Il Pensiero Cattolico

3 Novembre 2024

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Nicola Barile

University of California, Berkeley

La Chiesa e il papa: lettura aristotelico-tomista della situazione attuale



Premessa


Il problema essenziale del mondo occidentale è la perdita della realtà: nulla è ciò che è, una cosa diventa ciò che è solo quando la determiniamo. Per questa ragione, svolgerò il tema affidatomi seguendo una visione filosofica detta “del realismo metafisico”: una visione del mondo essenzialmente aristotelica che, combinata con la mentalità giuridica romana, ha prodotto la civiltà occidentale nel periodo precristiano. Il cristianesimo ha poi aggiunto la conoscenza del soprannaturale che deve guidare correttamente la percezione dei sensi.



Il problema “Francesco”

Non è una novità che papa Francesco, nel corso degli anni, abbia fatto una serie di affermazioni e gesti teologicamente problematici, come la comunione ai divorziati, per esempio e il capovolgimento del motu proprio sulla Messa in latino, ispirando un movimento detto dei “benevacantisti”, secondo il quale il problema posto dalle discutibili dichiarazioni e azioni di Francesco può essere sciolto solo se si scopre che Benedetto è ancora papa. Perché in quel caso, le affermazioni problematiche non sarebbero state fatte da un vero papa e, quindi, non ci sarebbe bisogno di spiegare come un papa abbia potuto commettere tali errori.

Ora, la soluzione del benevacantismo è semplicemente superflua. La Chiesa ha sempre riconosciuto che i papi possono sbagliare quando non parlano ex cathedra, e qualunque altra cosa si pensi delle controverse dichiarazioni e azioni di Francesco, tutte, se errate, rientrano nella categoria dei possibili errori che un papa può commettere. Francesco può aver detto e fatto cose teologicamente più dubbie rispetto ai più noti papi del passato (come, ad esempio, Giovanni XXII), ma sono affermazioni e azioni dubbie di base dello stesso genere. Il problema è gravissimo, ma, ancora una volta, rientra nei limiti di ciò che la Chiesa e i suoi fedeli teologi hanno sempre riconosciuto potesse accadere, compatibilmente con l’infallibilità delle condizioni chiaramente definite per l’insegnamento pontificio.

È molto importante che i cattolici imparino la loro fede e conoscano la loro tradizione in modo da poter valutare ragionevolmente il valore delle dichiarazioni e delle azioni del papa. Per fare questo, devono (tra le altre cose) capire cos’è l’autorità dell’insegnamento della Chiesa e cosa non lo è.

Chi ha l’autorità di insegnare? Da dove deriva l’autorità? Cosa si può giustamente insegnare? Quali sono i gradi di autorevolezza? Che tipo di assenso richiedono i diversi gradi da parte dei fedeli? E devo assecondare le problematiche affermazioni del papa o dei vescovi e dei teologi?


La dottrina cattolica sull’autorità di insegnamento del papa è abbastanza chiara, ma molte persone la fraintendono gravemente. Alcune persone pensano che l’insegnamento cattolico sia che un papa sia infallibile non solo quando fa dichiarazioni ex cathedra, ma in tutto ciò che fa e dice.

Alcuni pensano che un cattolico sia obbligato ad accettare l’insegnamento di un papa solo quando tale insegnamento è da lui proposto come infallibile. Altri pensano che un cattolico sia obbligato a concordare più o meno con ogni punto di vista o decisione di un papa in materia di teologia, filosofia, politica, ecc. anche quando non viene presentato come infallibile. Come sempre, la dottrina cattolica è equilibrata, una via di mezzo tra gli estremi – in questo caso, tra questi estremi minimalisti e massimalisti. Ma è anche ricca di sfumature, e per capirle dobbiamo fare alcune distinzioni che troppo spesso vengono ignorate.


Per prima cosa chiariamo cosa s’intende per infallibilità papale. Quello che il Concilio Vaticano I descrisse è l’esercizio da parte del papa di quello che viene chiamato il suo “magistero straordinario”, in contrapposizione al suo “magistero ordinario” o attività didattica quotidiana sotto forma di omelie, encicliche, ecc., individuando diverse condizioni per l’esercizio di questo straordinario Magistero. In primo luogo, il papa deve fare appello alla sua suprema autorità di insegnamento come successore di Pietro, invece di parlare semplicemente come un teologo privato, o fare osservazioni a braccio o cose simili. Un esercizio del Magistero straordinario dovrebbe comportare, pertanto, tipicamente una dichiarazione formale e solenne. In secondo luogo, deve affrontare qualche questione di dottrina riguardante la fede o la morale. Il Magistero straordinario non riguarda questioni puramente scientifiche (come quanti elementi ci siano nella tavola periodica), questioni politiche (come se un determinato atto legislativo proposto sia una buona idea, ecc.). Terzo, deve “definire” qualche dottrina nel senso di proporlo come insegnamento ufficiale vincolante per tutta la Chiesa. Il Magistero straordinario non riguarda un insegnamento che riguarda circostanze meramente locali o contingenti.

Ma c’è un’ulteriore, cruciale condizione su tali dichiarazioni ex cathedra. Il Concilio Vaticano I lo ha sottolineato in un passaggio:

Infatti lo Spirito Santo fu promesso ai successori di Pietro non perché, mediante la sua rivelazione, facessero conoscere qualche nuova dottrina, ma perché, mediante il suo aiuto, custodissero religiosamente ed esponessero fedelmente la rivelazione o deposito di fede trasmesso dagli apostoli.

Ora sappiamo che i papi fanno affermazioni diverse dagli atti di insegnamento formale su questioni di fede e morale, ad esempio durante le interviste sugli aeroplani, le cerimonie con non cattolici o i discorsi davanti all’ONU. Ma poiché questi non sono atti di insegnamento, non hanno autorità e non comandano obbedienza ai fedeli. Come mai? Perché solo quando insegna formalmente gode dell’assistenza dello Spirito Santo.

Naturalmente, se ciò che dice è già una dottrina cattolica stabile, allora i cattolici sono tenuti ad accettare la dottrina. Ma – e questo è importante – ciò non è richiesto per quanto detto in quegli atti di insegnamento extramagisteriale, ma in quanto ciò che è detto in quegli atti è già stato autorevolmente insegnato dalla Chiesa.

Inoltre, ogni volta che i papi offrono le loro opinioni su questioni diverse dalla fede e dalla morale, ad esempio su questioni scientifiche come quelle se la terra sia rotonda o se il comportamento umano sia la causa principale del cambiamento climatico, le loro affermazioni, anche se si trovano in documenti ecclesiastici ufficiali, non hanno autorità e non comandano obbedienza. Come mai? Perché anche se quello che dicono è vero, la Chiesa e quindi il papa non hanno autorità per insegnare su questioni scientifiche. Dio non ha promesso alla Chiesa protezione per risolvere i dilemmi del mondo naturale, ma solo per comprendere le sue comunicazioni divine per compiere la sua volontà, vivere vite sante e raggiungere il cielo.

Infine, se i papi affermano qualcosa di contrario alla rivelazione divina o alla legge morale, anche con l’intenzione di insegnarlo formalmente o affermarlo implicitamente come vero, l’affermazione non gode della guida dello Spirito Santo e, quindi, non possiede autorità sulla coscienza dei cattolici. Pertanto, i cattolici sono obbligati quando scoprono l’errore a rifiutare tale insegnamento.

Papa Benedetto XVI ha espresso il punto come segue:

Il Papa non è un monarca assoluto i cui pensieri e desideri sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia di obbedienza a Cristo e alla sua Parola. Non deve proclamare le proprie idee, ma vincolare costantemente sé stesso e la Chiesa all’obbedienza alla Parola di Dio, di fronte a ogni tentativo di adattarla o annacquarla, e ad ogni forma di opportunismo…


Sebbene l’esercizio del suo magistero ordinario da parte del papa non sia sempre infallibile, può esserlo in determinate circostanze. In particolare, è infallibile quando il papa riafferma ufficialmente qualcosa che già faceva parte dell’insegnamento infallibile della Chiesa sulla base della Scrittura e della Tradizione. Ad esempio, nell’Ordinatio Sacerdotalis (1994), Papa San Giovanni Paolo II ha riaffermato l’insegnamento tradizionale secondo cui la Chiesa non ha autorità di ordinare le donne al sacerdozio, e la Congregazione per la Dottrina della Fede ha poi confermato che questo insegnamento deve essere considerato come infallibile. Il motivo per cui è da considerarsi infallibile non è che il documento pontificio in questione costituisse un esercizio del Magistero straordinario, ma piuttosto per lo statuto dell’insegnamento, facente parte della dottrina costante e universale della Chiesa.

Proprio perché gli esercizi del Magistero ordinario del papa sono infallibili quando si limitano a riaffermare l’insegnamento costante e universale della Chiesa, essi non comportano né il capovolgimento dell’insegnamento passato né l’aggiunta di qualche novità.


L’infallibilità papale, quindi, non è un potere magico con cui un papa può trasformare qualsiasi cosa antica che desidera in una verità che tutti sono tenuti ad accettare. È un’estensione dell’infallibilità del corpo dottrinale preesistente che è suo compito salvaguardare, e quindi deve essere sempre esercitato in continuità con quel corpo dottrinale.


I papi sanno che il loro compito è preservare e applicare l’insegnamento cattolico, e quindi quando dicono qualcosa che non è solo una semplice reiterazione di una dottrina preesistente, in genere cercano di tirare fuori le implicazioni della dottrina esistente, di risolvere alcune ambiguità in essa, per applicare la dottrina a nuove circostanze, o cose simili. C’è, quindi, nella dottrina cattolica una presunzione a favore di quanto dice un papa anche nel suo ordinario magistero non infallibile, anche se si tratta di una presunzione che può essere superata. Quindi, la posizione predefinita per ogni cattolico deve essere quella di assenso a tale insegnamento non infallibile. O almeno questa è la posizione predefinita quando tale insegnamento riguardi questioni di principio nei confronti della fede e della morale – in opposizione all’applicazione del principio a circostanze concrete contingenti, dove i giudizi su tali circostanze sono per loro natura al di là della competenza speciale del Papa.


Cinque categorie di dichiarazioni magisteriali

Allora, quando un cattolico deve assentire a qualche dichiarazione papale non infallibile? Quando un cattolico potrebbe non essere d’accordo con una simile affermazione? Questo argomento è stato chiarito dall’allora cardinale Joseph Ratzinger durante il suo periodo come Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede. Forse il documento più importante a questo proposito è l’istruzione del 1990 Donum Veritatis: Sulla vocazione ecclesiale del teologo, sebbene vi siano anche altri testi rilevanti. Il cardinale Avery Dulles (1918-2008) ha suggerito che nella Donum veritatis si possono identificare quattro categorie generali di enunciati magisteriali. Tuttavia, come indicano altre affermazioni di Ratzinger, la quarta categoria di Dulles sembra raggruppare insieme affermazioni con due diversi gradi di autorità. Quando queste vengono distinte, è chiaro che ci sono in realtà cinque categorie generali di dichiarazioni magistrali. Ecco quali sono:

1. Affermazioni che propongono definitivamente verità divinamente rivelate, o dogmi in senso stretto. Esempi: i dogmi cristologici, la dottrina del peccato originale, la grave immoralità di uccidere direttamente e volontariamente un essere umano innocente, e così via. Come osserva Dulles, secondo l’insegnamento cattolico, affermazioni in questa categoria devono essere considerate da ogni cattolico con “fede divina e cattolica”. Nessun legittimo disaccordo è possibile.

2. Affermazioni che propongono definitivamente verità non rivelate, ma strettamente connesse con verità rivelate. Esempi: l’insegnamento sull’immoralità dell’eutanasia e l’insegnamento secondo il quale l’ordinazione sacerdotale è riservata solo agli uomini. Secondo Donum Veritatis, le affermazioni in questa categoria devono essere “fermamente accettate e sostenute” da tutti i cattolici. Anche qui, non è possibile un legittimo disaccordo.

3. Dichiarazioni che in modo non definitivo ma obbligatorio chiariscono verità rivelate. Dulles suggerisce che «l’insegnamento del Vaticano II, che si asteneva da nuove definizioni dottrinali, rientra prevalentemente in questa categoria». Secondo Donum Veritatis, le affermazioni contenute in questa categoria devono essere accettate dai cattolici con la “sottomissione religiosa di volontà e d’intelletto”. Dato il loro carattere non definitivo, tuttavia, l’assenso dovuto a tali affermazioni non è assoluto come quello dovuto alle affermazioni contenuto nelle categorie 1 e 2.

4. Dichiarazioni di tipo prudenziale che richiedono obbedienza esterna ma non assenso interiore. Dulles suggerisce che la cautela della Chiesa nell’accettare l’eliocentrismo nel XVII secolo sarebbe un esempio. Questo tipo di affermazioni sono “prudenziali” nella misura in cui sono tentativi di applicare prudentemente i principi generali della fede e della morale a circostanze concrete contingenti, come lo stato delle conoscenze scientifiche in un particolare momento della storia. E non vi è alcuna garanzia che gli ecclesiastici, inclusi i papi, esprimano giudizi corretti su queste circostanze o sul modo migliore per applicarvi i principi generali. Qui è richiesta l’obbedienza esterna alle decisioni della Chiesa, ma non necessariamente l’assenso. Un “silenzio riverente” potrebbe essere il massimo che si può richiedere.

Gli esempi di giudizi “prudenziali” cui fa riferimento la Donum Veritatis e che Dulles discute nei suoi commenti a quel documento sono tutti giudizi molto strettamente connessi a questioni di principio nei confronti della fede e della morale, anche se le affermazioni sono di minore entità autorità rispetto alle dichiarazioni delle categorie 1-3.

Le dichiarazioni di papi e altri ecclesiastici che mancano di tali importanti implicazioni dottrinali, ma riguardano invece questioni di politica, economia e simili, sono spesso chiamate anche “giudizi prudenziali”, perché anch’esse implicano il tentativo di applicare prudentemente principi di fede e di morale a circostanze concrete contingenti. Donum Veritatis non affronta questo tipo di giudizio e nemmeno Dulles nella sua discussione sul documento, ma è chiaro da altre affermazioni del cardinale Ratzinger che esso costituisce una quinta categoria di magistero:

5. Dichiarazioni di tipo prudenziale su questioni su cui può esistere una legittima diversità di opinione tra i cattolici. Esempi sarebbero molte delle dichiarazioni fatte da papi e altri ecclesiastici su questioni di controversia politica, come la guerra e la pena capitale. Il cardinale Ratzinger ha fornito questi come esempi specifici in un >i>memorandum del 2004 sul tema La dignità di ricevere la santa comunione: principi generali, in cui affermava:

Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell’aborto e dell’eutanasia. Ad esempio, se un cattolico fosse in contrasto con il Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare la guerra, non sarebbe per questo considerato indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione. Sebbene la Chiesa esorti le autorità civili a cercare la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’imporre punizioni ai criminali, può ancora essere consentito impugnare le armi per respingere un aggressore o ricorrere alla pena capitale. Può esserci una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicazione della pena di morte, ma non per quanto riguarda l’aborto e l’eutanasia.


Si noti che il cardinale Ratzinger si spinge a dire che un cattolico potrebbe essere “in disaccordo con” il papa sull’applicazione della pena capitale e sulla decisione di fare la guerra ed essere comunque degno di ricevere la comunione – cosa che non avrebbe potuto dire se fosse peccato mortale essere in disaccordo con il papa su tali questioni. Ne consegue che non vi è alcun grave dovere di assenso alle dichiarazioni del papa su tali questioni. Il cardinale afferma inoltre che “potrebbe esserci una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicazione della pena di morte”, nonostante il fatto che papa Giovanni Paolo II, sotto il quale il cardinale all’epoca prestava servizio, abbia espresso dichiarazioni molto forti contro la pena capitale e la guerra in Iraq. Ne consegue che le dichiarazioni del papa su tali questioni non erano vincolanti per i cattolici nemmeno a pena di peccato veniale. Nel memorandum, il cardinale Ratzinger afferma anche esplicitamente che gli elettori e i politici cattolici devono opporsi alle leggi che consentono l’aborto e l’eutanasia, nonché astenersi dalla Santa Comunione se collaborano formalmente a questi mali. Al contrario, non richiede requisiti sul comportamento (come votare) dei cattolici che non sono d’accordo con il papa sulla pena capitale o sulla decisione di fare la guerra. Quindi, le dichiarazioni papali su tali argomenti, a differenza delle dichiarazioni di categoria 4, evidentemente non richiedono alcun tipo di obbedienza esterna e tanto meno il consenso. I cattolici devono quindi a tali affermazioni una seria e rispettosa considerazione, ma niente di più.

Il motivo per cui questo è degno di nota, e il motivo per cui vale anche la pena sottolineare il significato del memorandum del cardinale Ratzinger, è che alcuni scrittori cattolici hanno la tendenza ad accusare altri cattolici che non sono d’accordo con le dichiarazioni del papa su questioni di controversia politica di essere “dissidenti”. Ad esempio, a volte viene affermato che qualsiasi cattolico che sia costantemente “pro-vita”, non solo sarà d’accordo con le dichiarazioni papali che condannano l’aborto e l’eutanasia, ma sarà anche d’accordo con le dichiarazioni papali che criticano la pena capitale o la guerra in Iraq, o avallando alcune dichiarazioni economiche politiche. Il suggerimento è che i cattolici che rifiutano l’insegnamento della Chiesa su aborto ed eutanasia sono “dissidenti di sinistra” e i cattolici che non sono d’accordo con le recenti dichiarazioni papali sulla pena capitale, la guerra in Iraq o specifiche politiche economiche sono “dissidenti di destra”, come se entrambe le parti fossero impegnate nella disobbedienza alla Chiesa.


Nella migliore delle ipotesi questo riflette una grave ignoranza teologica. Nel peggiore dei casi è intellettualmente disonesto e demagogico. Un cattolico che non è d’accordo con l’insegnamento della Chiesa sull’aborto o l’eutanasia sta rifiutando una dichiarazione del magistero di categoria 1 o di categoria 2 – qualcosa che non è mai consentito. Ma un cattolico che non è d’accordo con ciò che hanno detto i papi recenti sulla pena capitale, sulla guerra o su specifiche politiche economiche è in disaccordo con le affermazioni di categoria 5, cosa che la Chiesa stessa ritiene ammissibile.



Errori papali

Poiché la Chiesa consente che i cattolici in determinate circostanze possano essere legittimamente in disaccordo con le affermazioni della categoria 3, per non parlare delle affermazioni delle categorie 4 e 5, l’insegnamento cattolico implica quindi che è possibile che i papi si sbaglino quando fanno affermazioni che rientrano in una di queste categorie. È anche possibile che un papa si sbagli in modo più radicale se, fuori dal contesto del suo magistero straordinario, dice qualcosa di incoerente con un’affermazione di categoria 1 o di categoria 2. Ed è possibile che un papa cada in errore in altri modi, come attuando politiche poco sagge o esibendo immoralità nella sua vita personale. Infatti, oltre a vincolare la Chiesa all’eresia, è possibile che un papa arrechi grave danno alla Chiesa. Come ha detto una volta il cardinale Ratzinger, quando gli fu chiesto se lo Spirito Santo abbia un ruolo nell’elezione dei papi:

Non lo direi nel senso che lo Spirito Santo sceglie il Papa, perché ci sono troppi esempi contrari di papi che lo Spirito Santo ovviamente non avrebbe scelto. Direi che lo Spirito non prende esattamente il controllo della faccenda, ma piuttosto come un buon educatore, per così dire, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza abbandonarci del tutto. Quindi il ruolo dello Spirito va inteso in un senso molto più elastico, non che sia lui a dettare il candidato per il quale si deve votare. Probabilmente l’unica assicurazione che offre è che la cosa non può essere completamente rovinata.

Si potrebbero fare esempi di errori papali, ma non basterebbero a mostrare quanto gravemente possano sbagliare i papi quando non esercitano il loro magistero straordinario. E se i papi possono sbagliare gravemente anche su questioni che riguardano la dottrina e il governo della Chiesa, va da sé che possono sbagliare gravemente rispetto a questioni di politica, scienza, economia e simili.


Che i papi siano fallibili nel modo in cui sono è importante da tenere a mente per i cattolici quanto il fatto che i papi sono infallibili quando parlano ex cathedra. Molti cattolici ben intenzionati hanno dimenticato questa verità, o sembrano volerla sopprimere. Quando i papi recenti hanno detto o fatto cose strane o anche manifestamente poco sagge, questi apologeti si rifiutano di ammetterlo. Si soffocano con ragionamenti con cui cercano di mostrare che l’affermazione o l’azione discutibile è perfettamente innocente, o addirittura trasmette una profonda intuizione, se solo fossimo disposti a vederla. Se bloggers cattolici e apologeti pop fossero vissuti in epoche precedenti, alcuni di loro avrebbero senza dubbio assicurato ai loro lettori che papa Stefano VI (896-897) stava cercando di insegnarci una profonda verità spirituale convocando il cosiddetto sinodo del cadavere (in cui il suo predecessore Formoso fu riesumato e processato) se solo avessimo saputo ascoltarlo; o che Giovanni XXII (1316-1334), insegnando la visione eterodossa secondo cui le anime dei beati non vedono Dio subito dopo la morte, ma solo alla risurrezione, stava davvero approfondendo la nostra comprensione della dottrina piuttosto che confondere i fedeli.


Conclusione:

Il benevacantismo non offre alcuna soluzione ai problemi posti dalle parole e dalle azioni controverse di papa Francesco, e anzi rischia di peggiora le cose. E per di più conduce i cattolici nel grave peccato dello scisma.

Ora Benedetto ha ripetutamente affermato che ha rassegnato pubblicamente e liberamente le dimissioni dal suo incarico, in risposta a coloro che ipotizzano il contrario. Ha scritto, ad esempio, in una lettera ad A. Tornielli:

Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino. Unica condizione della validità è la piena libertà della decisione. Speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde. (La Stampa, 27 febbraio 2014).

E in un’intervista a Massimo Franco:

È stata una decisione difficile. Ma l’ho presa in piena coscienza. (…) Alcuni miei amici un po’ fanatici sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l’hanno seguita (Il Corriere della sera, 1° marzo 2021).

Le sue dimissioni soddisfano dunque chiaramente i criteri di validità stabiliti dal diritto canonico:

Nel caso che il romano pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede che qualcuno la accetti (CIC, c. 332, § 2)

Alcuni hanno suggerito che le dimissioni non possano essere state date liberamente. Ma questo è un non sequitur, poiché ogni cattolico che ha familiarità con le condizioni della gravità di un peccato dovrebbe sapere che occorrono materia grave, piena conoscenza e consenso deliberato. Con ciò non voglio dire che le dimissioni di Benedetto siano peccaminose, ma piuttosto che queste condizioni fanno capire che la Chiesa distingue l’agire con piena consapevolezza (“la conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, della sua opposizione alla Legge di Dio”) e l’agire con deliberato consenso o liberamente (“un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono”: CCC, §§ 1857-9). E il diritto canonico pone solo quest’ultima, e non la prima, condizione per la validità delle dimissioni pontificie. Quindi, anche se le dimissioni di Benedetto fossero state fatte sotto un’influenza esterna [di un’errata teoria teologica sul papato], ciò sarebbe irrilevante per il suo essere stato fatto liberamente e quindi validamente.

La verità è che Cristo a volte lascia che il suo Vicario erri, solo entro determinati limiti, ma a volte gravemente. Come mai? In parte perché i papi, come tutti noi, hanno il libero arbitrio. Ma in parte, proprio per dimostrare che (come ha detto il cardinale Ratzinger) “la cosa non può essere totalmente rovinata” – nemmeno da un papa. Nel suo giudizio sul Grande Scisma d’Occidente (quando cioè i cardinali tentarono di sostituire Urbano VI (1378-89) con un altro papa, Clemente VII (1378-1394), dando inizio appunto al Grande Scisma d’Occidente, durato quarant’anni, in cui prima questi due uomini, e poi un terzo uomo, reclamarono tutti il soglio pontificio. I teologi, e anche i santi, erano divisi sulla controversia. Santa Caterina da Siena fu tra i santi che sostenevano Urbano, mentre San Vincenzo Ferrer tra quelli che sostenevano invece Clemente), lo storico protestante Ferdinand Gregorovius (1821-1891), che nessuno può sospettare di esagerare nel rispetto per il papato, scrive: “Un regno temporale vi avrebbe ceduto; ma l’organizzazione del regno spirituale era così meravigliosa, l’ideale del papato così indistruttibile, che questo, il più grave degli scismi, servì solo a dimostrarne l’indivisibilità”…

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