Vai al contenuto

Claudio C.

Administrators
  • Contenuti

    255
  • Iscritto

  • Ultima visita

Blog Entries di Claudio C.

  1. Claudio C.
    Come è possibile adempiere al comando che Gesù Cristo diede (Mc 16,15-15) "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato"? Egli stesso lo ripete nuovamente (Mt 28,19-20)  "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Esso è un chiaro invito al proselitismo, alla missione, al vivere, mostrare e narrare il Vangelo non privatamente, non anonimamente, bensì senza nascondersi, luminosamente.
    Questa opera non potrà mai essere improvvisata, non potrà avvenire se si ha una fede acerba, se non si ha una radice profonda nella propria anima. Questo non vuol dire che dobbiamo essere tutti dotti o accumulare titoli ed onori prima di poter presentare ad altri la nostra Fede. Sappiamo che la Grazia opera per vie a noi imperscrutabili ed inimmaginabili.
    L'invito è invece a guardare prima di tutto verso noi stessi nella opera di conversione; il cammino può essere molto lungo, a volte doloroso, a volte breve e gioioso, ma mai potremo guardare verso gli altri se i primi ad essere convertiti non siamo noi stessi. Cristo stesso ha lasciato in eredità mezzi in abbondanza alla Sua Chiesa, a partire dalla Preghiera ed i Sacramenti, i Suoi Vescovi, Sacerdoti e Dottori che, nei secoli, ci hanno lasciato cotanto Magistero ed il Catechismo e, per chi è in grado di affrontarle con umiltà, le Sacre Scritture e tanto altro.
    Ognuno ha il proprio percorso, ma non possiamo tenerlo per noi stessi, è un dono che va condiviso, è una richiesta, quella di Cristo, che va 
    In Jesu et Maria,
    Claudio
    Ci sembra utile riportare parte del "Messaggio di Benedetto XVI per la Gmg 2013", ove si rivolgeva alle giovani generazioni, cui affidava il seme della Fede.
    "Andate!
    Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All’inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L’evangelizzazione parte sempre dall’incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui.
    Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell’amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio.
    4. Raggiungete tutti i popoli
    Cristo risorto ha mandato i suoi discepoli a testimoniare la sua presenza salvifica a tutti i popoli, perché Dio nel suo amore sovrabbondante, vuole che tutti siano salvi e nessuno sia perduto. Con il sacrificio di amore della Croce, Gesù ha aperto la strada affinché ogni uomo e ogni donna possa conoscere Dio ed entrare in comunione di amore con Lui. E ha costituito una comunità di discepoli per portare l’annuncio di salvezza del Vangelo fino ai confini della terra, per raggiungere gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo. Facciamo nostro questo desiderio di Dio!
    Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L’annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite.
    Vorrei sottolineare due campi in cui il vostro impegno missionario deve farsi ancora più attento. Il primo è quello delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet. Come ho già avuto modo di dirvi, cari giovani, «sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! [...] A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo “continente digitale”» (Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 maggio 2009). Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l’incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete.
    Il secondo ambito è quello della mobilità. Oggi sono sempre più numerosi i giovani che viaggiano, sia per motivi di studio o di lavoro, sia per divertimento. Ma penso anche a tutti i movimenti migratori, con cui milioni di persone, spesso giovani, si trasferiscono e cambiano Regione o Paese per motivi economici o sociali. Anche questi fenomeni possono diventare occasioni provvidenziali per la diffusione del Vangelo. Cari giovani, non abbiate paura di testimoniare la vostra fede anche in questi contesti: è un dono prezioso per chi incontrate comunicare la gioia dell’incontro con Cristo.
    5. Fate discepoli!
    Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell’esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L’annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L’essere evangelizzatori nasce dall’amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c’è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.
    6. Saldi nella fede
    Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7).
    Per questo vi invito a radicarvi nella preghiera e nei Sacramenti. L’evangelizzazione autentica nasce sempre dalla preghiera ed è sostenuta da essa: dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio. E nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore. E, più in generale, preghiamo per la missione di tutta la Chiesa, secondo la richiesta esplicita di Gesù: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Sappiate trovare nell’Eucaristia la sorgente della vostra vita di fede e della vostra testimonianza cristiana, partecipando con fedeltà alla Messa domenicale e ogni volta che potete nella settimana. Ricorrete frequentemente al Sacramento della Riconciliazione: è un incontro prezioso con la misericordia di Dio che ci accoglie, ci perdona e rinnova i nostri cuori nella carità. E non esitate a ricevere il Sacramento della Confermazione o Cresima se non l’avete ricevuto, preparandovi con cura e impegno. Con l’Eucaristia, esso è il Sacramento della missione, perché ci dona la forza e l’amore dello Spirito Santo per professare senza paura la fede. Vi incoraggio inoltre a praticare l’adorazione eucaristica: sostare in ascolto e dialogo con Gesù presente nel Sacramento diventa punto di partenza di nuovo slancio missionario.
    Se seguirete questo cammino, Cristo stesso vi donerà la capacità di essere pienamente fedeli alla sua Parola e di testimoniarlo con lealtà e coraggio. A volte sarete chiamati a dare prova di perseveranza, in particolare quando la Parola di Dio susciterà chiusure od opposizioni. In certe regioni del mondo, alcuni di voi vivono la sofferenza di non poter testimoniare pubblicamente la fede in Cristo, per mancanza di libertà religiosa. E c’è chi ha già pagato anche con la vita il prezzo della propria appartenenza alla Chiesa. Vi incoraggio a restare saldi nella fede, sicuri che Cristo è accanto a voi in ogni prova. Egli vi ripete: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12).
    7. Con tutta la Chiesa
    Cari giovani, per restare saldi nella confessione della fede cristiana là dove siete inviati, avete bisogno della Chiesa. Nessuno può essere testimone del Vangelo da solo. Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione insieme: «fate discepoli» è rivolto al plurale. È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall’unità e dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35). Sono grato al Signore per la preziosa opera di evangelizzazione che svolgono le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, i nostri movimenti ecclesiali. I frutti di questa evangelizzazione appartengono a tutta la Chiesa: «uno semina e l’altro miete», diceva Gesù (Gv 4,37).
    A tale proposito, non posso che rendere grazie per il grande dono dei missionari, che dedicano tutta la loro vita ad annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Allo stesso modo benedico il Signore per i sacerdoti e i consacrati, che offrono interamente se stessi affinché Gesù Cristo sia annunciato e amato. Desidero qui incoraggiare i giovani che sono chiamati da Dio, a impegnarsi con entusiasmo in queste vocazioni: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). A coloro che lasciano tutto per seguirlo, Gesù ha promesso il centuplo e la vita eterna! (cfr Mt 19,29).
    Rendo grazie anche per tutti i fedeli laici che si adoperano per vivere il loro quotidiano come missione là dove sono, in famiglia o sul lavoro, affinché Cristo sia amato e servito e cresca il Regno di Dio. Penso in particolare a quanti operano nel campo dell’educazione, della sanità, dell’impresa, della politica e dell’economia e in tanti altri ambiti dell’apostolato dei laici. Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell’evangelizzazione!
    8. «Eccomi, Signore!»
    In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all’amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall’amore e dall’accoglienza! Seguite l’esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri."
     
     
  2. Claudio C.
    Vi proponiamo di seguito la libera traduzione Mexican priest who survived COVID: God acts in the midst of suffering dal sito CNA. Qui la sua Parrocchia San Rafael Arcangel.
    Città del Messico, Messico- Quando p. Antonio Pérez Hernández, sacerdote della Arcidiocesi de Tlanepantla è stato recentemente ricoverato in ospedale con COVID-19, ha affermato di essere stato in grado di testimoniare in prima persona come Dio è presente nel mezzo della sofferenza. Il sacerdote ha infatti condiviso la sua esperienza in un recente video pubblicato dall'arcidiocesi di Tlanepantla, in Messico, dove attualmente presta servizio.
    Dopo che Pérez si ammalò del virus, fu ricoverato in un ospedale pubblico dove condivise una stanza con altri pazienti, alcuni dei quali morirono.
    "Quando ero lì, è venuto un momento in cui sentivo come se Dio stesse per chiamarmi alla sua presenza", ha detto.
    “Ed è allora che scopri l'abbandono, l'abbandono totale che proviene dal dire al Signore: 'Eccomi, se vuoi chiamarmi, sono pronto; se vuoi lasciarmi qui, sono disponibile secondo la Tua Volontà. Ti chiedo solo per favore di darmi la forza di dare l'assoluzione e di occuparmi di questi miei fratelli che soffrono della malattia proprio come me. "
    Il sacerdote ha affermato che, nonostante la malattia, la sua esperienza in ospedale è stata bella e libera, perché "ha sentito l'amorevole presenza di Dio".
    Mentre era in ospedale, Fr. Pérez si è presentato sempre come sacerdote ed ha confessato e dato l'assoluzione ai malati che lo richiedevano. Ha detto di aver trovato Cristo nei pazienti malati e questo gli ha ricordato che "tutti abbiamo bisogno di Gesù".
    Ha assistito anche alla morte di quattro pazienti, ma ha detto che dopo aver dato loro l'assoluzione, ha potuto vedere che "erano confortati, erano in pace". Attraverso una preghiera costante , il sacerdote ha detto di aver percepito come le stanze dell'ospedale si trasformassero in luoghi di pace dove si poteva sentire e incontrare la presenza di Dio.
    Quando Fr. Pérez stava per essere dimesso, alcune persone gli dissero: "Padre, ci mancherai, perché ci hai dato una nuova speranza, ci hai fatto sentire Cristo in mezzo a tutto questo". Ed ha quindi detto loro: 'Cristo rimarrà sempre con voi. Io me ne vado, ma Cristo rimane. Dio non vi lascerà mai da soli ", ha continuato.
    Fr. Pérez è convinto che Dio stia usando la pandemia per guarire i cuori. "Dio ci sta facendo vedere ciò che è veramente importante", ha detto.
    “Quelli di noi che erano lì non potevano avere alcun contatto con la famiglia. Coloro che sono morti, sono morti senza avere il conforto neppure dei familiari", ha raccontato Pérez, sottolineando l'importanza di" valorizzare la presenza della famiglia, valorizzare gli amici, valorizzare la vita ".
    "Arriva un momento in cui hai solo l'abito da ospedale e non hai più nulla", ha detto, "ma è proprio in quel momento che si sperimenta quell'abbandono alla Volontà del Signore essendo pronti a dire: " Signore, ho te. Cosa voglio di più se ho te? '"
    Qui la sua storia in lingua spagnola.
     
  3. Claudio C.
    Riportiamo di seguito la libera traduzione dell'articolo del Catholic Herald - Around the globe, Catholics hope papal Mass online will continue di Courtney Mares/CNA.
    Ci è sembrato interessante rilevare e condividere con voi questo fenomeno di particolare affetto per la figura del Papa. Tale figura rappresenta la naturale sintesi della Cristianità ed, oltre il compito divino che gli è stato affidato (Mt 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»), ha un ruolo di riferimento emotivo costante soprattutto per chi è lontano da Roma. Il cattolicesimo, che ha la universalità nella sua missione e nel suo nome, non può prescindere da Roma e dalla figura del Papa, chiunque egli sia.
    D'altro canto, vogliamo ricordare che la via ordinaria della Salvezza in tempi ordinari è la partecipazione fisica e reale alla Eucaristia, in Chiesa. La "Liturgia della Parola" o la Santa Messa trasmessa in streaming non potrà mai essere sostitutiva della presenza reale davanti al Corpo e Sanque di Cristo.
    In Jesu et Maria, Claudio
    **********
    Dopo che il Vaticano ha smesso di trasmettere in diretta le Messe quotidiane di Papa Francesco a partire da questa settimana, i cattolici da tutto il mondo hanno esortato il Papa a riprendere la trasmissione. Il livestream della messa del Papa si è concluso il 18 maggio, giorno in cui le diocesi di tutta Italia sono state in grado di riprendere le messe pubbliche. Ma molti cattolici in altri paesi rimangono senza accesso alla Messa.
    Questo è il caso dei Missionari Francescani di Maria a Nairobi, in Kenya, dove un blocco è stato esteso fino al 6 giugno, chiudendo tutti i luoghi di culto pubblico.
    Suor Mary Anne Williamson ha scritto una lettera a nome della sua comunità religiosa, chiedendo se fosse possibile ripristinare la trasmissione di massa in diretta di Papa Francesco. Ha detto alla CNA che le suore sono state "sgomenti" quando hanno saputo che la trasmissione della Messa del Papa sarebbe stata interrotta.
    “Quando le nostre chiese sono state chiuse circa otto settimane fa, abbiamo iniziato ad ascoltare e recitare la liturgia della Parola nella nostra cappella. Ma poi abbiamo sentito che le nostre sorelle nella nostra casa generalizia a Roma, anch'esse chiuse a chiave, stavano seguendo la messa del Santo Padre dalla loro casa. Abbiamo cercato il canale internet EWTN (media cattolico) sul nostro server di canali TV Zuku ed abbiamo iniziato a riunirci alle 8 di mattina a Nairobi ”, ha detto.
    Le suore si sono radunate per assistere alla messa del Papa dopo la preghiera del mattino nella loro cappella. Williamson ha detto che le suore missionarie hanno trovato significativo pregare in questo modo in unione con il papa e i cristiani di tutto il mondo.
    "Abbiamo davvero apprezzato l'omelia del Santo Padre e le traduzioni fatte da Suor Bernadette", ha detto. "Abbiamo anche apprezzato i momenti di adorazione eucaristica al termine della Messa mattutina a Santa Marta". “Sappiamo che la Messa di Papa Francesco è stata apprezzata da altri e probabilmente da molti in tutto il mondo. Continueremo a sperare che i media vaticani saranno in grado di trasmetterlo di nuovo ”.
    Mentre alcuni paesi in Europa stanno allentando i loro blocchi, i cattolici in India, Nigeria, Sudafrica, Kenya, Inghilterra, Svizzera e altri paesi rimangono senza accesso alla Messa pubblica. In Irlanda, le chiese non dovrebbero riaprire fino a luglio.
    Papa Francesco ha iniziato a trasmettere in streaming la sua Messa mattutina dalla cappella di Casa Santa Marta, la sua residenza nella Città del Vaticano, il 9 marzo, il giorno dopo che le diocesi di tutta Italia sospesero le messe pubbliche in seguito a un'ordinanza del governo. Il portavoce del Vaticano ha affermato che il live streaming è stato offerto per "consentire a coloro che desiderano seguire le celebrazioni in unione di preghiera con il vescovo di Roma".
    All'inizio della Messa ogni giorno, il Papa ha offerto una diversa intenzione di preghiera, spesso correlata alla sofferenza inflitta dalla pandemia di coronavirus.
    Annunciando la fine delle trasmissioni in diretta della Messa del Papa, il portavoce del Vaticano ha dichiarato: “Il Papa desidera che il Popolo di Dio possa così tornare alla familiarità comunitaria con il Signore nei sacramenti, partecipando alla liturgia domenicale e riprendendo, anche nelle chiese, il quotidiano visita del Signore e della sua Parola ”.
    Un articolo dell'ACI Prensa che riporta la conclusione della trasmissione di massa quotidiana dal Vaticano ha ricevuto oltre 1.900 commenti sui social media, con persone che esprimono gratitudine per il livestream e chiedono perché è stato cancellato quando le diocesi in alcune parti dell'America Latina sono ancora sotto blocco .
    “Grazie mille, Santo Padre, ma spero che consideri per i paesi del Messico e dell'America che restiamo in quarantena ed è molto prezioso vibrare con la tua presenza e guida. Che il Signore ti benedica e sia sempre con te ”, scrisse Carmen Vazquez in spagnolo.
    Dal Costa Rica, Sandra Fernandez Es ha scritto: “È una grande perdita, che tristezza. Mi ero già abituato a guardarlo la mattina presto ed è stato molto buono per me. " “Sono arrivato a pensare di essere il solo a cui mancherebbe la Messa con il Papa. A Puerto Rico, siamo ancora in quarantena ", ha detto Iris Lugo. Mary Grenada ha scritto dall'Argentina: “Peccato !!! È stato molto importante per noi ogni giorno avere una messa a casa. Spero che mandino la nostra richiesta di continuare al Papa. Grazie!!! Dall'argentina." Catherine Addington ha scritto su Twitter il 19 maggio: "Mi manca il livestream quotidiano di @Pontifex".
    Il Vaticano ha riferito il 20 maggio che migliaia di persone in Cina avevano visto un live streaming tradotto della messa del Papa tramite WeChat e che la notizia che la trasmissione in diretta sarebbe finita è stata "accolta con un po 'di sofferenza e anche con alcune lacrime".
    Vatican News ha affermato di aver ricevuto messaggi da migliaia di persone che esprimono apprezzamento per il livestream della messa del Papa durante la pandemia.
    La sorella Mary Anne ha detto alla CNA che crede che anche nei luoghi in cui le chiese saranno riaperte, come l'Italia, i fedeli e altri cattolici apprezzerebbero probabilmente l'opportunità di vedere le Messe del Papa e ascoltare le sue omelie.
    Ha detto che durante la quarantena le suore in Kenya hanno insegnato agli studenti usando Zoom, ma i tagli di Internet ed elettricità nelle case di alcuni studenti hanno reso difficile.
    “Sappiamo di essere tra i fortunati con una cappella, accesso a Internet, cibo e riparo. La nostra vita di preghiera e di lavoro può continuare, anche se in modi nuovi ", ha detto. "I nostri giorni, in particolare la nostra adorazione eucaristica a turno, sono offerti per il nostro mondo sofferente e la fine di questa pandemia."
    Man mano che le Messe pubbliche riprenderanno in alcune parti del mondo, le parrocchie decideranno anche se continuare i livestream di massa offerti durante la pandemia.
    P. Gregory Apparcel, rettore della chiesa di San Patrizio, la parrocchia di lingua inglese di Roma, ha detto a CNA che il livestream della parrocchia aveva guadagnato un pubblico molto più vasto di quanto si aspettasse.
    “Abbiamo anche molte, molte persone che partecipano a queste messe dagli Stati Uniti e da altri paesi in cui le messe pubbliche non sono ancora disponibili. E, anche da molte persone che sono costrette a casa per molte altre ragioni ", ha detto.
    Il sacerdote ha detto di aver ricevuto richieste per continuare le messe nonostante la fine del blocco.
    "Sperano che continueremo a farlo, cosa che cercheremo di fare durante l'estate e oltre, se necessario", ha detto.
    "Ha aperto un nuovo ministero che non avremmo mai pensato di dover fare."
  4. Claudio C.
    Dopo il contributo di d.Nicola Bux sulla preghiera multireligiosa, eccone un altro, in occasione del Centenario della nascita di san Giovanni Paolo II. Il prof. Nunzio Lozito ha discusso la tesi sul Beato Raimondo Lullo, che ebbe a che fare con i musulmani tra XIII e XIV secolo. Un estratto è stato pubblicato dal Centro di Studi Cristiani Orientali del Cairo (qui un approfondimento nel Europe Near East Centre ).   E' desiderio degli autori, che quanti volessero entrare in dibattito, lo facciano indicando i punti a loro avviso critici, nonché le ragioni per cui lo sarebbero. Potete scrivere nei commenti o inviare una email a segreteria@ilpensierocattolico.it . Varcare la soglia della speranza
     
    “Ma se il Dio che è nei cieli – e che ha salvato e salva il mondo – è Uno solo, ed è Quello che si è rivelato in Gesù Cristo, perché ha permesso tante religioni? Perché renderci così ardua la ricerca della verità, in mezzo alla foresta dei culti, delle credenze, delle rivelazioni, delle fedi che sempre- e oggi ancora- vigoreggiano tra ogni popolo?”[1].
    È la domanda che lo scrittore Vittorio Messori, pone a Giovanni Paolo II all’inizio del 13° capitolo del libro Varcare la soglia della speranza. Il libro-intervista, passa in rassegna una serie di domande su vari temi: da quelli più strettamente dottrinali a quelli a carattere sociale. La domanda  riguarda il rapporto tra Cristianesimo e le altre religioni. Un tema sempre attuale, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Ma che ha tuttavia interessato la Chiesa sin dalle origini. Da quando cioè l’annuncio cristiano è venuto a contatto con le diverse culture, religioni, filosofie.
    È un tema delicato, di fronte al quale la prudenza, delle parole e soprattutto degli atteggiamenti, è un obbligo. Lo è ancor di più oggi, in un’epoca in cui i media, nel bene e nel male ne amplificano la portata dei gesti e delle dichiarazioni ufficiali. Soprattutto quando riguardano questioni di questo tipo. A ciò si aggiunga il clima culturale, sempre più superficiale e alla ricerca di semplificazioni, poco incline alla riflessione razionale. Un clima che esalta l’emotività, che tende a far proprio l’assioma hegeliano secondo il quale “la notte tutte le vacche sono nere”.
    Nella risposta alla domanda del giornalista-scrittore Messori, citata sopra, il Pontefice ribalta la questione: “Lei parla di tante religioni. Io invece tenterò di mostrare che cosa costituisce per queste religioni il comune elemento fondamentale e la comune radice”[2]. Giovanni Paolo II nel prosieguo della risposta, piuttosto articolata, si mantiene nel solco del Concilio Vaticano II, in particolare da quello tracciato dalla breve Dichiarazione Nostra Aetate[3].
    Sappiamo, e ne stiamo ricevendo sempre più prova in questo frangente storico, che i testi conciliari sono passati e continuano a passare attraverso la lente interpretativa, talvolta piuttosto deformata, del cosiddetto “spirito del concilio”. Tra coloro che invocano questo, è spesso evidente una censura della lettera stessa del Concilio. Per cui si finisce, andando di interpretazione in interpretazione per deformare il dettato conciliare. Probabilmente, proprio per questa ragione il pontefice polacco, nel fornire la risposta allo scrittore, cita quasi integralmente Nostra Aetate. Evitando in tal modo che il metodo comunicativo, basato su slogan, allora come ora, fosse neutralizzato.
    Qual è questo comune elemento fondamentale, questa comune radice che accomuna le religioni, o meglio gli uomini che appartengono alle varie religioni di cui parla il Pontefice echeggiando Nostra Aetate?  Primo fra tutti  l’appartenenza al genere umano: la natura umana, il senso profondo della vita, il bene, il male, la vera felicità, la morte, l’aldilà.
    Il Concilio avrebbe potuto affermare: “essendo queste le comuni aspettative degli uomini, i comuni enigmi che inquietano il cuore degli uomini, costruiamo una sorta di super-religione, che prenda gli elementi essenziali di ciascuna di esse per  favorire una fratellanza umana universale”. Tentazione sempre presente nell’uomo, dalla Torre di Babele in poi.  
    Nel buio della ragione che stiamo attraversando,  è facile cadere nella trappola di un progetto del genere: sembrerebbe altamente auspicabile, condivisibile, ridurrebbe i conflitti. Invece no, Nostra Aetate, sulla scia della Tradizione, delude quanti auspicherebbero tutto ciò. Anche coloro che, invocano il Concilio Vaticano II ad ogni piè sospinto.
    Allora, cosa afferma Nostra Aetate?
     “La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni…” (Nostra Aetate 2). Questo approccio valorizzatore che la Chiesa mostra nei confronti delle religioni non cristiane, richiede uno sforzo missionario ancora più intenso così come la Dichiarazione afferma appena  dopo: “Essa- riferendosi alla Chiesa- però annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è <<via, verita e vita>> (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con Sé tutte le cose” (Nostra Aetate, 2). “Le parole del Concilio - commenta il Papa polacco- si richiamano alla convinzione da tanto tempo radicata nella tradizione, dell’esistenza dei cosiddetti semina Verbi, presenti in tutte le religioni”. Solo, una cronica superficialità, può sorvolare sulla necessità della missione di annunciare. Solo questo, può arrivare al punto da paragonare  il vitale anelito missionario della Chiesa ad un’azione proselitistica da stigmatizzare. Certo, continua, Giovanni Paolo II, l’azione missionaria della Chiesa, soprattutto nell’estremo oriente, non è stata efficace perché la società occidentale ha dato un’antitestimonianza, mostrando un cristianesimo incapace di incidere “nella vita politica e sociale delle nazioni”.
     È in questa traccia del Concilio che il santo Pontefice si è mosso nei suoi viaggi “interreligiosi”, mai dimentico che, in qualità di successore di Pietro, il cui mandato, per esplicito comando del divin Maestro è: “ ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19).  C’è l’eco di quest’ansia missionaria nei discorsi tenuti nei vari paesi, compresi quelli a maggioranza islamica. Convinto com’era che Cristo è l’unico redentore dell’uomo, capace di valorizzare in modo compiuto le profonde aspirazioni dell’uomo.
    Continuando a ripercorrere le pagine del libro intervista succitato ci si imbatte nei capitoli relativi ai fondatori di alcune delle più importanti religioni. Al capitolo 15° troviamo quella riferita a Maometto e all’Islam.  Afferma il Papa: “Chiunque conoscendo l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, legga il Corano, vede con chiarezza il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso si è compiuto. È impossibile non notare l’allontanamento da ciò che Dio ha detto di Sé stesso, prima nell’Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo di Suo Figlio. Tutta questa ricchezza dell’autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell’Antico e del Nuovo Testamento, nell’Islamismo è stato di fatto accantonata”[4].
    Dopo quanto scritto diventa assai arduo, come da più parti avviene, affermare “in fondo crediamo tutti nello stesso Dio” come pure l’espressione “siamo tutti fratelli”.
    Tutto questo, che per amore di verità va affermato, non toglie nulla alla serietà e alla convinzione con cui milioni di musulmani (così come i tanti fedeli delle religioni presenti nel mondo), vivono la loro fede. Quindi, continua il Papa “la religiosità dei musulmani merita rispetto”  a motivo della “loro fedeltà alla preghiera” e, indipendentemente dal luogo nel quale si trovano, si prostrano in ginocchio. Anzi, “rimane un modello per i confessori del vero Dio, in particolare per quei cristiani che, disertando le loro meravigliose cattedrali, pregano poco o non pregano per niente”[5].
      [1] Giovanni Paolo II intervistato da Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza, A. Mondadori, Milano, 1994, pag. 86
    [2] Ibidem, pag. 87
    [3] È il titolo della Dichiarazione conciliare su “le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”
    [4] Ibidem pagg. 103, 104
    [5] Ibidem pag 104
  5. Claudio C.
    Il 24 settembre 2019, il patrono del Sovrano Ordine di Malta, SER Cardinale R. Burke ed il vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan), Mons. A. Schneider  hanno rilasciato dichiarazione intitolata Un chiarimento sul significato della fedeltà al Sommo Pontefice (vedi il testo completo di seguito).
    Essi si riferiscono in particolare all’indissolubilità del matrimonio e all’ammissione alla Santa Comunione di coloro che “convivono in unioni irregolari”, alla “crescente approvazione di atti omosessuali” e a ciò che dicono sono errori dottrinali sia nel recente documento sulla "Fratellanza umana" firmato dal Papa sia nell’ Instrumentum laboris sul Sinodo sull’Amazzonia, tenutosi dal 6 al 27 Ottobre 2019 e poi sfociato nei riti di Pachamama nei Giardini Vaticani.
    Il cardinale e il vescovo, ricordando come San Paolo ammonì il primo Papa, San Pietro, “a causa del suo comportamento ipocrita”, ipotizzano che anche San Paolo avrebbe reagito al documento sulla Fraternità umana, firmato dal Papa e dal Grande Imam dell’Università di Al-Azhar, a Abu Dhabi, lo scorso febbraio, in cui si afferma che tutte le religioni sono volute da Dio, o gli errori dottrinali riportati nel documento di lavoro del sinodo sull’Amazzonia (il cardinale e il vescovo li hanno elencati di recente in un appello a pregare e digiunare per impedire che vengano approvati).
    È “impossibile”, dicono, pensare che San Paolo o Sant’Atanasio “rimarrebbero in silenzio” in tali circostanze e si lascerebbero “intimidire” dalle false accuse di “parlare contro il Papa”. Ricordano anche che fu Papa Francesco a chiedere la parresia, per parlare con coraggio e franchezza. Affermando che è Dio “che ci giudicherà”, Burke e Schneider dicono che sono “veri amici di Papa Francesco” che hanno una “stima soprannaturale della sua persona” e l’ufficio di Pietro, e “pregano molto” per Francesco e incoraggiano i fedeli a fare lo stesso.
    Ricordando gli esempi di fedeltà mostrati dai Santi Giovanni Fisher e Tommaso More e altri santi, invitano tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli laici a “difendere l’integrità del deposito della fede” e a “sostenere il Papa nel suo ministero petrino”.
    Qui il testo integrale.
    ***
    Un chiarimento sul significato di fedeltà al Sommo Pontefice
    Nessuna persona onesta può più negare la confusione dottrinale – quasi generale – che ai nostri giorni regna nella vita della Chiesa. Ciò è dovuto in particolare alle ambiguità riguardanti l’indissolubilità del matrimonio, relativizzata attraverso la pratica dell’ammissione alla Santa Comunione di persone che convivono in unioni irregolari; a causa della crescente approvazione degli atti omosessuali, che sono intrinsecamente contrari alla natura e alla volontà rivelata di Dio; a causa di errori riguardanti l’unicità di Nostro Signore Gesù Cristo e la sua opera redentrice, relativizzata attraverso affermazioni erronee sulla diversità delle religioni e in particolar modo a causa del riconoscimento di diverse forme di paganesimo e delle loro pratiche rituali tramite l’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica.
    Alla luce di questa realtà, la nostra coscienza non ci permette di rimanere in silenzio. Noi, come fratelli del Collegio episcopale, parliamo con rispetto e amore, in modo che il Santo Padre possa inequivocabilmente rifiutare gli evidenti errori dottrinali dell’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica e ricusare l’abolizione pratica del celibato sacerdotale nella Chiesa latina attraverso l’approvazione dell’ordinazione dei cosiddetti “viri probati”.
    Con il nostro intervento noi, pastori del gregge, esprimiamo il nostro grande amore per le anime, per la persona di papa Francesco stesso e per il dono divino dell’Ufficio Petrino. Se non lo facessimo, commetteremmo un grande peccato di omissione e di egoismo. Se rimanessimo in silenzio, avremmo una vita più tranquilla e forse riceveremmo persino onori e riconoscimenti. Tuttavia, se tacessimo, violeremmo la nostra coscienza. In questo contesto pensiamo alle note parole del futuro Santo Cardinale John Henry Newman (che sarà canonizzato il 13 ottobre 2019): “Brinderò, se volete, al papa; tuttavia, prima alla coscienza, poi al papa” (Lettera al Duca di Norfolk in occasione della recente rimostranza del Sig. Gladstone). Pensiamo anche a queste parole memorabili e sincere di Melchior Cano, uno dei vescovi più colti al Concilio di Trento: “Pietro non ha bisogno della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l’autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta”.
    In tempi recenti, si è creata un’atmosfera di quasi totale infallibilità delle dichiarazioni del Romano Pontefice, vale a dire di ogni parola del Papa, di ogni suo pronunciamento e dei documenti meramente pastorali della Santa Sede. In pratica, non si osserva più quella regola tradizionale che distingue i diversi livelli delle dichiarazioni del Papa e dei suoi uffici con le loro note teologiche e con il corrispondente obbligo di aderenza da parte dei fedeli.
    Nonostante il dialogo e i dibattiti teologici siano stati incoraggiati e promossi nella vita della Chiesa negli ultimi decenni dopo il Concilio Vaticano II, ai nostri giorni non sembra esserci più alcuna possibilità di un sincero dibattito intellettuale e teologico o la possibilità di esprimere dei dubbi su affermazioni e pratiche che offuscano e danneggiano gravemente l’integrità del Deposito della Fede e della Tradizione Apostolica. Tale situazione porta al disprezzo della ragione e, quindi, della verità.
    Coloro che criticano le nostre espressioni di preoccupazione usano sostanzialmente solo argomenti sentimentali o di potere. Apparentemente non vogliono impegnarsi in una seria discussione teologica sull’argomento. A questo proposito, sembra che spesso la ragione sia semplicemente ignorata e il ragionamento soppresso.
    Un’espressione sincera e rispettosa di preoccupazione riguardo a questioni di grande importanza teologica e pastorale per la vita della Chiesa di oggi, indirizzata anche al Sommo Pontefice, viene immediatamente schiacciata e proiettata sotto una luce negativa con rimproveri diffamatori di “seminare dubbi”, di essere “contro il papa” o addirittura di essere “scismatici”.
    La Parola di Dio ci insegna, attraverso gli Apostoli, ad essere certi, fermi e senza compromessi riguardo alle verità universali e immutabili della nostra Fede e a mantenere e proteggere la Fede di fronte agli errori, come ebbe a scrivere San Pietro, il primo Papa: “State in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi” (2 Pt. 3,17). Ed anche san Paolo lasciò scritto: “Affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4, 14-15).
    Bisogna tenere presente il fatto che l’apostolo Paolo, ad Antiochia, rimproverò pubblicamente il primo papa su una questione meno grave rispetto agli errori che ai nostri giorni si diffondono nella vita della Chiesa. San Paolo ammonì pubblicamente il primo Papa a causa del suo comportamento ipocrita e del conseguente pericolo di mettere in discussione la verità secondo cui le prescrizioni della legge mosaica non sono più vincolanti per i cristiani. Come reagirebbe oggi l’apostolo Paolo se leggesse la frase del documento di Abu Dhabi che afferma che Dio vuole nella sua saggezza ugualmente la diversità di sessi, nazioni e religioni (tra le quali ve ne sono talune che praticano l’idolatria e bestemmiano Gesù Cristo)!? Tale affermazione produce, in effetti, una relativizzazione dell’unicità di Gesù Cristo e della sua opera redentrice! Cosa direbbero San Paolo, Sant’Atanasio e le altre grandi figure del cristianesimo se leggessero una frase del genere e gli errori contenuti nell’Instrumentum laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica? È impossibile pensare che rimarrebbero in silenzio o si lascerebbero intimidire da chi li rimproverasse e accusasse di parlare “contro il Papa”.
    Quando papa Onorio I nel VII secolo ebbe un atteggiamento ambiguo e pericoloso riguardo alla diffusione dell’eresia del monotelismo, che negava la volontà umana di Cristo, San Sofronio, patriarca di Gerusalemme, mandò un vescovo della Palestina a Roma, istruendolo di parlare, pregare e non tacere fino a quando il Papa non avesse condannato l’eresia. Se San Sofronio vivesse oggi, sarebbe certamente accusato di parlare “contro il Papa”.
    L’affermazione sulla diversità delle religioni del documento di Abu Dhabi e in particolare gli errori nell’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica, contribuiscono al tradimento dell’incomparabile unicità della Persona di Gesù Cristo e dell’integrità della fede cattolica. E questo accade davanti agli occhi di tutta la Chiesa e del mondo. Una situazione simile si ebbe nel IV secolo, quando complice il silenzio di quasi tutto l’episcopato, la consustanzialità del Figlio di Dio fu tradita a favore di ambigue affermazioni dottrinali del semi-arianesimo, un tradimento a cui anche Papa Liberio partecipò per un breve tempo. Sant’Atanasio non si stancò mai di denunciare pubblicamente tale ambiguità. Papa Liberio lo scomunicò nell’anno 357 “pro bono pacis”, vale a dire “per il bene della pace”, per vivere in pace con l’imperatore Costanzo e con i vescovi semi-ariani d’Oriente. Sant’Ilario di Poitiers riferì questo fatto e rimproverò Papa Liberio per il suo atteggiamento ambiguo. È significativo che papa Liberio, a differenza di tutti i suoi predecessori, fu il primo papa il cui nome non venne incluso nel Martirologio Romano.
    La nostra dichiarazione pubblica corrisponde alle seguenti parole del nostro Santo Padre Papa Francesco: «Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica: “Questo non si può dire; penserà di me così o così…”. Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un Cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni Cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità» (Saluto ai Padri sinodali durante la Prima Congregazione Generale della Terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 6 ottobre 2014).
    Alla presenza di Dio che ci giudicherà affermiamo: siamo veri amici di Papa Francesco. Abbiamo una stima soprannaturale della sua persona e del supremo ufficio pastorale del Successore di Pietro. Preghiamo molto per Papa Francesco e incoraggiamo i fedeli a fare lo stesso. Con la grazia di Dio, siamo pronti a dare la nostra vita per la verità della fede cattolica sul primato di San Pietro e dei suoi successori, qualora i persecutori della Chiesa ci chiedessero di negare questa verità. Guardiamo ai grandi esempi di fedeltà alla verità cattolica del primato petrino, come San Giovanni Fisher, vescovo e cardinale della Chiesa, e San Tommaso Moro, un laico, e molti altri santi e confessori, e invochiamo la loro intercessione.
    Più fedeli laici, sacerdoti e vescovi si atterranno all’integrità del Deposito della Fede e lo difenderanno, più, di fatto, sosterranno il Papa nel suo ministero Petrino. Perché il Papa è il primo nella Chiesa a cui si applica questa ammonizione della Sacra Scrittura: “Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2 Tim. 1, 13-14).
  6. Claudio C.
    Riportiamo di seguito le riflessioni di Padre Marcelo Bravo Pereira, docente presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sulle modalità in cui si possa "criticare" il Papa o i Vescovi, nel senso inteso cattolicamente parlando, di giudizio legato al discernimento, alla giusta comprensione con retta ragione. Egli ci dice che,  prima di rapportarci a Vescovi o Sacerdoti, dobbiamo chiederci con quale atteggiamento ci stiamo ponendo: di superiorità, di rancore o per il bene della Chiesa e della Verità? Per un miglior discernimento o per "spirito del mondo"? E poi, in quello che noi stiamo criticando, si stanno valutando delle interviste o atti di Magistero? Il fedele si pone nell'atteggiamento di comprendere qual è il contesto in cui viene riportata una affermazione?
    Tali riflessioni nascono spontanee rilevando il numero oramai endemico di fedeli che in questi tempi sono confusi, smarriti, e che sono alla ricerca di punti di riferimento forti, invece che fluidi, solidamente ancorati alla Tradizione, e non in continuo movimento. Molti sono impauriti, e cercano nella Chiesa un supporto, spirituale e morale, solido e fermo, in un periodo in cui le forze mondane portano a prevaricare sui più deboli in maniera sempre più pressante. 
    Questa confusione e questo smarrimento sfociano a volte in giudizi, prima che critiche, attacchi frontali ai propri pastori che, anche qualora possano essere giustificabili, devono essere correttamente motivati ed indirizzati, fatti pesare, anche come macigni, ma sempre per amore della Verità.
    E' il Santo Padre Francesco stesso a invitarci più volte alla parresìa, alla franchezza. Qui in una sua omelia " I capi, gli anziani, gli scribi, vedendo questi uomini e la franchezza con la quale parlavano, e sapendo che era gente senza istruzione, forse non sapevano scrivere, rimanevano stupiti. Non capivano: “Ma è una cosa che non possiamo capire, come questa gente sia così coraggiosa, abbia questa franchezza” (cfr At 4,13). Questa parola è una parola molto importante che diviene lo stile proprio dei predicatori cristiani, anche nel Libro degli Atti degli Apostoli: franchezza. Coraggio. Vuol dire tutto quello. Dire chiaramente. Viene dalla radice greca di dire tutto, e anche noi usiamo tante volte questa parola, proprio la parola greca, per indicare questo: parresìa, franchezza, coraggio. E vedevano questa franchezza, questo coraggio, questa parresìa in loro e non capivano. Franchezza. Il coraggio e la franchezza con i quali i primi apostoli predicavano … Per esempio, il Libro degli Atti è pieno di questo: dice che Paolo e Barnaba cercavano di spiegare agli ebrei con franchezza il mistero di Gesù e predicavano il Vangelo con franchezza (cfr At 13,46)."
    Dobbiamo quindi, con atteggiamento umile, costruttivo e per il bene della Verità, portare i nostri dubbi, le affermazioni che possono sembrare distanti dal Magistero perenne della Chiesa ai nostri Vescovi, ai nostri Sacerdoti, ai Preti e chiederne ragione. Come battezzati è un diritto di chiunque portare le nostre critiche. Ma bisogna essere sempre rispettosi di coloro che, per diretta volontà divina, sono i nostri Pastori e guide, dall'"ultimo" dei Sacerdoti, fino al Papa.
    Fatelo oggi, fatelo subito!
    In Jesu et Maria, Claudio
    ****************************
    Dal libero canale Youtube di Padre Marcelo: Si possono criticare il Papa e i Vescovi? di seguito testualmente il trascritto e poi il video.
    Una domanda che molti cristiani si fanno e se è lecito criticare il Papa, ma vediamo che ci sono tanti che si scandalizzano quando uno critica il Papa; ho sentito qualcuno che diceva che chi criticava il Papa [sarebbe] meglio uscisse dalla Chiesa, mentre ci sono altri che costantemente sembrano prendere di mira il Papa e criticare ogni cosa che fa, ogni cosa che dice in virtù di una cosiddetta fedeltà al Vangelo o fedeltà alla Tradizione.
    Papa Francesco aveva recentemente pensato[al]la Chiesa come un fiume [dove] si può stare più a sinistra si può stare più a destra ma ciò che conta è stare dentro quel fiume, [ma] non uscire dal fiume perché dal momento in cui si esce dal fiume, sia da destra sia da sinistra, si perde questo flusso [ovvero] si esce da questo flusso benefico che è quello della Chiesa; allora possiamo [o] non possiamo criticare il Papa?
    Partiamo con una definizione di tipo etimologico, che cosa significa giudicare e può significare due cose; [criticare] viene dal verbo κρίνω, “crino” e il primo significato di criticare [corrisponde a] quello di giudicare, [ovvero] condannare; il secondo significato è quello di discernere
    Allora la prima domanda è: io posso giudicare il Papa? Chi giudica è un giudice ed il giudice deve stabilire se la persona che è giudicata è reo di una pena o si deve fare con lui (applicare a lui ndr) un certo tipo di giustizia, [quindi] se io giudico il papa mi sto collocando in un certo senso come un giudice; non dimentichiamo anche quello che dice Gesù: con la stessa misura con cui giudicherete sarete giudicati quindi io personalmente starei ben lontano da mettermi nella posizione di uno che giudica i Vescovi o giudica il Papa, perché le mie competenze sono si sono competenze teologiche, ma io non sono un Vescovo ed io non sono un Papa; [inoltr]e sappiamo benissimo che la Chiesa ha ricevuto un dono, che [è] il dono della infallibilità che si esprime in due forme a livello magisteriale con il dogma dell'infallibilità con il quale sono rivestiti i nostri pastori quando insegnano in temi di morale e di fede e poi c'è l'altro carisma che riceve tutta la Chiesa che il sensus fidei, il senso della fede, il senso soprannaturale della fede .
    Il secondo significato di κρίνω, “crino” è quello di discernere e, a questo punto, ogni volta che io ricevo un insegnamento, ma anche il Vangelo stesso, io lo ricevo secondo quello che io sono: io sono una persona quindi devo utilizzare la mia intelligenza, la mia capacità di comprensione per penetrare il mistero che mi viene presentato non per tentar di spiegarlo ,non per tentare di esaurire il significato del mistero perché altrimenti non sarebbe un mistero, ma affinché io possa aderire alla fede, possa aderire a una verità o possa aderire a una indicazione o a un un'enciclica una disposizione del papa o dei vescovi io la devo comprendere con la mia intelligenza proprio perché questo è ciò che mi fa essere umano che mi fa essere persona; la fede trascende la ragione, però la fede non va contro la ragione quindi anche le disposizioni che riceviamo dai nostri Vescovi, da Papa la dobbiamo ricevere con la capacità di riflettere su di essa e, in questa capacità di discernimento, di separare quello che appartiene alla fede e quello che potrebbe essere una proiezione piuttosto culturale del papa o dei vescovi che in questo momento guidano la Chiesa io potrei essere in disaccordo e a questo punto io devo discernere ciò che appartiene all'essenza della fede e ciò che potrebbe essere circostanziale e che potrebbe essere perfino dovuto a un errore di percezione da parte dei nostri Vescovi, da parte del Papa.
    Non dimentichiamo che anche negli Atti degli Apostoli noi vediamo questi momenti in cui per esempio Paolo se la prende contro Pietro perché Pietro che prima mangiava con i con i pagani con i cristiani che venivano da mezzo ai pagani, poi si si ritira e non mangia più con loro. Paolo si mette di fronte a lui e gli rimprovera il fatto di non vivere secondo il messaggio che abbiamo ricevuto
    Ma la stessa cosa capita con Paolo dopo che il Concilio di Gerusalemme aveva stabilito che non c'era bisogno di costringere i pagani che venivano la fede di essere circoncisi, Paolo in qualche modo cedendo alla pressione dei cristiani di origine ebraica fa circoncidere Timoteo.
    Ci può servire a questo punto fare questa riflessione partendo da un documento molto importante della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1990 che si chiama Donum Veritatis e che è riferito al rapporto tra magistero e i teologi e soprattutto affronta il tema del dissenso quando un teologo si rende conto di non essere in accordo con l'insegnamento del Papa o con l’insegnamento dei Vescovi; come si deve comportare questo teologo quando, nella sua riflessione, nel suo approfondire la fede, si rende conto di non essere in accordo con il Papa?
    Prend[endo] alcuni spunti da questo documento, li applichiamo alla situazione che stiamo affrontando [e che è]  appunto il tema del dissenso, [ovvero] posso [o] non posso criticare il Papa? Posso o non posso criticare i Vescovi?
    Ho separato alcuni paragrafi che leggo è commento con voi; all'inizio del documento firmato dal Cardinal Ratzinger che allora era il prefetto per la dottrina della fede si legge: “il teologo deve discernere in sé stesso l'origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede” ; l'impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione molto bello, come sta espresso qui: quando il teologo si trova in una situazione di dissenso la prima cosa che deve fare [è] discernere, appunto quello che dicevamo giudicare, ma prima di giudicare riguardo a ciò che dice il Papa [egli] deve giudicare sulle proprie intenzioni, su ciò che ha nel suo cuore [chiedendomi]: per quale motivo io non riesco ad aderire a quello che dice il Papa? Qual è l'origine? Quali sono le motivazioni dell'atteggiamento critico? Perché il motivo può essere giusto e lo dice anche il documento: in ciò che corrisponde non temi di fede o di morale il magistero nell'insegnamento quando non sta insegnando temi di fede e di morale potrebbe commettere degli errori; questo è umano: la Chiesa è stata fondata su Dio in Cristo però è stata data agli uomini che sono perfettibili che hanno errori di percezione e può darsi che in un momento, in alcune atteggiamenti soprattutto pratici, i nostri Vescovi o il Papa commettono degli errori quindi potrebbe essere giustificato [e] comprensibile
    Ma la mia domanda è: cosa mi muove a criticare? Ed io ho visto nella mia esperienza come teologo che alle volte ci sono alcune persone che sono d'accordo con il Papa perché il Papa è in accordo con loro; nel momento [invece] in cui il Papa insegna una dottrina che non corrisponde a ciò che io penso che dovrebbe essere la dottrina della fede o [ne] insegno una nel mio insegnamento non ufficiale o non solenne, [io] insegno qualcosa che corrisponde piuttosto a una corrente di tipo di pensiero più che al alla dottrina della fede: immediatamente scatta qualcosa dentro di me, come se non si non fossi o preoccupato tanto dalla correttezza della dottrina ma piuttosto del fatto che mi sta contraddicendo e allora è importante fare un discernimento per vedere cosa c'e nel mio cuore quando io non riesco ad aderire a quello che insegna il Papa cosa c'è nel mio cuore. Ho aderito alla fede o ho aderito alla mia versione di fede, alla mia [personale] posizione di fede; questa è la prima cosa che bisogna fare [e] che molti non fanno.
    Un altro passo di questo documento dice: “la volontà di ossequio leale a questo insegnamento del magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola” ; qui sta parlando di tutti quegli insegnamenti che non sono insegnamenti di fede [ma] che sono insegnamenti di tipo prudenziale; noi abbiamo sentito tante cose ultimamente riguardo per esempio come affrontare dal punto di vista ecclesiale il problema della pandemia [che] quindi non sono temi di per sé irriformabili o definitivi o fondamentali per la fede, [ma] riguardano piuttosto scelte prudenziali; però il documento sta dicendo che io devo avere la volontà di ossequio leale, come fedele cristiano, come teologo, come sacerdote nei confronti dei nostri vescovi devo avere un atteggiamento di ossequio leale cioè di apertura di benevolenza ; non è possibile che un fedele ogni volta che un Vescovo parli, immediatamente andiamo a trovare dove sbaglia perché non partire [invece] da quello che positivo, da quello che è costruttivo? E poi in un secondo momento forse se io trovo delle cose da migliorare. “L'uomo buono vede tutto con occhi di bontà”, continua la lettura; qui si sta parlando del momento in cui sorgono le tensioni e dice il documento, se le tensione non nascono da un sentimento di ostilità e di opposizione possono rappresentare un fattore di dinamismo e uno stimolo che sospinge il magistero e di teologi ad adempiere le loro rispettive funzioni praticando il dialogo.
    Questo si riferisce al [rapporto] tra magistero e i teologi, ma potrebbe essere riferito a qualunque cristiano. I fedeli nei confronti dei propri vescovi sono persone attive, sono persone intelligenti. Magari tutti i cristiani avessero la formazione sufficiente per poter proporre anche ai nostri vescovi dei miglioramenti, delle osservazioni di approfondimento; magari potesse essere così, perché questo spinge i pastori a un dialogo proficuo. Ogni cristiano potrebbe essere un profeta e parlare in nome di Dio, sempre d'accordo con la fede [che] è sempre in virtù di quel dono che ha ricevuto ogni cristiano nel sensus fidei; quando tu veramente vivi la tua fede, il Signore ti d[ona] questa [capacità] spirituale di poter capire la fede e qui si crea un rapporto di dialogo abbastanza interessante, che arricchisce la Chiesa, ma sempre in atteggiamento costruttivo; se io [mi pongo] con un atteggiamento di superiorità, [avendo magari] fatto semplicemente degli studi del catechismo, e ho seguito qualche sacerdote, ho letto qualche libro [e] già mi sento il maestro di teologia e comincio a giudicare quello che si deve fare o non si deve fare senza conoscere in profondità la teologia, senza conoscere neanche la storia della Chiesa, la storia della teologia, la storia dei dogmi, che conosce dei momenti di andare in avanti ed andare indietro*, quindi mettermi in una posizione di superiorità non funziona; però una posizione di dialogo costruttivo è sempre utile, sempre importante.
    C'è un ultimo paragrafo di questo documento Donum Veritatis, che vi leggo per intero (numero 30), e che mi sembra molto importante proprio in queste circostanze, quando il teologo ma anche quando il fedele si trova nella situazione in cui non capisce e pensa che non riesce a conciliare la propria visione della Chiesa o la visione tradizionale della chiesa con quello che è l'insegnamento Magisteriale: “se malgrado un leale sforzo le difficoltà persistono, è dovere del teologo”, e io direi di ogni cristiano “far conoscere alle autorità magisteriale i problemi suscitati dall'insegnamento in sé stesso nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato, egli lo farà in uno spirito evangelico con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà; le sue obiezioni potranno allora contribuire a un reale progresso stimolando il Magistero a proporre l'insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato, in questi casi il teologo eviterà di ricordi ricorrere ai mass media invece di rivolgersi alle autorità responsabile perché non è esercitando in tal modo una pressione sull'opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità”.
    Quindi secondo me dobbiamo bandire articoli video, commenti, lettere aperte che l'unica cosa che riescono a fare è gettare fango sul ministero episcopale, sul ministero del Papa se io devo presentare la verità lo dovrò presentare nel modo giusto, offrire delle soluzioni, parlare senz'altro, parlare.
    Ma nel momento in cui io comincio a mettere in dubbio la fede dei Vescovi, a mettere in dubbio la loro competenza teologica, la loro competenza pastorale, a pensare che il Papa ormai e non è più il Papa gettare fango sulla persona dei nostri Vescovi non è un servizio che si fa alla Chiesa.
    Torno al primo punto che ho commentato di questa lettera: non c'è lo Spirito di Dio lì dove c'è una critica non cristiana, una critica insultante, una critica dove io mi metto al di sopra dell'altro e divento giudice del Papa, divento il giudice dei Vescovi. Lì non c'è lo Spirito di Dio e non c'è verso perché lo Spirito Santo è lo spirito che costruisce e lo spirito che porta alla pace e lo spirito di unione, non lo spirito di divisione.
    Io posso avere tutte le giustificazioni possibili e pensare che sto facendo un servizio alla Chiesa, ma invece sto aiutando alla decomposizione della stessa e soprattutto se questi sono Sacerdoti devono rispondere a Dio di questo, di lasciarsi guidare non dallo spirito di Dio ma dallo spirito di questo mondo, dallo spirito di divisione.
    Quindi il soggetto, le parole che utilizza, il contesto in cui lo dice, non è la stessa cosa a dirlo nel Concilio o dirlo in un'Enciclica che dirlo in un'intervista mentre si sta andando in aereo o un incontro puramente casuale
    L'oggetto di Magistero, la Verità che viene pronunciata ha un valore diverso a seconda del contesto in cui viene detto quindi a questo punto noi possiamo vivere che anche con serenità questo momento un'ultima cosa quando noi dobbiamo discernere sul valore di fede o l'obbligatorietà dell'adesione al Magistero dobbiamo prendere in considerazione alcuni punti:
    In primo luogo: chi lo dice? Il soggetto del magistero: lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi, con quali parole parla. Per esempio Amoris Laetitia** al numero 8: all'inizio di questa esortazione apostolica il Papa ha detto: io non intendo cambiare la dottrina e questo è molto importante perché getta luce su tutto il documento.
     
    NOTE.
    * Probabilmente trattasi di un problema linguistico che ha causato un errore nel parlato; come ben noto a qualunque fedele cattolico questa è la definizione di  dògma (raro dòmma) s. m. [dal lat. dogma -ătis, gr. δόγμα -ατος «decreto, decisione», der. di δοκέω «mi sembra»] (pl. -i). – Principio fondamentale, verità universale e indiscutibile o affermata come tale: d. filosofici, politici; i d. della scienza; d. giuridico, principio teorico di un istituto giuridico, del quale costituisce il sostrato fondamentale. In partic., nella teologia cattolica, dogma di fede, o assol. dogma, verità soprannaturale contenuta, in modo implicito e esplicito, nella Rivelazione, e proposta dalla Chiesa come verità di fede, oggettiva e immutabile: d. della Trinità; d. dell’Immacolata Concezione; sancire, proclamare un dogma. Per estens.: questo per me è un d., è un d. di fede, ritenere un d., accettare come un d., e sim., di cosa a cui si crede ciecamente e che non si pone in discussion
    ** A riguardo della esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, alcuni cardinali hanno richiesto chiarimenti sulle ritenute incongruenze della esortazione con Spirito di Verità ed umiltà, con parresìa. Testo completo qui -->  http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2016/08/testo-integrale-in-lingua-italiana.html
     
     
     
  7. Claudio C.
    Riportiamo di seguito l'articolo che trovate sul numero della Quotidiano - La Verità a doppia firma di Mons. Nicola Bux (qui la biografia ) ed Ettore Gotti Tedeschi (qui la sua biografia).
    La paura di perdere la vita grazie alla pandemia e l’isolamento  forzato per evitare contagi, avrebbero potuto essere due grandi  opportunità  per la nostra amata Chiesa per far riflettere sul valore e sul senso della vita e  sul valore della libertà.  Questo è un compito primario  della Chiesa, come peraltro la prima Enciclica di questo pontificato, Lumen Fidei, chiaramente indica. La Chiesa dovrebbe infatti  imitare  Cristo :  “Io sto in mezzo a voi ,come colui che serve" ( Lc,22-27)
    Avendolo  forse fatto così discretamente, e con tale “rispetto umano”, che pochi se ne sono accorti, la nostra Chiesa ha  perso una grande opportunità di confortare spiritualmente  chi ne aveva bisogno,  rischiando anche  di perdere  credibilità  nella sua missione soprannaturale.
    L’Autorità morale in questo periodo sembrerebbe voler comunicare all’esterno una tiepida “neutralità  morale”. 
    Non è stata  colta una  forte ed eroica proposta di voler esser utile alla sofferenza spirituale , riaffermando in ogni modo ed occasione  la Verità . Non è stata notata una  eroica volontà di voler cogliere questa occasione  per proporre efficacemente  la ricerca di  conversione personale ed il desiderio di Dio . Non è stato notato un grande ed opportuno sforzo eroico per  cercar di spiegare in queste circostanze cosa è moralmente vero o falso, moralmente giusto ingiusto, bene o male. In compenso si sono lasciati intendere tentativi di banalizzazione della scienza e della ragione, quando si è tentato di spiegare la cause della pandemia. Certo per nostra scarsa  diligenza o pregiudizi, non abbiamo ben percepito indicazioni spirituali per beneficiare di questi momenti di paura ed isolamento. Son stati invece intesi auspici per una  misteriosa “fratellanza" umana ( senza riferimenti a Dio che la giustifichi ) e sollecitazioni per  un non definito  dialogo inter-religioso, con vaghe indicazioni di un Dio unico per tutte le religioni, accompagnato da una altrettanto vaga preghiera universale.
    Ma attenzione! Questi sono i concetti fondanti di sincretismo religioso fra fedi, prima inconciliabili , miranti a forme di unità religiosa al di là di dogmi di fede. Abbiamo anche inteso l’annuncio  di una proposta di  <nuovo umanesimo>.  Nuovo perché si pensa di  considerare superato l’antico umanesimo cristiano fondato sulla natura umana fatta di anima, corpo, intelletto, ferita dal peccato originale, redenta da Dio incarnato? Come si può pensare di umanizzare qualcuno o qualcosa se prima non si riconosce chi è il Creatore di ciò che è umano? 
    Ma c’è un fatto più misterioso che va compreso. Se la Chiesa ormai si presenta e propone come istituzione operante nel sociale, e nei fatti lascia intuire che la Santa Messa, anziché “santo sacrificio divino” è solo una “assemblea”, come tale deve esser regolata dalle disposizioni del governo per le riunioni pubbliche. Perché lamentarsene allora? Per queste ragioni  temiamo  che il maggior cambiamento post-Covid possa riguardare proprio l’Autorità Morale. L’Autorità Morale rischia infatti di esser dis-intermediata non solo da religioni pragmatiche, ma persino dal filantropismo. Il filantropismo (o carità senza Verità) vorrebbe esser proprio il competitore laico della carità cristiana. Grazie alle lusinghe e all'influenza del filantropismo  l’Autorità Morale  rischia di convertirsi in alfiere della nuova religione universale, l’ambientalismo, destinato ad accomunare tutte le culture verso un unico valore universale. 
    A volte la Chiesa sembra esser stata profetica per il post-Covid, avendo persino anticipato il riconoscimento di un ruolo dominate dello stato, cercando appoggi geopolitici fuori da quelli tradizionali occidentali, lasciando immaginare fusioni fra religioni ( come fossero imprese ), permettendo fossero sviliti  gli ostacoli a questa trasformazione ( dogmi, famiglia, sovranità, tradizione ..). Fino a qualche tempo fa la Chiesa non doveva occuparsi di economia di scienze e di politica, doveva limitarsi a pensare solo alle coscienze . Oggi viene imposto  alla Chiesa di occuparsi di economia, scienze,  politica, ma non di coscienze.E lei sembra aver accettato . E’ ineluttabile la sua disintermediazione  conseguente. Oggi, in questa situazione, la Chiesa dovrebbe ingegnarsi nel proporre e spiegare “il mistero trascendente”  di quanto è accaduto e potrà accadere, non proporre soluzioni che prescindono  da Cristo e illudono e basta. La Chiesa oggi deve  riaccendere e dare speranza  a tutti e  lo può  fare dialogando, ma  dialogando per far trovare Cristo, evangelizzando, perché oggi  la vera fame e sete è anzitutto di Dio . La vera soluzione sta nel ritrovare Dio. 
    Così soltanto, "andrà tutto bene" , in questo mondo e nell'altro. 
  8. Claudio C.
    Riportiamo di seguito un estratto della riflessione dell'Avv. Francesco Patruno per il blog STILVM CVRIAE  dal titolo  PATRUNO. CHE ACCADE DA LUNEDÌ CON IL PROTOCOLLO CEI-GOVERNO? sulla interpretazione da darsi al protocollo tra CEI e Governo italiano e circa la distribuzione della Santa Eucaristia. Invitiamo, per chi volesse approfondire compiutamente, a leggere l'articolo integrale sopra riportato. Di seguito riportiamo l'essenziale, a mo' di manualetto.
    "E quindi chi risponderà per eventuali violazioni del Protocollo? Ed a quali sanzioni andrà incontro?
    Si tratta di quesiti di difficile risposta. Senz'altro ci sembra che non possano ascriversi particolari responsabilità – di là di quella generale che ricade su ogni cittadino in questo periodo, che impone il distanziamento sociale e l’uso di dispositivi di sicurezza – sui fedeli. Ed a ben vedere anche per lo stesso legale rappresentante dell’ente sembra escludersi la possibilità di sanzioni – dal punto di vista statale e, direi, pure canonico – per eventuali violazioni, salvo che le condotte non siano sussumibili in violazioni di leggi e prescrizioni statali in questo periodo.
    Del resto, dal tenore del Protocollo, emerge come lo stesso non contenga, a ben vedere, vere e proprie norme vincolanti tranne alcune (ad es., i punti 1.1, 1.2, 1.5, 3.2, 3.3, 3.10, 4.2), mentre la maggior parte di queste hanno indubbio carattere esortativo, quasi a livello di raccomandazione, di suggerimento per una celebrazione eucaristica “in sicurezza”.
    Altro interrogativo è se le diocesi o le singole conferenze episcopali regionali possano adottare ulteriori prescrizioni rispetto a quelle indicate dal Protocollo.
    Ciò è senz’altro possibile, nell’ambito di quanto statuito da quest’atto, prevedendo eventualmente delle cautele maggiori se lo esigono le circostanze territoriali (penso, ad es., alle zone lombarde) ovvero lo richiedano le specificità dei riti praticati (come è stato, ad es., per l’Eparchia di Lungro).
    Veniamo al punto controverso che concerne propriamente la distribuzione della Comunione.
    Il punto 3.4 stabilisce: «La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli».
    Quel che emerge, in primo luogo, è il carattere esortativo della disposizione de qua. I verbi adoperati “avvenga” e “abbiano cura” esprimono l’idea di una raccomandazione, di un suggerimento, di esortazione paternalistica, ben diversa, dunque, da quella dell’obbligo stringente (non dice, infatti, “deve avvenire” né si adoperano forme verbali similari a questa). Avendo, dunque, valore esortativo, il celebrante potrebbe eventualmente anche decidere di non avvalersi di questo suggerimento, anche perché – come detto – non è prevista ex se alcuna sanzione in caso di sua violazione né potrebbe intervenire alcun’autorità dello Stato ad esigere il rispetto di quella specifica prescrizione, non essendo il Protocollo fatto proprio dallo Stato in un atto normativo o regolamentare/amministrativo.
    Taluno (specie sacerdote), in effetti, si è lamentato, che non prenderà mai il Corpo di Cristo con un “preservativo” (v. qui), anche perché, per quei guanti monouso, essendo venuti in contatto con le sacre specie e nel timore, che possano conservarne dei frammenti, si porrebbe la questione liturgico-canonica del loro smaltimento. Questo, infatti, non potrebbe avvenire nel fuoco o nella terra in luogo appropriato o nel c.d. sacrario (essendo i guanti solitamente in materiale non biodegradabile ed anzi inquinante) e, d’altro canto, si pone il problema, quantomeno morale, di evitare di incorrere nel delitto di cui al can. 1367 del codice di diritto canonico («chi profana le specie consacrate, […] incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale»). La codificazione del 1917 (can. 1306), non a caso, prescriveva che tutto ciò che fosse venuto in contatto con le sacre specie fosse accuratamente lavato da ecclesiastici e versata la relativa acqua nel sacrario o nel fuoco («calici, patene, purificatoi, palle e corporali […] se furono adibiti per la Messa, e questi ultimi tre prima del bucato [fossero] lavati da ecclesiastici, versandone l’acqua nel sacrario o nel fuoco»). Disposizione simile oggi si trova nel § 120 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum («I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto»). Per cui, è più che legittimo porsi la questione dello smaltimento dei guanti monouso, che dovessero venire in contatto con le specie eucaristiche così come con gli oli santi, nel caso della celebrazione dei Battesimi e dell’Unzione degli Infermi (una nota al punto 3.8 precisa: «Nelle unzioni previste nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo e dell’Unzione degli infermi, il ministro indossi, oltre alla mascherina, guanti monouso»).
     
    Tornando al punto in discussione, a parte la circostanza che esso, per come è formulato, si atteggia più ad una raccomandazione che non ad un obbligo, vi è la circostanza innegabile che nel Protocollo non si dica affatto che il sacerdote debba prendere il Corpo di Cristo, da distribuire ai fedeli, con i guanti monouso, ben potendo adoperarsi, per la distribuzione della Comunione, le c.d. pinze eucaristiche, vale a dire un utensile liturgico, da secoli utilizzato dalla Chiesa in tempi di pestilenze (v. qui), come suggeriva, del resto, anche la diocesi di Milano (v. qui). Nulla di scandaloso, quindi, che il sacerdote, preoccupato di frammenti, sia pur minimali, di Ostia sul guanto monouso, possa, per precauzione, adoperare quest’utensile liturgico, avendo cura, ovviamente, della sua sterilizzazione dopo ogni celebrazione.
    Nel Protocollo, per di più, non si legge neppure – a stretto rigore – che l’Ostia sia distribuita solo sulla mano. La disposizione, in effetti, afferma solo che sia evitato il contatto con le mani dei fedeli – per coloro che prendono l’Ostia in mano – ma nulla si legge circa quei fedeli che assumono l’Ostia sulla lingua. Non essendoci, perciò, un divieto in tal senso, sembra potersi affermare che l’Ostia ben possa essere presa sulla lingua da parte dei fedeli. In questo caso, secondo buon senso, bisognerà evitare che la mano del celebrante o dell’eventuale ministro straordinario, ovvero le c.d. pinze eucaristiche, vengano in contatto con la bocca o la lingua del fedele. Per questo, i vescovi non potrebbero né imporre la Comunione sulla mano né vietare quella sulla lingua (v. qui), come invece disposto da alcuni, come ad es., il vescovo pugliese di Conversano-Monopoli (v. qui) senza che, nella sua diocesi, ci siano particolari esigenze sanitarie.
    Taluno, inoltre, preso da devoto zelo, si spinge a suggerire che, al termine della distribuzione della Comunione, essendo le dita del sacerdote venute in contatto con il Corpo di Cristo, siano nettate, anziché con un qualche detergente, bensì ponendo «le dita su una piccola fiamma come indicava San Carlo Borromeo durante la peste che colpì Milano» (v. qui). Preferiamo sorvolare su questa misura proposta, che va, evidentemente, storicizzata ed inserita nel suo contesto storico-sociale e culturale, tanto più che, in alternativa, a questo metodo “ustionante”, lo stesso Santo proponeva di lavare le dita in aceto preparato a tal fine, che si dovrà poi consumare nel fuoco (v. qui).
    Ancora un interrogativo. Qualcuno ha affermato che il Protocollo sarebbe applicabile solo alla distribuzione della Comunione all’interno della messa, mentre extra Missam, il sacerdote non sarebbe tenuto al rispetto di quanto stabilito dal punto 3.4.
    In realtà, a parte la circostanza che – va ribadito – questo punto anche all’interno della celebrazione eucaristica ha un mero valore di raccomandazione, sembra, comunque, potersi escludere che il punto 3.4 riguardi solo le celebrazioni eucaristiche. Esso – per come è formulato – concerne, infatti, tutte le ipotesi di distribuzione della Comunione. Ce lo conferma il punto 3.8, secondo cui: «Il richiamo al pieno rispetto delle disposizioni sopraindicate, relative al distanziamento e all’uso di idonei dispositivi di protezione personale, si applica anche nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica o inserite in essa», come nel caso, ad es., di Battesimi, Matrimoni, ecc.
    Quelle misure, dunque, valgono pure «nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica», come potrebbe essere la Comunione al di fuori della S. Messa.
    Basterà adoperare, in fondo, le disposizioni cum grano salis e secondo buon senso.
    Vedete anche questi collegamenti:  
    https://rorate-caeli.blogspot.com/2009/11/it-is-not-licit-to-deny-communion-on.html e 
    http://blog.messainlatino.it/2009/11/la-comunione-al-tempo-del-colera.html  Buona lettura…
  9. Claudio C.
    Riportiamo qui di seguito le riflessioni inviateci da Mons. Nicola Bux (qui la sua Biografia) sulla giornata del 14 Maggio 2020, promossa dal Pontefice per la "liberazione da tutte le pandemie". Eccole di seguito.
    La specificità cristiana non impedisce, sebbene non tutto nelle religioni sia ugualmente valido, di convivere e rispettare coloro che le seguono, in specie se sono coscienti di intendere e adorare Dio in modo diverso. Invece si è fatta strada l’idea che il cristiano debba giungere ad ospitare nella sua chiesa il musulmano che prega Allah secondo le sue usanze, e che a sua volta il musulmano nella sua moschea dovrebbe ospitare il cristiano che pregherà secondo il suo credo. Alcuni episodi sono interpretati come attuazione di tale auspicato desiderio: le riunioni convocate da Papa Giovanni Paolo II proprio in Assisi dei leaders delle religioni a pregare per la pace, l’afflusso di induisti e altri uomini religiosi avvenuto a Calcutta per i funerali di madre Teresa, i meetings della comunità di Sant’Egidio. E’ vista con entusiasmo la preghiera dei partecipanti a questi incontri, eseguita secondo i diversi modi e i diversi costumi, ma avente ugual fine: adorare il Signore, comunque lo si voglia immaginare. Si ritiene infatti che non vi sia alcuna differenza se un uomo adora una icona o un totem, una qualsiasi sembianza del dio in cui crede: può sembrare che adori un essere supremo diverso da quello adorato da altri, ma nella sostanza adora lo stesso Dio, diversamente raffigurato, in base a diversi attributi e dogmi.
     Si deve premettere che solo tra i cristiani si è diffusa tale opinione, che per la sua apparente capacità di valorizzare il diverso, paradossalmente finisce per avallare proprio la differenza e la superiorità del cristianesimo. Ciò non toglie che sia una distorsione, innanzitutto perché l’esistenza di tante religioni con lo stesso grado di validità non spiega la loro molteplicità; poi, perché nel caso del cristianesimo non sono i cristiani a farsi l’immagine di Dio ma è Dio a aver dato la sua immagine in Gesù Cristo; noi abbiamo un’idea di Dio come persona, che non è propria delle altre religioni, salvo in certo modo il giudaismo. A questo punto dobbiamo ricorrere all’approfondimento che Ratzinger offre sulla preghiera multireligiosa e quella interreligiosa (Fede.Verità.Tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p 110 s.): una volta assodato che ci sono almeno due modi di intendere il divino, quello di un Dio impersonale, lontano e quello di un Dio vicino, personale, egli indica per il primo tipo di preghiera due condizioni per svolgerla: 1.che debba rimanere eccezionale; 2. che ad evitare confusione sia dichiarato in partenza che non esista appunto una comune idea di Dio e una comune fede in lui. Quanto alla preghiera interreligiosa, dubitando che si possa fare in verità e onestà, il cardinale pone tre condizioni elementari da garantire, senza le quali diventa una negazione della fede: 1.Deve esservi unanimità su cosa sia Dio e cosa il pregare; ancora, che Dio è persona, cioè può conoscere e amare, ascoltare e rispondere, e il male non gli appartiene. 2.Deve essere chiaro che cosa è degno di preghiera. Non possono essere oggetto di preghiera, richieste opposte a quelle contenute nel Padre nostro. 3.Deve escludere ogni impressione relativistica circa l’unicità di Dio e di Cristo davanti ai non cristiani, o l’idea dell’interscambiabilità delle religioni.
    Devo supporre che nostro Signore quando ha insegnato a rivolgersi al Padre celeste non immaginasse che i suoi sarebbero ritornati ad usare verso Dio, in parallelo, nomi ed espressioni enigmatiche e non vere, magari pensando di convincere le altre religioni della bontà dell’obbiettivo salvifico assegnato alla sua Chiesa! La liturgia è cattolica in quanto adorazione della paternità universale di Dio, quindi prevede l’arrivo di altri popoli alla fede, abbracciati proprio dalla cattolicità della preghiera: ricorrere ordinariamente a forme interreligiose vuol dire non credere che la nostra preghiera sia cattolica o, come si dice nella Messa, preghiera universale. Potrebbe esserci qualcosa di più universale e “interreligioso” della croce di Gesù Cristo da cui viene l’efficacia stessa della preghiera filiale? E’ nel Figlio che possiamo rivolgerci al Padre. Ogni altra preghiera è al più un surrogato non cattolico. Anzi, secondo Paolo, è idolatria da rifuggire, perché <ciò che i Gentili sacrificano agli idoli, è sacrificato ai demoni e non a Dio>. Non si può dai cristiani <partecipare della mensa del Signore e della mensa dei demoni>(1 Cor 10,14.20-21). Il Signore è uno solo e non tollera concorrenti.
    A questo punto mi sembra che, meglio del sacramento dell’altare, nulla aiuti a distinguere il Dio personale cristiano dagli altri dèi (cfr Es 20,3; Dt 5,7), e soprattutto ad orientare chi non lo è all’adorazione dell’unico vero Dio; Gesù dovette ricordarlo a Satana: “Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo servirai “(Mt 4,10). Qui si giunge all’Essere e alla linea di demarcazione della storia delle religioni, perché dinanzi a Cristo si manifesta tutta l’originalità cristiana dell’invito alla conversione: infatti significa anche che l’uomo, con libertà di coscienza, deve poter cambiare religione. Mentre per buona parte delle religioni politeiste è ritenuto indifferente il passaggio da una religione all’altra quando addirittura non si tollera la doppia appartenenza, per il monoteismo giudeo-cristiano, imitato da quello islamico, l’abbandono o distacco (in greco apostasia) è considerato una colpa grave. Ciò nonostante, il passaggio da una religione all’altra – per il cristianesimo deve essere una metanoia, una trasformazione del nous, la mente - è sintomo del fatto che nella religione c’è un fattore di movimento, opposto ad una concezione statica che porta a rifiutare la missione. Se la catechesi odierna prova imbarazzo o censura la conversione da un’altra religione a Cristo, proprio la dinamica interna ad ogni religione dimostra che la missione conserva tutta la sua urgenza, il dialogo non può sostituirla, perché, nonostante certe ambiguità nell’ecumenismo, al dono di Cristo hanno diritto tutti e sempre nel mondo.
     
     
  10. Claudio C.
    Il 22 Maggio si ricorda Santa Rita. Nel nostro omaggio a lei, nell'ultimo giorno della Novena a Lei dedicata, chiediamo che possa intercedere, come santa delle cause impossibili, per la conversione di coloro che non credono, oggi più che mai.
    Redazione #IPC. Claudio
    Preghiera a Santa Rita, modello di vita. Santa Rita da Cascia, modello delle spose, delle madri di famiglia e delle religiose, io ricorro alla tua intercessione nei momenti più difficili della mia vita. Tu sai che spesso la tristezza mi opprime, perché non so trovare la via d'uscita in tante situazioni dolorose, sia materiali che spirituali. Ottienimi dal Signore le grazie di cui ho bisogno, specialmente la serena fiducia in Dio e la calma interiore. Fa' che io imiti la tua dolce mitezza, la tua forza nelle prove e la tua eroica carità e chiedi al Signore che le mie sofferenze possano giovare a tutti i miei cari e che tutti possano essere salvi per l'eternità.

    Preghiera per i casi impossibili e disperati. O cara Santa Rita, nostra Patrona anche nei casi impossibili e Avvocata nei casi disperati, fate che Dio mi liberi dalla mia presente afflizione......., e allontani l'ansietà, che preme così forte sopra il mio cuore. Per l'angoscia, che voi sperimentaste in tante simili occasioni, abbiate compassione della mia persona a voi devota, che confidentemente domanda il vostro intervento presso il Divin Cuore del nostro Gesù Crocifisso.
    O cara Santa Rita, guidate le mie intenzioni in queste mie umili preghiere e ferventi desideri. Emendando la mia passata vita peccatrice e ottenendo il perdono di tutti i miei peccati, ho la dolce speranza di godere un giorno Dio in paradiso insieme con voi per tutta l'eternità. Così sia.
    Santa Rita, Patrona dei casi disperati, pregate per noi. Santa Rita, Avvocata dei casi impossibili, intercedete per noi.
    3 Pater, Ave e Gloria.
    Alcuni miracoli
    Il miracolo della Spina. Era il Venerdì Santo del 1432, S. Rita tornò in Convento profondamente turbata, dopo aver sentito un predicatore rievocare con ardore le sofferenze della morte di Gesù e rimase a pregare davanti al crocefisso in contemplazione. In uno slancio di amore S. Rita chiese a Gesù di condividere almeno in parte la Sue sofferenze. Avvenne allora il prodigio: S. Rita fu trafitta da una delle spine della corona di Gesù, che la colpi alla fronte. Fu uno spasimo senza fine. S. Rita portò in fronte la piaga per 15 anni come sigillo di amore.

     
    Il Prodigio della rosa. A circa 5 mesi dal trapasso di Rita, un giorno di inverno con la temperatura rigida e un manto nevoso copriva ogni cosa, una parente le fece visita e nel congedarsi chiese alla Santa se desiderava qualche cosa, Rita rispose che avrebbe desiderato una rosa dal suo orto. Tornata a Roccaporena la parente si reco nell'orticello e grande fu la meraviglia quando vide una bellissima rosa sbocciata, la colse e la portò a Rita.
    Cosi S. Rita divenne la Santa della "Spina" e la Santa della "Rosa".

    Il corpo di Santa Rita. Il corpo di Rita non è mai stato sepolto, proprio per il forte culto nato immediatamente dopo la sua morte. Da subito, infatti, grazie alle sue virtù, cominciano ad arrivare gli ex voto portati dai devoti. Vedendo tanta venerazione, le monache, decidono di riporre il santo corpo in una cassa. È a questo punto che Mastro Cecco Barbari s’incarica di costruire (più probabile: far costruire) la prima bara detta “cassa umile”. Tra le carte del processo, si legge che: «dopo morta, dovendosi fare una cassa per riporre il corpo della Beata per li tanti miracoli che faceva, né trovandosi chi la facesse, un certo mastro Cicco Barbaro da Cascia, concorso se con le altre genti in detta chiesa per vedere il corpo della beata, ch’era struppio delle mani, disse “o’ se io non fussi struppiato, la farei io questa cassa”, e che dopo dette parole restò sano delle mani e fece la cassa…».Mastro Cecco, nel vedere il corpo di Rita, immediatamente guarisce. Questa testimonianza ha un grande rilievo storico perché ci fa capire con chiarezza che la Beata, appena morta, viene portata nella chiesa senza cassa, sicuramente avvolta in un lenzuolo, per essere poi sepolta nel loculo delle monache. Ma la gente accorre continuamente per venerarla, impedendo così che le sue consorelle procedano al rito della sepoltura. Il corpo, quindi, resta così per qualche tempo e, intanto, si diffonde la voce che Rita compia dei miracoli. Sempre nel 1457, a causa di un incendio divampato nell’oratorio, la cassa e il corpo rimasti intatti, vengono messi nel sarcofago, conosciuto come “cassa solenne”. Probabilmente, anche questa cassa viene fatta dallo stesso Cecco Barbari come ex voto oppure su commissione della sua famiglia, devotissima alla Beata. Questa cassa solenne, fatta a soli dieci anni di distanza dal trapasso di Rita, mostra la sua fama di santità già diffusa. Sopra, viene inserito un epitaffio commemorativo. Il corpo di Santa Rita viene poi spostato ulteriormente, fino a giungere nella bellissima cappella dentro la Basilica a lei intitolata. Oggi, la cassa umile si trova custodita all’interno della cassa solenne, nella cella di Santa Rita, visibile durante le visite al Monastero. (1) 

    Vita di Santa Rita.
    Santa Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, nata a Roccaporena (Cascia) attorno al 1380, è forse la donna più amata della Cristianità, seconda soltanto a Maria SS., la Madre di Dio. Santa Rita è così amata e venerata dal popolo forse perché la gente la sente molto vicina a sé, per la "normalità" dell'esistenza quotidiana da lei vissuta (pur costellata da molti eventi straordinari), prima come sposa e madre, poi come vedova e infine come monaca agostiniana. Gli ultimi 40 anni della sua vita Rita li visse proprio come monaca, in assidua contemplazione, penitenza e preghiera, completamente dedita al Signore. S. Rita prima di chiudere gli occhi per sempre, ebbe la visione di Gesù e della Vergine Maria che la invitavano in Paradiso. Una sua consorella vide la sua anima salire al cielo accompagnata dagli Angeli e contemporaneamente le campane della chiesa si misero a suonare da sole, mentre un profumo soavissimo si spanse per tutto il Monastero e dalla sua camera si vide risplendere una luce luminosa come se vi fosse entrato il Sole. Era il 22 Maggio del 1447. Dopo la sua morte, la venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli crebbe vertiginosamente, sopratutto grazie al grandissimo numero e alla "qualità" degli eventi prodigiosi riferiti alla sua intercessione, tanto da acquisirsi l'allocuzione di "Santa degli impossibili". La sua Beatificazione è avvenuta nel 1628 e la sua Canonizzazione nel 1900 per mano di Papa Leone XIII.
    (1) https://santaritadacascia.org/la-santa/vita/
     
  11. Claudio C.
    Le ultime parole che Gesù disse ai suoi discepoli furono: “Fate miei discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). E al momento della Pentecoste gli Apostoli parlarono in tutte le lingue, potendo così manifestare, per la forza dello Spirito Santo, tutta l’ampiezza della loro fede.
    Ma vale davvero ancora? – si chiedono in molti, oggi, dentro e fuori la Chiesa – davvero la missione è ancora attuale? Non sarebbe più appropriato incontrarsi nel dialogo tra le religioni e servire insieme la causa della pace nel mondo? La contro-domanda è: il dialogo può sostituire la missione? Oggi in molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà. La questione della verità, quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi. Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo. 
    E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino.
    La gioia esige di essere comunicata. L’amore esige di essere comunicato. La verità esige di essere comunicata. Chi ha ricevuto una grande gioia, non può tenerla semplicemente per sé, deve trasmetterla. Lo stesso vale per il dono dell’amore, per il dono del riconoscimento della verità che si manifesta. *
    Oggi noi pregheremo come i cristiani hanno sempre fatto, perché la Luce di Cristo arrivi a illuminare le menti ed a santificare le anime di coloro che non credono, di coloro che non conoscono Gesù Cristo .
    ETERNO Iddio, Creatore di Tutte le cose, ricordatevi che Voi solo creaste le anime degli infedeli e le faceste ad immagine e similitudine vostra.
    Mirate, o Signore, come si riempie di quelle l'inferno e ricordatevi che
    il vostro Figliuolo Gesù Cristo sparse tutto il Suo Sangue e tanto patì
    per esse.

    Non permettete che il vostro Figliolo e Signor nostro sia più lungamente sprezzato dagli infedeli e dai peccatori, ma, anzi placato dalle orazioni della Chiesa, che del benedetto vostro Figliuolo è la carissima Sposa, movetevi a pietà di loro, e, dimenticando la loro idolatria, infedeltà e malizia, fate che
    amino anch'essi di tutto cuore il comun Redentore Gesù Cristo, che è la nostra vita e la nostra resurrezione, l'autore e il conservatore della nostra libertà e di ogni nostro bene a cui sia gloria e benedizione per tutti i secoli dei secoli.
    Così sia
    *Benedetto XVI. Messaggio per l’intitolazione dell’Aula Magna ristrutturata della Pontificia Università Urbaniana, il 21 ottobre 2014
  12. Claudio C.
    Mons. Nicola Bux (qui Profilo Wikipedia) rilascia una intervista a Il Giornale. Già stretto collaboratore di Papa Benedetto XVI, è stato per lunghi anni a Gerusalemme ed ha conosciuto da vicino la cultura orientale.
    Mons. Bux, possibile che Silvia Romano sia stata convertita o magari sia stata manipolata dagli islamici? La giovane sostiene che la sua adesione all'islam sia stata una scelta spontanea..
     
    Il concilio ricorda che la libertà religiosa riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile. Ma anche che ciò lascia intatta la Dottrina Cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la Vera religione e l'unica chiesa di Cristo. Una persona cosciente del suo battesimo conosce tutto questo.
    Le risulta normale che una persona finita nelle mani di estremisti islamici finisca per convertirsi?
    Dipende dal soggetto. Un cattolico dalla coscienza ben formata sa qual è la vera religione e, di conseguenza, che il suo abbandono, cioè l'apostasia è uno dei peccati più gravi. Si badi che l'islam punisce l'apostasia con la morte. Pertanto, il vero cristiano non teme il martirio per Gesù Cristo. Se invece la coscienza non fosse ben formata o facesse ciò per ignoranza, esiste l'attenuante davanti a Dio.
    Quale messaggio per l'identità europea arriva dalla storia di Silvia Romano?
    Ricordo un documentario prodotto dalla Rai dieci anni fa. L'indimenticabile Luca De Mata lo intitolò Dio: pace o dominio, perché dal reportage in giro per l'Europa aveva ricavato che l'islam stesse avanzando scaltramente, presentandosi come religione di pace, in realtà puntando al dominio del continente. Celebre l'avvertimento dell'allora vescovo di Izmir (Smirne, ndr) agli europei: i promotori islamici dell'immigrazione in Europa pensano: con le vostre leggi vi invaderemo, con la sharia vi sottometteremo. Che vi cooperino gli europei, è masochismo. La Rai dovrebbe riproporre quel documentario in cinque puntate.
    Teme per i cattolici in giro per il mondo?
    Dalle statistiche è noto che il cristianesimo cattolico è la religione più perseguitata al globo. Ma i cristiani non temono la persecuzione, perché è la condizione ordinaria del cristianesimo. Gesù Cristo ha detto: "Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". Perciò il cristianesimo vince sempre quando è sconfitto. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli lo dovrebbero sapere a memoria, non solo, ma anche che alla fine solo la croce di Cristo vince. Lo ricorda Giovanni Paolo II nell'enciclica missionaria Redemptoris missio.
    Quindi?
    Quindi, i programmi di neo-umanesimo, di fratellanza universale, di dialogo interreligioso senza Cristo, sono destinati al fallimento. Meglio farebbero le chiese europee a spendere tutte le forze, anche finanziarie, anzi la loro vita, nell'unico compito che Cristo ha affidato loro: far conoscere il Vangelo a tutte le genti e chiamarle a conversione. Solo l'estensione della fede cattolica può compattare il globo secondo i tempi di Dio. Questo passerà attraverso la persecuzione, la Croce, la vera "teologia della liberazione".
    Esistono fenomeni di proselitismo studiati ad hoc? Magari adatti pure per gli europei che fanno cooperazione all'estero?
    Circa vent'anni fa, ho conosciuto ad Amman dei giovani sauditi che ogni tre mesi, muniti di visto, uscivano dall'Arabia per venire a catechizzarsi per diventare cristiani. Mi mostrarono il materiale propagandistico stampato in arabo, che dal loro paese veniva inviato fino a Londra, documentando il piano di dominio islamico in Europa. Per attuarlo è necessaria l'immigrazione ma anche il proselitismo tra gli europei, specialmente delle Ong, in cui l'identità cristiana o è inesistente o è annacquata. Oggi sappiamo che Londra è in gran parte musulmana, complice anche la pressoché totale sparizione degli anglicani. Ma c'è una pattuglia di cattolici che resiste e vincerà, a costo del martirio.
    Silvia ha scelto di chiamarsi Aisha, come una delle mogli di Maometto...
    Chissà se prima di cambiar nome e credo, sapeva che Santa Silvia è la madre di San Gregorio Magno. E chissà se conosce quanto conclude uno studioso di prima grandezza, dell'islam e della tradizione araba cristiana, della cui amicizia mi onoro, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir - citando il Corano al versetto 228 della sura della Vacca e al 34 di quella delle Donne: "Mentre nella concezione cristiana l'uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità,in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani, che presentano il ruolo della donna nell'Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all'uomo e deve sottostare a lui".
  13. Claudio C.
    Dal 18 maggio si potrà tornare a messa con una minuziosa regolamentazione degli ingressi e delle fasi della celebrazione: la misurazione della temperatura all’ingresso, l’obbligo di mascherina, i posti contingentati e l’ostia da distribuire con i guanti.
    Don Leoni non ci sta e dal pulpito della chiesa di Pozzo, che diventa anche una tribuna virtuale, tuona: "Premetto che rispetterò quelle che saranno le disposizioni del nostro Vescovo ma mi rifiuto di pensare che la Comunione si possa dare con i guanti – ha scandito nell’omelia di domenica – l’Ostia è il corpo di Cristo, non si può pensare che un prete si debba comportare come chi prepara un panino all’alimentari".
    Il capitano Leoni diventato don Daniele affida alle dirette delle ultime omelie, ancora visibili sul social network (qui il profilo Facebook), il suo pensiero. “Il ministero dell’Interno – afferma il parroco di Pozzo e Cesa in un altro passaggio – non può stabilire, anche con il via libera della Cei, cosa si può fare e cosa no durante le celebrazioni”.
    Don Daniele Leoni è stato nell’ esercito per 19 anni, partecipando a missioni all’ estero in Albania, Kosovo, Serbia e Iraq. Poi si è arreso alla chiamata ricevuta: «Mi sono accorto che i momenti di pace vera li trascorrevo con il Signore». Trovate la sua storia su Famiglia Cristiana.

    Qui un estratto significativo della intervista. “La mia vita era bellissima, ma i momenti di pace vera li sperimentavo solo quando stavo con il Signore. Allora mi arresi ed entrai nuovamente in seminario. Adesso eccomi qua. Prima offrivo servizio a una nazione, adesso a tutti gli uomini. Non è più un aiuto relegato a questa vita, ma che punta alla vita eterna, dove fonte di ogni forza è Cristo. Il nostro combattimento adesso non è contro le potenze della terra, ma contro le potenze del male. Satana è più che mai attivo e porta avanti la sua strategia agendo contro la fede e contro la famiglia”.
    Se si chiede a don Daniele cosa direbbe alle persone scandalizzate del suo passato di militare, risponde: “Dovrebbero leggere il Vangelo. L’esempio di fede più grande che il Signore trova in tutto Israele è quello di un centurione romano. Un soldato che ferisce Gesù al petto come segno di rispetto. Lui, esperto della morte, riconosce nella morte di Cristo la sua dignità e regalità. Cristo agli occhi del centurione è morto come un eroe”.
    Fonte La Nazione 
  14. Claudio C.
    Libera traduzione da Catholic News Agency del 5 Maggio 2020. (Claudio)
    Una parrocchia nel West End di Londra offre l'Adorazione ai senzatetto, l'accesso ai Sacramenti e [la recita del] Santo Rosario, insieme al cibo fornito da un ristorante a cinque stelle.
    La Chiesa di San Patrizio a Soho, una zona nota per la sua vita notturna e il quartiere a luci rosse, offre un Ministero di riguardo ai senzatetto, mentre la capitale lotta per far fronte alla pandemia di coronavirus. P. Alexander Sherbrooke ha affermato di avere "una forte percezione del fatto che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade" in risposta alla crisi.

    Quando la città ha iniziato a chiudere tutte le proprie attività a metà marzo, il Consiglio comunale di Westminster si è rivolto a P. Sherbrooke, che coordina il servizio quotidiano di servizio ai senzatetto sin da quando giunse in parrocchia nel 2001, e gli ha chiesto, come responsabile della parrocchia di St. Patrick, di aumentare significativamente la fornitura di cibo per i senzatetto, cercando anche di ospitare coloro che vivevano per le strade.
    La parrocchia, fondata nel 1792, aveva già in precedenza sfamato i senzatetto nel suo centro parrocchiale. Ma dopo che alle chiese cattoliche di tutto il paese è stato ordinato di chiudere a causa del virus, la stessa parrocchia di St. Patrick è stata costretta ad improvvisare. Inizialmente ha cominciato a servire il cibo per senzatetto due volte al giorno, dal lunedì alla domenica. "Nella maggior parte dei giorni forniamo fino a 320 pasti", ha spiegato P. Sherbrooke. "In media, probabilmente vediamo 220 persone al giorno, alcune delle quali vengono sia a pranzo che a cena.". Il cibo caldo viene fornito dal Connaught Hotel, un ristorante a cinque stelle nel ricco quartiere di Mayfair a Londra, nonché dal ristorante Wiltons in Jermyn Street. La catena Pret a Manger fornisce sandwich.
    "È un'operazione molto complessa e ci impegniamo ad essere molto diligenti nel preservare le distanze sociali, l'igiene personale, l'igiene alimentare, ecc.", ha detto il sacerdote. “Abbiamo un buon numero di volontari. Continuiamo anche a fornire una doccia e servizi igienici".
    P. Sherbrooke ha anche spiegato che i senzatetto nel West End vivono di carità, nei pressi dei flussi di persone generati da aziende, ristoranti e teatri locali. "Non c'è nulla di tutto ciò adesso", ha detto. "È incredibilmente vuoto e può essere abbastanza pericoloso, soprattutto di notte.". "Il West End ha molte persone dipendenti dall'alcool e dalle droghe e senza la loro normale fonte di reddito, questo può creare una situazione instabile. La polizia è molto presente, ma il West End è molto inospitale, a volte minaccioso e non molto piacevole. ". "Sono stato in parrocchia per circa 17 anni, durante i quali gran parte del mio tempo è stato dedicato alla pastorale per i bisognosi. Ma nulla mi ha davvero preparato ad affrontare quello che viviamo in questo momento. "
    I volontari di San Patrizio sono determinati ad alleviare la privazione sia spirituale che fisica. Man mano che il cibo viene distribuito, pregano davanti al Santissimo Sacramento in una vicina tenda per l'Adorazione, osservando le distanze di sicurezza. P. Sherbrooke è sempre disponibile per i visitatori che cercano un incontro sacramentale, seduti a distanza di sicurezza e dietro un lenzuolo bianco. C'è anche una tenda in cui viene offerta la lectio divina.
    "Questa organizzazione è arrivata in gran parte come risposta alla richiesta delle autorità locali", ha detto P. Sherbrooke. “Abbiamo una lunga tradizione di carità e sostegno alimentare alle persone. Ma, in una maniera molto strana, la Chiesa, dall'essere una realtà fisica dietro quattro mura, è ora diventata una realtà per strada. ”
    P. Sherbrooke, che cita come fonte di ispirazione San Damiano di Molokai e Madre Teresa, ed ha continuato: "Stiamo contribuendo a dare una cura spirituale e pastorale, ed ho la netta sensazione che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade. C'è la lectio divina. C'è Adorazione, Confessione, Santo Rosario, ecc. Andiamo dalle persone, parliamo con loro, distribuendo Coroncine del Rosario e condividendo il Vangelo. Quindi c'è una vera opera di evangelizzazione in corso ”.
    I volontari distribuiscono anche un foglio ogni settimana con riflessioni, letture delle Scritture e consigli su come pregare. "Quindi stiamo mettendo in atto una vera e propria catechesi dei poveri", ha detto P. Sherbrooke.  “È proprio vero che in questa terribile situazione emergenziale di contagio, Dio sta permettendo di vivere la Chiesa in maniera evangelica e semplice. Tutto ciò non è avvenuto attraverso pianificazione, ma attraverso la Provvidenza di Dio ”. Ha osservato anche che, nonostante gli attuali pericoli, i volontari hanno provato un forte senso di protezione soprannaturale. "Personalmente, direi che anche il non aver contratto [il virus] - data la realtà della situazione qui nel quartiere - è che ogni giorno prego che il Preziosissimo Sangue di Gesù venga nel mio cuore, nelle mie vene , nei miei polmoni e proteggimi dal virus in modo che io possa fare questo lavoro ", ha aggiunto P. Sherbrooke.
    Nel 2011, San Patrizio ha riaperto dopo un progetto di restauro da 4 milioni di sterline, che includeva lo scavo del seminterrato e la creazione del centro parrocchiale, situato sotto la chiesa. Il cibo per i senzatetto viene ora preparato lì ogni giorno. "È quasi come se Dio avesse creato questa parrocchia per quest'opera in questo momento", ha detto Sherbrooke.
  15. Claudio C.
    di Manuela Antonacci su Europa Cristiana.
    L’arte, pur non appartenendo alle scienze esatte, può avere valore assoluto? Ci sono opere che costituiscono la risposta a questa domanda: l’arte che pone al centro Dio pone le sue fondamenta nell’Assoluto per eccellenza e diventa intuizione pura e immediata di quel «motore immobile», per dirla con Aristotele, quel polo di attrazione dell’universo, oggetto d’amore, principio e fine di ogni cosa, diventando così una porta verso l’Infinito, secondo la  concezione di Bellezza, incarnata anche in questo splendido filmato sulla Messa in rito romano antico, ritratta in tutta la sua solennità e in tutto il suo splendore. Stiamo parlando dell’ultimo video di Roberto Bonaventura – maestro d’arte, compositore di Luciano Pavarotti, scrittore, editore musicale e interprete – Deus Caritas Est. La S. Messa: il Miracolo dei miracoli, la cui sinfonia venne composta oltre 10 anni fa per un progetto musicale  inciso in uno degli studi di registrazione più famosi del mondo, l’Air Studios di Londra con una delle orchestre più importanti a livello internazionale e ora facilmente reperibile in rete:
     
    Girato a Ferrara, a Santa Maria in Vado, santuario eucaristico e mariano con la partecipazione e l’aiuto della fraternità Familia Christi  – il sacerdote che, nel video, celebra insieme ai ministranti e agli altri sacerdoti sono stati commissariati di recente – il bel lavoro del maestro, intende rappresentare l’effetto, il valore salvifico e il Miracolo che avviene nella Santa Messa, con particolare riferimento a quella in rito romano antico che, come sottolinea Bonaventura,  rappresenta il sublime incontro della indefettibile Teologia e della Bellezza. Ma il lavoro del maestro intende evidenziare anche la grandezza e la maestosità del sacerdozio che, nella liturgia vetus ordo, sottolinea; si può riscoprire veramente nel suo agire in persona Christi e che nel video viene eloquentemente rappresentato attraverso le piaghe con il segno dei chiodi che improvvisamente si aprono sulle mani del celebrante, al momento della consacrazione, scena che osserva attonito uno dei fedeli che assiste anche alla trasfigurazione del volto del sacerdote in quello di Cristo coronato di spine. Ed è proprio contemplando Gesù Cristo nella persona del celebrante, attraverso cui vede rinnovarsi, sotto i suoi occhi, il sacrificio compiuto sul Calvario, che avviene in lui una profonda trasformazione interiore, fino al punto da spingerlo ad abbracciare la vocazione sacerdotale, a sua volta.
    Il senso di questo filmato è quello di  rappresentare un contesto “mediatico” particolare nel quale  far emergere ancora una volta che, per dirla con Corrado Gnerre, la Messa tridentina non è vera perché è bella, ma è bella perché è vera e indubbiamente dall’esprimere la verità di Dio deriva tutto il suo splendore e che essa è il rito per eccellenza in quanto poggia l’armonia e l’unità di tutti i suoi elementi sulla realtà del Sacrificio della Croce, verso cui essi tendono in modo visibile e “sensibile” (gesti, parole, silenzio…).
    Insomma, sulla base di queste considerazioni, possiamo veramente dire che il lavoro di Roberto Bonaventura è un esempio di come l’arte, se messa al servizio di Dio, non può che risultare innervata di questo suo slancio trascendente, conservando ed esprimendo la sua naturale tensione razionale verso un Tu capace di plasmarla e darle significato. Un’impresa audace, oggigiorno, che merita di essere diffusa e conosciuta.
  16. Claudio C.
    “Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura”.
     Secondo il Card. Biffi, passato a vita eterna il 2 Maggio di qualche anno fa, il messaggio di Pinocchio era profondamente cattolico.
    La Fata Turchina? «È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna».
    Lucignolo? «È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco».
    E il diavolo dov'è? «Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio».
    «Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana – spiega il cardinale Biffi – comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero”.
    La storia del racconto-fiaba è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino. Le avventure di Pinocchio raccontano la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza. La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti, è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo ed esiste un’oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l’ortodossia cattolica.
    Le sette verità fondamentali di Pinocchio illuminano tutta la vicenda umana dall’origine dell’artefice creatore. Pinocchio, creatura legnosa, è costruito come una cosa ma è chiamato subito “figlio” dal suo creatore. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da un gratuito, imprevedibile amore.
    1)                     Il mistero di un creatore che vuole essere padre
    Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore. Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità.
    2)                      Il mistero del male interioreIn questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21). Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19).
    3)                     Il mistero del male esteriore all’uomo La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico: «Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).
    4)                     Il mistero della mediazione redentiva L’ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l’orgogliosa affermazione dell’autoredenzione dell’uomo: l’uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto. Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l’illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
    5)                     Il mistero del padre, unica sorgente di libertà La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà. Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore. Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.
    6)                     Il mistero della trasnaturazione Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia. Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.
    7)                     Il mistero del duplice destino La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.
    Verità cristiane
    Queste sette convinzioni, si è visto, sono affermate e concIamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne.Orbene, è anche fuori dubbio che esse siano sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè:
    La nostra origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli Il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male Il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina La mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza Il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione Il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio I due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere. Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell’esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino.
    Ascoltate dalle sue parole e pregate per la sua anima. Ne sarà contento.
     
  17. Claudio C.
    libera traduzione da One Peter Five a cura di Eric Sammons, convertito al Cattolicesimo.
    A partire da questa domenica e continuando per le tre settimane successive, le letture del Vangelo della domenica sono tratte dal 16 ° capitolo del Vangelo di San Giovanni. Questo capitolo fa parte del Discorso d'addio di Cristo ai suoi discepoli durante l'Ultima Cena e la Chiesa vede la stagione pasquale come un momento appropriato per approfondire i ricchi insegnamenti che vi si trovano.
    Questa domenica l'attenzione si concentra sulle parole di Cristo, "un po 'di tempo, e ora non mi vedrai: e ancora un po' di tempo, e mi vedrai". Queste parole, come molti dei detti di Nostro Signore e altri nella Scrittura, hanno significati multipli. Il primo è il più ovvio: Gesù sta per morire sulla Croce e scendere all'Inferno: i discepoli non lo vedranno. Ma tra tre giorni risorgerà gloriosamente, poi lo vedranno. Si riferisce anche al fatto che 40 giorni dopo la risurrezione di Cristo salirà al Padre, dopo di che non sarà più visto. Eppure, dieci giorni dopo a Pentecoste, lo Spirito Santo verrà e Cristo sarà “visto” di nuovo, nel senso che coloro che ricevono lo Spirito Santo sono in grado di comprendere la missione di Cristo e vedere la sua opera nel mondo. Inoltre, sebbene la missione terrena di Cristo sia finita, un giorno sarà di nuovo completamente visto: alla sua seconda venuta in gloria alla fine dei tempi.
    Pubblicare questa lettura durante la stagione pasquale indica un momento in cui i convertiti battezzati a Pasqua stavano ricevendo le loro ultime istruzioni per la vita come cristiani. Imparavano la Fede durante il catecumenato e ora venivano mandati a vivere la fede. Questa vita non sarebbe stata facile; avrebbe comportato molte lotte. Queste parole di Gesù sulla partenza e sul ritorno, quindi, si applicano alla vita di discepolato. Quando riceviamo i Sacramenti o sperimentiamo il senso della sua presenza nella preghiera, "vediamo" Cristo molto chiaramente. Tuttavia, spesso nella vita cristiana Cristo sembra andare via. I maestri spirituali chiamarono questa la Notte Oscura dell'Anima: un tempo durante il quale ci sentiamo abbandonati da Dio, completamente soli. Sperimentiamo un sabato santo in cui apparentemente il Signore ci lascia e siamo scoraggiati e apparentemente senza speranza. Potremmo chiederci: tornerà?
    Nostro Signore non ci dice in modo inequivocabile che manterrà la sua promessa di tornare: “In verità, in verità ti dico che lamenterai e piangerai, ma il mondo si rallegrerà: e tu sarai reso triste, ma il tuo dolore sarà trasformato in gioia. " E inoltre, "la tua gioia che nessun uomo ti toglierà". È una gioia che supera ogni comprensione. A volte la sperimentiamo qui sulla terra, ma sperimenteremo questa gioia nella sua pienezza quando entreremo nella presenza di Cristo in Cielo.
    Pertanto, dobbiamo rimanere fedeli a Cristo, anche quando non lo vediamo, in modo che un giorno possiamo vedere ed essere visti da lui. San Cipriano scrive: “Ci rallegra stare qui a lungo tra le spade del diavolo quando dovremmo piuttosto desiderare e scegliere di affrettarci verso Cristo? Chi non sceglierebbe di essere libero dalla tristezza? Chi non accelererebbe verso la gioia? Ma il nostro dolore deve davvero essere trasformato in gioia, come chiarisce il nostro Signore ... Vedere Cristo è gioire, e non possiamo avere gioia se non lo vediamo. Quale cecità mentale o quale follia è amare le afflizioni del mondo, le punizioni e le lacrime e non piuttosto correre alla gioia che non potrà mai essere portata via! " (Sulla mortalità, 5). Cerchiamo quindi durante questa stagione pasquale di scegliere la gioia di Cristo per il dolore di questo mondo. Anche quando non riusciamo a vedere il Signore, sappiamo che è sempre con noi e, essendo fedeli a lui, un giorno lo vedremo in tutta la sua gloria, e quindi la nostra gioia sarà completa.
  18. Claudio C.
    Con molto interesse e condivisione riportiamo il trascritto libero della meditazione di Padre Massimo Malfer esorcista, tenuta su Radio Kolbe alla fine di Aprile 2020. La meditazione è su aspetti fondamentali della Fede in questi tempi di epidemia e di mancanza dei Sacramenti, sulla essenzialità della Eucaristia, su cosa realmente accade nella Santa Messa e quale realmente ne sia il significato, sul perché la mancanza della Eucarestia ci renda tristi ed individualisti, anaffettivi ed incapaci di amare. Ecco di seguito il testo.
    "Mai come in questi ultimi giorni, in maniera particolare in queste ultime ore, sentiamo parlare tanto di celebrazione della Santa Messa, anche se a dire il vero questo riguarda una piccola parte della popolazione italiana, diciamolo dobbiamo essere franchi: la percentuale della presenza alla santa messa domenicale negli ultimi anni è calata drasticamente, quindi potremmo dire che sono pochi a dire il vero coloro che sentono l'esigenza della celebrazione eucaristica; ma noi sappiamo molto bene che malgrado l'esiguità di questi numeri noi continuiamo a ribadire in maniera chiara forte e concisa se non altro la libertà di culto che è stata proclamata dalla costituzione ed è un diritto inalienabile della persona; quindi quando parliamo di celebrazione Eucaristica, intendiamo sì la celebrazione della Santa Messa, ma crediamo anche che sotto a tutto ciò ci sia  una capacità del diritto di non violare [tutto] ciò che è effettivamente il diritto per eccellenza, ossia il diritto di credere, il diritto di professare una religione quando questa religione, come appunto la cristiano cattolica, è fondata sull'Eucarestia. Forse magari i nostri governanti non tengono in giusta considerazione che circa il 90 per cento della popolazione italiana è ancora cattolica; forse qualcuno dirà solo anagraficamente, perché poi le scelte sono tutt'altro, ma comunque questo è un dato importante da tener presente; ma qui non parliamo di un aspetto anagrafico parliamo di cristiani che vivono e che credono in Cristo.
    Quali sono queste conseguenze della proposta cristiana? Essa consiste nel dare notizia all'uomo che è accaduto un fatto che ha precisamente guarito e rinnovato l'uomo . Qual è questo fatto lo sappiamo tutti: Dio, inviando il proprio Figlio nella condivisione della carne del peccato ha condannato il peccato e ci ha ridato la vita nuova. Questo è il cristianesimo, [il cui significato profondo] è credere che Gesù Cristo sia il Figlio di Dio nato, morto e risorto e vivente nella sua Chiesa.
    Detto questo, per un cristiano che ha questa consapevolezza, viene subito immediatamente chiaro che questa presenza di Lui è una presenza viva e continua e dove noi possiamo attingere la realtà di questa presenza? Nella Santa Messa! La Messa non è un rito, la Messa non è un incontro, sebbene magari qualche sacerdote ha ridotto la messa a un incontro tra applausi e canti dove l'importante è divertirsi con “le alleluia che avvitano le lampadine” o cose simili, ma questo non è non è la Messa, non è la Verità della Messa in Chiesa; alla Messa non ci si va per divertirsi, [alcuni dicono che i] bambini non vanno in Chiesa perché sennò si stufano e quindi dobbiamo fargli fare chissà che cosa per poterli coinvolgere.
    La Messa è la ripresentazione sacramentale del mistero pasquale. Che cosa vuol dire? Vuol dire che se un cristiano crede che Gesù è il Figlio di Dio che è nato che è morto che è risorto e che è presente quando si celebra la Santa Messa, questo accade. [Un] buon cristiano [non può] vivere senza questa consapevolezza, no!
    Ecco perché la l'Eucaristia è la pietra d'inciampo. Gesù ne parla spesso di questa pietra [che] è la pietra pietra angolare, una pietra su cui si costruisce tutto l'edificio oppure diventa una pietra d'inciampo, una pietra su cui, passando, uno inciampa si fa del male e cade; l’Eucaristia è proprio questo: sull’ Eucaristia si costruisce tutto  oppure l’Eucarestia diventa un ostacolo! Quante volte abbiamo sentito dire [la frase] “io credo ma non vado in Chiesa”? Con quel “non vado in Chiesa” [si] vuol dire semplicemente: non partecipo alla Messa, alla Messa ci vado quando mi sento, ed avanti di questo passo. Qvviamente i luoghi comuni sono tantissimi.
    Ma che cosa significa essere cristiani, credere in Dio e non partecipare alla Messa ma in un clima relativistico come il nostro semplicemente vuol dire aver costruito aver costruito una religione a nostro uso e consumo, [vuol dire] io credo solo determinate cose e le altre le escludo, [vuol dire credere in] quelle che mi fanno piacere, [mentre] quelle che non mi fanno piacere le escludo.
    Questa non è un’adesione a Cristo.
    Se poi ci mettiamo anche coloro che vogliono a tutti i costi dei diritti su cose che a loro non competono, allora questo diventa ancora più ridicolo [e] risibile; pensate ad esempio a quelle persone che per varie ragioni, [ad esempio] perché hanno tradito un Sacramento ne vogliono un altro, sto parlando dei divorziati e risposati, [quelle persone] hanno tradito il Sacramento; l'hanno tradito perché nel momento in cui si risposano, ma non sto parlando di coloro che sono separati malgrado loro siano innocenti e quindi possono continuare a fare la Santa Comunione, ma sto parlando di coloro che sono divorziati e risposati cioè hanno rinnegato ciò che hanno detto sull'altare, ciò che hanno giurato davanti a Dio ciò che è stato sacramentalmente sigillato da Dio stesso, essi hanno fondamentalmente  abiurato un sacramento!
    Questo modo di guardare alla Chiesa  come una sorta di agenzia di servizi, dove dobbiamo chiedere questo o vogliamo chiedere altro con la pretesa che questo sia un nostro diritto [è sbagliato].
    L'Eucaristia è un nostro diritto, forse anche sì, ma a determinate condizioni; infatti, quando noi pensiamo all'Eucaristia noi non dobbiamo pensare a un rito, ma dobbiamo pensare all'azione più sacra che possa accadere su questa terra, perché ciò che è accaduto duemila anni orsono a Gerusalemme in Palestina si compie sacramentalmente misteriosamente sui nostri altari e qui chiaramente a livello visivo, a livello sacramentale, a livello di segno in questi ultimi anni abbiamo perso un po’ questa consapevolezza.
    Ridurre la messa ad uno show, chiaramente non dà l'impressione che quello che si celebra è realmente la passione la morte e la risurrezione di Cristo. Un tempo forse questo era segnato, era collegato, era ancora forte, [ma] oggi diciamo è sparito quasi completamente ma è sparito persino dalla predicazione! Ogni volta che noi entriamo dentro nel mistero eucaristico, noi ribadiamo e come fossimo là presenti, ecco perché quando noi diciamo che la Messa è fondamentale, che la Messa è la azione sacra più alta di tutte, è perché proprio c'è la consapevolezza della Chiesa che senza la messa noi non possiamo vivere, senza la messa non c'è più il cristianesimo; non esiste un cristianesimo senza la Messa; questo lasciamolo stare, questo è vero protestantesimo fino a prova contraria o meno.
    C'è una tendenza molto forte nella Chiesa, ma comunque noi fino a prova contraria noi non siamo protestanti, noi siamo cattolici,  noi siamo cristiani, il che vuol dire che noi crediamo che il mistero di Cristo, quel mistero di passione di morte di dolore di sofferenza che è accaduto duemila anni orsono e che ha salvato le sorti di tutto il mondo e di tutto l'universo si compie ogni volta che si celebra la Santa Messa. Questo è quello che crediamo. Se non c'è questa consapevolezza è chiaro che andare a Messa o non andarci, vivere l'Eucaristia o meno è la medesima cosa, non nessun rapporto profondo con la vita e la fede diventa solo qualcosa, come ci insegna il laicismo oggi, da vivere privatamente dentro nel proprio cuore.
    In questi giorni abbiamo sentito citare persino da autorità religiose molto forti e personaggi di infima levatura se non addirittura blasfemi che ci avrebbero detto che ci si può pregare ovunque l'importante è avere Gesù nel cuore. Ma questo lo sapevamo già non occorreva lo sciocco di turno; noi cristiani preghiamo in Chiesa perché in Chiesa si celebrerà la Santa messa e senza la Messa come dicevano i martiri di Abitina, 1700 anni or sono, noi non possiamo vivere.
    Vorrei provare a fare un esempio classico semplicissimo, un esempio di coloro che amano una persona la mano pensate il fidanzato e la fidanzata, la moglie il marito, pensate la madre il figlio, pensate a questi rapporti fortissimi strettissimi e speriamo che ve ne siano ancora tanti. In questi [rapporti] cosa succede? Che se uno dei due se ne va via e se ne va via per mesi, il desiderio di quella persona è di incontrarlo di vederlo, di abbracciarlo di sentirlo. Sì, qualche volta ci si telefona, sì qualche volta adesso ci sono le videochiamate, sì indubbiamente tutte queste cose; ma un conto è averlo fisicamente li vicino che si può toccare che si può abbracciare, che si può baciare fisicamente.
    [Così è la] realtà sacramentale della Messa. E’ bello dire che dobbiamo amare il Signore e magari qualcuno dice sì, ma io lo amo, io voglio bene al Signore, io amo il Signore. [La domanda allora è:] perché non vai a cercarlo dove lui si fa trovare, dove è il luogo l'istante il momento più alto in cui io posso fare questo incontro, non solo spirituale, non solo psicologico, ma reale concreto a tal punto che posso addirittura ci parli di lui nella Santa Eucaristia è questa la realtà.
    Noi non siamo degli angeli, non siamo puri spiriti ed il Signore lo sa molto bene ed è per questo che ci ha inviato il Figlio e il Figlio ci ha dato i sacramenti perché noi abbiamo bisogno di questo. Dice Sant'Ireneo nel famoso testo: “adversus haereses”di circa 1.700 1600 anni fa dove Sant'Ireneo cerca in tutti i modi di spiegare, di andare contro a quelle eresie che erano emerse a quei tempi e che sono le stesse che emergono oggi e dice non avremmo potuto conoscere i misteri di Dio se il nostro Maestro, il Verbo non si fosse fatto uomo. D'altra parte non potevamo conoscere altrimenti se non vedendo il nostro maestro e percependo la sua voce con il nostro orecchio, una realtà concreta, un Dio che si fa carne che si fa uomo e noi diremo che si forma nei verbo panis factum est il verbo si è fatto per me.
    Ami Dio, ami Gesù. Se ami Gesù non puoi non amarlo dove lui concretamente realmente si fa trovare Sant'Efrem il Siro questo grande poeta dell'antichità ha scritto delle cose bellissime dice che un giorno riapparve il Signore e gli disse a proposito dell'Eucarestia: ricordati Efrem che chi mangia Me mangia fuoco! Che cos'è questo fuoco se non il fuoco ardente di Lui che entra in noi, che penetra in noi,Dio si dona a conoscere a ciascuno di noi nell'umanità del figlio di Dio, ascoltando la sua voce, la parola di Gesù indubbiamente; ma questo è proprio la struttura sacramentale: Dio parla a noi non solo nel cuore di uno o parla noi solo a livello spirituale, Dio parla noi a livello sacramentale attraverso le cose visibili. Siamo rapiti alle realtà invisibili e non si tratta di un espediente pedagogico ma di un aiuto dato alla nostra intelligenza, ma è il modo con cui Cristo trasforma la nostra vita quotidiana. Senza la Messa noi non possiamo vivere e proprio il realismo, l'Eucaristia è la sintesi di tutta la vita cristiana, senza Eucarestia noi non siamo più dei cristiani. Una volta addirittura quando una persona non andava più a Messa si diceva che era un disgraziato, disgraziato voleva dire senza Grazia di Dio perché senza la Messa non abbiamo la Grazia.
    Qualcuno dirà allora: quanti disgraziati che ci sono oggi; sì, è vero, ci sono molti disgraziati, molte persone che non hanno più la Grazia di Dio; che poi Dio possa agire lo stesso, possa fare cose straordinarie anche senza tutto questo lo mettiamo sempre in conto indubbiamente [perché] Dio è infinita bontà, infinita misericordia, ma è anche infinita giustizia, non dimentichiamolo mai.
    L'Eucaristia allora è la reale presenza di Cristo che dona sé stesso in sacrificio sulla Croce e noi mediante la celebrazione eucaristica diventiamo presenti all’evento della Croce; pensate che evento straordinario essere presenti davanti al Calvario, davanti al tribunale, davanti alla Via Crucis, davanti a tutti gli eventi salvifici di Cristo; noi possiamo rivivere nella nostra vita in quel momento dell'azione liturgica che noi chiamiamo Santa Messa ed al momento della consacrazione, i duemila anni che ci separano dalla Croce sono aboliti noi siamo ai piedi della Croce, come Maria, come Giovanni, fermi, attoniti a sentire quell'urlo “Eli Eli Lama Sabachthani”; ma siamo anche nello stesso momento al Sepolcro dove nella gioia cristiana sentiamo Gesù che pronuncia il nostro nome come il nome della Maddalena “ noli me tangere” e queste sono le modalità con cui noi possiamo entrare dentro questo grande mistero che è il mistero eucaristico e questo evento, cioè l'evento della celebrazione eucaristica accade perché i credenti, cioè coloro che celebrano il rito sacramentale, partecipino a questa offerta e diventino uno solo, siamo chiamati nella Messa ad immergerci per diventare partecipi di quella carità, noi diventiamo capaci di amare come Dio ama.
    San Tommaso d'Aquino, il grande scrittore e poeta, dice che l'Eucaristia è il sacramento della Passione di Cristo, in quanto l'uomo è condotto alla perfetta unione con Cristo nella Passione, in unione a Cristo e proprio mediante la partecipazione all'Eucarestia il credente viene cristificato progressivamente, trasformato in Cristo e diventiamo sempre un po’ più Cristo chiaramente, nella modalità con cui noi siamo aperti a questa Grazia che inonda il nostro cuore. Questa è la famosa visione di Sant'Agostino, quando stava pensando alla Eucaristia, che si trasforma in noi, Gesù interviene.
    La fede in Cristo è la fede nell'Eucaristia, dice concilio vaticano ii che l'eucaristia la messa è lumen et fons  totius vite cristiane, che vuol dire che tutto parte dall'eucarestia culmen e tutto arriva, culmine e fonte, tutto arriva e tutto parte da lì; la nostra fede è la fede eucaristica, la Grazia eucaristica è diventare partecipi della Carità di Cristo, è trasformare la nostra vita in Cristo, altrimenti veramente la nostra vita diventa su carta diventa triste.
    Guardiamo tutte queste persone che ci circondano, queste persone che non vivono la Santa Messa; che cos'è che porta questo mondo a questa intrinseca debolezza, siamo deboli e ce ne siamo accorti in maniera eclatante in questi giorni di quarantena dove diventiamo incapaci di muoverci paurosi di tutto; vi era un tabernacolo in pietra molto antico, l'ho visto in fotografia, e sotto questo tabernacolo vi era una frase latina un po’ maccheronico e diceva così “caput inclinat, hic jacet corpus medicina”, che voleva dire qui davanti a questo tabernacolo, davanti a questa presenza eucaristica inchina il tuo capo perché qui c'è la medicina del corpo. La medicina la medicina che non è quella che ci fa passare il mal di testa quella che ci toglie la l'epidemia, non è questa, ma è questo incontro reale con lui è questa la medicina perché quando abbiamo lui abbiamo tutto altrimenti noi diventiamo tristi; da dove deriva questa tristezza, questa debolezza? Qual è la causa che estenua in maniera così forte questa naturale capacità di creare deilegami fino a qualche anno fa le nostre famiglie le cosiddette famiglie allargate ma nel senso vero del termine dove erano parenti amici conoscenti e parenti di primo di secondo di terzo grado e tutti erano insieme famiglie di 10, 15, 20 persone.
    Oggi [regna] una sorta di individualismo [per cui] l'uomo e la donna di oggi, sono diventati quasi anaffettivi e non si è più capaci di affetto vero.
    Che cosa sta accadendo? Perché siamo diventati tutti anaffettivi? C'è qualche patologia psichica o qualche patologia spirituale, oppure c'è qualcosa di più? Una sorta di disintegrazione della persona? Oppure c'è qualche causa primaria ?
    San Paolo nella Lettera ai Galati 5,13-18 dice queste parole; “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. 14 Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. 15 Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. Ma non è quello che stiamo vivendo oggi?
    Esiste un esercizio della libertà che è una vera devastazione del rapporto interpersonale ed è quando si pensa che la libertà è quella di fare ciò che si vuole senza nessun riferimento; esistono fondamentalmente due modi per essere liberi è la modalità che è propria di chi vive per sé stesso e la modalità di chi vive nell'amore e chi vive per sé stesso genera solo divisione e non crea mai comunione e la seconda invece crea la vera comunione; questa debolezza che abbiamo un po’ tutti oggi, che un po’ la cifra della nostra società, la debolezza della nostra affettività, quella di creare legami duraturi deriva da nostra incapacità di amare ed è una sorta di fiacchezza esistenziale che porta alla dissoluzione di ogni legame che sia vero che sia buono.
    Ed è qui che si inserisce in maniera del tutto particolare la partecipazione all'Eucaristia, [è qui che] si ha un nesso all’affettività [perché] la partecipazione rende il fedele capace di amare con la stessa capacità di amore di Cristo sulla Croce. Diventiamo come lui, l'Eucaristia è proprio un dono che Cristo mi fa della sua capacità di amare; quando noi viviamo la Messa diventiamo capaci di rapporti duraturi che è l'amore che è il gusto della vita dell'esistenza di tutto ciò che siamo; certo i doni della Grazia non sostituiscono mai quelli che sono i compiti della natura, non ci dispensano da essi, non ci tolgono le derive delle propensioni verso chissà che cosa che sia negativa, ma l'Eucaristia ci dà quella energia necessaria per poter vivere veramente , per guidare i nostri affetti perché Cristo non è un'energia nel senso orientale del termine. Sento l'energia quando vengo via dalla Messa? Mi sento più forte? Sì tutto questo potrebbe anche essere utile e buono, ma è prima di tutto perché noi riceviamo l'amore di cristo.
    Il vero male della società umana, l'insidia più grave è proprio la ricerca del proprio bene a prescindere perfino a spese dell'altro e quando non mettiamo più l'Eucaristia al centro ma lasciamo che i politici possano anche non metterla al centro, infatti le nostre scelte politiche non tengono mai conto di questi aspetti non tengono conto dei valori cristiani non tengono conto di ciò che è importante nella nostra vita cristiana ed oggi dopo tanto tempo i nodi sono venuti al pettine. Perché ciò che conta per noi è l'abbassamento delle tasse, è che le cose vadano bene, è che i nostri in i nostri portafogli siano pieni e che vi sia lavoro. Tutte queste cose sono i nostri criteri per poter valutare se un politico è buono non è buono ma non ad esempio che cos'è la realtà cristiana. Quando noi dimentichiamo l'Eucaristia, noi compiamo una sorta di peccato di apostasia, diventiamo apostati di Cristo; Cristo si fa vivo, si fa presente, si fa reale lì dinanzi a noi e noi diciamo: a me non interessa io ho la mia fede e Gesù ci dice ma quel vino sull'altare si trasforma nel sangue di Cristo, quel pane è il mio corpo per la vita eterna, è il premio della vita eterna per future glorie; [e noi Gli diciano] non mi interessa io ho la mia fede, io ho il mio Gesù [personale] dentro nel mio cuore, “ma io sono fuori di te” ci dice Gesù, “io sono nel tabernacolo delle nostre chiese”, [e noi gli rispondiamo:] “a me non interessa”.
    Quando non abbiamo più la consapevolezza di questo, noi diventiamo apostati della fede e non siamo più cristiani quando noi neghiamo la Messa, neghiamo la Risurrezione di Cristo; certo dalla qualità delle nostre celebrazioni liturgiche dipende anche la consapevolezza pedagogica. Indubbiamente, come sacerdoti dobbiamo farci un esame di coscienza e dire quanto noi rendiamo la celebrazione fatta bene, sentita, profonda non veloce e così via. Perché le cose che noi dobbiamo guardare [non] sono solo il consenso degli altri. Dalla qualità delle nostre celebrazioni liturgiche dipende anche la qualità della vita della nostra città, la qualità della vita della nostra nazione; quando noi perdiamo il senso dell'Eucarestia tutto viene a mancare perché i nostri rapporti diventano anaffettivi e l'unico criterio è l’egoismo, l'unico criterio è il tornaconto, mentre nella Messa ciò che noi vi diamo è proprio la donazione totale di amore per gli altri.
    Sant'Ireneo, nel testo che citavo prima, dice due sono le braccia perché due sono i popoli disseminati fino ai  confini della terra, ma al centro c'è un solo capo, perché c'è un solo Dio che è sopra tutte le cose, attraverso tutte le cose e tutti noi. C'è un solo Dio, il Dio di Gesù Cristo e quando noi celebriamo l'Eucaristia ci poniamo nel centro di tutto il mondo; è questa la bellezza e la consapevolezza che dovrebbe spingere il cristiano a compiere gesti straordinari bellissimi, ironici nei confronti della carestia, diventiamo eroi nell’Eucaristia.
    Oggi siamo chiamati a una testimonianza forte credibile, noi crediamo e viviamo dell'Eucarestia e come i martiri di Abitene, anche noi dobbiamo dire ai nostri governanti, a tutte le persone ed anche i nostri Vescovi se necessario, sine Dominico vivere non possumus, non possiamo vivere senza la domenica perché diventeremo tutti apostati ma diventeremo tutti tristi anaffettivi, incapaci di amare mio marito mia moglie.
    Io ho bisogno dell'Eucarestia. Quando celebriamo l'Eucaristia ci poniamo al centro del mondo e tutta la realtà è quasi sospesa da quella celebrazione, e questa ci permette di non cadere nel nulla dei nostri peccati, nel nulla della nostra miseria. Invochiamo il signore chiediamoli che ci aiuti profondamente a vivere intensamente l’Eucaristia, a compiere realmente degli atti virili.
    Oggi abbiamo bisogno di cristiani forti, che dicano con tutto sé stessi, anche con la forza che deriva da questo, che noi senza l'Eucarestia non possiamo vivere. La teoria di Santi e di Martiri che hanno versato il loro sangue per l’Eucarisia ci dia la forza, la potenza necessaria per compiere ciò che è necessario per ciascuno di noi e non solo per noi ma per le nostre parrocchie, per le nostre città ,per la nostra nazione affinché il Signore sia lodato continuamente e solo così avremo la vera Pace la pace che non da tutti i nostri cuori.
     
    Sia lodato Gesù Cristo"
    Di seguito l'audio della meditazione.
     
  19. Claudio C.
    Riportiamo qui di seguito alcune considerazioni di Mons. Bux rilasciate da Mons. Bux alla "Fede Quotidiana" dal titolo “non bisogna dare a Cesare quello che è di Dio”.
    “Chi dice il contrario evidentemente nega, non conosce  il Catechismo della Chiesa cattolica o Gli Atti degli Apostoli, capitolo 5, nel quale si dice che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che gli agli uomini”: l’affondo è del noto teologo e liturgista barese con Nicola Bux.
    Don Nicola i vescovi italiani, la sera del 26 Aprile, hanno protestato per il no del Governo alle messe col popolo. Il Papa, dal canto suo, ha detto che per sconfiggere la pandemia bisogna rispettare le leggi del Governo. Sembra una sconfessione…
    “Non so che cosa volesse dire, ne sentiamo tante. Io mi rimetto a quello che da sempre afferma  e comanda la Chiesa cattolica e a questo devo  vincolarmi non ad interpretazioni fantasiose”.
    Cioè?
    “E’ evidente che bisogna rispettare le leggi dello Stato per quanto riguarda l’organizzazione e il bene comune. Tuttavia, la legge dell’ uomo non può e non deve entrare e sopraffare quella di Dio ed anzi se vanno contro bisogna disobbedire ed obiettare. Lo dice il  Compendio del Catechismo della Chiesa, meglio ancora Gli Atti degli Apostoli al capitolo 5, due elementi che qualunque sacerdote e meglio ancora chi ha responsabilità nella Chiesa dovrebbe conoscere, spero che le conosca. E non vale l’abusato ‘Date a Cesare’, perché si intende con questo che non bisogna dare al Cesare quello che è di Dio. Tanto meno ci è lecito, in ottica di credenti, bruciare incenso all’imperatore. Il nostro solo Re è Cristo, nessun altro, che sia leader politico o Capo del Governo”.
    E se lo Stato vieta il culto?
    “E una’ norma ingiusta e va disattesa. Come le dicevo, il Governo norma quello che concerne la vita sociale, ma sulla vita spirituale,  nella vita religiosa bisogna fedelmente seguire la Legge di Dio  senza sconti. Insomma, con le dovute precauzioni sanitarie e di cautela, il credente  privilegi il primato dell’ anima su quello del corpo. E infatti il Vangelo  ci dice: ‘A che cosa serve all’uomo guadagnare il mondo intero se perde  sé stesso?’ La messa è un nutrimento dell’ animo. Adesso pare che conti solo il nutrimento del corpo”.
    Queste norme sono state decise in base al comitato scientifico…
    “A mio avviso questo comitato o comitati sono composti da persone quanto meno indifferenti o agnostiche”.
    Conte è cattolico?
    “Conte si è dichiarato tale. Tuttavia trovo singolare che non sappia che esista un primato dell’ anima sul corpo Piuttosto dimostri con i fatti che è credente, non con le parole”.
    Escludere le messe con il popolo che cosa vuole dire?
    “Ignorare il primo comandamento, dare culto a Dio e il terzo,  santificare le feste. I primi tre riguardano il rapporto con Dio, Conte il cattolico dovrebbe saperlo”.
    E la Chiesa?
    “E’ un  realtà sovrana ed autonoma che non deve essere sottomessa al mondo e alle sue leggi, o all’autorità mondana, ma collaborare nel rispetto della sua autonomia”.
    Su un giornale della Puglia l’ arcivescovo di Taranto Monsignor Santoro ha usato l’ espressione “pane eucaristico”: condivide?
    “No. E’ una dizione  simil luterana perché Cristo non è il pane, ma ha detto ‘questo’ è il mio corpo nel senso in cui questo indica il passaggio dal pane al corpo. In sostanza, il pane si converte nella sostanza del corpo di Cristo”.
    In una chiesa del nord Italia a Cremona sacerdoti tempo fa hanno fatto irruzione sospendendo una messa…
    “Un abuso ed atto ingiusto, anche se il prete  è stato un tantino imprudente. In ogni caso vi è la tendenza di molti sacerdoti a ritenere che la messa sia valida o utile solo col popolo. Non è così. La messa prima di tutto è sacrificio, dopo banchetto. E allora proprio perché sacrificio, vale anche con una sola persona o col celebrante, si applica in modo universale e tanti sacerdoti e vescovi martiri lo hanno fatto da una cella, per tutti”.
     
    Intervistatore Bruno Volpe
    Intervista reperibile qui https://www.lafedequotidiana.it/mons-bux-non-bisogna-dare-a-cesare-quello-che-e-di-dio/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

     
     
  20. Claudio C.
    Quella che riportiamo di seguito è la lettera di un giovane Sacerdote* di Bergamo, già educatore in Seminario e docente di Teologia pubblicata sul Blog  della Opera Diocesana Patronato S. Vincenzo , il quale fa alcune considerazioni dopo aver seguito la conferenza stampa del presidente del consiglio dei ministri italiano, riguardante la cosiddetta Fase 2 della gestione della crisi pandemica da Covid19 (28 Aprile 2020 AD).
    La riportiamo tal quale, senza commenti o considerazioni, ma aggiungiamo la nostra considerazione e proposta al termine. 
    Ecco di seguito lo scritto riportato integralmente.
    "È una sera molto difficile. Oppure una sera da cui risorgere. Le regioni hanno convocato preti e vescovi per pensare a cosa fare con i ragazzi nella prossima estate quando i genitori dovranno andare al lavoro e non ci saranno gli oratori, gli scout e l’Azione Cattolica con le loro proposte; le istituzioni pubbliche hanno sentito le Caritas per verificare il buon funzionamento delle mense e dell’assistenza ai senzatetto; i sindaci hanno chiamato i parroci per cercare di portare una parola di conforto alle famiglie dei morti di Covid a cui era negato il lutto. E i vescovi hanno dato prova di grande senso di collaborazione: hanno chiuse le chiese la sera stessa del decreto, hanno ripreso con forza i preti che non avevano capito la gravità della situazione e hanno raccomandato il massimo grado di responsabilità.
    Dalle notizie che sono trapelate in questi giorni, la Cei ha lavorato di concerto in ogni modo con politici ed esperti per una ripresa responsabile della possibilità di celebrare le eucaristie. I preti e i fedeli in questi giorni sono stati preparati: «Non sarà come prima, per un lungo periodo dovremo essere vigilanti, forse non si riuscirà ad andare a messa tutte le domeniche, ma torneremo all’eucaristia presto». Poco prima di della conferenza stampa di Conte avevo sentito degli amici che mi avevano commosso: «Ancora una domenica, poi finalmente torneremo all’Eucaristia», mi hanno detto. Mamma, papà e tre bimbi.
    E invece ho assistito attonito alla comunicazione: il premier ha ringraziato la Cei presumibilmente per la collaborazione in termini di assistenza, ha detto che capisce il dolore, ma per la messa «vedremo tra qualche settimana». Poi ha dato spiegazioni precisissime su tutti gli sport, su estetisti, parrucchieri, su piccole e grandi imprese, sulle distanze per correre, su come si prenderà il cibo nei ristoranti e su quando riapriranno i bar. Ci sono date, protocolli e procedure di controllo. Ma per i politici italiani, la Cei è da ringraziare per l’assistenza nel sociale. La possibilità per quei milioni di cattolici (a cui si uniscono tutte le altre confessioni e fedi) di pregare non è nemmeno stata presa in considerazione: ha un grado di priorità inferiore alla serie A (più volte citata da Conte), alla corsetta, agli sport individuali e di squadra, agli estetisti e ai parrucchieri, alle piscine e alle palestre. Non è una priorità, se ne parlerà, «Comprendo la sofferenza per chi ha una sensibilità religiosa, ma per eventuali aperture dobbiamo interloquire con gli esperti, tra qualche settimana».
    Ci ringraziano, non siamo dimenticati; a dire il vero, come dicevo, non è stato detto il perché del grazie, però gli stiamo simpatici, suvvia! Ma ciò che succede in Chiesa non ha alcuna rilevanza: siamo rilevanti per fare i funerali in una società che non sa dire nulla di fronte alla morte, per tenere i bambini d’estate in un paese che non investe quasi nulla sull’educazione e per dare da mangiare in uno Stato che lascia indietro troppi ultimi tra gli ultimi. Questo siamo.
    Che vien da dire, per fortuna! Lo Stato lo sa bene che la Chiesa non è ricca sfondata. La polemica sull’8 per mille la fanno quelli che non ci capiscono nulla di economia e sono alla caccia delle ultime fake news. Secondo diverse agenzie, lo Stato riceve dalla Chiesa circa il 250 per cento di servizi in rapporto a quanto dà. Ma meglio dare qualche soldo alla Chiesa, che si smazza poveri, anziani e bambini. Meno problemi organizzativi e un risparmio di molti soldi. Questo siamo. I preti lo sanno bene: fino a 10 anni fa in paese c’era l’ACR o l’oratorio a fare qualcosa d’estate con i bambini, e i Comuni avevano altre cose da pensare. Meglio sganciare un po’ di lire agli oratori per occuparsi dei bambini. Adesso i centri sportivi e le cooperative sociali si sono attivati, e la torta da dividere è la stessa, ma con più persone che mangiano.
    Io me le ricordo le discussioni di qualche anno fa: «Ma i comuni capiranno che noi mettiamo cuore in quello che facciamo!». Invece no. Non interessa il nostro cuore: interessa se eroghiamo o meno un servizio. Franco Garelli usa un’espressione molto bella: parla di “caso italiano” per definire il ruolo della Chiesa. In Italia la Chiesa ha scuole, enti educativi, strutture, procedure assistenziali, organi di informazione, caso unico in Europa. Ma abbiamo sempre pensato che testimoniamo il Vangelo così: occupandoci del sociale, facendolo con stile, e desiderando che dietro traspaia il Vangelo.
    E così le vocazioni sono crollate a picco: perché un ragazzo di 25 anni dovrebbe rinunciare a tutto per diventare un operatore sociale sul mercato delle proposte? Fino agli anni ’90 avevamo più o meno il monopolio. Ma adesso? Adesso siamo un impegno tra tanti nel planning dei ragazzi. Ci specializziamo, sediamo ai tavoli, attiviamo progetti, professionalizziamo ciò che facciamo. E diventiamo sempre più esperti, ma siamo tra i tanti sul mercato della concorrenza del sociale. Abbiamo fatto sempre una pastorale “penultima”: facciamo la pizzata con il dopocresima per «avere lì i ragazzi», perché poi si finisce con la preghiera e chissà che magari a qualcuno resti qualcosa! Facciamo l’oratorio estivo perché «noi lo facciamo con il cuore» e poi glielo diciamo con i cinque minuti finali di preghiera («Che se disturbi ti tolgo i punti in classifica generale!»), e chissà che magari a qualcuno venga la voglia di capire in nome di chi lo facciamo. Portiamo gli adolescenti al mare o in montagna sperando che gli resti quel minimo di memoria che hanno fatto qualche bella esperienza da piccoli con il don e magari chissà che un giorno… Ma quel giorno non viene mai! Non si sposano, non vengono più in chiesa, non fanno battezzare i figli. Non sei un nemico! Sei “il don”. Altra questione è “il Vaticano”, ricettacolo di tutti i mali. Ma il don è normalmente una persona simpatica. Magari fossi nemico! Magari tu rappresentassi per loro una passione forte, fosse anche contraria! No: sei quello che in quell’estate in cui sono stati a Londra tre settimane con la scuola, in Grecia con la famiglia, a Berlino con gli amici, sono stati anche alla GMG, e «che bello che è stato!». Tanto quanto Berlino, la Grecia e Londra. Uno sul mercato. Niente di più. E ti ricordano come una cosa bella tra tante. C’è poi la versione meno abbiente, di chi grazie alla parrocchia è andato a fare la GMG a Madrid e ha preso per una volta l’aereo, perché a quei soldi nessuno gli avrebbe dato questa possibilità. E ti ricorda così. Con simpatia. Ma statisticamente avviene con rilevanza sempre più nulla che da cosa nasca cosa e poi uno capisca che dietro c’è il Vangelo.
    Una curiosità: ho fatto una stima spannometrica dei laureati del mio paese e con curiosità ho constatato che il numero di laureati in scienze dell’educazione, scienze della formazione primaria e infermieristica è molto simile al numero di religiose viventi che hanno fatto una vita le infermiere e le maestre all’asilo. Ci hanno presi in parola i giovani: ci imitano. Ma hanno optato per la versione laica di quello che facciamo, anche perché onestamente è quella in cui ci vedono investire più tempo. Diventiamo esausti, inseguiamo istituzioni che dovevano essere “penultime”, teniamo in piedi cose che forse erano un guizzo di genio sociale di un momento e da cui non riusciamo più a liberarci, siamo sempre più occupati.
    E questa sera in due minuti il presidente del Consiglio dei Ministri dalla cattolicissima Italia ci ha detto con spietatezza elegante che la nostra pastorale ha molto del fallimentare. Se andiamo a dire una buona parola alle famiglie che piangono ce lo permettono: in questo vuoto cosmico di valori, dove il Premier riesce a dare una minima prospettiva di senso con uno slogan imbarazzante “se ami l’Italia mantieni le distanze”, ci riconoscono che almeno di fronte alla morte siamo gli unici che provano a balbettare alcune cose. Ma l’eucaristia, ciò che per noi è il cuore, non è degno di una scadenza, almeno a pari del campionato di calcio. Avremmo capito un ulteriore ritardo. Ci mancherebbe! Se Conte avesse detto: «Il 1 giugno riapriranno le Chiese» lo avremmo condiviso. Avremmo capito delle norme rigide. Anche più rigide di quelle che pensavamo. Ma «tra qualche settimana ne parliamo» è davvero una ferita. Alla fine ci ringrazia per quello in cui investiamo la maggior parte delle energie. Ma l’Eucaristia non è nemmeno un problema. Non ha più alcuna minima rilevanza pubblica. Ci abbiamo provato in tutti i modi, abbiamo fatto di tutto per fare, sperando che trasparisse il motivo. E per fortuna!
    Checché ne dicano i giornali, io sono convinto che in Italia tante persone hanno avuto un altro padre e un’altra madre oltre a quelli biologici e li abbiano trovati tra le file della chiesa, nel parroco, nel prete giovane, nel catechista, nel capo scout. Perché li abbiamo amati davvero. Non li abbiamo amati solo per farne un proselito. E continueremo a farlo. Ma qui si sta parlando di altro. Si sta parlando di progettazione pastorale. Non siamo nemmeno associati al vangelo, all’Eucaristia, a Dio. Questa sera Conte ha messo la parola “fine” a una chiesa con un minimo di rilevanza sociale. Ce lo ha detto chiaramente: siamo una istituzione piena di servizi, ma irrilevante e in assoluta minoranza circa le convinzioni di fondo. Per il nostro specifico non meritiamo nemmeno lo stesso investimento di pensiero che per il jogging.
    Io non sono arrabbiato con Conte. Che ha fatto il suo lavoro. E non lo giudico politicamente. Ma dopo qualche minuto mi è passata. Forse ci ha dato un colpo mortale. Ma se si risorgesse da qui? Ci ha messo di fronte a una identità esausta e fragilissima. Ma se ci avesse anche posto nelle condizioni per dirci che forse dobbiamo iniziare a occuparci di altro. Hanno fatto bene i vescovi a fare sentire il loro disappunto. Ma Conte ci ha solo detto ciò che tutti sapevamo e che non si poteva dire: siamo diventati una piccola minoranza. Solo che ci trasciniamo dietro mille residui storici. Vogliamo iniziare a giocarci bene il nostro ruolo di minoranza?".
     
    Questa lettera, trasparente e cristallina, è interessante perché è una fotografia ad alta risoluzione, vivida, della figura del Sacerdote ad oggi, per come è stata disegnata e vissuta da qualche decennio a questa parte. La formazione classica di cinquanta, sessanta anni fa oggi non esiste più, se non in situazioni minoritarie, una formazione che, pur con i suoi limiti, riusciva a dare un’identità molto più definita di quella odierna, caratterizzata invece dal “prete fai da te”. Di conseguenza, attualmente, in luogo di formare sacerdoti i seminari a-formano “laici che fanno i preti”, il che non è affatto la stessa cosa di imparare ad “essere” preti.
    Questa realtà, ben descritta nella lettera, è da tempo sotto gli occhi di tutti ma non la si è saputa o voluta vedere, nell'attesa di vederne i frutti o di rimandare a tempi migliori. Non sappiamo quale sia la soluzione che questo giovane sacerdote immagina; potrebbe essere distante anni luce da quanto abbiamo in mente noi. Potrebbe essere una nuova, ennesima, inutile e dannosa rivoluzione. Ma, in questo momento, ciò che è importante è la fotografia che egli scatta. 
    Negli ultimi decenni i chierici hanno rifiutato l’aspetto monastico che avevano prima. La mentalità che si respira nei seminari, infatti, è piuttosto secolarizzata. Perché l’approccio prospettico e teologico è che la Chiesa debba imparare dal mondo, dalla gente comune, dalla “modernità” e non abbia invece da insegnare nulla. Anzi, chi richiama la Tradizione cattolica, chi reclama come un ruolo primario nel difendere i Diritti di Dio, il Culto, viene rigettato e messo da parte, perché non porta “nulla dal mondo”.
    Sta adesso alla Gerarchia Ecclesiastica trattare questa voce o come quella di tanti preti giovani e vecchi negli ultimi decenni, ovvero mettendola da parte, o prendendo atto che una visione della Chiesa, spesso distante da quanto la Chiesa è stata o da come ha agito per duemila anni non ha portato i frutti sperati, bensì quelli opposti.
    Non si dovrebbe reinventare nulla, aggiornare o ripensare nulla. La Chiesa è lì. Ci guarda. Basta solo riconoscerla.
    In J et M, Claudio.
    *Il suo nominativo non è noto, ma non abbiamo motivo di credere, vista la fonte, che si tratti di un falso.

     
  21. Claudio C.
    Con molto interesse e condivisione riportiamo il trascritto libero della conversazione tra Mons. Nicola Bux ed il prof. Stefano Fontana sul tema "Chiesa in Uscita o in Ritirata?". Si affrontano i temi fondamentali della fede cattolica. Qual è la missione della Chiesa? Essa è immanente e sociologica o  trascendente? I fedeli cattolici, dal più semplice all'alta gerarchia sono preparati a vivere secondo i giusti criteri cattolici la realtà in cui vivono? La epidemia di Covid19 ha portato alla luce una crisi di fede nel Clero? Gesù Cristo è diventata una "scusa per parlare d'altro" o è ancora la unica strada di Salvezza? Rahner e la sua teologia sono stati la causa o la valvola di sfogo di domande ancora senza risposta? 
    Buona lettura e, alla fine della pagina, buona visione del video delle conversazioni.
    Bux Ci concentreremo questa sera sul ruolo che sta giocando la Chiesa in questo tempo così eccezionale, tempo che è stato già definito del coronavirus e che comunque, come tutti i tempi della storia, non è sottratto all'azione di Dio che tutto vede e segue ; sappiamo che il Signore è onnipotente ed a Lui nulla è impossibile però nello stesso tempo non vuole assolutamente coartare la nostra libertà perché ci ha creati liberi come d'altronde lui è libero e quindi ci ha creati a sua immagine anche in questo senso, sebbene la nostra libertà sia una libertà un po’ ferita e quindi non in grado di scegliere quello che è bene in senso assoluto.
    Il tema di questa sera è quasi un dilemma tra chiesa in uscita e chiesa in ritirata; certo c'è stata una punta d'ironia nella scelta di questo titolo su cui abbiamo convenuto insieme col professor Fontana, ma serve un po’ anche a renderci conto a volte della veridicità e sostenibilità di certi slogan; questa espressione “chiesa in uscita” è vera infatti da sempre, la Chiesa è sempre stata in uscita; basta cominciare dagli Atti degli Apostoli che sono usciti annunciando al mondo quello che avevano sperimentato con Gesù Cristo, per non parlare poi di tutte le altre ondate missionarie evangelizzatrici; soprattutto il secolo scorso e nella seconda metà dello stesso, la Enciclica di Paolo VI  “Evangelii nuntiandi “divenne il manifesto della evangelizzazione, ma ancor prima anche Pio XII aveva addirittura introdotto i preti fidei donum cioè quei sacerdoti che avrebbero dovuto lasciare le diocesi e andare in soccorso delle chiese e dei più bisognosi di avere ministri; è vero quindi che nessuno dei papi del secolo scorso, giusto per rimanere a quelli più recenti, abbia immaginato una chiesa statica anche perché la Chiesa per sua natura, come diceva Giovanni Paolo II in un discorso del 1981, è una realtà che si muove e non è una realtà chiusa in sé stessa.
    Senonché, professore, in questo tempo del Covid 19 stranamente la Chiesa è sparita o quantomeno è diventata diafana; le chiederei quindi come può essere accaduto tutto questo; si stanno moltiplicando i dibattiti e le analisi da parte di canonisti, giuristi circa questa sorta di sparizione o di remissione, di sottomissione, di resa della Chiesa di fronte a certe norme, ma quasi tutti dimenticando che tutto questo accade in Italia e che noi abbiamo dei patti, abbiamo un concordato.
    Fontana. Prendendo spunto proprio dal titolo direi che il titolo di questa nostra conversazione, più che un indovinato slogan riporta una verità molto profonda, ovvero che più la Chiesa è concentrata sulle proprie profondità e più riesce ad uscire per salvare il mondo, al contrario più la Chiesa si fa primariamente estroversa e orientata al mondo, dimenticando e trascurando l'intimità con le proprie profondità meno riesce a servire il mondo e meno ancora riesce a salvare il mondo.
    Quando oggi si dice “Chiesa in uscita” non si intende la Chiesa missionaria come è sempre stata nella sua essenza e come lei ha giustamente adesso richiamato ovvero quella Chiesa che esce per portare al mondo la Salvezza, ma si intende un'altra cosa. Vorrei ricordare che questa espressione non è di oggi ma fu coniata nel secolo scorso quando si diceva che la Chiesa deve uscire per raccordarsi con quanto lo spirito già faceva nel mondo e quindi uscire dalla Chiesa vuol dire uscire nel mondo per imparare dal mondo, per non trovarsi indietro rispetto a ciò che lo spirito dice nel mondo; ma questa affermazione è evidente implichi una concezione molto diversa del rapporto tra la Chiesa e il mondo rispetto a quella che anche lei ha richiamato parlando appunto di “missionarietà”, di slancio e di dinamismo; tanto è vero che oggi si tende a dire che la Chiesa non deve non deve più convertire e non deve più fare proseliti proprio perché non si intende più uscire verso il mondo nel senso della Tradizione che è quello di evangelizzare il mondo. Quindi la prospettiva oggi è cambiata ed in un certo senso anche una certa assenza della Chiesa in questa fase storica risponde a questa logica; in questa fase la Chiesa è infatti stata assente secondo me su due punti:
    ·         Il primo punto è stata la sudditanza al potere politico; il decreto dell’8 marzo è ingiustificato, illegittimo e contrario non solo alla Costituzione Italiana ma allo stesso Concordato tra Stato e Chiesa. La Chiesa sottoponendosi al potere politico ha pertanto rinunciato alla presenza pubblica di Dio
    ·         la questione ancora più importante e più preoccupante è la stata la carenza da parte della Chiesa e di chi guida la chiesa; naturalmente mi sto riferendo la carenza di una lettura della epidemia in corso in chiave teologica nell'ambito del rapporto tra caduta e redenzione in vista dell'obiettivo della salvezza delle anime.
    Gli interventi che sono stati fatti sono stati prevalentemente orizzontali e, quando si è chiesto al cielo di intervenire, si è chiesto al cielo di intervenire ma prevalentemente per sostenere i medici, sostenere gli infermieri, sostenere tutti noi nella lotta naturale contro questo pericolo considerato solo naturale, ma è mancata l'interpretazione soprannaturale dal punto di vista di Dio
    Bux. Nel bollettino dell'osservatorio Van Thuan, che lei presiede, è riportato l'intervento di Padre Arturo Ruiz Freites, molto interessante, in cui c’è un approfondimento sulla teologia della storia utile a capire e leggere questo nostro tempo; vorrei proprio riprendere un solo un piccolo punto di questo intervento del Padre Ruiz sulla lettura che la Chiesa sta dando del coronavirus che rivela due modi di intendere la Creazione stessa.
    Sappiamo che Dio creò le cose dal nulla, quindi Dio è Signore assoluto della natura e della storia, quindi tutto ciò che accade anche nella natura accade perché Dio lo vuole o perché Dio lo permette; quindi sia che lo voglia, sia che lo permetta, tutto accade in vista della nostra della salvezza delle anime come fine ultimo della Provvidenza di Dio che la salvezza delle anime; quindi anche questa calamità naturale non solo può ma deve essere letto come intimazione a cambiare vita, come invito alla conversione, come invito agli esami di coscienza sia delle persone che delle comunità sociali.
    Poi però c'è l'altra visione della Creazione che è quella che nasce con Theillard de Chardin e continua con Rahner ed è assolutamente diffusa direi preponderante oggi cioè Dio non creerebbe più dal nulla, dal di fuori o dal di sopra ma dall’interno della storia; secondo questi signori teologi bisognerebbe applicare al trascendente le categorie che noi applichiamo alla vita qua giù, facendo diventare impossibile uno sguardo trascendente; la visione della Creazione nella Tradizione cattolica, come brevemente già richiamata, impone di vedere anche i fatti naturali compresi i disastri naturali in vista del progetto sapiente di Dio, per la salvezza delle anime.
    Bux. Quello che lei sta dicendo lo ha approfondito egregiamente nel suo libro “La nuova chiesa di Karl Rahner” e, come dire, questa sorta di riduzione dell'opera di Dio, di limitazione, è peraltro conseguenza di quella crisi di fede di cui Ratzinger ha parlato alcuni anni fa, a tal punto che lo portò a proclamare l'anno della fede; tutte le crisi della Chiesa mio modo di vedere sono prima di tutto e soprattutto crisi della Fede, ed anche della ragione; è indubbio che nella Chiesa oggi ci sia anche una crisi della ragione e la crisi della ragione non si può superare se non tramite una ripresa della fede perché la ragione non è in grado di salvare se stessa, come la natura non in grado di salvare sé stessa, ma ha bisogno della grazia per salvarsi.
    Fontana. Benedetto XVI lungo tutti gli anni del suo pontificato ci ha dato delle formidabili insegnamenti sul tema della Verità e sul tema di come la fede cristiana sia l'unica a chiedere alla ragione di essere vera fino in fondo senza diventare essa stessa fede, ma essendo fino in fondo ragione; in nessun’altra religione è possibile dire con sufficiente sicurezza che ci sia questo rapporto così forte con la ragione; tra l'altro, nel mondo arabo, la ragione viene intesa come una gabbia per cui non è affatto esaltata, anzi. Quando si parla oggi nella Chiesa di dialogo con l'islam, non è facile capire cosa si intenda e cosa si abbia a fondamento di questo dialogo, se sia un dialogo teologico o se sia posto su di un livello razionale.
    Lo ha chiarito anche Benedetto XVI nella prefazione al famoso libro di Marcello Pera scrivendo che non è possibile un dialogo teologico con l'Islam; se parliamo di ambiente, parliamo di pace, parliamo di diritti umani è forse possibile aprire un canale comunicativo, ma su altri piani no, perché l'islamico tra ciò che gli dice la ragione naturale e ciò che gli dice il corano sceglierà sempre ciò che gli dice il corano; nell'Islam non c'è un diritto naturale, non c'è una legge morale naturale; per cui se io devo dialogare con un islamico sui diritti umani, sulla famiglia, sulla pace, sulla tutela dell'ambiente o mi appello a una legge morale naturale che tutti ci accomuna sul piano umano e natura e razionale, oppure a che cosa posso appellarmi?
    Nell'islam non c'è questo passaggio, perché nell'Islam la ragione è separata dai dettami del corano e non esiste una base su cui sia possibile dialogare; allora faccio questa domanda; perché si insiste tanto su dialogo con l'islam se sembra che sia impossibile su tutti questi livelli?
    Bux Negli ultimi anni, la Chiesa ha finito per intendere il dialogo non più come quello che Paolo VI chiamava il dialogo della salvezza, utilizzando il Vangelo di Cristo come un “vademecum” per dialogare, cioè per portare agli altri quella salvezza che Cristo ha portato naturalmente senza imporla, ma in maniera tale da renderlo vincente, da renderlo convincente ma, allontanandosi da questo principio, il dialogo è stato inteso nella Chiesa come cercare necessariamente i propri omologhi cioè quelli che facciano a “pendant”. Ad esempio, se noi cattolici abbiamo i vescovi, allora riportando questa idea in altre realtà, dobbiamo trovare nell'Islam il corrispettivo dei vescovi, ovvero il mufti o l'imam e così via perché noi, non conoscendo il mondo islamico o presumendo di conoscerlo, riteniamo che si possa da parte loro agire sullo stesso piano di parità ed operare un confronto esattamente come avviene al nostro interno del nostro mondo cristiano occidentale e via dicendo. Questo modo di procedere lo abbiamo inoltre sia nel dialogo ecumenico che nel dialogo interreligioso, ma i nostri interlocutori non hanno evidentemente la corrispondente rappresentatività che ha un Papa; per esempio molti avranno creduto che nella dichiarazione di Abu Dhabi, il grande imam di Al Azhar ed il Papa siano venuti a chissà quali accordo perché si pensa che il grande imam sia il “papa” del mondo islamico, ma evidentemente non è così perché egli è una autorità nella zona dell'università e non è nient'altro che un'autorità legislativa e forse anche morale, ma che non ha alcun potere di governare o di pilotare i comportamenti della grande comunità islamica; però ecco a noi questo sembra bastare perché apparentemente utilizziamo lo stesso modello di comunicazione ed è per questo che c’è questa frenesia del dialogo; ma, dopo alcuni decenni di dialogo, onestamente dovremmo dire che non ha portato a nulla perché in campo ecumenico non è avvenuta alcuna riunificazione o come dice il documento del Vaticano II sull'ecumenismo, una reintegrazione dell'unità non è avvenuta. Certo è avvenuto un buon vicinato, saluti, incontri, meeting qui e là, però nulla di più ed a maggior ragione dobbiamo dire per quanto riguarda il mondo islamico; quindi allora è l'interrogativo su cosa sia il dialogo rimane tutto intero perché se non si capisce che cosa sia il dialogo equali finalità abbia, esso a nulla serve.
    Fontana. Il dialogo non può mai essere distaccato dall'annuncio perché, senza l'Annuncio, non è più un dialogo cristiano; il problema forse più grosso è questo che oggi la teologia pensa che la Verità non debba guidare il dialogo, ma debba emergere dal dialogo e quindi si dialoga e nel dialogare, nel percorrere una strada insieme, un percorso insieme, un tratto di strada insieme dovrebbe emergere poi la verità, ma questa è la visione mondana secondo la quale appunto Dio si autocomuunica nella storia umana. Ma Dio si è rivelato! Non si rivela, non si auto-comunica nel dialogo tra gli uomini!
    Bux. Quindi ritorniamo ancora una volta a questioni teologiche di fondo perché per trovare le spiegazioni di quello che sta accadendo nella Chiesa solo facendo riferimento ad aspetti contingenti o personali non risolve il problema. Bisogna ricondurre alle questioni teologiche di fondo perché sono sempre quelle che alla fine spiegano anche poi i comportamenti concreti; io potrei e semplificare ulteriormente riprendendo la domanda “Perché Dio si è fatto uomo?” che oggi rimane tutta. Oggi molti nella Chiesa ignorano la ragione per cui nel mondo è venuto Gesù Cristo e quindi la ragione per cui Cristo ha fatto la Chiesa, la ragione per cui la ha mandata in giro per il mondo e così via. Alla fine ritorniamo alla crisi della fede: se Gesù Cristo è colui che salva il mondo oppure se c'è un altro modo all'interno del mondo per salvarsi.
    In una copia della rivista di una facoltà teologica dell'Italia settentrionale un teologo scrive che nemmeno Gesù Cristo sapeva di essere Dio ed ha scoperto progressivamente, cioè dall'interno della sua esperienza di fede, di essere Dio. Questo implica che il paradigma ermeneutico si conosce sempre, per costoro, da un contesto proveniente dall'interno di una storia, da una vicenda che ci condiziona e relativizza progressivamente le nostre conoscenze. Questi teologi applicano lo stesso principio anche a Gesù Cristo  ma, applicando questo a Gesù Cristo si nega la doppia natura di Gesù Cristo.
    Le questioni sono profonde e sono molto articolate perché sono insegnate nelle istituzioni accademiche cattoliche. L'allontanamento da quello che è l'insegnamento cattolico della grande tradizione per coniare una nuova cristologia spesso non viene nemmeno notata da vescovi e pastori a motivo magari di una formazione non adeguata sui fondamentali e succede poi che il messaggio di Cristo finisca per essere o ignorato del tutto o cercato altrove in altre forme non corrette.
    Ho letto per esempio il documento dei vescovi italiani per il primo maggio, festa del lavoro, ma Gesù Cristo non viene mai nominato e neanche San Giuseppe, patrono dei lavoratori. Quindi si rimane un po’ sbalorditi di fronte a questi a questi comportamenti, a questi atteggiamenti che c'è tutta una dottrina penso da recuperare un pensiero da recuperare, perché queste nuove impostazioni navigano facilmente nella prassi; cioè la nuova teologia oggi si impone facendo sì che nelle parrocchie ai fedeli si faccia fare certe attività, accade che durante la celebrazione liturgica domenicale si assumano certi atteggiamenti attraverso la prassi più che attraverso la dottrina, che poi è la cosa anche comprensibile perché c'è oggi un pastoralismo per cui si pensa che la pastorale addirittura preceda la dottrina per cui lo sforzo di risalire alle loro origini teologiche e agli errori di impostazioni di logica diventa faticoso perché è più facile dire a un fedele facciamo in una tal maniera piuttosto che farlo interrogare e fargli approfondire le motivazioni ideologiche del perché fare in una tal maniera possa essere giusto piuttosto che sbagliato.
    Di contro però, c'è una reazione spontanea di una parte di popolo cristiano come abbiamo visto proprio in queste settimane che semplicemente crede alla Grazia divina che passa attraverso i Sacramenti che gesù cristo ha istituito come strumenti ordinari di salvezza, ovvero come farmaci salvavita; soprattutto l'Eucaristia è definita il farmaco dell'immortalità. Se Cristo ha istituito i sacramenti come modalità ordinaria per vivere dalla nascita alla morte perché sappiamo i sacramenti accompagnano la nostra vita dalla nascita alla morte e allora è chiaro che la gente ha cominciato a reagire alla sottrazione degli stessi che si è avuta nel corso di questa epidemia.
    La gerarchia episcopale sta cercando in varie maniere di rimediare, motivandolo col fatto che altrimenti si mette in pericolo la coesione sociale e quindi c'è una riduzione sociologica e non trascendente degli avvenimenti.
    La crisi della fede diventa perciò macroscopica quando si riporta lo slogan “insieme ce la faremo” ripetuto da numerosi vescovi durante la epidemia; ma questo può dirlo il presidente della repubblica , non un Vescovo.
    Occorre riconoscere che purtroppo la situazione della Chiesa dei nostri tempi è certamente questa, è però altrettanto evidente che questo movimento di fedeli che ha cominciato a far presente queste incongruenze sottoponendo a Roma una valanga di petizioni che vanno da quelle per la consacrazione alla Madonna dell'Italia a quelle per la riapertura delle chiese, ed alla fine i vescovi si sono dovuti industriare per canalizzare lo scontento. Si moltiplica altrimenti il numero dei fedeli che autonomamente, grazie anche ai social, si dota di strumenti per approfondire, per capire, per leggere, studiare e così via.
    Professore, lei è un esperto di dottrina sociale, materia che fino a qualche decennio fa era auspicata da tutte le diocesi, istituti e Vescovi; è plausibile affermare che oggi siadiventata una merce rara la Dottrina Sociale? Essa non è stata esaltata innanzi a queste affermazioni sul nuovo ordine mondiale, sulla la globalizzazione, sul nuovo umanesimo, su questi slogan di fraternità e di tale progetto di educazione mondiale.
    Gesù Cristo è venuto per la fratellanza universale, però molti si dovrebbero domandare; ma a che prezzo? Questa fratellanza nasce, secondo San Paolo quando cadde il muro di inimicizia che ci separa questo muro lo ha fatto crollare solamente Cristo il quale però ha potuto fare ciò perché ha rivelato che Dio è padre; solo se Lui è padre noi diventiamo fratelli, siamo figli prima, siamo figli adottati da Lui e poi fratelli. Quindi la fratellanza universale si realizza quando gli uomini scoprono di essere figli perché arrivano a conoscere che il padre, che non possiamo conoscere senza Gesù Cristo, perché solo lui ha potuto rivelarlo.
    Pensare che il piano umano sia il piano definitivo è errato perché esso è soltanto un piano naturale e il piano naturale non può salvare sé stesso perché non è dotato di quella assolutezza a cui aspira equindi anche il livello naturale della fratellanza umana è insufficiente senza il livello di Grazia, il livello meritato dalla morte e dalla Risurrezione di Gesù Cristo
    Fontana. Il voler coinvolgere tutte le religioni in questo progetto di fratellanza universale èinsostenibile ovvero inconcepibile prima di tutto perché non tutte le religioni concordano sul piano naturale con il diritto naturale, con la legge morale naturale cioè su quel primo gradino “virtuale” di fratellanza universale e poi soprattutto perché le altre religioni non ci sono e non possono esserci sul gradino definitivo che è quello della Grazia meritataci da Gesù Cristo. Ci sono stati altri casi simili nella storia, anche i giacobini volevano qualcosa del genere parlando di una religione universale, anche la rivoluzione francese, anche il marxismo e anche la massoneria. In questi casi però entriamo in una logica diversa di fratellanza universale che non è più la fratellanza cattolica.
    La causa è la grande carenza di dottrina ed anche della dottrina sociale della Chiesa.
    Bisogna chiedersi se l’esistenza di un'autorità politica mondiale con potere di governo è una cosa contraria alla dottrina della Chiesa oppure una cosa lecita.
    Bux. Un aiuto importante può venirci dal concetto di Grazia, oggi una delle parole più neglette nel
    Catechismo. Il termine Grazia fa il paio con Verità dice San Giovanni e nel primo capitolo del suo Vangelo dice infatti che sono venute per mezzo di Gesù Cristo la Grazia e la Verità e quindi sono strettamente legate al riconoscimento del fatto centrale del cristianesimo che è l'incarnazione del Verbo allora il problema, torniamo all'origine, è tutto qui cioè e iniziamo il tradimento o il disconoscimento di ciò che è essenziale nel cristianesimo perché come si diceva nei “dialoghi dell'Anticristo” “noi non abbiamo nulla di più caro che Gesù Cristo”. Probabilmente però negli ultimi decenni la figura di Cristo è stata data per scontata e quindi non è che la si è voluta “abolire” perché è molto difficile e anche ingombrante ma, per ora, si è svuotata della sua portata di Grazia, ove la Grazia è quella energia divina gratuita che permette all'uomo di fare quello che non può fare secondo natura e quindi tutto questo appartiene alla linea all'insegnamento basico del cristianesimo che però purtroppo, partendo dal catechismo dei piccoli ed arrivando fino a agli insegnamenti che si dava gli adulti è totalmente dimenticato.
    Fontana. Stasera abbiamo toccato due punti di dottrina di formidabile importanza: la Creazione e adesso la Grazia. Nei seminari un corso sulla Creazione non esiste più ed un corso sulla Grazia non esiste più e non esiste più neanche l'insegnamento filosofico di ordine metafisico per poter comprendere la creazione e la grazia. Stiamo qui toccando alcune carenze formidabili che riguardano la comprensione della fede e poi anche il vivere la fede perché se non si comprende qualcosa poi è difficile viverla adeguatamente.
    Bux. Dobbiamo però essere fiduciosi perché già Ratzinger queste cose le diceva alcuni anni fa sulla teologia della creazione alla pari della grazia ed il fatto stesso che noi e tanti altri s'accorgono di queste mancanze di queste lacune e le ripropongano  dopo che “le avevano buttate a mare” perché speravano di essersene liberati , ma Lui invece dopo tre giorni riappare di nuovo, stupendo un po’tutti quanti ed è quello che sta avvenendo.
    Grazie a Dio, grazie anche a questa rete di incontri di amicizia che si è creato viene quasi un riconoscimento spontaneo perché non è che i nostri incontri i nostri rapporti obbediscano ad una regia, perché ci siamo riconosciuti dentro uno stesso giudizio, una stessa esigenza di fede e, pur nella diversità di apporti, ci dirigiamo verso una diagnosi per tutto e del tutto condivisibile.
    Noi cerchiamo di aiutare i tanti che prima a livello intuitivo e poi via via sperimentale dicono: ma dove stiamo andando? Tanti hanno bisogno di questo tipo di  aiuto e noi dobbiamo esserne consapevoli.
    Fontana. Sì, questo raccordarci credo sia veramente importante; il nostro osservatorio per esempio ha creato un coordinamento per la dottrina sociale della chiesa a cui aderiscono 30 associazioni e centri culturali di tutta Italia. Abbiamo trovato in queste trenta realtà una sensibilità e necessità di intendere correttamente la dottrina sociale della Chiesa e stiamo aiutandoci l'un l'altro per mantenere fede a questa tradizione. Come dice lei queste realtà ci sono e vanno coltivate incrementate e anzi colgo l'occasione per invitare tanti a seguire l'attività e gli approfondimenti dell'osservatorio Van Thuan.
    Regia. Una domanda su Rahner: come ha potuto affermarsi una teologia così assolutamente contraria alla teologia tradizionale della Chiesa e come ha potuto un solo uomo soppiantare gli scritti di dottori, santi e teologi confermati per secoli
    Fontana. La filosofia di Rahner si inseriva e quasi dava compimento a un processo di revisione teologica che era precedente a Rahner stesso; essa comincia con il modernismo all'inizio del secolo scorso e con la nouvelle theologie, dando una sistematicità definitiva a questa nuova teologia che intende in modo diverso i rapporti con il mondo.
    In questo modo egli ha partecipato al Concilio Vaticano II e, nel pluralismo culturale sfrenato post conciliare è diventato il maestro o un maestro così che per esempio Paolo VI nel 64 lo ha convocato e, siccome dopo il concilio è il tema centrale è diventato il rapporto tra le chiese il mondo e Rahner sembrava aver creato una nuova Scolastica, cioè una nuova interpretazione sistematica adatta ai tempi ed al rinnovamento, egli è stato accolto sostanzialmente dai teologi e dagli addetti ai lavori, cosicché l'autorità ecclesiastica non lo hai mai censurato; ma dopo il Concilio le autorità ecclesiastica ha censurato pochissimi teologi perché nel frattempo anche l'idea del pluralismo teologico era penetrata nella chiesa oltre a quella del pluralismo filosofico e quindi Rahner non solo non fu condannato ma fu esaltato ma anche i suoi seguaci ed i suoi discepoli sono diventati i vescovi di oggi ed i cardinali di oggi. Quindi è un processo piuttosto lungo e complesso che attraversa così le vicende della Chiesa
    A lui parallelamente si opponeva Von Balthasar, che non era stato convocato come perito ma tuttavia egli dopo portò avanti un'opera potrei dire uguale e contraria di contestazione del Rahnerismo che naturalmente poi fu documentata con le riviste Concilium e Communio.
    Bux La Chiesa alla fine trova sempre al suo interno le energie e le risorse per reagire di fronte alle deviazioni. Pensiamo per esempio alla teologia di Ratzinger che ha costruito grandi cose proprio in alternativa alla posizione rahneriana.
    Papa Giovanni, nell'apertura del Concilio ha detto che il Concilio non voleva distribuire condanne; questo era uno stile che pensava di predicare il Vangelo in chiave più buona, ma non dimentichiamo che si aprono gli anni sessanta e quando c'era la l'illusione che il mondo doveva andare verso il progresso senza soluzione di continuità.
    Regia. Il dialogo ecumenico necessita di due soggetti che scambiano idee che scambiano idee. A fronte dell'attivismo cattolico per promuovere il dialogo nelle altre chiese cristiane nelle altre religioni è presente altrettanto interesse?
    Bux. Da osservatore, a me sembra che le altre confessioni cristiane, la luterana insomma la protestante, la ortodossa non abbiano per il dialogo ecumenico la stessa passione, chiamiamola così, della Chiesa Cattolica e credo che questa sia una delle cause per cui lo stesso dialogo ecumenico alla fine non ha prodotto grandi risultati.
    Le faccio solo un esempio, ma ripeto che non è un terreno in cui sono competente fino in fondo: la chiesa ortodossa ribattezza i fedeli cattolici che hanno ricevuto il battesimo cattolico quando entrano nella chiesa ortodossa cioè non considerano, non accettano enon considerano valido il battesimo cattolico. Ecco un esempio un esempio di arroccamento sulle proprie posizioni di non apertura e di non disponibilità a cui si possono poi aggiungere tanti altri tanti altri esempi
    Tutta l'area protestante per esempio è poco disponibile nei confronti del dialogo con i cattolici in tutto ciò che riguarda la morale per esempio ambito in cui loro sono molto più “progressisti” , ad esempio l'aborto o la omosessualità. Se i cattolici volessero essere veramente ligi alle proprie posizioni morali su questi temi, lì il dialogo sarebbe già finito all'inizio per la intransigenza della dell'area protestante su queste tematiche.
    Quindi la mia idea è che il progresso del dialogo ecumenico sia più che altro una passione cattolica, spiegabile ma non pienamente condivisibile fino in fondo più che una un'attenzione pari e adeguata da parte delle altre due confessioni.
    San Tommaso dice che quando si dialoga bisogna tener presente sempre tra le altre cose se sia presente al dialogo qualcuno di inesperto o di non preparato che potrebbe essere confuso dal dialogo stesso.
    Regia. Come si può attuare la ripresa della fede?
    Fontana. Per quello non bastiamo noi, quindi anche se noi facciamo tutto quello che possiamo fare questo non basta, ma ci vogliono altri interventi. Io posso aggiungere però che la ripresa della fede è già in atto perché se il corpo ecclesiale vede queste reazioni diffuse a vari livelli esso reagisce per Grazia di Dio, suscitando all'interno della sua Chiesa le energie necessarie per contrastare tutto quello che sappiamo.
    Perciò dobbiamo noi incentivare, ciascuno per la propria parte, questo risveglio perché in fin dei conti è sempre un fermento. La Chiesa è Sua e noi non siamo i salvatori della chiesa.
    Regia. Perché non si condannano le eresie?
    Fontana. Se Dio si auto comunica nella storia come sostiene la nuova teologia contemporanea, cioè egli non si è auto comunicato dal di sopra e definitivamente ma si manifesta nella storia dell'umanità, nell'esistenza dell'umanità, anche un eresia può essere stimolo per procedere dialetticamente verso il meglio. La eresia oggi non tende più ad essere considerata un pericolo per la dottrina per la fede e per la salvezza ma tende ad essere considerata come dire la contraddizione che è utile affinché la coscienza della chiesa circa la verità cristiana aumenti .
    Da Lutero è pertanto nata una sfida che ha permesso alla Chiesa di fare un salto in avanti e in alto nella comprensione della fede perché la teologia contemporanea pensa che i dogmi siano storici e pensa che la fede sia l'autocoscienza che la chiesa matura nel tempo. Di conseguenza la conoscenza di tutti coloro che stanno dialogando fa un passo in avanti; ma questa posizione dimentica che la Chiesa non è un talk show non è una discussione tra amici al bar o è una discussione di carattere politico o filosofico o ideologico. Anche le motivazioni sono tante e mi soffermo solo su una: il pastoralismo. Esso spinge a andare subito ad operare in situazione scavalcando completamente i quadri concettuali e dottrinali della dottrina sociale della Chiesa. L'abbiamo vista di questi temi che la Chiesa ha affrontato in questi ultimo periodo: gli immigrati, l'ambiente ed altro. Ebbene, non posso io come cattolico operare nell'ambito complesso delle migrazioni senza l'apparato concettuali di riflessioni e criteri di giudizio della dottrina sociale della Chiesa.
    La carità non può essere cieca, ma l'operato e sociale politico economico dei cattolici deve essere guidato dalla dottrina della Chiesa; se però prevale la posizione pastoralista, ciò che conta è la pastorale e non la dottrina è chiaro che si scavalca completamente la dottrina sociale della Chiesa e questo è stato fatto sistematicamente.
    Recentemente la povertà dei popoli amazzonici non è stata per niente affrontata con le categorie della dottrina sociale della Chiesa; il problema ambientale oggi ci dice che si può così deve collaborare con tutti, ma non è vero si debba collaborare con tutti; collaboro anche con forze sociali politiche ed economiche anticristiane oppure disumane?
    Regia Perché non ammettere che dai documenti conciliari Nostra Aetate e Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa sono cominciati i problemi della chiesa?
    Fontana. La mia idea è che quei due documenti conciliari abbiano aperto una problematica che il magistero non ha ancora chiuso ma che dovrà chiudere primo dopo cioè quei due documenti anno hanno posto delle problematiche che hanno aperto problemi nuovi che sono tuttora sul tappeto e credo che il magistero non so quando e qui entriamo nei campi i tempi lunghi della chiesa ma chiedo credo che il magistero su questi due documenti dovrà ritornare e dovrà precisare. E’ vero che ci sono stati ulteriori precisazioni, pensiamo per esempio alla Dominus Jesus del 2000 a proposito dell'unicità salvifica di Cristo e anche altri insomma che qui adesso non ricordo per brevità però sono state tutte precisazioni che non hanno risolto o non hanno fatto quadrare il cerchio. Si tratta inoltre di due dichiarazioni non sono tra i documenti più importanti siamo ma lo sono stati di fatto
    Bux. Come ebbe Ratzinger a dire nel suo ultimo discorso al clero di roma il 14 febbraio del 2013 nel fare la rassegna della sua esperienza conciliare disse sostanzialmente quello che lei ha detto che sono delle dichiarazioni avvenute 50 anni fa quindi in un contesto assolutamente diverso dall'attuale attendono ancora ulteriori maturazioni e quindi nessuno deve pensare che i documenti dei concili siano come fossero vangeli o sacre scritture. Sono documenti spesso anche datati che necessitano anche del tempo per essere esplicitati ma soprattutto per essere messi alla prova dei fatti.
    Di seguito il video della Conversazione.
     
  22. Claudio C.
    NOVENA ALLA MADONNA DI POMPEI.
    su iniziativa del Coetus Fidelium San Gaetano & Sant’Andrea Avellino di Napoli

    Cari Amici,
    Come tutti sappiamo, l’Italia sta vivendo un momento di profonda crisi, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico, sociale, politico, religioso. Siamo privati anche della possibilità di accostarci ai Sacramenti, perfino in occasione della Pasqua.

    Non possiamo fare altro che appellarci al Cuore Immacolato di Maria, implorando la Misericordia divina per l’umanità peccatrice e la cessazione di questo flagello.

    Per questo motivo i Coetus fidelium della Campania hanno deciso di recitare, a partire da sabato 11 aprile, fino a giovedì 7 maggio, 3 Novene consecutive, come consigliava il Beato Bartolo Longo, alla Regina delle Vittorie, alla Madonna del Rosario di Pompei; il giorno 8 maggio reciteremo la Supplica ed eventualmente proseguiremo con la recita di altre tre Novene di ringraziamento, sempre secondo le indicazioni del Beato Bartolo Longo. Parallelamente decidiamo di impegnarci in una Crociata del Rosario, recitandolo (se possibile anche intero = 3 Corone) quotidianamente con ancora maggior devozione ed assiduità. Invitiamo tutti gli Amici e i lettori ad unirsi a noi e a diffondere questa devozione: la Madonna ci salverà.

    Non fa niente che abbiamo già iniziato la prima Novena: chiunque può unirsi in qualunque momento.

    Volete unirvi a noi? Ci dareste una mano a diffondere l’iniziativa?
  23. Claudio C.
    Con molto interesse e condivisione riportiamo il trascritto libero della conversazione tra Mons. Nicola Bux ed il Dott. Aldo Maria Valli sul duello eterno tra Luce e tenebre, nell'attualità della epidemia che ha stravolto le nostre vite, ha messo in discussione il nostro modo di vivere la Fede e sottoposto ad uno sguardo critico le soluzioni adottate dai Pastori, rivelando una visione della Fede differente da quella dei due interlocutori, ma spesso lontana dallo stesso Sensum Fidei della gente comune e di chi ancora si batte per la Fede in Cristo, Presenza Reale, lontani da visioni esclusivamente sociologiche e mondane. Ma si è discusso anche di dogmi, della visione del Papa come Vicario di Cristo e della eccezionalità della Madonna in contrasto con la figura di "Maria una di noi", della sofferenza vicaria e del castigo. 
    Vi invitiamo a leggerla o, se potete, a visionare il video sul canale Youtube della Scuola Ecclesia Mater.
    Don Nicola Bux. Per questa conversazione è stato scelto il tema del combattimento tra la Luce e le tenebre rappresentate dal peccato e dalla morte, in un tempo di grande crisi della fede, in un tempo in cui ciò che Cristo disse: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” viene accantonato.
    Aldo Maria Valli. Tra i tanti temi, inizierei col dire che questa pandemia che ci costringe alla cattività sta facendo mettere a nudo alcune parole d’ordine che andavano per la maggiore fino ad alcune settimane fa, ed in particolare dal concetto alquanto ambiguo di nuovo umanesimo, fatto propria purtroppo non solo dalla politica ma anche da chi è nella Chiesa; secondo tale concezione, la “novità” sarebbe che al centro di tutto ci debba essere l’uomo e non Dio e la convinzione che l’uomo possa risolvere da sé i suoi problemi. Ritengo però che tale maschera sia caduta proprio in questi giorni, in un periodo in cui è palese che l’uomo non sia in grado di essere solo di fronte a situazioni oggettivamente difficili, prima tra tutte la questione della morte, ed ha bisogno di alzare uno sguardo trascendente e recuperare invece il rapporto con Dio.
    Anche i dati di ascolto delle Sante Messe in streaming e televisione aiutano a comprendere come si cerchi di recuperare questa dimensione verticale guardando verso Dio Padre cui chiedere aiuto e tramite cui dare un senso a ciò che ci travolge al di là di tutto. Quindi, altro che nuovo umanesimo, altro che piani umani fondati sugli aspetti esclusivamente sociologici, economici o politici, altro che task force nella sfera civile e tantomeno altro che nella gerarchia cattolica. Tutta questa prospettiva non dà una risposta alle domande delle persone; esse pregano Dio Padre e chiedono la intercessione di Maria in una tendenza molto trasversale. Il popolo, parola tanto abusata, ha ben altre esigenze.
    Bux Un cattolico deve diffidare di queste espressioni fuorvianti, tipo nuovo umanesimo. Il vero Umanesimo è quello cristiano. Se infatti l’umanesimo è quello di Cristo, diciamo all’umanità che è Cristo al centro di tutto. Purtroppo però, assistiamo ad una crisi della fede, che non significa che io non creda ma che vacilla la certezza che con Gesù Cristo sia venuto nel mondo tutto quel che di nuovo potevamo attenderci, ovvero andando con Sant’Ireneo “Gesù portò ogni novità, portando se stesso”. In realtà non è questo il nuovo che si sta cercando, masi sta andando alla ricerca di altro.
    Valli. Le persone di fronte alla Legge Divina cercano risposte che diano veramente significato e queste le possono trovare nella Tradizione. La richiesta che ne vien fuori magari è molto confusa, ma è molto forte e presente. Negli ultimi tempi la Chiesa ha rivolto apprezzamenti alle istituzioni esclusivamente umane come UNESCO, ONU e quant’altro, spesso in netta antitesi con dottrina e morale cattolica.
    Proprio oggi, nel momento della difficoltà vera, queste istituzioni umane non hanno nulla da dire, nulla di sensato che possa aiutarci, messaggi generici ma che non sono incidenti sulle nostre vite, sulla profondità del nostro animo. La persona o la famiglia in difficoltà ha invece bisogno di una parola di verità, di fede sincera, espressa anche in maniera semplice e senza elucubrazioni, ma che ci riempia il cuore e che ci dia speranza. Sul blog Duc in Altum una fedele mi scrive che in questo periodo di quarantena la sua famiglia sta vivendo una nuova devozione mariana, altri scrivono che hanno recuperato la recita del Santo Rosario in famiglia. Ecco dove le persone trovano le risposte. Quali maschere cadono?
    Uno degli ultimi concetti “nuovi” introdotti nella Chiesa è stato quello della Pachamama, un simbolo che rappresenta la natura diventata “madre natura” cui noi dovremmo assoggettarci. Le vicende di questi giorni dimostrano però che la natura può essere matrigna, un virus misterioso, e che anche questo è natura. Trasformarla in idolo come è stato fatto per Pachamama è stato un grosso abbaglio. Il Popolo cattolico si rende ora conto della ferita di Pachamama, anche persone non estremamente preparate teologicamente, anche a chi non dà normalmente peso alle parole della gerarchia. La stessa processione sulla tomba di Pietro della Pachamama, introduzione di un idolo pagano in un luogo sacro, tante persone hanno aperto gli occhi e si sono chieste: perché?. E’ palese quindi che la Provvidenza stia lavorando per noi facendo cadere tante maschere ideologiche e riporti la esigenza di recuperare la nostra bella fede. Mi ha molto colpito la numerosa presenza dei sindaci italiani nelle preghiere di consacrazione ed affidamento ai Santi Patroni delle Città, l’essere insieme ai Pastori con la fascia tricolore, quindi in rappresentanza della cittadinanza. Un messaggio veramente forte.
    Bux Chissà che veramente una parte dei pastori ponga ora veramente una nuova attenzione a quello che succede. Al di là delle disquisizioni di questi giorni sul fatto che questa epidemia possa o non possa essere un castigo, rimane fermo che “non si muove foglia che Dio non voglia”. Chi crede, infatti, crede che Dio opera e fa come il padre che vede giocare i bambini, ed interviene per mettere le cose a posto quando non si comportano bene. Il Signore si serve di questi eventi per rilanciare le questione fondamentale della Fede e di cosa Essa veramente sia, perché nessuno di noi potrebbe parlare di Fede se non vivesse in presenza di Dio, anche in senso molto spiccio e pratico. La Chiesa nei suoi vertici dovrà rispondere a questo se vuole tener conto di quanto accaduto, del fatto che. Dio è presente ed opera sempre secondo i suoi criteri e tali criteri sono presenti dalla Scrittura, nel Magistero, nella Parola di Dio.
    Valli. Tante persone mi hanno scritto di essere state prese da un sentimento di profonda tristezza quando è stato evidente che la Santa Messa sia stata messa da parte e trattata come un semplice accessorio e non invece come fonte essenziale, addirittura fonte di rischio e non di salvezza. Non è stato neppure preso in considerazione di permettere di prendere parte alla Messa; per assurdo, in un supermercato è stato possibile andare, mantenendo la distanza, tenendo la mascherina e così via, ma in Chiesa no. Subito è passata la idea di eliminare le Messe con concorso di pubblico.
    Bux Un Vescovo tedesco proprio in questi giorni si è espresso affermando che non sia necessario “enfatizzare la Eucaristia e che il Concilio afferma che il Signore sia presente anche nelle Scritture”. Ma la Eucaristia è più importante del cibo perché è farmaco della vita eterna, dell’immortalità, un farmaco salvavita! Può un Vescovo tenere i fedeli senza un cibo essenziale? I primi Martiri cristiani che ci tenevano tanto alla eucaristia, cosa staranno pensando? Che sono dei pavidi, che non hanno saputo prendere di petto le autorità! Nelle catechesi che verranno dovremo spiegare se questo farmaco è facoltativo e può essere sospeso o se è vitale; qualcuno dovrà dar ragione di tutto ciò. Si può sospendere un farmaco così importante? Ci sono altri parafarmaci che lo possano sostituire?
    Valli Quello che ha colpito negativamente è la fretta con cui si è eliminata la presenza delle perone dalle Messe, addirittura in un primo momento portando le Chiese totalmente chiuse, salvo poi ritornare sui propri passi. Non si è neppure provato a trovare una possibilità alternativa di partecipazione.
    E’ vero che tutti i giorni la messa è garantita in streaming è il momento più bello della giornata. La Comunione spirituale, in mancanza di quella Reale, è già d’aiuto e ci sono aspetti positivi nei risultati cui ha portato la buona volontà di tanti Sacerdoti e fedeli. Ma la ferita della superficialità rimane, insieme alla impressione di essere guidati da funzionari, burocrati della religione.
    Bux Molti orientali mi hanno contattato stupiti del comportamento dei cattolici; in Georgia, Bulgaria o Serbia gli Ortodossi hanno reagito dicendo: “Non possiamo vivere senza il Signore”. In Grecia sono in subbuglio perché si teme venga seguita la linea UE di chiusura ed i greci stanno discutendo molto su come agire con precauzioni senza arrivare a quello cui siamo arrivati noi.
    Valli Qualcuno obietta che sarebbe stato difficile garantire la sicurezza, trovare servizi d’ordine per le persone indisciplinate. Non raccolgo queste motivazioni perché, c’è una gerarchia di valori. Se ti sta a cuore veramente un qualcosa, i modi si trovano.
    Bux E’ vero che un modo si sarebbe potuto trovare. Tant’è che hanno regolato accesso alle mense Caritas; avrebbero potuto farlo per le Sante Messe.
    Valli Non c’è stata la volontà ed in questo modo hanno mostrato di vedere nella Messa solo una assemblea e nella Chiesa una sala che va riempita eliminando la visione trascendentale, Nostro Signore, eliminando il Tabernacolo.
    Bux. Dovremmo forse raccomandare, a mo’ di battuta, a Vescovi e Preti di “vivere come se Dio esistesse” parafrasando quanto Papa Benedetto XVI diceva ai laici non credenti. Il problema è tutto lì. Un prete che è prete se non è consapevole che Dio è sempre presente come fa ad essere Sacerdote? Come afferma il Cardinal Sarah, questa è una crisi della Fede ed è una crisi del Sacerdozio. Oggi alcuni pensano di essere un po’ assistenti sociali, a volte distributori di pacchi. Ma il Sacerdote è primariamente mediatore tra uomo e Dio. Abbiamo, in questi anni, tolto Gesù Cristo presente nel Tabernacolo ed abbiamo messo al Suo posto la sedia del celebrante, desiderando poi essere chiamati “Presidenti” e non ministri; ma il sacerdozio ha questa funzione di amministrazione delle cose di Dio! Ecco perché la crisi è una crisi della Fede che trascina con sé la crisi del sacerdozio. Si fanno tanti progetti a prescindere da Cristo, tanto che il Cardinal Biffi diceva che Cristo è spesso una scusa per parlare d’altro.
    In qualche maniera però, poi il Signore rimescola le carte per far capire ai tanti che il Centro è e rimane Cristo. La Chiesa non può mutare secondo il piacere degli uomini, non può mutare ciò che è divinamente rivelato, come non può mutare la indissolubilità del matrimonio e la consistenza e l’essenza del sacerdozio perché tutto ciò non dipenden da essi..
    “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”, così disse Gesù Cristo a Pietro. Il Papa è così il garante dell’ubbidienza alla volontà di Dio e non a quella degli uomini come la storia della Chiesa in larga parte dimostra. L’apostolo Pietro ha ricevuto un primato di giurisdizione di fede autentica, come dommaticamente riporta la Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I. Il fatto che si chiami “Vicario di Cristo”, indica che deve confessare al mondo questa verità: “Cristo è la Via, la Verità e la Vita”. Esso non è un titolo storico, ma dommatico. Ci sono anche titoli minori, come Sommo Pontefice, Primate d’Italia etc., titoli che esprimono la gerarchia , ma non sono solo storici, ma danno maggior comprensione della Chiesa di Roma e del ruolo del Vescovo di Roma. Mi aspetterei che qualcuno dia una spiegazione del fatto che qualcuno abbia relegato la definizione di “Vicario di Cristo” a mero titolo storico, come fatto in questi giorni sull’Annuario Pontificio.
    Solovyov diceva che il primato petrino non meno delle Scritture e della tradizione ha un solo scopo: l'incontro con Cristo, la bellezza presente e visibile che salva il mondo, e lo diceva da Ortodosso. Alcuni potrebbero obiettare che Giovanni Paolo II in Ut unum sint abbia avanzato disponibilità a rivedere il primato petrino, ma a costoro bisogna rispondere che lo stesso al 95 afferma pure che in alcun modo la Chiesa Cattolica può rinunciare a tutto quello che nel primo millennio ha maturato il primato romano e che essere successore di Pietro implica il diritto divino del primato romano. Pertanto né per ecumenismo o per condiscendenza con altre posizioni religiose il Papa può abdicare a ciò.
    Coloro che hanno mutato il senso del primato petrino, dovrebbero renderne ragione. Tanti cominciano a porsi domande.
    Valli: Sarebbe effettivamente un gesto di attenzione verso il popolo aiutarlo a comprendere cosa accade su di un argomento così importante per la propria vita di fede, se non si ritiene che la attenzione al popolo sia solo uno slogan.
    Un altro aspetto che ha colpito molto i fedeli è la considerazione di Papa Francesco sulla Madonna già fatta il 12 Dicembre scorso in occasione della festa della Madonna di Guadalupe, e che ha riaffermato ancora pochi giorni fa quando ha espresso che Ella sia solo donna, madre e discepola, “una di noi”, quasi a sottolineare che non ci sia alcun titolo di regalità che le appartenga; qualcuno ha voluto parlare di “minimalismo mariano” da parte del Papa. Ma anche il senso comune dei cattolici ha avvertito qualcosa di strano. La domanda che ci si pone è: perché andare contro una sensibilità cattolica che va in senso ben diverso?
    Bux. La Madonna “una di noi” era una definizione cara anche a Don Tonino Bello. Ma come Madre di Dio, concepita immacolata dal peccato originale, assunta in cielo anima e corpo, non si può assolutamente dire che sia “una tra tante”. Questo concetto rientra tra i punti cardine della Teologia della Liberazione, diffusa in Sudamerica qualche decennio fa, e Papa Francesco a volte attinge da questo retroterra in maniera anche leggera. Se queste affermazioni su Maria sono vere, devono spiegare perché è “una di noi” e perché la Chiesa ha proclamato dei dogmi su Maria, dove i dogmi altro non sono che dei punti imprescindibili da cui non si può tornare indietro. Diversi pontefici, non ultimo Giovanni Paolo II ha affermato che la partecipazione di Maria sotto la Croce è un contributo che non potremmo dare noi e che non hanno dato altri; non è inoltre possibile, in un anno liturgico costellato di grandi feste mariane, ridurre la Madonna ad una di noi. Da creatura quali siamo noi ha fatto un percorso pellegrinaggio della fede fino ad arrivare a vette eccelse, irragiungibili. Cancellarne così il ruolo, significherebbe cancellare l’intero capitolo VIII della Lumen Gentium dedicato alla Madonna, sminuendo di conseguenza la figura di Cristo incarnato perché Maria ha dato il suo sì a che Cristo si incarnasse.
    Valli La pietà popolare ha trovato tanti modi nel Santo Rosario per dirLe che Le vogliamo tanto bene in modi sempre nuovi, Regina, Madre, Torre; è commovente tanto attaccamento e si potrebbe dire che il Sensum Fidei ha tanto da dire anche da un punto di vista teologico.
    Ultimo argomento. Tramite il blog spesso gli utenti riportano allarmati i segni di un millenarismo emergente o riemergente, in cui tante persone vedono una sorta di messaggio che il cielo sta rivolgendo all’uomo. Alcuni dicono che siamo all’inizio di una serie di prove. Un insieme vario di sentimenti serpeggia anche se se ne parla poco.
    Bux Dico: spero di no. Dobbiamo ricordare infatti che se ritorniamo al Signore, nell’alleanza fatta in Cristo Gesù che ha espiato per noi uomini e la nostra salvezza, con le nostre preghiere ed azioni buone possiamo allontanare piaghe e castighi, così come impariamo dalla stessa rivelazione biblica e non dobbiamo mai dimenticarlo, perché ne è il senso profondo. “Eppure egli ha preso su di sé le nostre malattie, si è caricato delle nostre sofferenze, e noi pensavamo che Dio lo avesse castigato, percosso e umiliato. 5Invece egli è stato ferito per le nostre colpe, è stato schiacciato per i nostri peccati. Egli è stato punito, e noi siamo stati salvati. Egli è stato percosso, e noi siamo guariti”, come ha detto Isaia (52).
    La Rivelazione parla sì spesso di castighi divini come nel Salmo 81 “Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito”. Ma, per quanto Gesù si sia fatto carico del peccato, noi abbiamo una parte di sofferenza da compiere, la sofferenza vicaria. Anche gli innocenti che soffrono e muoiono portano il peso del male del mondo. Quando seguivo le cause dei santi, in diversi offrivano sé stessi come vittima di espiazione. Oggi, 16 aprile, è Santa Bernadette; ella era consapevole che la Madonna le aveva chiesto di prender parte dei peccati del mondo e non a caso a Lourdes si è sviluppata una attenzione particolare verso la sofferenza. Se uno come Padre Cantalamessa afferma che “Dio non castigherebbe altrimenti come puoi spiegare che gli innocenti ed i poveri soffrono” si può richiamare la parabola del grano e della zizzania, ove il Signore dice lasciate crescere insieme grano e zizzania, ma poi alla fine la cernita la farò io. Ma si dimentica anche e soprattutto quello che Cristo ha fatto soffrendo lui stesso. Nella storia tantissimi santi e sante hanno partecipato completando ciò che manca alla sofferenza di Cristo.
    Gli ebrei stessi ne avevano ben chiaro il concetto e questo era riassunto nel capro espiatorio che, senza colpa, sopporta i guai causati da altri o di altri.
    Un catechismo degno di questo nome dovrebbe poter illustrare chiaramente questi concetti.
    Valli  Tirando le conclusioni, la Fede ha bisogno di essere nutrita e, probabilmente, la società non è così secolarizzata come si dice. C’è una forza che è dentro di noi ma deve essere nutrita con l’essenziale e non con tanti discorsi che prendono e riportano tal quali gli slogan dai discorsi del mondo.
    Oggi c’è molto bisogno di pensiero cattolico!
     
    Di seguito il video.
     
  24. Claudio C.
    Preghiamo perché i Vescovi riescano a riportare i Sacramenti, la Santa Messa, il Santo Sacrificio Eucaristico,il giusto Culto nella nostra quotidianeità.
    Preghiamo perché la Beata Maria apra i cuori ed illumini le anime degli amministratori civili, a che riconoscano la essenzialità di Cristo nella propria vita ed in quella dei propri governati.
    Preghiamo sempre per la Salvezza delle nostre anime e, riconosciute le nostre colpe, a che ci venga un giorno concesso di ammirare la Luce nella Vita Eterna.

    #IPC

    Se potete, condividete la preghiera, anche a che chi debba sapere, sappia che c'è un popolo che soffre e che ancora confida nei propri pastori.
  25. Claudio C.
    a cura di P. Francesco Solazzo.
      Sì, Dio castiga. La Sacra Scrittura lo dice chiaramente.
    «È a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino» (Gdt 8,27).
    «Felice l'uomo, che è corretto da Dio: perciò tu non sdegnare la correzione dell'Onnipotente, perché egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana. Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male» (Gb 5,17-19). Da notare: Dio manda le tribolazioni, cioè le prove e le sofferenze, proprio affinché non sia il male a colpire; e questo male altro non è se non il male radicale, la morte eterna, il totale distacco da Dio che è fonte della vita.
    «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!».

    Si dirà però che il castigo di Dio è cieco perché arriva per tutti, sia i giusti, sia gli ingiusti. Ma questo succede poiché tutti siamo peccatori. La vera differenza è fra il pio e l'empio.
    Per il pio (cioè per l'uomo che cerca Dio e chiede perdono per i propri peccati), il castigo è una correzione, cioè una possibilità di crescere nella perfezione (questa è la tentazione di cui parla il Padre nostro) e possibilità di partecipare alla Passione di Gesù (come ci insegna S. Paolo Apostolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» 1Col 1,24). Per l'empio, invece, il castigo è punizione per il peccato e richiamo, se vuol ascoltare, alla conversione.
     
    *Padre passionista, nato a Lecce nel 1978, ordinato sacerdote nel 2015.
×
×
  • Crea Nuovo...

Important Information

Informativa Privacy