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Mario Mascia: Il Principe e il profeta


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L’uomo fin dalle origini ha espresso nella dimensione relazionale l’inclinazione a comunicare con i propri simili

evidenziando l’stanza di stabilire legami stabili e duraturi.

Il termine in latino communis non esprime semplicemente il comunicare ma assume un significato esteso come funzione, inteso in termini essenziali, il carattere di chi o ciò che svolge l’ incarico in una situazione condivisa, insieme agli altri.

 

Il significato di communitas emerge quindi come rapporto di comunanza civile e socievole, legame di partecipazione e gruppo insieme.

In senso comune la “comunità” si può riconoscere in un gruppo che richiama in sé il senso di appartenenza pur senza giungere a discernere il valore autentico della comunità. Ogni singolarità che si riconosce in un carattere comune rivolta nella stessa direzione da corpo e sostanza alla comunità.

 

Chi può garantire il senso di appartenenza, la stabilità dei rapporti e la pacifica convivenza del gruppo secondo ordinate regole sociali se non una gerarchia al vertice del quale si trova un capo riconosciuto che riassume i caratteri e i principi basilari della convivenza sociale.

La storia ha mostrato numerosi esempi di comunità riconosciute e affermate comunemente come regni e nazioni.

Il riconoscimento immediato di tali “comunità” è avvenuto spesso propriamente attraverso il relativo regnante.  

La relativa figura può assumere un carattere simbolico fonte talvolta di ispirazione letteraria.

In letteratura la figura del principe ha ispirato Machiavelli.

Il principe di Machiavelli riassume i caratteri della virtù in quanto bene però inteso lontano dalla morale.

La virtù consiste nel conseguimento  di un obiettivo con qualsiasi mezzo anche disdicevole al regnante  o per giunta  spregiudicato o immorale.

Nella sua analisi Machiavelli configura un principe in grado di mantenere il potere per governare.  Non potendo ignorare la strategia del principe sarebbe possibile comprendere gli accadimenti del mondo e le cause che incidono nella sfera personale, famigliare ed economica della vita sociale.

Sotto un certo aspetto, che assume un carattere totalizzante del potere, può essere fatto un confronto con 

una figura alquanto controversa sotto il profilo morale messa in risalto nell’opera di Robert Hugh Benson (1867 – 1914) “Il padrone del Mondo”.  Il personaggio presentato come filantropo democratico, politico carismatico, fautore della pace mondiale sotto la cui figura si cela l’Anticristo che contende a Dio il dominio dell’universo. Egli è un fautore di un mondo ispirato a un nuovo umanesimo che propugna la tolleranza universale annullando le distinzioni tra le religioni. Pertanto la Chiesa cattolica viene perseguitata fino alla sua eliminazione.

Il libro presenta delle assonanze  col mondo  attuale.

Volgendo lo sguardo al mondo contemporaneo è riscontrabile la strategia materialistica   mirata ad una offensiva senza precedenti rivolta alla famiglia e  alla religione. Senza un esame critico di tale strategia sarebbe impossibile   scorgere nelle scelte politiche ed economiche una ideologia negazionista dei principi inviolabili   della vita umana.

Le scelte politiche della civiltà attuale hanno assimilato le ideologie del neoumanesimo disconoscendo il vero ruolo dei responsabili della sorte dei popoli non più al servizio del bene dell’uomo in contrasto con la realtà trascendente.

Pertanto come può essere riconosciuto l’artefice del  rinnegamento del bene autentico dell’uomo se non attraverso i frutti dell’opera del Maligno presenti nella figura dell’Anticristo che ha preso piede da tempo nella nostra società.

Non può disconoscersi inoltre in questa figura la proposta di una nuova religione.

Il 15 settembre 2003 lo scrittore Michael Crichton tenne un discorso al Commonwealth Club di San Francisco dal titolo “L’ambientalismo è una religione”. Dichiarando: “Oggi, una delle religioni più potenti del mondo occidentale è l’ambientalismo. E’ la religione  degli atei urbanizzati. C’è un Eden iniziale, un paradiso, uno stato di grazia e unità con la natura, c’è la caduta dalla grazia in uno stato di inquinamento risultato dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza e c’è un giorno del giudizio che verrà per tutti noi. Siamo tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la salvezza, che ora si chiama ‘sostenibilità’. La sostenibilità è la salvezza nella chiesa dell’ambiente. Proprio come il cibo biologico è la sua comunione”.

A dare maggiore risalto in un'altra direzione risulta la richiesta di sostenibilità come espressi dai dati storici impietosi del malessere sociale.

Attualmente il globo terrestre è abitato da 8 miliardi di persone (nel 1969 eravamo 3,3 miliardi e nel 2050 saremo 10 miliardi). Attualmente il numero degli stati corrisponde a  194, dei quali ben 70 sono in guerra fra di loro, coinvolgendo 2 miliardi di persone, che corrisponde al 60% di tutta la popolazione mondiale nel 1969.

 Il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% del Pil. 26 persone posseggono le ricchezze   di   3,8 miliardi di persone e 8 uomini possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone.

Circa 900 milioni di persone soffrono la fame.

Un bambino su 4, sotto i 5 anni, soffre di malnutrizione cronica: in totale sono oltre 200 milioni

 L’OMS dichiara che “in tutto il mondo troppe persone soffrono o muoiono a causa di malattie   croniche.

Le organizzazioni non governative si sentono talvolta portavoce di associazione e movimenti emanazione di categorie sociali che denunciano la loro discriminazione. 

Le lettura di questi dati nell’ambito ecclesiale viene frequentemente interpretata in termini politici attribuendo ai vertici governativi la responsabilità di intervenire per ristabilire una giustizia sociale in cui la risposta al malessere sociale va ricercata nel risolvere gli squilibri tra ricchi e poveri, nel risanamento ecologico, nella inclusione sociale dei diversi in termini religiosi e di identità di “genere” …. ponendo in secondo ordine il rinnegamento dei principi etici  a monte del malessere.  

Da una lettura attenta della missione ecclesiale emerge l’urgenza di mobilitare coraggiosamente le risorse per proclamare i valori morali del bene dell’uomo e della giustizia             

Pertanto le aperture ad un sano discernimento, nell’attuale contingenza, pongono degli interrogativi 

dettati da una inquietudine sulle previsioni del futuro su cui gravano pesanti incognite.

Le incertezze non vengono sanate fintanto che la visione storica viene affidata alla profezia.

 

Spesso le circostanze inducono a rivelare nel carisma profetico il significato profondo che trova espressione nella mediazione del rapporto tra Dio e l’uomo. In tale rapporto il profeta si pone al servizio delle Verità, per contro l’Anticristo, disconoscendo tale rapporto, si pone al servizio della menzogna.

La funzione del profeta è legata alle particolari vicende che segnano la storia dell’umanità.

La sua missione è sempre stata frequente quanto opportuna in situazioni inconsuete di sconvolgimento della convivenza umana oppressa da discriminazioni politiche,  economiche e sociali  

generando un diffuso malessere in paesi dominati prevalentemente dai regimi totalitari. 

Nella comune percezione la sofferenza se diventa un male da estirpare nella condizione umana assume, invece un valore   di catarsi   nella profezia.

Al riguardo non può essere disconosciuta la vita ascetica di profeti segnata da patimenti e sofferenze tale da contraddistinguere la loro stessa figura, ma l’identità del profeta non può giungere al riconoscimento se non  nel fine che trova giustificazione nella sua missione.

Alla scoperta del significato etimologico il profeta nel suo termine, di derivazione latina proveniente dal greco, letteralmente assume il significato di “colui che parla davanti” oltre a “colui che parla per, al posto di”.

Intrinsecamente contiene il senso di parlare al pubblico, in nome di Dio, di parlare prima in anticipo nel futuro.

La funzione del profeta si spiega nel Nuovo Testamento come riferito nel Vangelo di Marco 1:1-13 che definisce Giovanni Battista “la voce di uno che grida”. La voce della Parola esprime valore in seguito all’incontro con Dio per averne fatto esperienza.  

La voce del profeta è autentica e credibile in quanto è conforme alla Parola che annuncia, dal messaggio rivolto alla realtà. Si evince che il carattere del profeta è quello di una persona chiamata ad attuare una missione, di cogliere un fatto nella sua integrità e lo spiega alla luce della fede, inoltre trasmette un messaggio che ha ricevuto con libertà e intelligenza.

I segni che accompagnano l’attività del profeta assumono un carattere simbolico secondo gli esempi  citati nel Antico Testamento in Ezechiele, Geremia che contenevano un messaggio di cui poi il profeta svelerà al popolo il senso pieno.

La storia lascia spazio ad una risonanza di ammonimento morale nel messaggio profetico riguardante particolare crisi della convivenza sociale scossa da sconvolgimenti bellici e politici.

La figura del profeta, che assume un significato religioso, non può essere significata in senso riduttivo come semplice operante di previsione in quanto rischia di oscurare da causa originaria della profezia.

È possibile scoprire la figura del profeta riconoscendo la sua missione religiosa in riferimento agli esempi della sacra scrittura che annunciano un messaggio di purificazione dall’idolatria per entrare in un rapporto autentico col Trascendente per vivificare l’essere quale immagine del Creatore.

Scoprire nella persona la propria missione significa riconoscere in sé la figura del  profeta e in senso comunitario nella totalità del popolo di Dio.

In una società pervasa da messaggi ispirati ad un paganesimo materialista in cui la “tecnocrazia “ lascia spazio ad una figura umana fino ad assumere un carattere idolatrico per il potere di interagire  nelle leggi della fisica e della biologia.

Quale insegnamenti può offrire  la Chiesa in una realtà che ha espropriato i principi autentici in cui si regge la vita umana.

In  riferimento alla citazione ripresa dal libro “Salute o salvezza” don Nicola Bux Afferma che …. «l’insegnamento è riconosciuto nella prerogativa della propria dimensione quale  “Chiesa della profezia” orientata in senso missionario, perché la Chiesa è profezia realizzata nel mondo risorto; grazie al suo essere corpo di Cristo, diffonde nel mondo l’esperienza della fede. Questo è il vero proselitismo raccontato negli Atti degli Apostoli.»>

Ogni cristiano nella propria fede può vivere e trasmettere al prossimo il valore della Fede nel proclama delle beatitudini per realizzare il messaggio evangelico della salvezza.

Quali condizioni nella mutazione culturale del tempo bisogna considerare nella comunicazione della missione profetica se non porsi gli interrogativi sul fine ultimo dell’esistenza.

A tal punto resta inevitabile proporre all’individualità intrisa di agnosticismo la causa del mistero della vita dono dell’Ente Supremo che esige una risposta di senso a cui la ragione non può sfuggire. 

I segni che accompagnano il profeta sono la coerenza della Fede manifestata nei gesti liturgici al centro del culto divino fonte di grazie.

Dove passa il messaggio del profeta? Quale direttiva assume la profezia?

Alla base della profezia è presente la consapevolezza di essere depositari di un messaggio di salvezza indirizzato al prossimo a cui viene annunciato.

Essere depositari del messaggio passa prioritariamente nell’intimo nel proprio essere nell’assunto del fondamento: Rivelazione, vocazione missione.

All’umanità smarrita nel labirinto dell’ateismo e dell’agnosticismo il profeta vuole smascherare l’inganno di una visione pagana della vita in una prospettiva di ravvedimento alla scoperta di un rapporto vitale con Trascendente.

                                                           
                                                                                                            

 

 

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