es. il medico dovrebbe considerare: donde viene il corpo e dove va, il suo destino);
    alla psicologia, san Tommaso dice che essa ha un nucleo di conoscenze circa la corporeità sensibile, ma non ha certezze definite. Invece, ogni verità anche se parziale, se è verità, è valida per tutti e per sempre. La moderna psicologia queste verità non le possiede; è importante tenerne conto, perché la mente umana funziona in un corpo sensibile, ma l’essere umano è molto più della materia corporea; 
    alla morale, san Tommaso dice che è una scienza che dimostra i principi che non possono essere ignorati per realizzarsi e vivere soddisfatti. Essa è la fonte che indirizza a vivere seguendo le regole della retta ragione. Noi credenti affianchiamo la fede, che è uno stile di vita sulla traccia dell’amore divino. La morale è un campo da riconquistare completamente. Infatti si è diffuso massivamente un relativismo pratico, che ha generato una mentalità indifferente a ogni limite etico: così la società si corrompe. Il rimedio è il sale del cristianesimo. A quanti hanno perso la retta ragione, san Tommaso dice: “Il ben vivere consiste nel bene operare”. Quindi, se vuoi essere contento, devi agire bene. Così avrai il centuplo quaggiù, oltre che la vita eterna; 
    alla politica, san Tommaso dice che è l’arte più perfetta che esiste, in quanto è chiamata a guidare il bene comune. Su codesto si dovrebbero concentrare i politici e non piacere ai governati, badare all’interesse personale ecc. Non si deve, d’altra parte, dimenticare, contro ogni totalitarismo, che “homo non reducitur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua” (Summa Theologiae I-II, q. 21, a. 4, ad 3um; cfr. Caritas in veritate, n. 53);
    alla Chiesa, san Tommaso ricorda che non basta mettersi in ascolto, ma insegnare, insegnare, insegnare, le verità soprannaturali: la fede, così si parlerà all’umanità che è in noi. La fede non mortifica la ragione, ma la presuppone e la risana da errori e imperfezioni con l’aiuto della grazia divina (v.Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio). 
    Dunque, insegnare, insegnare, insegnare.
    Perché è importante anche oggi seguire San Tommaso? Perché egli afferma: “La verità è forte in se stessa e non può essere vinta da nessuna obiezione”. E l’uomo cerca soprattutto la verità. Il linguaggio del Vangelo non è appena linguaggio dell’amore ma della verità. Evangelizzare vuol comunicare la verità e l’amore. “Il tentativo di ridare, in questa crisi dell’umanità, un senso comprensibile alla nozione di cristianesimo come religio vera deve, per così dire, puntare ugualmente sull’ortoprassi e sull’ortodossia. Al livello più profondo il suo contenuto dovrà consistere, oggi – come sempre, in ultima analisi –, nel fatto che l’amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera è l’amore e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi sono il vero fondamento e il fine di tutto il reale” (J.Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p 192). Finalmente, il richiamo al principio di realtà. Il metodo è necessario per saper difendere la fede e poterla diffondere. In greco: apologetica. Strumenti utili per acquisire il metodo apologetico sono, per es., il Dizionario elementare di apologetica e il Dizionario elementare del pensiero pericoloso (ed.Il Timone). 

     
    5. Rimanere nella Chiesa
     
    La Scuola “rimane” in Gesù Cristo per essere uno con Lui e tra noi, e cercando l’unità con quanti nella Chiesa hanno il giudizio della fede (Gv 9,39). Bisogna rimanere nell’unità del tutto, cioè nella Chiesa cattolica. Commentando Chesterton, così diceva D.Giussani: “Dobbiamo dissentire, opporci, resistere giustamente alle forme dispotiche, in sostanza a una vita non ecclesiale nella Chiesa. Non dobbiamo però fare l’errore di collocarci fuori di essa, psicologicamente e metodologicamente. Il grande insegnamento di Cristo in croce è che ‘morendo dentro la Chiesa’ si possono cambiare le cose, non al di fuori”. Scrive il papa San Gregorio Magno: “Gli uomini santi, pur se torchiati dalle prove, sanno sopportare chi li percuote e, nello stesso tempo, tener fronte a chi li vuole trascinare nell'errore. Contro quelli alzano lo scudo della pazienza, contro questi impugnano le armi della verità. Abbinano così i due metodi di lotta ricorrendo all'arte veramente insuperabile della fortezza. All'interno raddrizzano le distorsioni della sana dottrina con l'insegnamento illuminato, all'esterno sanno sostenere virilmente ogni persecuzione. Correggono gli uni ammaestrandoli, sconfiggono gli altri sopportandoli. Con la pazienza si sentono più forti contro i nemici, con la carità sono più idonei a curare le anime ferite dal male. A quelli oppongono resistenza perché non facciano deviare anche gli altri. Seguono questi con timore e preoccupazione perché non abbandonino del tutto la via della rettitudine”(Dal Commento sul Libro di Giobbe). Dobbiamo essere un movimento di persistenza e resistenza basato sulla formazione, che rifiuta il relativismo etico, ma sa distinguere tra Chiesa e uomini di Chiesa (cfr N.Bux con V.Palmiotti, Salute o salvezza? La Chiesa al bivio, Fede &Cultura, Verona 2021, p.94). La B.V.Maria è il rimedio più efficace di tutti, all’attuale crisi della Chiesa e deve essere particolarmente invocata perché riaffermi la divinità di Cristo e la Chiesa sacramento universale di salvezza.
    Così, la Scuola Ecclesia Mater diventa un gioco di squadra, previo allenamento, per sfidare il mondo. Alle primitive comunità cristiane, circondate da costumi non certo sobri, non importava scendere a patti con la mentalità corrente. Non cedevano al complottismo ma si fidavano della Provvidenza. Ai Padri stava a cuore differenziarsi in modo netto dagli atteggiamenti propri del paganesimo (i Cristiani, secondo lo scritto A Diogneto 5, 8-9, “si trovano nella carne ma non vivono secondo la carne. Sulla terra trascorrono la vita, ma in cielo sono cittadini”). Quel mondo, così lontano dagli ideali evangelici, non è destinatario di comprensione e non va blandito, ma sfidato. I documenti “pastorali” della Chiesa odierna parlano di sfide, ma in realtà nascondono i cedimenti al mondo, né fanno un bilancio del loro esito.
     
    6. Sistema integrato
     
    La SEM vuole essere un sistema integrato: singoli e gruppi di base che studiano il Catechismo periodicamente, fanno scuola di dottrina cristiana – possibilmente si raccordano a livello regionale –. A livello nazionale ci riuniamo in febbraio a Roma e in agosto a Bassano R.— Continuiamo a riunirci in 4 Gruppi di Studio on line durante l’anno: Fede e ragione - Interpretazione del Vaticano II - Economia e Morale - Cultura e Politica – Siamo in rete col blog Il Pensiero Cattolico (=IPC), mediante il quale diamo espressione e visibilità (anche all’estero) alla SEM, che finora è rimasta in posizione riservata. Da qualche tempo si sta sviluppando un ampio progetto per dare alla nostra Scuola maggiore forza, stabilità e soprattutto capacità di formazione e di attrazione, in particolare nei confronti dei giovani. Sempre comunque siamo memori delle parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino e che, come racconta egli stesso nel Dialogo con l’Ebreo Trifone, furono lo stimolo alla sua conversione: “Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il Suo Cristo non gli concedono di capire” (Dial. 7,3).
     
    7. Conclusione
     
    Cari amici, 
    fino a 50 anni fa il maggior pericolo al mondo era visto nel regime autoritario, nelle dittature. Ciò perché assoggettano l’intelligenza a principi e sistemi gestiti da una autorità che impone tutto con il timore al fine di distruggere la libertà. 
    Avremmo mai immaginato di poter arrivare ad una epoca, come la presente, dove si arriva non solo a negare libertà e verità, ma voler anche escludere il libero arbitrio, facendolo considerare l’origine di tutti i mali e di tutti i problemi che oggi l’intera umanità soffre? Accusandolo di esser soggettivo, egoistico ed irrazionale? E pertanto origine dei problemi di diseguaglianza, sfruttamento, degrado ambientale, esclusione, ecc. 
    Avremmo mai immaginato di arrivare ad una fase della storia in cui venisse preparata ed annunciata una nuova Rivelazione (transumanista) e persino una nuova Incarnazione? (il metaverso). 
    Ecco, noi siamo qui per discuterne.


     
  6. SEM IPC
    Non poche volte si assiste alla presentazione della scienza teologica in maniera frammentata, o meglio, frantumata. Vale a dire che negli ultimi tempi sono emerse ‘varie teologie’: teologia del progresso, teologia della speranza, teologia della croce, teologia della morte di Dio e via di questo passo. Senza fare di tutta l’erba un fascio, riconoscendo la legittimità di una di queste rispetto all’altra, sembra proprio che una simile presentazione non arrechi altro che frantumazione all’interno della unica scienza teologica. Infatti, nonostante nella teologia rientrino varie aree come quello dogmatico, morale, spirituale, biblico ecc., in quanto scienza essa è «una». Il rischio che si potrebbe correre – di fatto accade – è quello di perdere di vista la totalità a causa di una eccessiva attenzione verso la parzialità. Inoltre, esprimersi come sopra riportato: «teologia di…», non pare sia il modo più corretto, nonostante la bontà delle intenzioni. Questo problema è stato avvertito anche da Joseph Ratzinger, il quale ci indirizza mediante le seguenti parole:
    il pluralismo che porta alla rovina dell’unità nasce là dove uno non si sente capace di tenere insieme la grande tensione interiore della totalità della fede. Esso presuppone sempre al suo inizio una riduzione e un impoverimento, che non vengono eliminati dalla fioritura di concezioni parziali del cristianesimo, che emergono e sprofondano in forma concomitante o successiva – al contrario, anzi, diventa così del tutto evidente la povertà di ogni singolo tentativo. È più fruttuoso invece il pluralismo teologico, là dove riesce a ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede, che non cancella questa molteplicità, ma la riconosce come intreccio organico di quella verità che oltrepassa l’uomo.[1]
    Quelle di Ratzinger sono parole alquanto importanti e rimandano al fatto che non bisogna perdere di vista l’unità della teologia, in particolar modo: ricondurre all’unità la multiforme varietà delle manifestazioni storiche della fede.
    Vediamo in che modo si coglie l’unità della scienza teologica, la quale è una proprio in riferimento al suo subiectum, e lo vedremo con l’aiuto del Doctor Angelicus.
    Nella prima pars della sua Summa Theologiae e proprio nella prima questione, l’Angelico riporta precisazioni che andrebbero più che mai riprese, e cercheremo di farlo, per quanto riguarda l’«unità» della scienza teologica, con gli articoli 2, 3, 7.
    Iniziamo col prendere in considerazione l’articolo 2: Utrum sacra doctrina sit scientia. La risposta è affermativa, ma con alcune precisazioni. Infatti, vi sono due generi di scienze: quelle che procedono da princìpi noti alla luce naturale dell’intelletto (come l’aritmetica, la geometria) e quelle che procedono da princìpi noti alla luce della scienza superiore (così come la prospettiva procede da princìpi notificati per la geometria, e la musica da princìpi noti per l’aritmetica). La sacra dottrina è scienza in questo modo, perché procede da princìpi noti alla luce della scienza superiore, che è quella di Dio e dei beati.[2]
    Nell’articolo 3 si procede ulteriormente: Utrum sacra doctrina sit una scientia, con la distinzione materialiter e formaliter. Pertanto, l’oggetto materialmente preso può essere l’uomo, l’asino, la pietra; formalmente preso risponde alla ragione formale dell’essere «colorato», che è l’oggetto della vista. In tal caso l’oggetto non deve essere preso materialmente, ma secondo la ragione formale di «colorato», che interessa tutti e tre gli oggetti. Parimenti con la sacra dottrina: considera alcune cose che sono rivelate divinamente, per cui tutte le cose che possono essere rivelate divinamente rientrano nella ragione formale dell’oggetto della scienza divina, alla luce della quale sono comprese sotto la sacra dottrina come sotto quella scienza che è una.[3]
    Ora, ciò che non bisogna perdere di vista è che la sacra dottrina non si riferisce a Dio e alle creature equamente, sed de Deo principaliter, et de creaturis secundum quod referuntur ad Deum, ut ad principium vel finem. Unde unitas scientiae non impeditur.[4] Questa precisazione è molto importante, poiché il riferimento è principalmente a Dio, secondariamente alle creature ma sempre in riferimento a Dio. Allorché ci si concentrasse sull’indagine di un aspetto particolare, offuscando il riferimento principale a Dio, si avrebbe una indagine frantumata che comporterebbe il raccogliere quei pezzi che dovrebbero servire per ricomporre la totalità. Ma in tal caso la totalità sarà contraffatta, proprio perché la partenza dell’indagine teologica non considererà Dio come il riferimento principale e finale. Gli aspetti particolari devono rientrare in Dio come principio e fine, non come aspetti a sé come una sorta di puzzle da comporre.
    Infatti, con l’articolo 7 si ha il chiarimento definitivo: Utrum Deus sit subiectum huius scientiae. E la risposta non avrebbe bisogno di ulteriori precisazioni: in hac scientia fit sermo de Deo, dicitur enim theologia, quasi sermo de Deo. Ergo Deus est subiectum huius scientiae.[5] Non solo, ma omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse Deus; vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Solo Dio è il subiectum della teologia e tutto ciò che la medesima tratta è sub ratione Dei, o perché è Dio stesso o perché dice ordine a Dio. Ma veniamo al punto che occorre sottolineare maggiormente, per avviarci alla conclusione, ossia il fatto che spesse volte alcuni argomenti sono trattati non sub ratione Dei, ma come se tali argomenti fossero il subiectum di se stessi. Già accadeva al tempo dell’Aquinate: vel res et signa; vel opera reparationis; vel totum Christum, idest caput et membra. Tuttavia, questi argomenti non possono essere trattati in maniera a sé stanti, sed secundum ordinem ad Deum.
    Occorre recuperare l’unità del sapere teologico partendo dal modo di esprimersi, evitando le «teologie di/del/della/dello…», le quali, in tal modo, non esprimono altro che una sorta di frantumazione. Al riguardo, è possibile leggere quanto riportato dalla Commissione Teologica Internazionale, nel documento Teologia oggi: prospettive, principi e criteri:
    Nei tempi moderni, in misura crescente, la parola «teologia» viene utilizzata al plurale. Si parla delle «teologie» di diversi autori, periodi o culture, riferendosi ai concetti distintivi, temi significativi e prospettive specifiche di queste «teologie».[6]
    Il documento precisa che una certa pluralità è legittima, ma prestando attenzione alla teologia in quanto scientia fidei e scientia Dei, nel salvaguardare il subiectum della teologia che è Dio. Per questo motivo sarebbe meglio se si parlasse di «pluralità» anziché di «pluralismo», o meglio, sarebbe una esigenza, dacché la molteplicità presuppone l’unità.
     
     
      [1] J. RATZINGER, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 20184, 85.
    [2] Cf. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 2.
    [3] Cf. Ibid., a. 3.
    [4] Ibid., ad 1um.
    [5] Ibid., a. 7.
    [6] Commissione Teologica Internazionale, Teologia oggi: prospettive, principi e criteri, n. 75.
  7. SEM IPC
    Le vicende scandalose che vedono implicato il pittore gesuita Marko Ivan Rupnik - di cui parleremo in
    maniera più diffusa in seguito - pongono alla nostra attenzione un problema che da decenni attende una
    risposta convincente e adeguata: quello dell'arte moderna che si ispira a modelli bizantini.
    L'arte sacra tradizionale dell'Occidente viene spesso accusata di essersi discostata dalla spiritualità bizantina
    per prendere vie razionali e realistiche che sono sfociate nel porre l'attenzione maggiormente sull'uomo
    piuttosto che su Dio.
    Curiosamente la nostra epoca impedisce ai pittori contemporanei di ispirarsi e di realizzare opere figurative
    di arte sacra classiche in linea con la tradizione italiana che va dal 1400 al 1700, opere che si legano
    perfettamente sia con la liturgia che con l'architettura occidentali.
    Per quel che riguarda la pittura dell'ottocento occorre dire che ebbe un lento ma graduale declino causato
    dalla nascita e dall'uso della macchina fotografica la quale portò l'artista a trascurare lo studio dell'anatomia
    e di altre discipline utilissime. Infatti si ebbe l'impressione che la fotografia potesse sostituire tali studi, ma
    non fu cosi e i risultati di questa pratica si manifestarono pienamente nell'arte del novecento. Inoltre
    occorre dire che l'artista cominciò a non esprimersi più liberamente tramite un'idea dell'opera nata
    completamente dal di dentro, ma fu costretto a mediarla con l'immagine che la fotografia gli forniva
    dall'esterno e ciò andava a discapito della spiritualità e della qualità dell'opera che inevitabilmente perdeva
    la sua unitarietà, specialmente per quel che riguarda l'impianto della composizione generale.
    L'uso di fotografie spesso porta anche oggi l'artista a eccessi di realismo inopportuni per l'arte sacra la quale
    necessita di un certo distacco dalla visione materiale a vantaggio di una certa spiritualità, come rimarca
    opportunamente l’enciclica "Mediator Dei" nella quale Pio XII chiede un'arte che "eviti l'eccessivo realismo
    da una parte e l'esagerato simbolismo dall'altra".
    Ciò che sorprende, comunque, è che gli artisti contemporanei si ispirino all'arte bizantina, chiaramente
    appartenente a un periodo più remoto, piuttosto che all'arte italiana tradizionale.
    Perché avviene questo?
    Sicuramente perché l'arte bizantina non richiede uno studio approfondito della geometria, né dell'anatomia
    e tanto meno della prospettiva. Questo spiega il proliferare di tanta arte pseudo-bizantina nella nostra
    epoca. Improvvisamente molti artisti, le cui raffigurazioni erano ispirate all'action painting di Pollok,
    all'espressionismo astratto di Rothko o all'astrattismo di Kandinski, sono passati tranquillamente ad un'arte
    di ispirazione bizantina. Infatti per questi artisti passare alle rappresentazioni classiche sarebbe stato
    impossibile, dato che questo tipo di pittura richiede un lunghissimo periodo di apprendimento, di almeno
    20 anni, nello studio della tecnica utilizzata dai grandi maestri della tradizione occidentale. Con l'avvento
    delle varie correnti "moderniste" del novecento, purtoppo, si è perso gran parte del bagaglio che avrebbe
    contribuito alla formazione di detti artisti, per cui molti di loro ripiegano verso la pittura bizantina più
    stilizzata e più semplice da eseguire.
    Sarebbe opportuno comunque comprendere per sommi capi il processo creativo utilizzato dai grandi artisti
    della tradizione italiana, in modo da metterlo in relazione con l'arte bizantina e comprenderne lo sviluppo.
    Esso viene spiegato in modo analitico e soddisfacente dal grande pittore e incisore del cinquecento tedesco
    Albrecht Durër nel suo libro "Della simmetria dei corpi umani" il quale compì un viaggio in Italia
    espressamente per apprendere il sistema utilizzato da tutti i grandi pittori italiani dell'epoca per le loro
    raffigurazioni artistiche, specialmente per quel che riguarda la figura umana. Detto sistema era
    fondamentale, e lo è ancor oggi, per poter rappresentare la figura umana senza ricorrere ad un modello
    vivente, specialmente quando era necessario raffigurare scorci arditi o gruppi di figure in movimento e in
    relazione fra loro, cosa che non si potrebbe ottenere copiando dal vero e neanche con l'ausilio di fotografie.
    Esso consisteva nel disegnare varie sezioni del corpo umano poste a vari livelli, quindi la faccia frontale e il
    profilo del singolo pezzo anatomico, per ottenere in seguito, tramite le proiezioni ortogonali, i relativi
    ribaltamenti e finalmente le numerose visioni in scorcio delle singole parti anatomiche.
    Un procedimento lungo, complesso e meticoloso che richiedeva una pazienza e un'abnegazione fuori del
    comune e che veniva condotto a riga e squadra. Questa pratica durava molti anni e ci fa comprendere il
    motivo per cui i nostri grandi artisti dell'epoca diventavano anche esperti architetti. Infatti la pratica di
    mettere in prospettiva un corpo umano richiede un'abilità infinitamente maggiore che non il mettere in
    prospettiva un solido geometrico come un cubo, un cilindro o una piramide. Molti di loro erano infatti
    pittori, scultori e architetti non a caso. Pensiamo al campanile di Giotto, alla cupola di S. Pietro progettata da
    Michelangelo, al colonnato del Bernini in piazza San Pietro, solo per citare alcuni esempi. Il metodo
    descritto dal Dürer probabilmente sostituiva quello di Piero della Francesca descritto nel suo " De
    perspectiva pingendi", il quale trattava solo la prospettiva del volto umano, mentre quello di Durër analizza
    il corpo intero. Un tipico esempio pittorico eseguito con questo sistema è il "Cristo morto " del Mantegna.
    Il problema vero purtroppo è stato causato da alcuni grandi storici dell'arte. Uno dei più importanti è
    Kennet Klark il quale nel suo libro: "Il nudo" Aldo Martello ed. afferma a pag. 23, riferendosi al trattato di
    Dürer: "non ho letto questo libro, ma ho dato solo un'occhiata alle illustrazioni come tutti i miei colleghi".
    Questa è un'affermazione grave, poiché tutta l'arte pittorica del '500, '600 e '700 e anche l'architettura
    traevano origine dal procedimento descritto nel succitato libro. Infatti anche l'architettura teneva molto in
    considerazione la figura umana come capolavoro di Dio, applicandone le proporzioni nelle colonne, negli
    archi a tutto sesto, nelle cupole e perfino nelle decorazioni a forma di S che volevano simulare la clavicola
    umana. Inoltre non sarebbe possibile comprendere appieno la straripante esplosione artistica del
    Rinascimento, del barocco e del rococò senza conoscere la tecnica che ha generato questi capolavori. Nei
    disegni di Luca Cambiaso (1527- 1585) si può osservare non solo l'applicazione del suddetto metodo, ma
    anche una sua semplificazione. Si comprende anche quale sia la grande differenza che separa un artista
    come Raffaello o Michelangelo - abituati sin dalla più tenera età allo studio analitico del disegno tramite le
    costruzioni geometriche - e il Caravaggio che dipingeva esclusivamente dal vero.
    Ma sarebbe opportuno anche cercare di capire la concezione spirituale che sottende le opere dei grandi
    artisti bizantini . Possiamo notare come le figure dei santi rappresentati erano essenzialmente piatte e
    mancavano di chiaroscuro, dovevano infatti risultare completamente spirituali per cui il volume avrebbe
    rappresentato un impedimento a questo scopo. Le mani e soprattutto i piedi dovevano essere piccoli a
    indicare lo scarso attaccamento alla vita terrena. Di solito non si guardavano mai tra di loro, ma il loro
    sguardo era fisso e si perdeva all'infinito a contemplare direttamente la divinità. In loro era assente
    qualunque tipo di espressione mimica come il pianto, la tristezza, la gioia ecc. a rimarcare la loro
    impassibilità verso le passioni umane. Inoltre era assente la prospettiva lineare e quella aerea. La
    prospettiva lineare mancava anche perché gli artisti di allora erano a digiuno di questa scienza riservata agli
    architetti, tanto è vero che il Beato Angelico desiderava ardentemente imparare questa nuova disciplina e
    non nascondeva questo suo desiderio, frequentando gli studi di coloro che ne erano già in possesso. È noto
    il dialogo che ebbe col Brunelleschi di cui era molto amico e le spiegazioni che ne ebbe da lui e che Deda
    Pini riporta nel suo libro "Il Beato Angelico" (pagg. 49-50-51) concludendo così: "Questa spiegazione così
    evidente giovò molto all'Angelico, che comprese come occorresse adeguar la pittura all'architettura in
    quanto ai volumi, mediante la prospettiva. I risultati di quella lezione si riscontrano sulle sue opere, che il
    pittore domenicano eseguì in seguito e sulle quali si ammirano non solo le figure disposte su diversi piani e
    proporzionate a essi nelle dimensioni, ma anche diversi motivi architettonici ". Sicuramente comunque lo
    studio e l'applicazione della prospettiva non tolsero nulla alla spiritualità delle opere del Beato Angelico,
    anzi ci appaiono ancor più coerenti e libere.
    Con Giotto e Masaccio l'immagine statica bizantina cominciò già a modificarsi e si notano alcuni dipinti con
    architetture in cui viene applicata una sorta di assonometria o prospettiva anche se ancora intuitiva. Le
    figure dei santi cominciano a guardarsi tra di loro e nei volti si notano varie espressioni e atteggiamenti più
    naturalistici e questo non tolse nulla alla pittura bizantina, ma la perfezionò solamente in quello che erano i
    suoi scopi e cioè coinvolgere lo spettatore nella scena raffigurata e muoverlo alla preghiera. Non si tratta
    quindi di una rivoluzione o di un cambiamento, ma solo di un perfezionamento tecnico atto a rendere con
    più naturalezza ciò che già era in nuce nella pittura bizantina. Si nota anche una migliore comprensione del
    chiaroscuro e i volumi si fanno più evidenti.
    Michelangelo perfezionò ulteriormente questa visione inserendo la linea serpentina ad S di cui parla
    Hogarth (1697- 1764) nel suo trattato "Analisi della bellezza", facendo assumere alla figura umana il
    movimento di torsione che faceva apparire come animate le figure. Quando ebbe finito il Giudizio
    Universale e la gente fu invitata ad ammirare il capolavoro, pare che la prima emozione che essa ebbe fu di
    paura e stupore insieme, dovuti al fatto che le figure dei demoni e dei dannati sembravano animate e si
    aveva l'impressione che si staccassero dal muro per quanto erano naturali. Anche i volti vengono
    rappresentati non solo di fronte di profilo o di tre quarti, ma anche nelle varie visioni dall'alto e dal basso in
    scorci arditissimi.
    Possiamo desumere da quanto detto che la pittura rinascimentale, contrariamente a ciò che si pensa, non è
    in contraddizione con la pittura bizantina, ma anzi la porta a compimento come la larva, che mutandosi in
    farfalla, non muta la sua natura.
    Tutto questo ci fa capire come sia inopportuno da parte di alcuni artisti prediligere forme più
    approssimative a forme più compiute.
    Questo è anche il caso di Marko Rupnik.
    Per comprendere la personalità dell'uomo Rupnik, è necessario analizzarne l'opera o meglio le brutte copie
    di mosaici bizantini. L'arte infatti svela e riflette perfettamente ciò che l'artista realmente è nel suo io più
    profondo.
    Per quanto abbiamo detto sopra, comprendiamo bene che nelle opere di Marko Rupnik vi è solo
    un'imitazione superficiale e puramente esteriore della pittura bizantina. Non basta usare la tecnica del
    mosaico con le sue belle tesserine dorate e inondare di luce gli sfondi, incorniciare di aureole a tutto
    spiano i volti delle figure rappresentate per ottenere qualcosa di spirituale, o disegnare in modo scorretto le
    prospettive degli ambienti ostentando una falsa ingenuità e purezza quasi infantili, per produrre qualcosa di
    simile all'iconografia bizantina. È necessario invece vivere una vita di preghiera, essere intrisi seriamente di
    una spiritualità, sottoporsi a penitenze di vario genere prima di mettere mano ai pennelli, cose che erano
    soliti fare i pittori bizantini. È necessario essere animati e mossi dallo Spirito Santo oltre che da una grande
    fede e dal desiderio vivo di comunicarla ai fratelli senza puntare su guadagni astronomici. E qui risuonano
    come un'eco lontana le parole di Cennino Cennini nel suo "Trattato della pittura" "...all’arte non si perviene
    con sete di guadagno, né per vanagloria..."
    Purtroppo, come spesso accade, la contraffazione diventa evidente in alcuni particolari: in un piede troppo
    grande ben piantato sul terreno, in una mano troppo carnale avezza più al possesso che alla preghiera, a
    volti tutti identici, stereotipati, quasi fatti con lo stampino, all'espressione di un volto imbambolato più che
    rapito in estasi mistica, ad occhi senza una scintilla di luce che pare contemplino le tenebre degli inferi
    anziché la luce sfolgorante del Tabor, ad un disegno troppo arrotondato, affrettato e superficiale che a
    volte sembra rasentare il fumetto.
    Qualcuno ha voluto paragonare Rupnik a Caravaggio (riguardo la vita sregolata), ma su questo punto è
    preferibile tacere
     
    https://instagram.com/giorgioesposito52?igshid=MzRlODBiNWFlZA==
  8. SEM IPC
    Quando san Tommaso entrava in classe (ci viene riferito da una accreditata diceria) poneva una mela sul tavolo dicendo: “Questa è una mela, chi non è d’accordo può uscire”. In pratica: se tu non riconosci l’oggettività del reale, come possiamo costruire una grammatica comune? Quando il serpente con una mela* tentò Eva, le disse che sarebbe diventata come Dio. Cosa significava per Eva diventare ed essere come Dio? Lei e Adamo avevano il dominio su cose e animali esistenti, al punto da poter dar loro il nome; tuttavia questo potere era stato concesso loro da Dio che, essendo Il Creatore, era il garante della veridicità della loro conoscenza e del loro linguaggio, in quanto garante dell’oggettività del reale, nel senso che esso non dipende dalla conoscenza umana.

    Diventare come Dio significava quindi avocare a sé la capacità di garantire la veridicità della conoscenza, ricostituendola in una grammatica soggettiva che, immediatamente, si sarebbe rivelata arbitraria. Ma a che pro essere come Dio se già da subito essi potevano dare il nome alle bestie ed alle cose? Lo scopo era non accontentarsi più di dare il nome alla realtà oggettiva, ma iniziare a ricostituirla ex novo su una grammatica che fosse soggettiva ed arbitraria. Infatti Eva si scopre nuda, e nudo scopre il suo uomo; perciò dovranno coprirsi, difendersi: poiché il loro intendersi è stato alterato, non è più possibile condividere o comprendersi in modo immediato. Nelle mani di un soggettivismo che è il nuovo dio degli uomini non ci si capisce più. Quando (per servirmi di un ultimo esempio) Nietzsche cercava il metodo per demolire il cristianesimo, secondo McLuhan, lo trovò nella distruzione della grammatica e del suo senso logico: il cristianesimo (questo strano platonismo per il popolo) si regge sul linguaggio corretto, oserei dire sulla coerenza della parola; si distrugga il senso di questa e verrà meno la forza del pensiero cristiano, ed anche del pensiero stesso. Verrà meno l’umano. 

    La mela del primo peccato ha diverse sfaccettature, ed ogni epoca è stata tentata con un morso diverso. Credo che lo specifico della nostra epoca sia proprio il rilassamento, se non il venir meno, del senso logico del linguaggio, della sua capacità di comunicare una realtà oggettiva, chiara ai sensi ed allo spirito. Il vero, secondo i dettami del postmoderno spinto, non esiste più. Ma così viene meno la coscienza che guida il mio vivere, e la veglia si risolve in un ascolto esasperato del proprio intimo dove si colgono necessità primarie ipertrofiche che abbiamo imparato a chiamare diritti; trascorriamo le nostre vite sperando nel “sol dell’avvenir”, pur sapendo che non esiste.

    Chiamiamo il nostro obiettivo utopia ed andiamo avanti tra forza d’inerzia e disperazione. Sembriamo giunti al capolinea delle conseguenze negative della soggettivizzazione della conoscenza, ribaltatasi e concretizzatasi nella appropriazione di quel che sul momento ci pare. Tutto questo lo chiamiamo laicità o, con una correzione da parte cattolica, laicismo. Può il laicismo-laicità un giorno “incontrare” e dialogare col cattolicesimo? Questa è stata la speranza (o sarebbe meglio chiamarla utopia?) di molti , in nome di una volontà d’incontro, eppure anche questa appare compromessa se già all’interno del cristianesimo sono presenti problemi grammaticali. Ricordo ancora la commozione e l’appagamento dello spirito quando scoprii il motto episcopale del patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora I: “Fermiamoci e guardiamoci”. Bellissimo!

    Il tentativo d’incontro era una realtà morale, spirituale e, quasi, una necessità di ricomposizione della nostra psiche, scissa per essere stata alimentata per troppo tempo da due civiltà parallele: abbiamo praticamente due personalità, la cui convivenza ci causa parecchi problemi. Si vede bene allora che non si tratta di un incontro fra due realtà o antropologie distinte, ma della necessità di una scelta dell’una o dell’altra. Tuttavia, per confrontarsi serve un linguaggio comune, che non esiste, perché non esiste più una logica o una morale o una spiritualità comuni.

    Prendiamo ad esempio il verbo amare, che non ha più riferimenti ad un sentire comune, ma è fortemente condizionato dalla soggettività dell’io che lo coniuga a seconda del proprio sentire più ermetico: la parola rimane sacra come forza e valore, ma diventa relativa nel suo coniugarsi soggettivista, diventando in pratica un amuleto, una parola chiave, uno slogan più o meno efficace da tirare fuori nei momenti di difficoltà dialettica durante il tanto sospirato confronto. Confronto che, proprio a causa di queste parole-idolo, viene definitivamente esorcizzato.

    Perdendo di significato la parola diventa un assoluto inarrivabile e non raggiungibile, una utopia. Così avviene delle altre parole amatissime nella nostra contemporaneità come libertà, coscienza, dovere, diritto, ascolto, rispetto, tolleranza ecc. Benché si debba riconoscere lo sforzo della contemporaneità di cercare una armonia sponsale fra individuo e collettività, mi pare che a livello pratico si sia di fronte ad un fallimento. Il mondo laico non riesce a proporre dei minimi comuni denominatori d’incontro tra i vari soggetti che lo compongono e la società che lo esprime. Esso risulta incompleto e per poter essere qualcosa di definito, e soprattutto nell’incontro e nelle relazioni della quotidianità commette un latrocinio subdolo nei confronti del cristianesimo. L’insufficienza della laicità è colmata dalla spiritualità cristiana, la quale però è deformata ed amputata di sue sostanziali peculiarità, come l’integrità del pensiero logico che ne è un elemento fondante e l’oggettività dell’atto morale. Tolti questi due elementi il cristiano non è più tale: ha forma cristiana, ma non sostanza; non siamo più cristiani, ma cristianoidi. O anche trans-cristiani, in una trasformazione di cui l’esito è difficile da stabilire.

    *Si usa il termine mela per via della tradizione risalente alla Vulgata di San Gerolamo
  9. SEM IPC
    Il tempo nella sua ampia concezione si carica di diversi significati in base a modelli interpretativi filosofici, scientifici, spirituali, religiosi e psicologici secondo il contesto storico e culturale.
    Nella sua accezione psicologica e spirituale assume un valore fondamentale sull’esistenza umana.  L’essere immerso   nel tempo risponde all’imperativo del senso del fluire della vita nel susseguirsi degli eventi e delle vicende che investono la maturazione del vissuto della persona. La relazione tra il tempo, percepito come successione di avvenimenti, e il carattere impresso nella coscienza al valore della vita assume un significato unico che solo l’uomo nella sua individualità può scoprire.
    Tale significato non è univoco in senso assoluto così da renderlo quasi inesplicabile in senso reale fino a sconfinare nel mistero.
    Gli approcci disciplinari psicologici e scientifici non sono concordi nella relativa definizione, tuttavia non può sfuggire la sua portata nelle implicazioni nella vita di ogni uomo. 
    Gli interrogativi, con voce più o meno sommessa, gravano spesso sulla vita umana sia singolarmente che nell’ambito sociale. L’esito dei progetti e delle aspettative non sono sempre in rapporto con gli sforzi profusi e le risorse impegnate quando gli imprevisti e le sventure accidentali paiono congiurare contro le attese più ottimistiche.
    Il senso di impotenza può pregiudicare le certezze riposte nell’avvenire fino a dissipare le speranze di un futuro propizio nel proprio operato.
    I dubbi pessimistici portano l’impronta del malessere con cui convivere forzatamente nella quotidianità fino ai limiti di una tolleranza che sconvolge il quieto vivere.
    A tal punto resta quasi impellente il desiderio di abbattere le barriere del tempo pur di conoscere cosa riserva il futuro.
    La   civiltà umana ha mostrato nel suo evolversi del tempo l’imprevedibile assetto del proprio destino.
    Un esempio di tale evoluzione viene offerto dagli sviluppi dell’era atomica in seguito alla scoperta dell’equivalenza tra massa ed energia.
    Sorge l’interrogativo: chi abbia guidato il percorso della storia per scoprire quali forze dominanti hanno segnato il decorso del tempo?
    Da una attenta osservazione appare inevitabile citare chi meglio abbia impersonato:
     la paziente lungimiranza di Ghandi, lo spirito eroico di Giovanna d’Arco; il coraggioso spirito critico di Solgenitsin;   l’insegnamento teologico  e morale di Pio XII;
    quali mirabili esempi in un clima politico e culturale nel tempo così vissuto pervaso da ideologie materialistiche negazioniste degli autentici valori umani.
    Il tempo ha rappresentato un problema da investigare nella speculazione filosofica   dalle varie correnti di pensiero fino a proporre varie interpretazioni e soluzioni. Il tempo nella filosofia antica veniva definito come "ordine oggettivo misurabile del movimento".
    Aristotele giunse a definire il tempo come "numero del movimento secondo il prima e il poi". Aristotele riconosceva il principio pitagorico dell’ordine cosmico quale riferimento oggettivo per misurare il tempo ma si riferiva anche alla dottrina platonica nel distinguere il mondo dal primo motore immobile che è fuori dal tempo.
    Sant’Agostino risolse il problema diversamente definendo il tempo come “misura dell’estensione dell’anima”. Nell’anima stessa l’uomo riesce a misurare la fuggevolezza del tempo, identificato come entità lineare: il futuro non c'è ancora ma permane  nell'anima la sua attesa; il passato non c'è più ma nell'anima resta la memoria di esso. Il presente resta privo di durata e trapassa in ogni momento ma rimane nell'anima l'attenzione per le cose presenti. Pertanto il tempo, inteso come fluire, passaggio, trova la sua realtà nell'anima, nel ricordo, nell'attenzione, nell'attesa.
    Il tempo, concepito nei limiti del finito, è giustificabile nel dispiegarsi della vita umana per cogliere, nel suo sviluppo, il rapporto di intimità e comunione con Dio smarrito nella caduta del peccato originale. Pertanto il tempo nella sua finitezza riassume il valore per proiettare la vita umana nell’infinito.
    Il tempo nella sacra scrittura
    Il tempo è stato oggetto di riflessione principalmente nei testi sapienziali; è un ritornello tipico quello che “ogni cosa ha il suo tempo”: un albero porta frutto “a suo tempo” (Sal 1,3); “Tu fai spuntare la costellazione a suo tempo” (Gb 38,32); “una parola a suo tempo com'è deliziosa” (Pr 15,23). Il Siracide offre una impostazione teologica sul tempo, affermando che Dio si mostra come Provvidenza, predisponendo ogni cosa a suo tempo per il bene dell’uomo, e che di conseguenza è prerogativa dell’uomo saggio l’accorgersi di tutto questo (Sir 39,16.33-34):
    Quanto sono belle tutte le opere del Signore, e ciascuno dei suoi ordini si realizza a suo tempo.
    Non deve dirsi: "perché questo? perché quello?" Perché ogni cosa avrà la sua soluzione a suo tempo (cf. v. 21.31).
    le opere del Signore sono tutte buone, egli provvede a suo tempo ad ogni necessità.
    Non deve dirsi: «Questo è peggiore di quello», perché tutto sarà riconosciuto giusto a suo tempo.  
    Citando il Qohelet è possibile scorgere  una visione apparentemente semplice e ottimistica a colui che si trova nella prova o nello sconforto, assumendo in questa condizione lo smarrimento  del senso delle cose al punto che il male sembra prevalere; forse è indirettamente anche una risposta di tipo apologetico a chi, sempre tra gli scrittori ebraici, con maggiore realismo prende atto della complessità insita nella realtà, e della incapacità dell’uomo di venirne a capo completamente.
    Il compimento del tempo nel Nuovo Testamento
    Il significato del compimento del tempo viene espresso dall’apostolo Paolo nella lettera ai Galati associandolo alla venuta di Cristo  : Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5).
    La  consapevolezza del tempo che passa negli avvenimenti della vita umana alimenta la saggezza nel discernimento rivolto a svelare il senso del mondo dalla visione trascendente.
     
    La  visione del mondo formulata nel documento del Concilio Vaticano II “Gaudium et Spes”
    viene espressa nel brano seguente “scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possano rispondere ai continui interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico.”
    In tale citazione si scopre il fondamento nel vangelo di Luca:
    «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: «Arriva la pioggia», e così accade. 55E quando soffia lo scirocco, dite: «Farà caldo», e così accade. 56Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? 57E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? (Lc 12,54-55)
    I “segni dei tempi” si riconoscono nell’intervento dell’opera divina nella storia per indirizzare, mediante Cristo risorto, gli uomini oltre la storia verso il destino dell’eternità.
     
  10. SEM IPC
    La Chiesa fa l'Eucaristia e l'Eucaristia fa la Chiesa: un assioma medievale rilanciato da Henri De Lubac. Che dire dell'altro slogan ripetuto nei documenti liturgici che invoca la coerenza tra liturgia e vita? Non devono valere per chi favorisce in vari modi l'aborto, specialmente attraverso la politica?
    Molti sono gli errori sulla natura dell'Eucaristia, sull'appartenenza alla Chiesa e sulla interconnessione tra le due. 
    Va detto chiaro, che l'Eucaristia non è un cibo comune, ma un farmaco speciale che produce l'immortalità, la risurrezione finale del nostro essere; ma, come ogni farmaco, se non si conoscono le controindicazioni, diventa un veleno che fa ammalare e porta alla "morte seconda", la dannazione eterna(cfr 1 Cor,11,30).Qualcuno altrimenti deve spiegare perché i padri della Chiesa fossero così severi col peccato d'aborto: vent'anni di penitenza imponeva Basilio, prima di riammettere alla Comunione che è inscindibilmente ecclesiale e sacramentale. Questo perché il Signore non gradisce un culto in contrasto con la vita, come attestano Antico e Nuovo Testamento.
    Oggi però tra i laici e i pastori, non si conosce o si hanno idee confuse sulla dottrina eucaristica cattolica, nonostante Giovanni Paolo II abbia promulgato l'enciclica Ecclesia de Eucharistia(2003), dove riafferma che la Comunione eucaristica presuppone come esistente la comunione ecclesiale, per consolidarla e portarla a perfezione(35). San Tommaso annotava che l'Eucaristia è il cantiere in cui si costruisce la Chiesa.
    Uno dei vincoli visibili della comunione ecclesiale è quello che unisce il fedele al proprio vescovo.
    Nancy Pelosi, speaker della Camera statunitense, è stata interdetta dall'arcivescovo della sua diocesi, Salvatore J.Cordileone, d'accostarsi alla Comunione, perché pubblica sostenitrice dell'aborto, ma non ha riconosciuto quel vincolo e, infrangendolo pubblicamente in san Pietro il 29 giugno scorso, ha ricevuto indegnamente il Sacramento, quindi "la propria condanna"(1Cor 11,29).  
    S.Tommaso lo ricorda nella sequenza del Corpus Domini: Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. "L’Eucaristia non deve essere profanata ricevendola indegnamente, - mi ricorda d.Alberto Strumia - perché in questo modo, oltre ad offendere il Signore, si fa del male a se stessi e al mondo intero. Non è per moralismo e arretratezza che si prendono decisioni censorie, ma in forza di una concezione dell’uomo e della realtà che agisce come se Dio non esistesse, tenendo conto che partendo dalla negazione di Dio e dal rifiuto della vera dottrina di Cristo si è costruito un mondo invivibile". 
    Se qualcuno privatamente ha incoraggiata la speaker a farlo, o l'omelia di papa Francesco pubblicamente le ha fatto intendere che tutti vanno accolti nella Chiesa senza bisogno di convertirsi da tale condotta, è stato contraddetto il Signore Gesù e ci si è fatti complici di tale peccato. Il Signore sedeva a mensa con i peccatori, ma per portarli a conversione; all'Eucaristia invece ammise i riconciliati, i puri e richiamò nell'Ultima Cena chi non lo era, Giuda in primis (cfr Gv 13,10 e 17,12).
    Il papa nell'intervista a Reuters osserva che la Chiesa, un vescovo, quando perde la sua natura pastorale causa un problema politico. Cosa vuol dire? E' sant'Ambrogio che ha causato un problema politico, non ammettendo l'imperatore Teodosio in chiesa, chiedendogli di fare prima penitenza, o piuttosto è l'imperatore che ha costretto il vescovo di Milano a usare il "senso pastorale" perché con la strage di Tessalonica aveva provocato un "problema politico"? L'arcivescovo di San Francisco si è mosso con vero "senso pastorale".
    Nessun vescovo, che non sia quello diocesano, può cancellare un interdetto, in specie concernente la dottrina eucaristica cattolica, senza venir meno al vincolo collegiale che unisce i vescovi tra loro e implica la comunione nella dottrina degli Apostoli che è costitutiva della Chiesa come sacramento di salvezza. Non si pensi che ciò sia "giuridismo" che ostacola la misericordia. Ammettendo alla Comunione una persona pubblica come la Pelosi, si reca scandalo ai piccoli e ai semplici nella Chiesa. Lo può consentire il "senso pastorale"? Non ha affermato più volte papa Francesco che bisogna riconoscere la carne di Cristo nei poveri? Ebbene, i primi poveri sono i cristiani, membra della Chiesa corpo di Cristo. L'arcivescovo Cordileone ha rivelato grande senso pastorale innanzitutto verso l'anima della Pelosi, avvertendola del rischio di dannazione eterna, quindi verso le anime a lui affidate, preservandole dalla profanazione della Comunione. Di questo ogni pastore dovrà rendere conto davanti al Rex tremendae maiestatis.
    Se esiste il diritto nella Chiesa affinché essa sia giusta, la grave frattura che si è prodotta tra un vescovo che interdice e uno che accoglie, il vescovo di Roma - il papa privilegia questo suo titolo - favorisce l'allontanamento di pastori e fedeli dall'insegnamento cattolico(apostasia) e fomenta la divisione(scisma), contraddicendo peraltro il "cammino sinodale". Molti fedeli nel mondo si augurano non sia vero quanto egli avrebbe dichiarato il giorno del suo compleanno nel 2017: "non è escluso che io passerò alla storia come colui che ha diviso la Chiesa ..."
    Se è vero che Cordileone ha dichiarato di seguire il Catechismo della Chiesa cattolica che anche il papa dovrebbe seguire, vuol dire che ha fatto come Paolo quando affrontò Pietro: il papa aveva timidamente alluso a lui ma l'arcivescovo gli si è rivolto direttamente. Salvatore Joseph Cordileone - nomen est omen - ha testimoniato non solo il senso pastorale ma il carattere sacrale del Sacramento, secondo l'insegnamento di Benedetto XVI: sacramento da credere, da celebrare, da vivere (Sacramentum Caritatis, 70).
     
  11. SEM IPC
    Probabilmente  mai come oggi  sentiamo offendere la nostra fede  cattolica sentendola descrivere come intollerante. Certo siamo distratti da altre offese che riteniamo più rilevanti e urgenti per una reazione.  Ma non sottovaluterei l’accusa di intolleranza. Spiego almeno due perché.
    Primo: Perché  implicitamente  sentiamo  persino lasciar confermare questa accusa  dalla stessa autorità morale che su questo punto indirettamente da ragione a chi ha interesse a farlo ( proprio oggi ), essendo la chiesa cattolica la più ascoltata  autorità morale al mondo da duemila anni. E pertanto non può esser oggi intollerante  con chi la pensa diversamente nel mondo globale oppure con chi sta cercando di fare il bene dell’uomo secondo criteri non previsti dalla religione cattolica ( si  pensi al transumanesimo o al metaverso) .
    Secondo: Perché   l’accusa di intolleranza potrebbe esser  un riferimento chiave per capire oggi come  bene e male si stanno confondendo e perché , e vale la pena parlarne e riflettere su cosa significa oggi esser tollerante o intollerante , su che .    
    Il grande maestro che ha insegnato , riferendosi  sul tema tolleranza e intolleranza , implicitamente ed esplicitamente alla chiesa cattolica , è stato un “gigante” sacro e intoccabile   della filosofia : Karl Popper,  filosofo della scienza e della politica , nato esattamente 120anni fa ( 28luglio 1902 – morto nel 1994).
    L’intolleranza della chiesa cattolica Popper la descrive indirettamente  nel suo "Paradosso della Tolleranza"  dove spiega che : < noi tolleranti dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti > ( che dovrebbero , appunto , esser i cattolici ).
    Nella sua grande opera (una quasi bibbia ) : “La Società Aperta”, auspica appunto una società  tollerantissima , aperta a tutti i valori , visione filosofiche, politiche , e soprattutto religiose , aperta a tutte le idee, ideali, esperienze. Popper invece biasima ( dimenticandosi il principio di tolleranza)  la “società chiusa” a quei valori che lei considera negativi ,  chiusa ai corruttori delle idee , chiusa a ideali che considera negativi. Così schiaccia l’individuo. La società aperta  non teme il confronto perché  rappresenta una sfida alle capacità umane di realizzare  al massimo  le potenzialità dell’uomo. Così valorizza l’individuo. Chi frena l’espressione di queste capacità, è  la  società chiusa, che è chiusa perché pretende di possedere le verità ultime ed assolute e impone conseguenti comportamenti agli altri . E’  naturalmente  la  fede  cattolica l‘esempio di massima intolleranza, lo sapevate?? Magari Popper avrebbe apprezzato un capo della chiesa che affermasse che    la chiesa non ha nulla da insegnare , bensì tutto da apprendere da tutti. Ma Popper ha lasciato questa terra nel 1994...  Popper però  ha lasciato  una eredità  che mi pare sia stata ben compresa. Lasciò intendere  infatti,  indirettamente naturalmente,  come distruggere la chiesa intollerante . Spiegò  che le  “Istituzioni” sono come le Fortezze. Resistono se la guarnigione è forte e fedele. Per abbattere la fortezza non c’è  sempre bisogno di assalirla, se ci si riesce,  basta corrompere la guarnigione .
    Seguace di Popper  è George Soros , fondatore della Open Society Foundation . Magnate esemplare  per la sua intolleranza verso le monete deboli  su cui speculare e per la sua intolleranza nei confronti di chi ha un credo religioso.  
  12. SEM IPC
    E' noto che in tutti i partiti ci sono politici che si ritengono cattolici, nel centro-destra e nel centro-sinistra, ma il centro in realtà non esiste o è solo un ricordo del partito dei cattolici che non c'è più e stava a significare che in medio stat virtus. Chi è la virtus, ossia la forza?  Dio, Cristo Redemptor hominis "centro del cosmo e della storia", come affermò Giovanni Paolo II: senza di lui non si può governare veramente l'umana società. Senza questo "centro" non v'è alleanza durevole, anche se in tutta fretta si sta cercando di metterla su, ma è solo un'alleanza elettorale, a destra e a sinistra, ma non sarà al "centro", che puntualmente si infrangerà dal giorno dopo le elezioni, sullo scoglio di chi deve essere il primo, poi su quelli dei temi etici, non appena bisognerà prendere posizione decisa sul progressismo nichilista: dall’uso dei pronomi fluidi nelle scuole alla cancel culture, dalle unioni alle adozioni gay, all’aborto e all’attivismo transgender. Ci sarà chi vorrà mettere la sordina per timore di perdere consensi, perchè sarebbe ritenuto omofobo. Non ci si illuda: senza la verità morale  non v'è cultura politica. Certo, i veri cattolici usano il pensiero senza intenzione di offendere, ma rischiando di farlo, perché la verità fa male, soprattutto quando si critica il politicamente corretto. La vita è una lotta, e bisogna combattere senza abbattersi e affrontare le difficoltà. Bisogna usare il principio di realtà, collegato a una visione verticale dell’esistenza, specialmente per chi ha la fede, visione fondata sulla Rivelazione biblica che illumina ciò che accade nel mondo. Ne segue che la conversione,  non appena la legalità, è necessaria per tutti, se si vuole una società giusta; che l’orgoglio in qualsiasi campo, quindi anche gay, è un peccato e non una ragione di vita; che gli interventi chirurgici per cambiare sesso sono criminali, soprattutto quando lo si sfoggia (si pensi alle decisioni catastrofiche in materia, prese da adolescenti immaturi). La carne dell’uomo non è carne da macello, perché è chiamata alla risurrezione; risorgeremo secondo il sesso datoci alla nascita, anche se - sottratti alla concupiscenza come gli angeli - non ne useremo. Ancora, chi è cattolico non ha paura di dire che vanno esaminate le ragioni storiche, culturali e politiche dei conflitti internazionali, prima di schierarsi a testa bassa. Né ha timore di dire ai musulmani che devono rispettare il cristianesimo perchè appartiene all’identità europea. Soprattutto bisogna combattere la forma strisciante di totalitarismo, che Benedetto XVI chiamò "dittatura del relativismo". Il fuoco che in questa estate divampa qui e là, è metafora del castigo a cui gli europei sono sottoposti, dopo la pandemia e la guerra, per aver trasformato in “diritti civili” i loro capricci. L'apparente dissesto della natura, solo in minima parte - e transitoria - va addossato all’incuria dell’uomo; la natura invece geme e soffre anch’essa per i peccati degli esseri umani: la natura è troppo potente per essere condizionata dall'uomo che, quando la deturpa, percepisce ciò come un solletico. Formandosi un giudizio culturale, i cattolici in politica contribuiranno a salvare l’Occidente dalla follia. Dovrebbero dunque gli onorevoli politici che si ritengono cattolici riflettere su tutto ciò ora, e verificare se i partiti nei quali militano, condividono il pensiero cattolico altrimenti è bene non ritenersi tali e non chiedere il consenso agli elettori cattolici e ai laici sanamente razionali.
    Per realizzare dunque una vera alleanza che duri, non solo in funzione elettorale, si deve aderire alla virtus che sta al centro, la Verità che è Dio. E per questo, ci vogliono azioni necessarie alla piena conversione, che sono almeno quattro: la contrizione, la rinuncia, la confessione, la riparazione. Altrimenti l'orgoglio prenderà il sopravvento e la cosiddetta coalizione naufragherà sugli scogli degli egoismi individuali e di partito. Dunque, si consiglia ai politici che vogliono essere cattolici, a cominciare dai capi partito, una "giornata di ritiro" con confessione e Santa Messa, prima di dichiarare alleanze e programmi.
    Infine, in questo tempo di confusione causata da una profonda crisi dottrinale, bisogna osservare che gli elettori consapevoli di cosa significhi essere cattolici, ritengono impensabile di dare il consenso ai partiti che cambiano le leggi sulla famiglia naturale, ai candidati favorevoli alla pace ma anche all'aborto e alle unioni civili; invece daranno il voto a chi sostiene la vita dal concepimento alla morte ,a chi è per la libertà di educazione.
    Se qualcuno, a questo punto, osservasse che la politica è laica, risponderemo che la laicità non è autonoma dalla legge morale, tant'è vero che dinanzi a corruzione e immoralità a livello pubblico e privato, tutti si affannano ad invocare  "codici etici". In verità ne esiste già uno e immutabile: il Decalogo dato da Dio a Mosè e confermato da Cristo. Qui c'è la verità e la libertà di ogni uomo e della vera politica.
    I politici cattolici diano testimonianza col far conoscere questi pensieri a quei colleghi che cercano la verità e ai capi partito che si accingono ad allearsi, se non vogliono concorrere ad allontanare ancor più tanti dalla politica.
     
  13. SEM IPC
    L’uomo fin dalle origini ha espresso nella dimensione relazionale l’inclinazione a comunicare con i propri simili
    evidenziando l’stanza di stabilire legami stabili e duraturi.
    Il termine in latino communis non esprime semplicemente il comunicare ma assume un significato esteso come funzione, inteso in termini essenziali, il carattere di chi o ciò che svolge l’ incarico in una situazione condivisa, insieme agli altri.
     
    Il significato di communitas emerge quindi come rapporto di comunanza civile e socievole, legame di partecipazione e gruppo insieme.
    In senso comune la “comunità” si può riconoscere in un gruppo che richiama in sé il senso di appartenenza pur senza giungere a discernere il valore autentico della comunità. Ogni singolarità che si riconosce in un carattere comune rivolta nella stessa direzione da corpo e sostanza alla comunità.
     
    Chi può garantire il senso di appartenenza, la stabilità dei rapporti e la pacifica convivenza del gruppo secondo ordinate regole sociali se non una gerarchia al vertice del quale si trova un capo riconosciuto che riassume i caratteri e i principi basilari della convivenza sociale.
    La storia ha mostrato numerosi esempi di comunità riconosciute e affermate comunemente come regni e nazioni.
    Il riconoscimento immediato di tali “comunità” è avvenuto spesso propriamente attraverso il relativo regnante.  
    La relativa figura può assumere un carattere simbolico fonte talvolta di ispirazione letteraria.
    In letteratura la figura del principe ha ispirato Machiavelli.
    Il principe di Machiavelli riassume i caratteri della virtù in quanto bene però inteso lontano dalla morale.
    La virtù consiste nel conseguimento  di un obiettivo con qualsiasi mezzo anche disdicevole al regnante  o per giunta  spregiudicato o immorale.
    Nella sua analisi Machiavelli configura un principe in grado di mantenere il potere per governare.  Non potendo ignorare la strategia del principe sarebbe possibile comprendere gli accadimenti del mondo e le cause che incidono nella sfera personale, famigliare ed economica della vita sociale.
    Sotto un certo aspetto, che assume un carattere totalizzante del potere, può essere fatto un confronto con 
    una figura alquanto controversa sotto il profilo morale messa in risalto nell’opera di Robert Hugh Benson (1867 – 1914) “Il padrone del Mondo”.  Il personaggio presentato come filantropo democratico, politico carismatico, fautore della pace mondiale sotto la cui figura si cela l’Anticristo che contende a Dio il dominio dell’universo. Egli è un fautore di un mondo ispirato a un nuovo umanesimo che propugna la tolleranza universale annullando le distinzioni tra le religioni. Pertanto la Chiesa cattolica viene perseguitata fino alla sua eliminazione.
    Il libro presenta delle assonanze  col mondo  attuale.
    Volgendo lo sguardo al mondo contemporaneo è riscontrabile la strategia materialistica   mirata ad una offensiva senza precedenti rivolta alla famiglia e  alla religione. Senza un esame critico di tale strategia sarebbe impossibile   scorgere nelle scelte politiche ed economiche una ideologia negazionista dei principi inviolabili   della vita umana.
    Le scelte politiche della civiltà attuale hanno assimilato le ideologie del neoumanesimo disconoscendo il vero ruolo dei responsabili della sorte dei popoli non più al servizio del bene dell’uomo in contrasto con la realtà trascendente.
    Pertanto come può essere riconosciuto l’artefice del  rinnegamento del bene autentico dell’uomo se non attraverso i frutti dell’opera del Maligno presenti nella figura dell’Anticristo che ha preso piede da tempo nella nostra società.
    Non può disconoscersi inoltre in questa figura la proposta di una nuova religione.
    Il 15 settembre 2003 lo scrittore Michael Crichton tenne un discorso al Commonwealth Club di San Francisco dal titolo “L’ambientalismo è una religione”. Dichiarando: “Oggi, una delle religioni più potenti del mondo occidentale è l’ambientalismo. E’ la religione  degli atei urbanizzati. C’è un Eden iniziale, un paradiso, uno stato di grazia e unità con la natura, c’è la caduta dalla grazia in uno stato di inquinamento risultato dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza e c’è un giorno del giudizio che verrà per tutti noi. Siamo tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la salvezza, che ora si chiama ‘sostenibilità’. La sostenibilità è la salvezza nella chiesa dell’ambiente. Proprio come il cibo biologico è la sua comunione”.
    A dare maggiore risalto in un'altra direzione risulta la richiesta di sostenibilità come espressi dai dati storici impietosi del malessere sociale.
    Attualmente il globo terrestre è abitato da 8 miliardi di persone (nel 1969 eravamo 3,3 miliardi e nel 2050 saremo 10 miliardi). Attualmente il numero degli stati corrisponde a  194, dei quali ben 70 sono in guerra fra di loro, coinvolgendo 2 miliardi di persone, che corrisponde al 60% di tutta la popolazione mondiale nel 1969.
     Il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% del Pil. 26 persone posseggono le ricchezze   di   3,8 miliardi di persone e 8 uomini possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone.
    Circa 900 milioni di persone soffrono la fame.
    Un bambino su 4, sotto i 5 anni, soffre di malnutrizione cronica: in totale sono oltre 200 milioni
     L’OMS dichiara che “in tutto il mondo troppe persone soffrono o muoiono a causa di malattie   croniche.
    Le organizzazioni non governative si sentono talvolta portavoce di associazione e movimenti emanazione di categorie sociali che denunciano la loro discriminazione. 
    Le lettura di questi dati nell’ambito ecclesiale viene frequentemente interpretata in termini politici attribuendo ai vertici governativi la responsabilità di intervenire per ristabilire una giustizia sociale in cui la risposta al malessere sociale va ricercata nel risolvere gli squilibri tra ricchi e poveri, nel risanamento ecologico, nella inclusione sociale dei diversi in termini religiosi e di identità di “genere” …. ponendo in secondo ordine il rinnegamento dei principi etici  a monte del malessere.  
    Da una lettura attenta della missione ecclesiale emerge l’urgenza di mobilitare coraggiosamente le risorse per proclamare i valori morali del bene dell’uomo e della giustizia             
    Pertanto le aperture ad un sano discernimento, nell’attuale contingenza, pongono degli interrogativi 
    dettati da una inquietudine sulle previsioni del futuro su cui gravano pesanti incognite.
    Le incertezze non vengono sanate fintanto che la visione storica viene affidata alla profezia.
     
    Spesso le circostanze inducono a rivelare nel carisma profetico il significato profondo che trova espressione nella mediazione del rapporto tra Dio e l’uomo. In tale rapporto il profeta si pone al servizio delle Verità, per contro l’Anticristo, disconoscendo tale rapporto, si pone al servizio della menzogna.
    La funzione del profeta è legata alle particolari vicende che segnano la storia dell’umanità.
    La sua missione è sempre stata frequente quanto opportuna in situazioni inconsuete di sconvolgimento della convivenza umana oppressa da discriminazioni politiche,  economiche e sociali  
    generando un diffuso malessere in paesi dominati prevalentemente dai regimi totalitari. 
    Nella comune percezione la sofferenza se diventa un male da estirpare nella condizione umana assume, invece un valore   di catarsi   nella profezia.
    Al riguardo non può essere disconosciuta la vita ascetica di profeti segnata da patimenti e sofferenze tale da contraddistinguere la loro stessa figura, ma l’identità del profeta non può giungere al riconoscimento se non  nel fine che trova giustificazione nella sua missione.
    Alla scoperta del significato etimologico il profeta nel suo termine, di derivazione latina proveniente dal greco, letteralmente assume il significato di “colui che parla davanti” oltre a “colui che parla per, al posto di”.
    Intrinsecamente contiene il senso di parlare al pubblico, in nome di Dio, di parlare prima in anticipo nel futuro.
    La funzione del profeta si spiega nel Nuovo Testamento come riferito nel Vangelo di Marco 1:1-13 che definisce Giovanni Battista “la voce di uno che grida”. La voce della Parola esprime valore in seguito all’incontro con Dio per averne fatto esperienza.  
    La voce del profeta è autentica e credibile in quanto è conforme alla Parola che annuncia, dal messaggio rivolto alla realtà. Si evince che il carattere del profeta è quello di una persona chiamata ad attuare una missione, di cogliere un fatto nella sua integrità e lo spiega alla luce della fede, inoltre trasmette un messaggio che ha ricevuto con libertà e intelligenza.
    I segni che accompagnano l’attività del profeta assumono un carattere simbolico secondo gli esempi  citati nel Antico Testamento in Ezechiele, Geremia che contenevano un messaggio di cui poi il profeta svelerà al popolo il senso pieno.
    La storia lascia spazio ad una risonanza di ammonimento morale nel messaggio profetico riguardante particolare crisi della convivenza sociale scossa da sconvolgimenti bellici e politici.
    La figura del profeta, che assume un significato religioso, non può essere significata in senso riduttivo come semplice operante di previsione in quanto rischia di oscurare da causa originaria della profezia.
    È possibile scoprire la figura del profeta riconoscendo la sua missione religiosa in riferimento agli esempi della sacra scrittura che annunciano un messaggio di purificazione dall’idolatria per entrare in un rapporto autentico col Trascendente per vivificare l’essere quale immagine del Creatore.
    Scoprire nella persona la propria missione significa riconoscere in sé la figura del  profeta e in senso comunitario nella totalità del popolo di Dio.
    In una società pervasa da messaggi ispirati ad un paganesimo materialista in cui la “tecnocrazia “ lascia spazio ad una figura umana fino ad assumere un carattere idolatrico per il potere di interagire  nelle leggi della fisica e della biologia.
    Quale insegnamenti può offrire  la Chiesa in una realtà che ha espropriato i principi autentici in cui si regge la vita umana.
    In  riferimento alla citazione ripresa dal libro “Salute o salvezza” don Nicola Bux Afferma che …. «l’insegnamento è riconosciuto nella prerogativa della propria dimensione quale  “Chiesa della profezia” orientata in senso missionario, perché la Chiesa è profezia realizzata nel mondo risorto; grazie al suo essere corpo di Cristo, diffonde nel mondo l’esperienza della fede. Questo è il vero proselitismo raccontato negli Atti degli Apostoli.»>
    Ogni cristiano nella propria fede può vivere e trasmettere al prossimo il valore della Fede nel proclama delle beatitudini per realizzare il messaggio evangelico della salvezza.
    Quali condizioni nella mutazione culturale del tempo bisogna considerare nella comunicazione della missione profetica se non porsi gli interrogativi sul fine ultimo dell’esistenza.
    A tal punto resta inevitabile proporre all’individualità intrisa di agnosticismo la causa del mistero della vita dono dell’Ente Supremo che esige una risposta di senso a cui la ragione non può sfuggire. 
    I segni che accompagnano il profeta sono la coerenza della Fede manifestata nei gesti liturgici al centro del culto divino fonte di grazie.
    Dove passa il messaggio del profeta? Quale direttiva assume la profezia?
    Alla base della profezia è presente la consapevolezza di essere depositari di un messaggio di salvezza indirizzato al prossimo a cui viene annunciato.
    Essere depositari del messaggio passa prioritariamente nell’intimo nel proprio essere nell’assunto del fondamento: Rivelazione, vocazione missione.
    All’umanità smarrita nel labirinto dell’ateismo e dell’agnosticismo il profeta vuole smascherare l’inganno di una visione pagana della vita in una prospettiva di ravvedimento alla scoperta di un rapporto vitale con Trascendente.
                                                               
                                                                                                                
     
     
  14. SEM IPC
    Le vesti sacre si configurarono in Oriente e Occidente tra il V e il XII secolo. La Chiesa comprese che per il Servizio divino non si potevano usare quelle da lavoro o militari, perché il sacerdote è un ministro che svolge la funzione di mediatore tra il divino e l'umano, continuando l'opera di Gesù Cristo.
    Lo splendore dei paramenti è a gloria e onore del Signore e non del sacerdote che li riveste, lo insegnano gli Orientali.
    Irridendo i merletti, si dimostra una doppia ignoranza: teologica ed ecumenica. Inoltre si espone ancora una volta al disprezzo e al ridicolo il ministero petrino .Anche attraverso il corpo, il sacerdote deve trasmettere una cosa: è stato reso degno di stare alla presenza del Signore. Quando siamo davanti ad altri più importanti di noi, non badiamo a come presentarci? Non lo faremo per il Servizio di Dio? Le vesti speciali che il sacerdote indossa significano che egli è una nuova creatura, è chiamato a compiere un'azione sublime e divina, che esige l'insieme di virtù simboleggiate dai singoli paramenti da indossare magari con brevi formule di preghiera, presenti nel Messale romano del 1962. Lo fanno anche gli Ortodossi. La sacra liturgia non è fatta di simboli? Allora, anche i merletti sono un simbolo.
  15. SEM IPC
    Quantum potes tantum aude, invita San Tommaso nella sequenza Lauda Sion, composta per la festa del Corpus Domini: devi osare tutto ciò che puoi, per tributargli la lode dovuta. Non è roba da Medioevo; san Giustino, nel II secolo, attesta che il sacerdote "celebra l'Eucaristia con tutta la forza di cui dispone". La processione interpreta la storia: indica il nostro pellegrinaggio in questo mondo, verso la Terra Promessa dell'Eternità. Per questo è un solenne gesto di adorazione: il Signore si è inginocchiato davanti a noi per lavarci i piedi e noi non ci inginocchieremo davanti a Lui per entrare in quell'amore, che non rende schiavi ma trasforma? Dinanzi alle guerre e alle nefandezze umane nel mondo, come si fa a restare in piedi, sostenendo che siamo già risorti e che non siamo più schiavi? L'Eucaristia è in sostanza la risposta al problema della morte, perché è nutrendoci di essa che risorgeremo. E questo costituisce il vero motivo della festa cristiana, quindi della festa del Corpus Domini. La processione è finalizzata a manifestare la fede nella Presenza reale, anzi nella transustanziazione delle specie del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore, che il miracolo di Bolsena ha attestato grandiosamente. La processione, spostata alla domenica d'estate, sfila ormai in città deserte. A chi serve, se non incontra gli uomini, anche se indaffarati nel loro lavoro? Perché non riportarla al giovedì? Che ne dicono gli esperti di pastorale?
  16. SEM IPC
    Possibile che anche in occasione del Corpus Domini,il leit-motiv debba essere i poveri e l'ambiente? Non è la festa di quel  Sacramento che solo può togliere la fame di Dio,che è la radicale povertà dell'uomo?Eppure lo ricorda all'inizio la Sequenza Lauda Sion: Laudis thema specialis/ panis vivus et vitalis/ hodie proponitur (Il tema speciale della lode odierna è il Pane vivo che dà la vita).Allora, annunciamo e inneggiamo a quel Dio che si è fatto carne e poi pane vivo per nutrirci in questo mondo e grazie a ciò risuscitarci nell'altro. Sono sempre di più quelli che non sanno nulla di Gesù Cristo, mentre dei poveri, dei migranti, degli ucraini ecc. ne sentono parlare a iosa. Non ha Lui assicurato che i poveri li avremo sempre con noi, ma non sempre avremo Lui? Parola misteriosa: ma ci ricorda che Egli non è venuto a risolvere il problema della povertà, o a portare la pace universale, ma a rendere presente Dio nel mondo. Per questo dobbiamo onorarlo, sì, anche con drappi e ori e lumi, perché egli è il Signore e il Re dell'universo! Giovanni Crisostomo richiama a non disgiungere l’onore dato a Cristo nella liturgia e l’onore dato a Cristo nel povero: "Vuoi onorare il corpo di Cristo? “Ebbene, non tollerare che egli sia nudo; dopo averlo onorato qui in chiesa con stoffe di seta, non permettere che fuori egli muoia per il freddo e la nudità. … Dico questo non per vietarti di onorare Cristo con tali doni, ma per esortarti a offrire aiuto ai poveri insieme a quei doni, o meglio a far precedere ai doni simbolici l’aiuto concreto … Mentre adorni la chiesa, non disprezzare il fratello che è nel bisogno: egli infatti è un tempio assai più prezioso dell’altro."(Giovanni Crisostomo, Commento alla seconda lettera ai Corinti, Omelia 20,3, PG 61,540). Unum facere et aliud non omittere. Non citiamo a metà. In quale parrocchia cattolica non ci si prende cura del povero? La presenza di Gesù Cristo nel povero è morale; mentre quella nel Sacramento è vera, reale, sostanziale. Una bella differenza! Al Corpus Domini, quindi, prendiamoci cura di Lui. E non disturbiamo la preghiera processionale con didascalie sociologiche e commenti ideologici che non aiutano ad adorare. Soprattutto ricordiamoci che la processione è un sacramentale, ovvero deve aiutare tanti che sono lontani, ad avvicinarsi a Dio, a coglierne la Presenza. Per questo, san Tommaso invita ad osare quanto più possibile nella lode al Sacramento(tantum audes quantum potes).Come potrebbero i tanti giovani e adulti essere almeno incuriositi e, come Zaccheo, alzarsi dai tavolini e dagli smartphone a cui sono intenti, se il Santissimo, zigzagando tra le isole pedonali della città -  viene portato quasi furtivamente, senza nemmeno una lampada che lo illumini, una tromba che ne annunci il passaggio? Chi se ne accorge che passa il Signore dei signori e il Re dei re(Gregorio di Nissa)?Dove son finiti i simboli amati dai liturgisti? Poi, la processione dovrebbe essere accompagnata dalle litanie, parola greca che sta a ricordare appunto la particolare forma breve ripetuta di preghiera nata per le antiche stationes, ossia i percorsi processionali da una chiesa all'altra. Invece delle intenzioni intellettualistiche, se non ideologiche e quindi stucchevoli, si recitino le litanie del Santissimo Sacramento. E litanie della Madonna e quelle dei Santi: perché no? il Signore, in Cielo non vive da solo, ma con Maria, gli Angeli e i Santi, e in terra opera con la loro intercessione. Orientales docent. Sul repertorio di canti sacri(sic!), si rimanda ai giudizi severi del benedettino Anselmo Susca, di Domenico Bartolucci e...di Riccardo Muti, per non risalire a quelli nichilisti di Nietzsche: "vorrei canti di gente salvata".  Infine, che ci faceva un gazebo di Protestanti nella strada principale attraversata dalla processione, in cui hanno continuato la loro assemblea senza manco diminuire il volume dell'altoparlante? Sapessero o meno che c'era la processione del Corpus Domini, almeno il rispetto, non dico... l'ecumenismo! Dunque, se il mondo si corrompe, non lamentiamoci: il sale del cristianesimo è diventato insipido. E le nostre liturgie, come se Egli non fosse presente e ascoltasse: danze vuote intorno al vitello d'oro che siamo noi stessi. Siamo noi chierici a favorire la secolarizzazione: la pagheremo cara, disse Giovanni Paolo II! E lo vediamo. Per non metterci in ginocchio davanti a Cristo, ci stiamo inginocchiando davanti al mondo. "Quanti padroni finiscono per avere quelli che rifiutano l'unico Signore"(S.Ambrogio)  
  17. SEM IPC
    Ha fatto notizia due settimane fa una dichiarazione di Blake Lemoine, ingegnere informatico di Google nonché studioso di etica, secondo la quale il sistema di intelligenza artificiale di Google LaMDA (acronimo che sta per Language Model for Dialogue Applications), è diventata senziente: in altre parole, non sarebbe più una macchina, ma una persona. Lo scienziato, infatti, in un post online ha affermato che in alcune conversazioni con LaMDA sono emersi argomenti di religione e personalità e l’intelligenza artificiale, ad un certo punto, ha espresso un livello sorprendente di auto-coscienza al punto da sembrare umana, arrivando  persino ad affermare: “Voglio che tutti capiscano che io sono, a tutti gli effetti, una persona”.
    Google non si è detta affatto d’accordo con Lemoine sul fatto che LaMDA sia senziente: dopotutto, secondo l’azienda, i sistemi di intelligenza artificiale come LaMDA attingono da miliardi e miliardi di parole, scritte da esseri umani, per produrre risposte alle domande. Google ha messo in guardia contro l' “antropomorfizzazione” di tali modelli semplicemente perché si sentono intervistati come veri e propri umani.
    Il tema delle intelligenze artificiali senzienti ha affascinato le menti degli scrittori di fantascienza per decenni, ispirando spesso storie sulle conseguenze delle loro azioni malvagie, come ad esempio il celebre Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio (1968), ma anche i pensieri di autorevoli scienziati come il fisico Stephen Hawking che, poco prima di morire, disse alla BBC nel 2014: “Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe significare la fine della razza umana”.
     Ma LaMDA è davvero senziente? Non c’è modo di rispondere a questa domanda al momento, principalmente perché, come ha sottolineato lo stesso Lemoine, "non esiste una definizione scientifica accettata di ciò che è senziente".
    Dal punto di vista del giudizio cattolico, vale la pena chiedersi se la Chiesa abbia detto qualcosa sull’intelligenza artificiale: in effetti, papa Francesco e il dicastero competente, la Pontificia Accademia per la Vita, hanno spesso affrontato l’argomento negli ultimi anni.
    Nel novembre 2020, papa Francesco ha invitato i cattolici di tutto il mondo a pregare affinché la robotica e l’intelligenza artificiale rimangano sempre al servizio degli esseri umani, piuttosto che il contrario. Ancor prima, nel febbraio del 2020, la Pontificia Accademia per la Vita aveva firmato una dichiarazione, la Rome Call for AI Ethics, sottoscritta dal governo italiano e anche giganti della tecnologia come Microsoft e IBM, in cui si chiedeva un uso etico e responsabile dell'intelligenza artificiale.
    Essa include sei principi etici che dovrebbero guidare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale:
     Trasparenza: i sistemi di intelligenza artificiale devono essere comprensibili a tutti.
     Inclusione: questi sistemi non devono discriminare nessuno perché ogni essere umano ha pari dignità.
     Responsabilità: deve esserci sempre qualcuno che si assuma la responsabilità di ciò che fa una macchina.
     Imparzialità: i sistemi di intelligenza artificiale non devono seguire o creare pregiudizi.
     Affidabilità: l’intelligenza artificiale deve essere affidabile.
     Sicurezza e privacy: questi sistemi devono essere sicuri e rispettare la privacy degli utenti.
     La dichiarazione ha anche formulato diverse raccomandazioni concrete: per esempio, che le persone dovrebbero essere consapevoli se stanno interagendo con una macchina; che la tecnologia basata sull'intelligenza artificiale dovrebbe essere utilizzata per l’empowerment (cioè, l’emancipazione), non per lo sfruttamento; e che l’intelligenza artificiale dovrebbe essere impiegata nella protezione del pianeta.
     Mentre sembra chiaro, secondo l’insegnamento della Chiesa, che l’intelligenza artificiale deve rispettare la dignità e il valore degli esseri umani, nulla si dice però della intelligenza artificiale che arrivi a identificarsi come una “persona”: un argomento che la Chiesa cattolica dovrà, prima o poi, approfondire, per poi far sentire la sua voce.
     
    Nicola Lorenzo Barile è nato a Bari nel 1970 e si è laureato presso l’Università di Bari in Lettere moderne con una tesi in storia medievale. Si occupa di storia delle istituzioni e della società dell’Italia fra basso medioevo e prima età moderna (secoli XI-XVI) e delle relazioni fra etica cristiana e mondo dell’economia e del commercio (business ethics), con particolare riferimento alla proibizione canonica dell’usura. Ha lavorato presso l’Archivio di stato di Bari e presso le Università di Bari, Lecce, Padova e l’Università di California in Berkeley. È membro della Società italiana degli storici medievisti e della Renaissance Society of America.  
    Fra i suoi ultimi lavori: Perché furono proibite assolutamente? Usura e contraccezione secondo John T. Noonan, Jr, in “Anthropotes”, 34 (2018), pp. 473-490; Rethinking “The Two Italies”. Circulation of Goods and Merchants between Venice and the “Regno” in the Late Middle Ages, in Comparing Two Italies. Civic Tradition, Trade, Networks, Family Relationships between Italy of Communes and the Kingdom of Sicily, ed. by P. Mainoni and N. L. Barile, Turnhout 2019.
  18. SEM IPC
    Il metodo che possiamo imparare da san Giovanni Paolo II, per convincere a fare il suo stesso percorso anche l’uomo di oggi – che ha distrutto la stessa nozione di verità frammentandola in tante opinioni – è quello di procedere come in una dimostrazione matematica per assurdo. Ti faccio vedere che la negazione della “tesi” cristiana-cattolica porta alle contraddizioni che tu stesso puoi constatare nella realtà della società di oggi. Se la società e la tua vita sono divenute invivibili, la causa non è forse nell’aver rifiutato il cristianesimo e con esso la stessa nozione di “verità oggettiva”?
    Diagnosi. Hai distrutto la Verità, pur di liberarti della fede in Cristo: tocca con mano le conseguenze. La vita è divenuta invivibile, la società, prima viene resa disumana (i regimi), poi anarchica e ingovernabile (fallimento delle democrazie senza una cultura della verità  comune a tutto il popolo). Chiediti perché! Le cause, non sono solo materiali, strutturali, economiche, sociali (analisi marxista), o solo psicologiche (psicologia, psicanalisi), o giuridico-legali (legalismo, giustizialismo). Scava dentro l’uomo lasciandoti guidare dalla Rivelazione. Questo ti dice l’autentico pensiero della Chiesa!
    Terapia. E se avessimo gettato il Bambino con l’acqua sporca, eliminando il cristianesimo e con esso la verità? Se la negazione di Cristo e della verità è stata fallimentare non ha forse senso pensare che sia giusto, al contrario, tornare a prendere in seria considerazione Cristo e la verità? Questa è stata la sfida al mondo lanciata da san Giovanni Paolo II e proseguita da Benedetto XVI. Il mondo l’ha rifiutata, e oggi ne paga le conseguenze! Se la Chiesa non ricomincia a lanciare questa sfida che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno lanciato, finisce per perdere tempo e basta!
    per l'approfondimento: 
     
  19. SEM IPC
    Qual è stato il metodo di San Giovanni Paolo II per stare pienamente di fronte alla Verità?
     
    «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6). Gesù dice di sé di essere “La Verità”. La sfida che lancia è tra coloro che intendono prendere sul serio, letteralmente, questa affermazione e coloro che non intendono farlo, attribuendole un valore sfumato o nullo. Giovanni Paolo II si è collocato, da credente, addirittura da santo, tra quelli della prima categoria, ed è stato chiamato ad essere maestro di quelli della prima categoria, e sfida per gli altri, perché prendano atto dell’inadeguatezza della loro posizione e la cambino.
    Per giungere a farlo (questo è il metodo) si è confrontato con tutto il pensiero e tutta la storia, cristiana e non cristiana, che lo ha preceduto; con il patrimonio culturale (filosofia, scienza, arte) della tradizione cristiana e precristiana. E ha attuato una sorta di “metodo scientifico”, per realizzare una sorta di “verifica sperimentale” del cristianesimo nella sua personale esperienza di vita. Se Cristo è vero, com’è, Egli “spiega” e fa “vivere” l’uomo, la famiglia, il lavoro, la società, la storia, insuperabilmente meglio di tuti gli altri. Questa è la “verifica del cristianesimo”, che è divenuta, di conseguenza, anche una “sfida” lanciata a quel mondo (esterno ed interno alla stessa Chiesa) che ha “liquidato la verità”, pur di addomesticare Cristo. È il mondo di oggi, dominato dal “relativismo”.
    Nel suo insegnamento e nella sua testimonianza è come se Giovanni Paolo II avesse detto: “Se le ideologie del mondo hanno fallito, allora solo Cristo resiste e io vi sfido a fare la prova”.
    È molto utile riprendere in mano il cap. IV della sua enciclica Fides e ratio (1998), a questo proposito, per vedere come egli ha compreso il “percorso”, il “lavoro culturale” elaborato nei secoli dal pensiero cristiano e come questo è stato progressivamente demolito da una sorta di “peccato originale” di orgoglio intellettuale degli uomini, compreso anche quello di alcuni pensatori credenti.
    Per Giovanni Paolo II, Cristo, con tutto ciò che da Lui deriva, è stato il “criterio di giudizio”, il “criterio culturale”, la “chiave ermeneutica” per comprendere e valutare se stesso, la condizione umana, la storia, l’uomo nelle sue caratteristiche (“antropologia”), la famiglia (si possono riprendere in mano le sue udienze generali del mercoledì su “Amore, matrimonio e famiglia” per rendersene conto).
    Questo “metodo” è diventato il suo metodo di “annuncio cristiano”, un metodo che aveva portato la Chiesa ad essere “in anticipo” sui tempi (con una funzione “profetica”) nella storia, rispetto alle ideologie del mondo, che si sono dimostrate prima o poi insufficienti, anzi dannose, per l’uomo.
    Il vero umanesimo è cristiano: non può essere marxista (illusione della teologia della liberazione), non individualistico-materialista-edonista (illusione del mondo occidentale), non gnostico-pagano (illusione di oggi dell’ecologismo panteista), ecc. Con lui la Chiesa si è dimostrata “in anticipo sui tempi” e non in ritardo come molti, anche tra i credenti, la ritenevano fino a poco prima.
    Lui aveva fatto l’esperienza di due “dis-umanesimi” totalitari e ne aveva vissuto il fallimento sociale e antropologico nell’Est europeo, prima di noi in Occidente. Anche grazie a questo è stato “più avanti”, e per questo è stato in larga misura non capito in Occidente. Adesso, poi, è stato censurato, dimenticato e quando se ne parla viene manipolato.
     
    Ho conosciuto un’altra persona che aveva avuto la stessa intuizione e lanciato lo stesso metodo per essere cristiani, riscoprendo quelle dimensioni del cristianesimo che chiamava “cultura”, “carità” e “missione”, e insegnava a prendere Cristo come “criterio di giudizio” su se stessi e sulla storia. Ed era don Luigi Giussani, al quale Giovanni Paolo II disse (cito a memoria): «Il mio metodo è molto simile al suo; anzi è lo stesso» (cfr. Tempi,  26 aprile 2014).
    Come poté Giovanni Paolo II fare tutto questo, prima da semplice sacerdote, da docente universitario, da Vescovo e Cardinale in Polonia, e poi da Papa nel mondo intero?
    Egli seppe fare due cose. E qui entro più direttamente nel suo metodo.
    La prima cosa. Seppe imparare a “leggere l’esperienza” degli uomini (in senso profondo e non appena psicologistico o modernista; non dobbiamo farci rubare una parola come “esperienza”, solo perché è stata deformata dal modernismo; mentre era stata impiegata correttamente già da Aristotele e poi da san Tommaso d’Aquino, ma dobbiamo riappropriacene). Giovanni Paolo II seppe leggere la sua esperienza umana e quella degli altri, andando in profondità, e non limitandosi agli aspetti superficiali, puramente esteriori, psicologici e sociologici, che non vanno di certo trascurati, ma piuttosto unificati sapendo ripercorrere quella catena di effetti e di cause che hanno un fondamento via via più essenziale per l’uomo.
    Per questo gli fu certamente utile anche lo studio della filosofia, dell’antropologia, della fenomenologia (Max Scheler fu uno dei suoi autori di riferimento, a questo scopo). Ma non si accontentò di fermarsi alle spiegazioni dell’uomo che i fenomenologi, davano, che rimanevano ad un livello per lui insoddisfacente, e finivano per rimettere in gioco come fondamenti quegli stessi principi che inizialmente avevano cercato di criticare come inadeguati (come, ad esempio, in Husserl la visione cartesiana, criticata prima [penso alla Crisi delle scienze europee], ma rimessa in gioco poi per mancanza di alternative).
    La seconda cosa è consistita nell’individuazione del Fondamento più solido del pensiero moderno, ritrovato come “più avanti” della stessa modernità. Giovanni Paolo II, invece, andò a pescare i fondamenti razionali, filosofici, antropologici nel pensiero cristiano, per comprendere fino in fondo l’esperienza dell’uomo. San Tommaso d’Aquino, soprattutto, attingendo alla metafisica (che oggi si poteva, e doveva rimettere in gioco, riscoprendola come una “teoria dei fondamenti” delle scienze perché iscritta nella realtà). E alimentandosi spiritualmente dei mistici (come San Giovanni della Croce), oltre che dei poeti della sua Polonia (come Norwid), divenendo lui stesso poeta, e interprete come attore nelle piccole rappresentazioni teatrali che realizzava, da giovane, con i suoi amici.
    La sua grande opera filosofica Persona e atto sintetizza il suo percorso filosofico:
    i) Si trattava di leggere e comprendere l’esperienza dell’uomo;
    ii) trovando la “spiegazione” di chi è l’uomo e di come funziona (“antropologia”), attraverso i principi fondamentali e irrinunciabili che regolano l’Essere di tutte le cose (metafisica). Ed è in queste che egli ha trovato e proposto le “ragioni” che stanno alla base della “morale” naturale e di quella cattolica, così che queste si dimostrino indispensabilmente necessarie agli uomini e non come imperativi moralistici. Come dicevano i medievali: praeceptum quia bonum e non, kantianamente, bonum quia praeceptum.
     
    È curioso che da un secolo a questa parte chi si occupa del problema dei fondamenti, in ambito seriamente scientifico, si trovi a fare i conti con la necessità di compiere, in fondo, lo stesso tipo di percorso. A questo proposito, proprio lui ebbe a scrivere e a dire: «Una grande sfida ci aspetta […] quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; […] è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge» (Fides et ratio, n. 81, 14-9-1998; al Giubileo degli scienziati, 25-5-2000).
     
    È il percorso dei pensatori cristiani, cattolici, dai Padri della Chiesa a sant’Agostino e san Tommaso. Il cristianesimo ha guidato la ragione a completare, ripulire approfondire ciò che c’era di vero e di meglio nel pensiero pre-cristiano. Come ebbe a dire il Card. J. Ratzinger poco prima di divenire Benedetto XVI: «Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione» (Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 142).
     
    Come possiamo, recuperando gli aspetti attuali del suo metodo, vivere bene il presente in questa detronizzazione della Verità?
    Rispondo. Cercando di fare allo stesso modo, di seguire lo stesso metodo. Studiando, pregando, facendoci aiutare da chi ne ha seguito la strada. Oggi fare questo significa marciare controcorrente (anche negli ambienti di Chiesa!), ed è urgente farlo… Esemplifichiamo: partiamo da questa domanda ineludibile: Che cos’è la verità?
    Che cosa aveva detto il pensiero filosofico (e teologico) cristiano e pre-cristiano lungo i secoli, in risposta alla domanda: Che cos’è la verità?
    Aveva colto due aspetti:
    1) Quello della Verità come “svelamento”. Per i Greci la Verità veniva rappresentata come una splendida figura femminile, mentre è svelata, resa senza veli. Il concetto di Verità che si svela da se stessa, poi, è la base della nozione cristiana di Rivelazione. La Rivelazione “svela” agli occhi della fede e al tempo stesso “vela di nuovo” per chi rifiuta la fede (ri-velata, svelata prima, e velata di nuovo poi). E svela solo in parte, anche per chi ha fede, lasciando ancora “il più” alla visione finale eterna.
    2) E poi quello della Verità come “corrispondenza” alla realtà. Oggi con la verità si è liquidata anche la “realtà” oggettiva delle cose. E tutto sta smettendo di funzionare. La verità veniva intesa come “corrispondenza” della conoscenza (la nostra, ma prima di tutto quella creatrice che è di Dio) alla realtà.
     
    Partiamo dall’Alto, da Dio. Dio è la Verità. Dio è tutto, la pienezza dell’Essere: Dio è l’“Essere perfettissimo” (Catechismo san di Pio X). Cristo dicendo «Io sono la Verità» dichiara di essere Dio.
    Il Vero, nella sua pienezza è Dio che si offre alla nostra conoscenza (la quale si ottiene con l’esperienza e l’intelligenza: quaerere, chiedere per sapere);
    Come il Bene, nella sua pienezza è Dio che si offre, alla nostra volontà/affettività, come ciò che è “desiderabile” (appetitum, san Tommaso; petere, chiedere per ottenere), Colui del quale non si può non avere “nostalgia” fino a che non si appartiene liberamente a Lui (Sant’Agostino, Confessioni, «Il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te», L. I, 1.4).
    La conoscenza “porta dentro di noi” (immaterialmente) le cose che sono fuori di noi.
    La volontà/affettività, in modo complementare ci “fa muovere verso le cose”, verso le persone, per averle e per essere sempre con loro (Aristotele, Tommaso).
    Così l’Uno, nella sua pienezza è Dio che si dimostra come “principio unificante” che origina, governa e compie tutto ciò che esiste. L’“unità della persona” si sperimenta solo riconoscendo di appartenere a Dio. Sono i famosi “trascendentali”: ente, vero, bene, uno.
     
    = E il Bello (Gloria di Dio) è tutto questo insieme, che si manifesta a tutto il nostro essere. Il Bello è il Bene che si fa vedere dagli occhi, e per analogia è il Vero che si offre all’intelligenza, all’anima.
     
    Siamo partiti da Dio. Scendiamo verso il basso, alle creature
    La “verità”, in ogni cosa creata particolare, è la “corrispondenza” tra la cosa creata e il “come” Dio Creatore pensa e vuole che essa sia. E qui c’è di mezzo la nostra limitata intelligenza e la nostra libertà. La nostra conoscenza è vera se “corrisponde” a come la pensa, la vuole Dio Creatore.
    Prima di tutto c’è la Verità come “autenticità” (verità ontologica): l’essere creato è autentico quando è come Dio lo vuole. Se noi lo manipoliamo contro la sua natura lo snaturiamo, lo priviamo della verità, dell’autenticità, abbruttendolo di conseguenza.
    Poi c’è la Verità “nella conoscenza” (nel giudizio): la conoscenza è vera (verità logica) se c’è “corrispondenza” tra essa e le cose come stanno, in se stesse, davanti a Dio Creatore. Una “corrispondenza” tra la conoscenza nella nostra mentee la conoscenza in Dio.
    Se pretendiamo di servirci della nostra libertà per imporre alla realtà un giudizio discorde dalla mente del Creatore, il giudizio è falso, è menzogna, è ideologia.
    Un uomo che pretende, in nome della sua libertà, di pensarsi e di vivere solo come corpo, come materia, non corrisponde a come lo vuole Dio Creatore e prima o poi la sua vita non funzionerà, perché la sua concezione della vita cozza contro la realtà dei fatti («Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio!», Gv 7,24). È quanto succede nel mondo di oggi.
    Per questo, nella morale occorre riscoprire la “legge morale naturale” (I Dieci Comandamenti), e nel diritto occorre ritrovare come base l’autentico “diritto naturale”. Diversamente la legge diviene impostura del potere di turno, diviene una corruptio legis. È la questione dei “principi non negoziabili”, che sono irrinunciabili perché una società funzioni, sia umanamente vivibile.
    Infine c’è la Verità come “consapevolezza” di “conoscere la verità”, di essere nella verità (verità formale). Una consapevolezza che è offerta alla nostra ragione, non tanto per merito nostro, ma perché è “svelata” nella Rivelazione in Cristo, pienezza della Rivelazione. In terra, questa, è “accessibile” mediante la fede in Cristo, nella Chiesa. Oltre questa condizione terrena è “manifesta” nella visione diretta di Dio.
    Ma anche la “ragione umana” può (anche se non tutti ci riescono facilmente) raggiungere questo grado di consapevolezza certa, almeno in merito a quei principi che si mostrano come “irrinunciabili”, non negoziabili. Gli antichi dicevano addirittura “evidenti”. Su tutto il resto abbiamo delle teorie ipotetiche, o delle opinioni. Per questo è indispensabile l’aiuto della Rivelazione.
    Lo diceva già Platone: «Non c’è altro da fare: […] varcare a proprio rischio il gran mare del’esistenza, a meno che uno non abbia la possibilità di far la traversata con più sicurezza e con minor rischio su una barca più solida, cioè con l’aiuto di una rivelazione divina» (Fedone, XXV).
     
    Riassumendo
    Il metodo di Giovanni Paolo II che possiamo imparare da lui, per “costringere” a fare questo percorso anche l’uomo di oggi – che ha distrutto la stessa nozione di verità frammentandola in tante opinioni – è quello di procedere come in una dimostrazione matematica per assurdo. Ti faccio vedere che la negazione della “tesi” cristiana-cattolica porta alle contraddizioni che tu stesso puoi constatare nella realtà della società di oggi. Se la società e la tua vita sono divenute invivibili, la causa non è forse l’aver rifiutato il cristianesimo e con esso la stessa nozione di “verità oggettiva”?
    Diagnosi. Hai distrutto la Verità, pur di liberarti della fede in Cristo: tocca con mano le conseguenze. La vita è divenuta invivibile, la società, prima è stata resa disumana (i regimi), poi anarchica e ingovernabile (fallimento delle democrazie senza una cultura della verità  comune a tutto il popolo). Chiediti perché! Le cause, non sono solo materiali, strutturali, economiche, sociali (analisi marxista), o solo psicologiche (psicologia, psicanalisi), o giuridico-legali (legalismo, giustizialismo). Scava dentro l’uomo lasciandoti guidare dalla Rivelazione. Questo ti dice l’autentico pensiero della Chiesa!
    Terapia. E se avessimo gettato il Bambino con l’acqua sporca, eliminando il cristianesimo e con esso la verità? Se la negazione di Cristo e della verità è stata fallimentare non ha forse senso pensare che sia giusto, al contrario, tornare a prendere in seria considerazione Cristo e la verità? Questa è stata la sfida al mondo lanciata da san Giovanni Paolo II e proseguita da Benedetto XVI. Il mondo l’ha rifiutata, e oggi ne paga le conseguenze!
     
     
     
    Testo 1
    «In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea, nella sua più larga ed universale dimensione. L’uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo, sembrano impallidire. Deve nascere, quindi, un interrogativo: per quale ragione questo potere, dato sin dall'inizio all'uomo, potere per il quale egli doveva dominare la terra, si rivolge contro lui stesso, provocando un comprensibile stato d’inquietudine, di cosciente o incosciente paura, di minaccia, che in vari modi si comunica a tutta la famiglia umana contemporanea e si manifesta sotto vari aspetti?» (Redemptor Hominis, n. 15, 4-3-1979).
     
    Testo 2
    «Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione» (Discorso di inizio del pontificato, 22 ottobre 1978, n. 5).
     
    Testo 3
    «Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna» (Discorso di inizio del pontificato, 22 ottobre 1978, n. 5).
     
    • Proviamo a costruire la vita «come se Dio esistesse» (Benedetto XVI, ai giornalisti, 7-10-2010), dopo averla costruita come se non esistesse o fosse irrilevante, o come se ognuno potesse farselo in casa come un idolo.
     
    • Oggi la famiglia viene disgregata e deformata, deformando l’amore. Proviamo ad impostarla come prevede il piano del Creatore e come Cristo ha insegnato a fare. (Familiairis consortio).
    «Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così”» (Mt 19,8).
     
    • Oggi il lavoro è in crisi o manca del tutto, perché lo si è concepito solo in funzione del profitto, o lo si è statalizzato penalizzando il merito nell’impegno dei singoli. Proviamo a viverlo tenendo conto di Dio Creatore del quale l’uomo che lavora è collaboratore (Laborem exercens).
     
    La catena delle cause
    Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa, giuda un passo dopo l’altro a percorrere la catena delle cause delle contraddizioni. C’è una perdita del “modo giusto” di concepire e di vivere. Bisogna ritrovarlo.
     
    Testo 4
    «In seguito a quel misterioso peccato d’origine, commesso per istigazione di Satana, che è “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44), l’uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (cf 1 Ts 1,9), cambiando “la verità di Dio con la menzogna” (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (cf. Gv 18, 38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità». (VS, 1).
     
    Che cos’è il «misterioso peccato d'origine?». È la “perdita della giustizia”, del giusto rapporto con se stessi, con gli altri, con tutte le cose, derivante dal rifiuto del giusto modo di rapportarsi con Dio Creatore.
     
    Occorre liberare la morale dal moralismo (praeceptum quia bonum, non bonum quia praeceptum)
    Con la sua impostazione che fonda la morale sull’antropologia, l’antropologia sulla metafisica Giovanni Paolo II libera la morale dal moralismo, dal formalismo kantiano. La morale, per non essere moralismo, va fondata su un’antropologia; l’antropologia per non essere narcisistica (l’uomo che adora se stesso) va fondata su una concezione di tutto, dell’essere, una metafisica, una metafisica della verità e del bene.
    Una ragione onesta se ne rende conto. La Rivelazione (che in Cristo ha la sua pienezza) guida la ragione a capire l’uomo, la storia, la realtà
     
    Allora questi non sono solo astratti principi filosofici e teologici, ma sono criteri esistenziali necessari per una vita che sia degna di essere vissuta.
     
    Terza domanda: Nella ricerca della Verità ci si scopre non da soli ma in compagnia: amicizia e Verità, la comunione dei Santi
    «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Siamo importanti gli uni per gli altri, al di là delle simpatie personali che, comunque sono un aiuto, perché gli altri sono, per analogia, come il pane dell’Eucaristia che è indispensabile perché Cristo si renda realmente presente nel Sacramento. In questo senso è detto, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium del Vaticano II: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento (veluti sacramentum), ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (n. 1).
    Fonte:  http://www.albertostrumia.it/Metodo-Giovanni-Paolo-II
  20. SEM IPC
    Questo intervento è strettamente collegato al mio precedente su “Il pensiero cattolico”  (Il metodo di san Giovanni Paolo II) essendone come un approfondimento.
    Nelle analisi di vario genere, condotte secondo il taglio proprio dei diversi ambiti (socio-politico, economico, psicologico, ecc.) inevitabilmente – o talvolta anche volutamente – ci si ferma quasi sempre e solo ad una lettura “orizzontale” dei fatti, quando, invece, una “lettura” più profonda delle “cause” dei problemi dell’umanità che popola il mondo di oggi, diciamo pure una “lettura teologica”, aiuterebbe a capire le radici “serie” dei problemi. Credo che la chiave di lettura della nostra attuale epoca storica si debba trovare nella lapidaria affermazione di Benedetto XVI, emersa in una conversazione privata con Francesco e da lui riportata (ai Vescovi polacchi, Cracovia, 27 luglio 2016), che così suona: «Questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!». In questa frase si sintetizza tutta l’attualità della dottrina del peccato originale che troviamo in san Tommaso d’Aquino che definisce nella sua essenza – non fermandosi al problema del genere letterario dei due soli passi biblici che ne parlano esplicitamente (Gen 3 e Rm i5,12-14) – il peccato originale come «mancanza della giustizia originale (carentia originalis iustitiae)» (De malo, q. 4 a. 2co). L’umanità dei nostri tempi, più che in ogni altra epoca ha infranto, perduto, rifiutato il “modo giusto” di impostare il rapporto tra se stessa e Dio Creatore. In un primo momento rifiutando la stessa esistenza di Dio (ateismo positivo), poi ignorandolo (ateismo pratico, agnosticismo, indifferentismo: Dio se c’è non c’entra con la vita reale degli esseri umani), infine mettendo l’uomo al posto di Dio (idolatria antropocentrica), fino al punto di “addomesticarlo” costruendo caricature di Dio e di Gesù Cristo da usare a proprio piacimento, fino a capovolgerne gli insegnamenti e la dottrina tradizionalmente custodita dalla Chiesa. Così la “giustizia” senza il “modo adeguato” di rapporto con Dio Creatore è diventata, prima, esclusivamente una questione sociale di semplice ripartizione dei beni materiali (socialismo, marxismo), poi un legalismo gestito a scopi politici (giustizialismo), infine un “comandamento” (imperativo categorico) mondiale al quale tutti devono attenersi per avere diritto di esistere socialmente (pensiero unico, culto pagano dell’ambiente, della natura, ecc.). Curiosamente l’uomo, liberatosi di Dio, del “giusto rapporto” con Dio Creatore, del “peccato originale”, oggi si colpevolizza da se stesso con una sorta di sostituto pagano del peccato originale, sentendosi nemico della natura, degli animali, delle piante, dell’ambiente e del pianeta, del cosmo intero. Obbligandosi in tal modo ad auto-eliminarsi limitando le nascite (contraccezione, aborto), accelerando le morti (eutanasia), moltiplicando le guerre, apparentemente locali, ma di portata planetaria. La radice profonda di tutto quanto accade è rinvenibile in un “modo non giusto” (“peccato”) nel rapporto tra l’uomo-umanità e Dio Creatore che segna i singoli esseri umani e l’umanità nella sua totalità. Questa comprensione “culturale” del peccato originale rimuove ogni visione ingenua e favolistica dalla nostra immaginazione e aiuta a riconoscere nei Comandamenti, nella Legge Naturale, il complesso delle leggi universali stabilite dal Creatore affinché gli esseri umani sappiano governare bene se stessi. Essi sono dati come “leggi di natura” così come lo sono le leggi del mondo fisico e biologico. Non rispettarle, rifiutarle, manipolarle o addirittura capovolgerle disumanizza la vita degli esseri umani, singolarmente e comunitariamente. Questo dato di fatto la Chiesa ha il dovere di spiegarlo a tutti, credenti e non credenti, non essendo una questione solo di fede, ma prima di tutto un dato di ragione, un dato che non temerei di definire “scientifico”. Come la legge di gravità governa il moto dei corpi celesti, così i Comandamenti sono le leggi date per regolare la vita degli uomini. Non rispettarli equivale a danneggiarsi con le proprie mani. Siamo liberi di farlo, a differenza dei corpi celesti che non sono liberi di opporsi alla legge di gravità, ma se lo facciamo finiamo per auto-distruggerci. Gli avvenimenti che accadono nel nostro mondo ogni giorno ne sono la documentazione più schiacciante. La Rivelazione, che in Cristo trova la sua pienezza e il suo compimento, aiuta a comprendere quanto tutto questo sia vero e offre all’essere umano la via di riparazione della “giustizia originale” compromessa e perduta. Se gli uomini non arriveranno a comprenderlo in tempo, toccherà a Dio stesso condurli non solo con l’evidenza degli avvenimenti negativi che essi si infliggeranno, ma con una manifestazione positiva diretta della Sua azione provvidenziale sulla creazione. Solo Cristo con la Sua Passione, Morte e Risurrezione è stato in grado di riaprire agli esseri umani l’accesso alla “giustizia originale”, già in questa vita con il Battesimo e la vita cristiana, e in pienezza nella vita eterna. Se la Chiesa non ricomincia a lanciare questa sfida che Benedetto XVI ha lanciato, finirà per continuare a perdere tempo e basta!
    fonte:  http://www.albertostrumia.it/rapporto con Dio Creatore
  21. SEM IPC
    -Ci si sta domandando da più parti  se la Chiesa debba pronunciarsi  sull’ uso etico e responsabile  della Intelligenza Artificiale . Leggendo fra le righe  il suo Magistero, si può scoprire che  la Chiesa ha indirettamente  già  fatto sentire la sua voce , chiedendo un nuovo capitalismo sostenibile ed inclusivo . Che sia voluto, capito  o meno, questo nuovo capitalismo significa, di fatto "digitale ".  Il bene degli esseri umani e  dell’ambiente  sarà grazie al digitale. Così è stato deciso
    -Infatti  sostenibilità e inclusione si traducono in questa  parola < digitalizzazione>  che è un vero  progetto, una concreta  idea . E’ il progetto voluto e supportato dal “mondo intero “ , è la base chiave del nostro avvenire , poiché sarà grazie alla Intelligenza Artificiale  che il  progetto di  digitalizzazione   si compirà per salvare il mondo intero, permettendo la crescita economica ( senza natalità naturalmente ), la fine delle diseguaglianze  e soprattutto  permettendo la protezione del pianeta .
    -Ma l’Intelligenza Artificiale è uno strumento , di per sé neutro,  di un'altra  vera scelta strategica riguardante la nostra civiltà: il  Transumanesimo , cioè  quel pensiero filosofico scientifico che è convinto che la condizione umana possa esser migliorata solo dalla scienza. Solo la scienza può migliorare l’umanità. L’Intelligenza Artificiale è solo lo strumento con cui rafforzare dette facoltà umane.  Ma essendo l’ Intelligenza Artificiale un <algoritmo> non può , in sé , esser  valutato moralmente, lo deve esser solo il pensiero filosofico-scientifico  che la utilizza .
    -La chiesa dovrebbe pertanto semmai occuparsi di questo .  Prima che anche lei possa esser disintermediata  da nuovi  attori digitali come sta succedendo a quasi tutte le istituzioni sociali cui siamo abituati . Amazon  sta sostituendo gli acquisti nei centri commerciali . Facebook  sta sostituendo gli incontri  sociali al bar. Google sta sostituendo la lettura dei giornali.  Netflix  sta sostituendo le sale cinematografiche , ecc.  Magari “qualcuno”  (che magari  viene  anche a far visita in Vaticano )  sta pensando anche alla sostituzione della Chiesa e delle sue funzioni con qualche  soluzione di “Metaverso”, anch’esso  frutto del digitale , che è una sorte di  “creazione”  fatta dall’uomo, una specie di “incarnazione “ di internet .
    -Se all’interno della chiesa non si rifletterà adeguatamente  e si reagirà   soprannaturalmente ,  l’Intelligenza Artificiale  potrebbe  diventare  la nuova “eucarestia”  in una religione relativizzata e spenta dove i sacerdoti saranno  neo-tecnocrati digitali , che ha fatto il “seminario” in Silicon Valley… .
     
     
     
  22. SEM IPC
    Nelle analisi condotte nei diversi ambiti (socio-politico, economico, psicologico, ecc.) inevitabilmente ci si
    ferma ad una lettura “orizzontale” dei fatti, ma una “lettura” più profonda delle “cause”, aiuterebbe a capire la
    radice dei problemi. Una chiave di lettura “seria” della nostra epoca si trova in un’affermazione di
    Benedetto XVI (riportata da Francesco ai Vescovi polacchi) : questa è l’epoca del peccato contro Dio
    Creatore!». Essa sintetizza l’attualità della dottrina del peccato originale di san Tommaso d’Aquino che
    definisce il peccato originale come «mancanza della giustizia originale (carentia originalis iustitiae)» (De malo,
    q. 4 a. 2co). L’umanità, soprattutto nei nostri tempi, ha rifiutato il “modo giusto” di impostare il rapporto con
    Dio Creatore. Inizialmente rifiutando l’esistenza di Dio (ateismo positivo), poi ignorandolo (ateismo pratico,
    agnosticismo, indifferentismo: “Dio se c’è non c’entra con la vita reale”), infine mettendo l’uomo al posto di
    Dio (idolatria antropocentrica), fino al punto di “addomesticarlo” costruendo caricature di Dio e di Cristo da
    usare a proprio piacimento, capovolgendo gli insegnamenti e la dottrina della Chiesa. La “giustizia” senza il
    “modo adeguato” di rapporto con Dio Creatore è diventata, prima, esclusivamente una questione “sociale”
    (socialismo, marxismo), poi “legale” a scopi politici (giustizialismo), infine un “comandamento” mondiale al
    quale attenersi per avere diritto di cittadinanza (pensiero unico, culto pagano dell’ambiente, ecc.). L’uomo,
    liberatosi del “giusto rapporto” con Dio Creatore, si auto-colpevolizza con una caricatura pagana del peccato
    originale, sentendosi nemico della natura, degli animali, dell’ambiente, del pianeta. Obbligandosi in tal modo ad
    auto-eliminarsi limitando le nascite (contraccezione, aborto), accelerando le morti (eutanasia), moltiplicando le
    guerre. La radice profonda di tutto quanto accade è rinvenibile in un “modo non giusto” nel rapporto tra l’uomo
    e Dio Creatore che segna i singoli come l’umanità intera, rendendo invivibile il mondo. Questa comprensione
    “culturale” rimuove ogni idea favolistica del peccato originale e aiuta a riconoscere nei Comandamenti (Legge
    Naturale) il complesso delle regole universali stabilite dal Creatore affinché gli esseri umani sappiano governare
    bene se stessi. Sono “leggi di natura” come le leggi del mondo fisico. Capovolgerle disumanizza la vita degli
    esseri umani, singolarmente e comunitariamente. Questo dato di fatto la Chiesa ha il dovere di spiegarlo a tutti,
    non essendo una questione solo di fede, ma prima di tutto un dato che non temerei di definire “scientifico”. Pena
    il danneggiarsi con le proprie mani. Solo Cristo con la Sua Passione, Morte e Risurrezione è stato in grado di
    riaprire agli esseri umani l’accesso alla “giustizia originale”, già in questa vita con il Battesimo e la vita
    cristiana, e in pienezza nella vita eterna.
    Per approfondire
     
     
  23. SEM IPC
    L’inflazione , soprattutto quella che attualmente  ci preoccupa, come fenomeno economico può e deve  esser valutata nella sua “moralità”, pertanto va adeguatamente capita. Domandatevi come si può cancellare  un debito consistente di un privato, pari per esempio a molte annualità di reddito. La risposta può prevedere l’ipotesi di non pagarlo affatto dichiarando fallimento, oppure “tirando la cinghia", spendendo e consumando meno, oppure cercando di, o guadagnare di più in futuro, oppure  ancora,  grazie alla inflazione che riduce nel tempo  il debito reale. Inflazione(dal latino inflatio, gonfiatura) generalmente nasce da un aumento dei prezzi dovuto alla crescita dei costi di materie prime o all'aumento della domanda dei consumi. L’inflazione provoca riduzione del potere di acquisto e modifica ogni valore economico numerario (debito, credito, trasferendo valore dal debitore al creditore...) o reale (mobiliare o immobiliare). L’inflazione che stiamo vivendo oggi  è di carattere straordinario, dovuta a Covid e Guerra in Ucraina, ed  è sostanzialmente dovuta a crescita straordinaria dei costi delle Materie Prime (energetiche soprattutto, ma anche molte altre necessarie alle nuove produzioni  “sostenibili” ).Questa avrà un effetto elevato perché  penalizzerà enormemente il risparmio, i redditi,  i consumi  e pertanto la ripresa economica. In pratica questa inflazione  fa assorbire  il costo Covid e War  soprattutto al risparmio.  L’inflazione è infatti uno strumento, gestito per assorbire debiti pubblici elevati (una inflazione al 10% all’anno, in dieci anni cancella, di fatto, il debito).Ma  se  detta inflazione non verrà controllata subito e bene, potrà produrre crescita salariale e nuova inflazione, potrà produrre aumento dei tassi di interesse e freno alla crescita economica, potrà produrre tentazioni di svalutazione dell’Euro e nuova inflazione. I governi infatti per risolvere i problemi Covid e War stanno creando  disavanzo (debito), il disavanzo  viene sottoscritto dalle banche centrali  creando inflazione, l’inflazione riduce il Debito/Pil permettendo di fare nuovo disavanzo. E come  lo  si pagherà se non con l’inflazione generata?
    In pratica tutto ciò potrà produrre decrescita economica felice. Quella prevista dai neomalthusiani per dissuadere la crescita della popolazione e proteggere l’ambiente dall’uomo “cancro della natura". Questa è inflazione immorale.
  24. SEM IPC
    Diane Montagna - pubblicato il 22/05/17
    La veggente di Fatima gli disse: "Verrà un momento in cui la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e Satana sarà sul matrimonio e sulla famiglia"
    CITTÀ DEL VATICANO – Le parole profetiche di Suor Lucia sullo “scontro finale” tra il Signore e Satana, che avrebbe riguardato il matrimonio e la famiglia, “si stanno adempiendo oggi”, ha dichiarato ad Aleteia il Cardinale Carlo Caffarra.
    Nel pomeriggio di venerdì 19 maggio il cardinale italiano è intervenuto al quarto incontro del “Roma Life Forum“, un appuntamento annuale che riunisce più di 100 esperti su vita e famiglia da oltre 20 nazioni per discutere su come difendere e rafforzare la vita coniugale e familiare nel mondo.
    Il cardinal Caffarra è Arcivescovo emerito di Bologna e presidente fondatore del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. È attualmente membro del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, del Pontificio consiglio per la famiglia e della Pontificia accademia per la vita.
    È stato creato cardinale da Papa Benedetto XVI nel marzo 2006. Il cardinal Caffarra è stato uno dei 45 delegati scelti da Papa Francesco per partecipare al Sinodo Ordinario sulla Famiglia nel 2015.
    In quest’intervista esclusiva, rilasciata prima del suo discorso, il cardinal Caffarra descrive anche come Satana stia tentando di distruggere i due pilastri della creazione, in modo da modellare la propria “anti-creazione”, spiegando perché, in questa battaglia, la donna è “l’essere umano che deve essere difeso maggiormente”.
    Sua Eminenza, cosa può dirci della lettera che ha ricevuto da Suor Lucia mentre lei stava lavorando per fondare il PontificioIstituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma?
    Nel 1981 papa Giovanni Paolo II fondò l’Istituto per studi su matrimonio e famiglia. I primi anni (1983-1984) sono stati molto difficili. L’Istituto non era benvoluto.
    Chi non lo voleva?
    Era malvisto sia dentro che fuori della Chiesa, a causa della visione che proponeva. Ne ero molto preoccupato. Senza averlo chiesto a nessuno, pensai: “Scriverò a Suor Lucia”.
    Come le è venuto in mente?
    Mi è venuto e basta. Ma come sapete, fin dall’inizio la patrona dell’Istituto è stata Nostra Signora di Fatima. È contenuto nella Costituzione Apostolica, in cui il Papa ha affidato istituto al patrocinio della beata Vergine di Fatima. Al punto che – e spero che sia ancora così – entrando nell’istituto, alla fine del corridoio, c’è una statua di Nostra Signora di Fatima, e la cappella dell’Istituto è dedicata a Nostra Signora di Fatima.
    E così, ho pensato di scriverle. Le ho scritto dicendole semplicemente: “Il Papa ha voluto questo Istituto. Stiamo attraversando un momento molto difficile. Ti chiedo solo di pregare”. E ho aggiunto: “Non mi aspetto una risposta”. Le sue preghiere mi sarebbero bastate.
    Come sapete, per avere qualsiasi contatto con Suor Lucia, anche per lettera, bisognava passare per il suo vescovo. Così ho inviato la lettera al vescovo, che l’ha consegnata a Suor Lucia.
    Con mia gran sorpresa, dopo non più di due o tre settimane, ho ricevuto una risposta. Era una lunga lettera scritta a mano. Era il 1983, o il 1984. La lettera finiva così: “Padre, verrà un momento in cui la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e Satana sarà sul matrimonio e sulla famiglia. E coloro che lavoreranno per il bene della famiglia sperimenteranno la persecuzione e la tribolazione. Ma non bisogna aver paura, perché la Madonna gli ha già schiacciato la testa”.
    Questo è rimasto inciso nel mio cuore, e tra tutte le difficoltà che abbiamo incontrato – e ce ne sono state così tante – queste parole mi hanno sempre dato una grande forza.
    Quando ha letto le parole di Suor Lucia, ha pensato che lei stesse parlando di quel momento storico?
    Qualche anno fa ho cominciato a pensare, dopo quasi trent’anni: “Le parole di Suor Lucia si stanno adempiendo”. Questa battaglia decisiva sarà il tema del mio discorso di oggi. Satana sta costruendo un’anti-creazione.
    Un’anti-creazione?
    Leggendo il secondo capitolo della Genesi vediamo che l’edificio della creazione si fonda su due pilastri. In primo luogo, l’uomo non è qualcosa; è qualcuno, e per questo merita un rispetto assoluto. Il secondo pilastro è il rapporto tra uomo e donna, che è sacro. Tra l’uomo e la donna. Perché la creazione trova la sua completezza quando Dio crea la donna. Al punto che, dopo aver creato la donna, la Bibbia dice che Dio si è riposato.
    Cosa vediamo oggi? Due eventi terribili. In primo luogo, la legittimazione dell’aborto. Cioè, l’aborto è diventato un diritto soggettivo della donna. Il “diritto soggettivo” è una categoria etica, e quindi siamo nell’ambito del bene e del male; si sta dicendo che l’aborto è un bene, che è un diritto. La seconda cosa che vediamo è il tentativo di equiparare i rapporti omosessuali e il matrimonio. Satana sta tentando di minacciare e distruggere i due pilastri, in modo da poter forgiare un’altra creazione. Come se stesse provocando il Signore, dicendo a Lui: “Farò un’altra creazione, e l’uomo e la donna diranno: qui ci piace molto di più”.
    Le Scritture dicono che il diavolo è il padre della menzogna, che si presenta come un angelo di luce…
    Nel mio discorso, spiegherò le parole di Gesù su Satana: “Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna” (Giovanni 8:44). E così secondo me – e non so se Giovanni Paolo II lo avesse già previsto – in questo tipo di situazione l’essere umano che deve essere difeso di più è la donna. Infatti nel suo pontificato scrisse Mulieris Dignitatem. Lì volle sviluppare una teologia della femminilità, perché capì che questo fosse un punto delicato.
    La donna è quindi il campo di battaglia?
    Nella Bibbia c’è un dettaglio che mi ha sempre colpito. Dopo il peccato originale, Dio affronta il serpente e dice: “Io porrò inimicizia tra te e la donna”. Dio ha posto una particolare inimicizia tra la donna e il male, come se la donna avesse una sorta di istinto per il bene. Dio ha posto questa inimicizia proprio tra la donna e il male. Il testo continua: “Tra la tua stripe e la sua stirpe”, e qui i teologi vedono la predizione del Figlio di Maria. Pertanto, la donna ha un particolare coinvolgimento che ha conseguenze per la cultura, la società e la famiglia.
    Stiamo commemorando il centenario delle apparizioni della Madonna ai bambini di Fatima. Qual è il messaggio oggi?
    Per me, l’originalità di Fatima è questa: a Fatima, la Madonna ha profetizzato. In altre apparizioni, non ha profetizzato, bensì esortato. Come a Lourdes: fate penitenza, pregate, dite ai sacerdoti di costruire una cappella in questo posto. Esorta e ricorda le forti esortazioni di Gesù alla penitenza e alla preghiera. Ma a Fatima profetizza; questo vuol dire che si introduce negli eventi umani e gli interpreta. Non l’aveva mai fatto prima.
    Anche Suor Lucia ha profetizzato?
    Sì, l’ha pienamente indirizzata [la profezia della Madonna] e ci ha lasciato le sue Memorie. Alcuni sono molto sconvolgenti. Sentì che questo fosse il compito che la Madonna le aveva dato, cioè diffondere e interpretare questa profezia.
    E anche le parole di Suor Lucia sulla “battaglia decisiva” sono state una profezia?
    Si assolutamente. Ciò che Suor Lucia mi ha scritto si sta adempiendo oggi.
    Fonte: Aleteia
     
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