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Claudio C.

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Blog Entries di Claudio C.

  1. Claudio C.
    Come è possibile adempiere al comando che Gesù Cristo diede (Mc 16,15-15) "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato"? Egli stesso lo ripete nuovamente (Mt 28,19-20)  "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Esso è un chiaro invito al proselitismo, alla missione, al vivere, mostrare e narrare il Vangelo non privatamente, non anonimamente, bensì senza nascondersi, luminosamente.
    Questa opera non potrà mai essere improvvisata, non potrà avvenire se si ha una fede acerba, se non si ha una radice profonda nella propria anima. Questo non vuol dire che dobbiamo essere tutti dotti o accumulare titoli ed onori prima di poter presentare ad altri la nostra Fede. Sappiamo che la Grazia opera per vie a noi imperscrutabili ed inimmaginabili.
    L'invito è invece a guardare prima di tutto verso noi stessi nella opera di conversione; il cammino può essere molto lungo, a volte doloroso, a volte breve e gioioso, ma mai potremo guardare verso gli altri se i primi ad essere convertiti non siamo noi stessi. Cristo stesso ha lasciato in eredità mezzi in abbondanza alla Sua Chiesa, a partire dalla Preghiera ed i Sacramenti, i Suoi Vescovi, Sacerdoti e Dottori che, nei secoli, ci hanno lasciato cotanto Magistero ed il Catechismo e, per chi è in grado di affrontarle con umiltà, le Sacre Scritture e tanto altro.
    Ognuno ha il proprio percorso, ma non possiamo tenerlo per noi stessi, è un dono che va condiviso, è una richiesta, quella di Cristo, che va 
    In Jesu et Maria,
    Claudio
    Ci sembra utile riportare parte del "Messaggio di Benedetto XVI per la Gmg 2013", ove si rivolgeva alle giovani generazioni, cui affidava il seme della Fede.
    "Andate!
    Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All’inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L’evangelizzazione parte sempre dall’incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui.
    Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell’amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio.
    4. Raggiungete tutti i popoli
    Cristo risorto ha mandato i suoi discepoli a testimoniare la sua presenza salvifica a tutti i popoli, perché Dio nel suo amore sovrabbondante, vuole che tutti siano salvi e nessuno sia perduto. Con il sacrificio di amore della Croce, Gesù ha aperto la strada affinché ogni uomo e ogni donna possa conoscere Dio ed entrare in comunione di amore con Lui. E ha costituito una comunità di discepoli per portare l’annuncio di salvezza del Vangelo fino ai confini della terra, per raggiungere gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo. Facciamo nostro questo desiderio di Dio!
    Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L’annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite.
    Vorrei sottolineare due campi in cui il vostro impegno missionario deve farsi ancora più attento. Il primo è quello delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet. Come ho già avuto modo di dirvi, cari giovani, «sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! [...] A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo “continente digitale”» (Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 maggio 2009). Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l’incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete.
    Il secondo ambito è quello della mobilità. Oggi sono sempre più numerosi i giovani che viaggiano, sia per motivi di studio o di lavoro, sia per divertimento. Ma penso anche a tutti i movimenti migratori, con cui milioni di persone, spesso giovani, si trasferiscono e cambiano Regione o Paese per motivi economici o sociali. Anche questi fenomeni possono diventare occasioni provvidenziali per la diffusione del Vangelo. Cari giovani, non abbiate paura di testimoniare la vostra fede anche in questi contesti: è un dono prezioso per chi incontrate comunicare la gioia dell’incontro con Cristo.
    5. Fate discepoli!
    Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell’esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L’annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L’essere evangelizzatori nasce dall’amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c’è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo.
    6. Saldi nella fede
    Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7).
    Per questo vi invito a radicarvi nella preghiera e nei Sacramenti. L’evangelizzazione autentica nasce sempre dalla preghiera ed è sostenuta da essa: dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio. E nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore. E, più in generale, preghiamo per la missione di tutta la Chiesa, secondo la richiesta esplicita di Gesù: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Sappiate trovare nell’Eucaristia la sorgente della vostra vita di fede e della vostra testimonianza cristiana, partecipando con fedeltà alla Messa domenicale e ogni volta che potete nella settimana. Ricorrete frequentemente al Sacramento della Riconciliazione: è un incontro prezioso con la misericordia di Dio che ci accoglie, ci perdona e rinnova i nostri cuori nella carità. E non esitate a ricevere il Sacramento della Confermazione o Cresima se non l’avete ricevuto, preparandovi con cura e impegno. Con l’Eucaristia, esso è il Sacramento della missione, perché ci dona la forza e l’amore dello Spirito Santo per professare senza paura la fede. Vi incoraggio inoltre a praticare l’adorazione eucaristica: sostare in ascolto e dialogo con Gesù presente nel Sacramento diventa punto di partenza di nuovo slancio missionario.
    Se seguirete questo cammino, Cristo stesso vi donerà la capacità di essere pienamente fedeli alla sua Parola e di testimoniarlo con lealtà e coraggio. A volte sarete chiamati a dare prova di perseveranza, in particolare quando la Parola di Dio susciterà chiusure od opposizioni. In certe regioni del mondo, alcuni di voi vivono la sofferenza di non poter testimoniare pubblicamente la fede in Cristo, per mancanza di libertà religiosa. E c’è chi ha già pagato anche con la vita il prezzo della propria appartenenza alla Chiesa. Vi incoraggio a restare saldi nella fede, sicuri che Cristo è accanto a voi in ogni prova. Egli vi ripete: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12).
    7. Con tutta la Chiesa
    Cari giovani, per restare saldi nella confessione della fede cristiana là dove siete inviati, avete bisogno della Chiesa. Nessuno può essere testimone del Vangelo da solo. Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione insieme: «fate discepoli» è rivolto al plurale. È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall’unità e dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35). Sono grato al Signore per la preziosa opera di evangelizzazione che svolgono le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, i nostri movimenti ecclesiali. I frutti di questa evangelizzazione appartengono a tutta la Chiesa: «uno semina e l’altro miete», diceva Gesù (Gv 4,37).
    A tale proposito, non posso che rendere grazie per il grande dono dei missionari, che dedicano tutta la loro vita ad annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Allo stesso modo benedico il Signore per i sacerdoti e i consacrati, che offrono interamente se stessi affinché Gesù Cristo sia annunciato e amato. Desidero qui incoraggiare i giovani che sono chiamati da Dio, a impegnarsi con entusiasmo in queste vocazioni: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). A coloro che lasciano tutto per seguirlo, Gesù ha promesso il centuplo e la vita eterna! (cfr Mt 19,29).
    Rendo grazie anche per tutti i fedeli laici che si adoperano per vivere il loro quotidiano come missione là dove sono, in famiglia o sul lavoro, affinché Cristo sia amato e servito e cresca il Regno di Dio. Penso in particolare a quanti operano nel campo dell’educazione, della sanità, dell’impresa, della politica e dell’economia e in tanti altri ambiti dell’apostolato dei laici. Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell’evangelizzazione!
    8. «Eccomi, Signore!»
    In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all’amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall’amore e dall’accoglienza! Seguite l’esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri."
     
     
  2. Claudio C.
    Una amica della Scuola Ecclesia Mater invia una lettera "di cuore" a Monsignor Nicola Bux, dopo averne letto le considerazioni apparse pochi giorni fa su l'Occidentale Giovanni Paolo II e quella santità che le “quinte colonne” nella Chiesa non possono capire. E' una lettera di impatto che, come l'articolo di Mons. Bux, fa da contraltare ai numerosi attacchi alla figura, al pensiero ed alle azioni di Papa Giovanni Paolo II, ristabilendone la verità che, chi non vuole il bene della Chiesa, tende ad offuscare. Non potevamo non pubblicarla.
    Grazie ad Annamaria De Matteis.
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    Brindisi 23 novembre 2020
    Carissimo don Nicola, ieri ho letto il suo articolo su “L’Occidentale”, nel quale parlava di Papa Giovanni Paolo II, il “Grande”!!! Ed è stato per me un articolo molto interessante e di piacevole lettura. Fu un vero Papa!!! Un santo Papa: sosteneva la Chiesa con la sua santità di vita, implorava dal Signore l' Unità della Sua Chiesa, istruiva, custodiva, conduceva, amava il Gregge che il Signore aveva a lui affidato.
    Seguo purtroppo, da giorni, l’irriverente tentativo di screditare agli occhi del mondo la figura del grande Papa, Giovanni Paolo II, che ha guidato, in maniera magistrale, il Popolo di Dio ed il mondo intero al Nuovo Millennio! Papa, Giovanni Paolo II, fu principalmente Pastore della Chiesa Cattolica, dei cristiani, del Popolo di Dio! Fu il Vicario di Cristo in ordine ai credenti cristiani cattolici!

    Aveva, si, nel cuore, l’ardente desiderio ecumenico di Unità tra i cristiani delle diverse Confessioni, ma nello stesso tempo non si discostava di una virgola dalla vera identità cristiano - cattolica ! Aveva a cuore anche il dialogo Interreligioso, ma proponendo con certezza e chiarezza il nostro essere cristiani, “depositari” dell’unica Verità! Non ha mai ceduto in nulla della sana dottrina cristiana, secondo la volontà  di tanti che, per quella “falsa carità” e buonismo, chiedevano compromessi e cedimenti.
     Inoltre, pur sentendosi Padre e Pastore di ogni uomo, non cercava principalmente l’approvazione del mondo (laico e modernista), anche se sapeva parlare al mondo con autorevolezza  rivolgendosi ad ogni uomo di buona volontà. Rimproverava con autorevolezza il mondo prepotente, i “sistemi economici” ingiusti e discriminatori, la mafia, le “strutture di peccato”….!
    Fu un vero Papa, svolse egregiamente, santamente, in “forma eroica” , il suo mandato,  come dovrebbe fare ogni Papa: Confermare i Fratelli nella fede, insegnando la vera e sana dottrina, esortando la fedeltà al Vangelo, la costanza nel cammino di fede, la conversione permanente della propria vita al Signore!  Annunciare il Vangelo ai lontani; proporre al mondo il rispetto di quei valori umani “non negoziabili”;  garantire il rispetto della vita e della dignità di ogni uomo. Giovanni Paolo II fu un “Gigante”!!!
    Io ebbi l’occasione , ma soprattutto l’onore, di parlargli, nelle stanze del  Vaticano, come rappresentante dell’Azione Cattolica Ragazzi, della mia diocesi. Fu il 23 dicembre 1985. Lui era giovanissimo e forte.  Eravamo quaranta persone, tra giovani e ragazzi, rappresentanti di 10 diocesi italiane, in occasione degli auguri natalizi. Avevo 20 anni!  Fù per me un’esperienza indimenticabile: parlai con  lui, per dieci minuti, “da sola”, perché mi invitarono a portargli dei libri. Mi chiese alcune cose e poi mi sorrise teneramente e, fissandomi con quegli occhi azzurri, con quello sguardo così profondo, mi benedisse con una croce sulla fronte!!! Per me fu un momento eterno!!! Lo ricordo come se fosse accaduto oggi:  pur essendo molto giovane e quindi non in grado di comprendere appieno la portata di quell’evento così straordinario, mi resi conto che avevo ricevuto una grande Grazia. Con la sua santità di vita il Papa mi aveva benedetto e affidato al Signore, mi aveva legata per sempre a Lui! Aveva forse “letto nel mio cuore” il desiderio interiore ed ancora segreto, di consacrarmi a Lui per sempre? Desiderio che mi accompagnava dall’infanzia e che mi accingevo in quegli anni a fare discernimento.

    Poi ebbi l’occasione di incontrarlo a Loreto, 9 anni dopo, nel raduno giovanile europeo- mondiale. Eravamo infatti in 400 mila giovani provenienti da tutte le parti del mondo. Ero lontanissima dall’altare, il Papa lo vedevo solo dal maxi schermo, il Palco del Papa era quasi invisibile eppure …la mattina, dopo aver dormito la notte per terra nel sacco a pelo, per un caso misteriosamente fortunato , mi ritrovai sull’altare del Papa, insieme agli otto giovani scelti per portare i fiori alla Madonna !!! Lì lo vidi in estasi: il Papa incensava la statua della Madonna ed era in estasi, vedeva “qualcosa”, tanto che noi tre giovani che eravamo alla destra della Madonna ci ritrovammo a fisare la Madonna incantati! Mentre quelli di sinistra guardavano naturalmente lui, il Papa. Quando svanì l’incenso, il Papa scorse noi giovani che eravamo a due passi da lui e ci sorrise: ci vedeva solo in quel momento, prima aveva da “contemplare qualcos’altro o qualcun’altro”, che mai sapremo!. Infine l’8 dicembre del 1996, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa, già anziano , ammalato e convalescente, camminava lento lungo la navata centrale transennata, io “per caso” mi trovai lì, ero postulante tra le suore comboniane, e le presi la mano destra benedicente che era  gelata e la misi tra le mie mani per  riscaldarlo, anche se per pochi secondi. Lui ebbe grato quel gesto e rimase qualche secondo in più! Pochi secondi prima aveva “indovinato” la provenienza della mia amica africana ed aveva “anticipato” la richiesta di preghiera che lei aveva preparato precedentemente consultandosi con me. Il Papa aveva letto nel cuore di quella giovanissima donna africana, la quale scoppiò a piangere perché era rimasta sbalordita dalla santità di “quell’uomo” così speciale. La straordinaria santità di Giovanni Paolo II , LA SUA STRAORDINARIA VITA, l’unicità della sua esperienza di uomo, di sacerdote, vescovo, cardinale e Papa, va contemplata, imitata, seguita!!! La nostra gratitudine al Signor per aver donato alla Sua Chiesa un Gigante della fede, non dovrebbe mai terminare!!! Chiediamo a lui, dal cielo di intercedere presso il Padre , perché la Chiesa ritorni ad essere secondo il Suo Cuore!!!
    Grazie carissimo don Nicola, per avermi dedicato parte del suo tempo per leggere questa mia lunga lettera, sentivo il desiderio di ringraziarla per il suo impegno pastorale e poi mi sono attardata nell’offrirle alcune mie personali confidenze!
    Sorella in Cristo Anna Maria.
     
     
    #IPC Lettera pubblicata col permesso dell'autrice
  3. Claudio C.
    Riportiamo di seguito un estratto della riflessione dell'Avv. Francesco Patruno per il blog STILVM CVRIAE  dal titolo  PATRUNO. CHE ACCADE DA LUNEDÌ CON IL PROTOCOLLO CEI-GOVERNO? sulla interpretazione da darsi al protocollo tra CEI e Governo italiano e circa la distribuzione della Santa Eucaristia. Invitiamo, per chi volesse approfondire compiutamente, a leggere l'articolo integrale sopra riportato. Di seguito riportiamo l'essenziale, a mo' di manualetto.
    "E quindi chi risponderà per eventuali violazioni del Protocollo? Ed a quali sanzioni andrà incontro?
    Si tratta di quesiti di difficile risposta. Senz'altro ci sembra che non possano ascriversi particolari responsabilità – di là di quella generale che ricade su ogni cittadino in questo periodo, che impone il distanziamento sociale e l’uso di dispositivi di sicurezza – sui fedeli. Ed a ben vedere anche per lo stesso legale rappresentante dell’ente sembra escludersi la possibilità di sanzioni – dal punto di vista statale e, direi, pure canonico – per eventuali violazioni, salvo che le condotte non siano sussumibili in violazioni di leggi e prescrizioni statali in questo periodo.
    Del resto, dal tenore del Protocollo, emerge come lo stesso non contenga, a ben vedere, vere e proprie norme vincolanti tranne alcune (ad es., i punti 1.1, 1.2, 1.5, 3.2, 3.3, 3.10, 4.2), mentre la maggior parte di queste hanno indubbio carattere esortativo, quasi a livello di raccomandazione, di suggerimento per una celebrazione eucaristica “in sicurezza”.
    Altro interrogativo è se le diocesi o le singole conferenze episcopali regionali possano adottare ulteriori prescrizioni rispetto a quelle indicate dal Protocollo.
    Ciò è senz’altro possibile, nell’ambito di quanto statuito da quest’atto, prevedendo eventualmente delle cautele maggiori se lo esigono le circostanze territoriali (penso, ad es., alle zone lombarde) ovvero lo richiedano le specificità dei riti praticati (come è stato, ad es., per l’Eparchia di Lungro).
    Veniamo al punto controverso che concerne propriamente la distribuzione della Comunione.
    Il punto 3.4 stabilisce: «La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli».
    Quel che emerge, in primo luogo, è il carattere esortativo della disposizione de qua. I verbi adoperati “avvenga” e “abbiano cura” esprimono l’idea di una raccomandazione, di un suggerimento, di esortazione paternalistica, ben diversa, dunque, da quella dell’obbligo stringente (non dice, infatti, “deve avvenire” né si adoperano forme verbali similari a questa). Avendo, dunque, valore esortativo, il celebrante potrebbe eventualmente anche decidere di non avvalersi di questo suggerimento, anche perché – come detto – non è prevista ex se alcuna sanzione in caso di sua violazione né potrebbe intervenire alcun’autorità dello Stato ad esigere il rispetto di quella specifica prescrizione, non essendo il Protocollo fatto proprio dallo Stato in un atto normativo o regolamentare/amministrativo.
    Taluno (specie sacerdote), in effetti, si è lamentato, che non prenderà mai il Corpo di Cristo con un “preservativo” (v. qui), anche perché, per quei guanti monouso, essendo venuti in contatto con le sacre specie e nel timore, che possano conservarne dei frammenti, si porrebbe la questione liturgico-canonica del loro smaltimento. Questo, infatti, non potrebbe avvenire nel fuoco o nella terra in luogo appropriato o nel c.d. sacrario (essendo i guanti solitamente in materiale non biodegradabile ed anzi inquinante) e, d’altro canto, si pone il problema, quantomeno morale, di evitare di incorrere nel delitto di cui al can. 1367 del codice di diritto canonico («chi profana le specie consacrate, […] incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale»). La codificazione del 1917 (can. 1306), non a caso, prescriveva che tutto ciò che fosse venuto in contatto con le sacre specie fosse accuratamente lavato da ecclesiastici e versata la relativa acqua nel sacrario o nel fuoco («calici, patene, purificatoi, palle e corporali […] se furono adibiti per la Messa, e questi ultimi tre prima del bucato [fossero] lavati da ecclesiastici, versandone l’acqua nel sacrario o nel fuoco»). Disposizione simile oggi si trova nel § 120 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum («I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto»). Per cui, è più che legittimo porsi la questione dello smaltimento dei guanti monouso, che dovessero venire in contatto con le specie eucaristiche così come con gli oli santi, nel caso della celebrazione dei Battesimi e dell’Unzione degli Infermi (una nota al punto 3.8 precisa: «Nelle unzioni previste nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo e dell’Unzione degli infermi, il ministro indossi, oltre alla mascherina, guanti monouso»).
     
    Tornando al punto in discussione, a parte la circostanza che esso, per come è formulato, si atteggia più ad una raccomandazione che non ad un obbligo, vi è la circostanza innegabile che nel Protocollo non si dica affatto che il sacerdote debba prendere il Corpo di Cristo, da distribuire ai fedeli, con i guanti monouso, ben potendo adoperarsi, per la distribuzione della Comunione, le c.d. pinze eucaristiche, vale a dire un utensile liturgico, da secoli utilizzato dalla Chiesa in tempi di pestilenze (v. qui), come suggeriva, del resto, anche la diocesi di Milano (v. qui). Nulla di scandaloso, quindi, che il sacerdote, preoccupato di frammenti, sia pur minimali, di Ostia sul guanto monouso, possa, per precauzione, adoperare quest’utensile liturgico, avendo cura, ovviamente, della sua sterilizzazione dopo ogni celebrazione.
    Nel Protocollo, per di più, non si legge neppure – a stretto rigore – che l’Ostia sia distribuita solo sulla mano. La disposizione, in effetti, afferma solo che sia evitato il contatto con le mani dei fedeli – per coloro che prendono l’Ostia in mano – ma nulla si legge circa quei fedeli che assumono l’Ostia sulla lingua. Non essendoci, perciò, un divieto in tal senso, sembra potersi affermare che l’Ostia ben possa essere presa sulla lingua da parte dei fedeli. In questo caso, secondo buon senso, bisognerà evitare che la mano del celebrante o dell’eventuale ministro straordinario, ovvero le c.d. pinze eucaristiche, vengano in contatto con la bocca o la lingua del fedele. Per questo, i vescovi non potrebbero né imporre la Comunione sulla mano né vietare quella sulla lingua (v. qui), come invece disposto da alcuni, come ad es., il vescovo pugliese di Conversano-Monopoli (v. qui) senza che, nella sua diocesi, ci siano particolari esigenze sanitarie.
    Taluno, inoltre, preso da devoto zelo, si spinge a suggerire che, al termine della distribuzione della Comunione, essendo le dita del sacerdote venute in contatto con il Corpo di Cristo, siano nettate, anziché con un qualche detergente, bensì ponendo «le dita su una piccola fiamma come indicava San Carlo Borromeo durante la peste che colpì Milano» (v. qui). Preferiamo sorvolare su questa misura proposta, che va, evidentemente, storicizzata ed inserita nel suo contesto storico-sociale e culturale, tanto più che, in alternativa, a questo metodo “ustionante”, lo stesso Santo proponeva di lavare le dita in aceto preparato a tal fine, che si dovrà poi consumare nel fuoco (v. qui).
    Ancora un interrogativo. Qualcuno ha affermato che il Protocollo sarebbe applicabile solo alla distribuzione della Comunione all’interno della messa, mentre extra Missam, il sacerdote non sarebbe tenuto al rispetto di quanto stabilito dal punto 3.4.
    In realtà, a parte la circostanza che – va ribadito – questo punto anche all’interno della celebrazione eucaristica ha un mero valore di raccomandazione, sembra, comunque, potersi escludere che il punto 3.4 riguardi solo le celebrazioni eucaristiche. Esso – per come è formulato – concerne, infatti, tutte le ipotesi di distribuzione della Comunione. Ce lo conferma il punto 3.8, secondo cui: «Il richiamo al pieno rispetto delle disposizioni sopraindicate, relative al distanziamento e all’uso di idonei dispositivi di protezione personale, si applica anche nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica o inserite in essa», come nel caso, ad es., di Battesimi, Matrimoni, ecc.
    Quelle misure, dunque, valgono pure «nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica», come potrebbe essere la Comunione al di fuori della S. Messa.
    Basterà adoperare, in fondo, le disposizioni cum grano salis e secondo buon senso.
    Vedete anche questi collegamenti:  
    https://rorate-caeli.blogspot.com/2009/11/it-is-not-licit-to-deny-communion-on.html e 
    http://blog.messainlatino.it/2009/11/la-comunione-al-tempo-del-colera.html  Buona lettura…
  4. Claudio C.
    Il cardinale vicario del Papa per la Città del Vaticano riflette sull’esperienza della preghiera mariana recitata assieme al Regina Coeli in diretta televisiva dalla Basilica di San Pietro dall’11 marzo al 30 maggio. “Il coinvolgimento che c’è stato – afferma – per noi era inimmaginabile. Se si creassero le condizioni sarei pronto a ricominciare". 
    Anche, nel suo piccolo, il blog il Pensiero Cattolico ha raccolto ed inviato nella giornata di ieri Domenica 7 Giugno 2020 le tante preghiere ed i messaggi di amore, di necessità, di stima  dei propri lettori. 


    Oggi, una vera strabiliante Grazia della Divina Provvidenza, questa intervista pubblica a Vatican News, dove è il Cardinale stesso a rendersi pubblicamente disponibile, se ve ne saranno le condizioni. Continuate a pregare per questo, che il Signore ci ascolti e, se potete, inviate una email di richiesta che il Cardinale possa continuare la recita del Santo Rosario a redazioneweb@tv2000.it .
    Qui trovate il video, di pochi minuti. Comastri: il Rosario durante la pandemia ha cambiato il cuore di tanti

    ed un video di ringraziamento su Youtube
     
  5. Claudio C.
    di Catholic News Agency.
    Quando padre John Hollowell è andato alla Mayo Clinic per le scansioni cerebrali dopo quello che i medici pensavano fosse un ictus, ha ricevuto una diagnosi scioccante. Le scansioni hanno rivelato che invece di un ictus, aveva un tumore al cervello.
    Sebbene si trattasse di una diagnosi seria, Hollowell, un prete dell'Arcidiocesi di Indianapolis, ha affermato di ritenere che il tumore fosse una risposta alla preghiera. "Quando sono scoppiati gli scandali del 2018, molti di voi sanno che mi hanno colpito profondamente, come hanno fatto la maggior parte della Chiesa", ha scritto nel suo blog, On This Rock.
    “Ho pregato nel 2018 che se ci fosse stata qualche sofferenza che avrei potuto subire a nome di tutte le vittime, una croce che avrei potuto portare, sarei stato lieto. Sento che questa è quella croce e la abbraccio volentieri. "
    Hollowell è stato ordinato nel 2009 e serve come parroco della parrocchia di St. Paul Apostolo a Greencastle e parroco della parrocchia dell'Annunciazione in Brasile, Indiana. È anche cappellano cattolico presso la DePauw University e la Putnamville Correctional Facility.
    Il piano per il trattamento di Hollowell prevede la rimozione del tumore attraverso un intervento chirurgico al cervello e quindi sia le radiazioni che la chemioterapia. Hollowell ha affermato che mentre i suoi trattamenti non saranno così duri come quelli per alcuni altri tipi di cancro, vuole ancora offrire ogni giorno il suo recupero, la chemioterapia e le radiazioni per le vittime dell'abuso di clero.
    “Mi piacerebbe avere un elenco di vittime di abusi sacerdotali che potrei pregare ogni giorno. Vorrei dedicare ogni giorno di questa guarigione / chemioterapia / radiazione a 5-10 vittime e, se possibile, vorrei anche scrivere loro una nota per far loro conoscere le mie preghiere per loro ”, ha detto. Ha incoraggiato le vittime, o coloro che sono a conoscenza di una vittima, a scrivergli con il nome della vittima (con il loro permesso) e con un indirizzo in cui poter inviare loro un messaggio quando prega per loro. Ha aggiunto che vorrebbe includere nelle sue preghiere le vittime che sono state aiutate dalla Rete dei sopravvissuti di coloro che sono stati abusati dai sacerdoti e ha chiesto a SNAP di inviargli i nomi delle vittime per le quali può pregare.
    Hollowell ha dichiarato di essere grato per i suoi molti "meravigliosi" medici alla Mayo Clinic e altrove che finora hanno fatto parte delle sue cure. "Ogni persona ha svolto un ruolo chiave in questo processo e sono molto grato e stupito dallo stato della medicina negli Stati Uniti nel 2020", ha affermato.
    Alla fine, il sacerdote disse di essere "molto in pace".

    “Oltre al tempo trascorso in ospedale, gli unici effetti di questo tumore che ho avuto sono stati 5 episodi di spasmo / convulsioni che sono durati ciascuno 90 secondi. Mi rendo anche conto di essere benedetto per averlo scoperto attraverso questo processo vs. scoprire il tumore lungo la strada dopo che era diventato più grande ", ha scritto. "Sarete tutti nelle mie preghiere, mentre prego quotidianamente per la salvezza di tutte le anime di coloro che vivono e studiano entro i miei confini parrocchiali", ho aggiunto. "Possa la Madonna di Lourdes vegliare e intercedere per tutti coloro che sono malati o sofferenti in alcun modo!"

    Libera traduzione da Catholic Herald
  6. Claudio C.
    La portata dell’essere umano assume una valenza che giunge ai limiti di una conoscenza profonda ed esauriente per cogliere in maniera esaustiva gli aspetti della persona umana oggetto di studio di varie discipline. Pur restando complessa e quasi inesplicabile la ricerca di un nesso comune tra le diverse discipline, è evidente che l’oggetto di studio assume in se una vasta complessità tale da riconoscere nell’uomo stesso un essere complesso. La proprietà riconosciuta dalle varie discipline è il carattere relazionale intrinseco ed essenziale per la sua vitalità. Negare questo aspetto equivale a non rendere compatibile la natura stessa dell’uomo con l’oggetto della relazione fino ad affermare una asfittica autosufficienza non potendo essere in sé stesso esauriente da considerarsi tale e poter prescindere da qualsiasi relazione. Pertanto l’uomo non può essere riconosciuto come essere autosufficiente. Secondo Pascal “L’uomo non è un essere autosufficiente.
    È essere che si leva al disopra di se stesso. La sua natura si realizza appunto non nel dispiegamento di una disposizione chiusa in se stessa, ma in quanto essa sia portata al di sopra di sé nella comunione di vita con Dio.” Nel tempo attuale è diffusa la consapevolezza che l’uomo è una persona razionale e relazionale. Un’antropologia della relazione e dell’incontro si rende così necessaria, per ripensare l’individuo come persona e i rapporti umani alla luce dell’esodo dell’io verso il tu, in dialogica reciprocità. Il movimento verso il tu non può esaurirsi nella finitezza della materia per non lasciare inascoltata l’esuberanza di questa inclinazione da esaudire nella esperienza di infinito conosciuta come pienezza dell’essere. Sollecitato da questo profondo bisogno l’uomo deve cogliere il coraggio di interrogarsi sul vuoto opprimente dell’esistenza mondana orientata nei rivoli del godimento effimero … rivolti alla ricerca di falsi idoli. A tal punto è necessario “indagare” la dimensione relazionale umana a partire dalla individualità. L’idolatria dell’io espressa nell’individualismo lascia l’uomo nella solitudine e nell’insoddisfazione indotto da un’edonismo che la massificazione e la pubblicità invadente in un tempo di incertezza e di frammentazione sociale provocano il rischio della disumanizzazione dominante in una società globalizzata e postmoderna.
    Resta quindi la sfida di un essere umano che vive la sua umanità nella famiglia umana partecipe della convivenza comunitaria in un processo di crescita e di formazione della persona. Nel Tempo attuale è urgente proporre un cristianesimo autentico, credibile e adulto ricorrendo alle Scritture fonte di sapienza universale dalla quale attingere per rivelare una visione profonda dell’essere umano. Resta necessario ricorrere all’antropologia filosofica col fine di indagare sull’essere umano nella sua unità e globalità oltre le visioni particolari delle scienze umane. L’uomo è quindi un essere in relazione essendo innata questa prerogativa sia come organismo biologico che come essere spirituale.
    La propria vitalità dipende dal contesto relazionale nel mondo. Per la sua dipendenza da una Causa suprema ne deriva quindi l’essere come creatura. La sua dipendenza relazionale assume soprattutto un carattere spirituale. L’uomo realizza la sua umanità nel suo essere in relazione costante col Tu infinito nella dinamica di una crescita fino ad una perfezione di somiglianza col Creatore. Questa dinamica è l’espressione di un rapporto di comunione che trova caratteri salienti nella preghiera e nella contemplazione. I
    Il significato della preghiera per il cristiano. La preghiera valorizza la vita della Chiesa nella sua unità e nella sua missione salvifica. Nella sua condizione comunitaria il fedele come individuo è chiamato a trovare lo spazio e il tempo propizio nella meditazione per entrare in rapporto con Dio e rendere speciale la sua vita da cristiano. Per la chiesa la preghiera diventa una funzione naturale e una esigenza nella vita cristiana. La preghiera assunta come segno di mediazione tra L’uomo e Dio presenta l’espressione di un bisogno innato di Infinito. Quel bisogno esprimibile nel ricercare uno spazio interiore in cui Dio segna nel cuore del fedele le parole di amore, speranza, pace, comunione. Il clima del silenzio è la condizione propizia per instaurare una comunione feconda nella meditazione. Nella comunione il fedele giunge a scoprire un rapporto di fiducia per essere chiamato da Dio a portare la Sua Croce per salvare il mondo.
    La ricchezza dei Salmi La forma e la sostanza della preghiera è espressa nella scuola dei Salmi. La loro origine risale alla liturgia di Israele tramandata secondo la tradizione giudaica da David composti in forma poetica. La chiesa dalle sue origini ha recitato i salmi essendo stati preghiera di Cristo che li ha proclamati nell’assemblea del suo popolo, li ha meditati nel colloquio personale col Padre e li ha citati più volte nelle scritture. Gesù risorto così ha spiegato ai discepoli. “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” ? (Lc 24,44) I salmi sono una preghiera della chiesa adottata come esempio di preghiera quotidiana degli apostoli che vi hanno riconosciuto la profezia degli avvenimenti della passione, morte e resurrezione di Gesù. I testi dei salmi furono adottati nelle liturgie cristiane come profezia del mistero di Cristo. Nel corso dei secoli i salmi sono entrati nella liturgia fino ai nostri tempi. I salmi parte integrante nella tradizione della vita liturgica sono scuola di preghiera come edificazione personale e comunitaria. Mario Mascia
  7. Claudio C.
    Riportiamo di seguito una breve riflessione del Prof. Mascia sullo stato d'animo generato in moltissimi dalla situazione contingente.
    "Avvertiamo in questa contingenza di sofferenza sociale, causata dall’emergenza sanitaria ed economica, la necessità di una purificazione degli effetti di una sfrenata mentalità materialistica che concepisce l’uomo come un soggetto di richieste consumistiche.
    I limiti di questa concezione sono evidenti nel godimento effimero in quanto la frustrazione in questo periodo della scarsa disponibilità di risorse pone frequenti domande sui bisogni fondamentali dell’esistenza.
    La citazione di S. Matteo (4,4) “Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” ha un effetto dirompente nel presente senza disconoscere la necessità del “pane quotidiano” ma conferma l’essenzialità della Parola di Verità che appaga il bisogno profondo della pienezza dell’essere.
    L’uomo realizzato vive la pienezza del suo essere uomo come Cristo , il quale è vero Dio e vero uomo.
    L’uomo divinizzato è perfettamente realizzato nella sua umanità e nella sua spiritualità
    L’uomo essendo essere che viene da Dio se consente di appartenere a Dio vive nella pienezza dell’essere."
    Chi, oggi, si riconosce nella pienezza dell'essere di Cristo?
  8. Claudio C.
    Dopo il contributo di d.Nicola Bux sulla preghiera multireligiosa, eccone un altro, in occasione del Centenario della nascita di san Giovanni Paolo II. Il prof. Nunzio Lozito ha discusso la tesi sul Beato Raimondo Lullo, che ebbe a che fare con i musulmani tra XIII e XIV secolo. Un estratto è stato pubblicato dal Centro di Studi Cristiani Orientali del Cairo (qui un approfondimento nel Europe Near East Centre ).   E' desiderio degli autori, che quanti volessero entrare in dibattito, lo facciano indicando i punti a loro avviso critici, nonché le ragioni per cui lo sarebbero. Potete scrivere nei commenti o inviare una email a segreteria@ilpensierocattolico.it . Varcare la soglia della speranza
     
    “Ma se il Dio che è nei cieli – e che ha salvato e salva il mondo – è Uno solo, ed è Quello che si è rivelato in Gesù Cristo, perché ha permesso tante religioni? Perché renderci così ardua la ricerca della verità, in mezzo alla foresta dei culti, delle credenze, delle rivelazioni, delle fedi che sempre- e oggi ancora- vigoreggiano tra ogni popolo?”[1].
    È la domanda che lo scrittore Vittorio Messori, pone a Giovanni Paolo II all’inizio del 13° capitolo del libro Varcare la soglia della speranza. Il libro-intervista, passa in rassegna una serie di domande su vari temi: da quelli più strettamente dottrinali a quelli a carattere sociale. La domanda  riguarda il rapporto tra Cristianesimo e le altre religioni. Un tema sempre attuale, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Ma che ha tuttavia interessato la Chiesa sin dalle origini. Da quando cioè l’annuncio cristiano è venuto a contatto con le diverse culture, religioni, filosofie.
    È un tema delicato, di fronte al quale la prudenza, delle parole e soprattutto degli atteggiamenti, è un obbligo. Lo è ancor di più oggi, in un’epoca in cui i media, nel bene e nel male ne amplificano la portata dei gesti e delle dichiarazioni ufficiali. Soprattutto quando riguardano questioni di questo tipo. A ciò si aggiunga il clima culturale, sempre più superficiale e alla ricerca di semplificazioni, poco incline alla riflessione razionale. Un clima che esalta l’emotività, che tende a far proprio l’assioma hegeliano secondo il quale “la notte tutte le vacche sono nere”.
    Nella risposta alla domanda del giornalista-scrittore Messori, citata sopra, il Pontefice ribalta la questione: “Lei parla di tante religioni. Io invece tenterò di mostrare che cosa costituisce per queste religioni il comune elemento fondamentale e la comune radice”[2]. Giovanni Paolo II nel prosieguo della risposta, piuttosto articolata, si mantiene nel solco del Concilio Vaticano II, in particolare da quello tracciato dalla breve Dichiarazione Nostra Aetate[3].
    Sappiamo, e ne stiamo ricevendo sempre più prova in questo frangente storico, che i testi conciliari sono passati e continuano a passare attraverso la lente interpretativa, talvolta piuttosto deformata, del cosiddetto “spirito del concilio”. Tra coloro che invocano questo, è spesso evidente una censura della lettera stessa del Concilio. Per cui si finisce, andando di interpretazione in interpretazione per deformare il dettato conciliare. Probabilmente, proprio per questa ragione il pontefice polacco, nel fornire la risposta allo scrittore, cita quasi integralmente Nostra Aetate. Evitando in tal modo che il metodo comunicativo, basato su slogan, allora come ora, fosse neutralizzato.
    Qual è questo comune elemento fondamentale, questa comune radice che accomuna le religioni, o meglio gli uomini che appartengono alle varie religioni di cui parla il Pontefice echeggiando Nostra Aetate?  Primo fra tutti  l’appartenenza al genere umano: la natura umana, il senso profondo della vita, il bene, il male, la vera felicità, la morte, l’aldilà.
    Il Concilio avrebbe potuto affermare: “essendo queste le comuni aspettative degli uomini, i comuni enigmi che inquietano il cuore degli uomini, costruiamo una sorta di super-religione, che prenda gli elementi essenziali di ciascuna di esse per  favorire una fratellanza umana universale”. Tentazione sempre presente nell’uomo, dalla Torre di Babele in poi.  
    Nel buio della ragione che stiamo attraversando,  è facile cadere nella trappola di un progetto del genere: sembrerebbe altamente auspicabile, condivisibile, ridurrebbe i conflitti. Invece no, Nostra Aetate, sulla scia della Tradizione, delude quanti auspicherebbero tutto ciò. Anche coloro che, invocano il Concilio Vaticano II ad ogni piè sospinto.
    Allora, cosa afferma Nostra Aetate?
     “La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni…” (Nostra Aetate 2). Questo approccio valorizzatore che la Chiesa mostra nei confronti delle religioni non cristiane, richiede uno sforzo missionario ancora più intenso così come la Dichiarazione afferma appena  dopo: “Essa- riferendosi alla Chiesa- però annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è <<via, verita e vita>> (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con Sé tutte le cose” (Nostra Aetate, 2). “Le parole del Concilio - commenta il Papa polacco- si richiamano alla convinzione da tanto tempo radicata nella tradizione, dell’esistenza dei cosiddetti semina Verbi, presenti in tutte le religioni”. Solo, una cronica superficialità, può sorvolare sulla necessità della missione di annunciare. Solo questo, può arrivare al punto da paragonare  il vitale anelito missionario della Chiesa ad un’azione proselitistica da stigmatizzare. Certo, continua, Giovanni Paolo II, l’azione missionaria della Chiesa, soprattutto nell’estremo oriente, non è stata efficace perché la società occidentale ha dato un’antitestimonianza, mostrando un cristianesimo incapace di incidere “nella vita politica e sociale delle nazioni”.
     È in questa traccia del Concilio che il santo Pontefice si è mosso nei suoi viaggi “interreligiosi”, mai dimentico che, in qualità di successore di Pietro, il cui mandato, per esplicito comando del divin Maestro è: “ ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19).  C’è l’eco di quest’ansia missionaria nei discorsi tenuti nei vari paesi, compresi quelli a maggioranza islamica. Convinto com’era che Cristo è l’unico redentore dell’uomo, capace di valorizzare in modo compiuto le profonde aspirazioni dell’uomo.
    Continuando a ripercorrere le pagine del libro intervista succitato ci si imbatte nei capitoli relativi ai fondatori di alcune delle più importanti religioni. Al capitolo 15° troviamo quella riferita a Maometto e all’Islam.  Afferma il Papa: “Chiunque conoscendo l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, legga il Corano, vede con chiarezza il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso si è compiuto. È impossibile non notare l’allontanamento da ciò che Dio ha detto di Sé stesso, prima nell’Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo di Suo Figlio. Tutta questa ricchezza dell’autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell’Antico e del Nuovo Testamento, nell’Islamismo è stato di fatto accantonata”[4].
    Dopo quanto scritto diventa assai arduo, come da più parti avviene, affermare “in fondo crediamo tutti nello stesso Dio” come pure l’espressione “siamo tutti fratelli”.
    Tutto questo, che per amore di verità va affermato, non toglie nulla alla serietà e alla convinzione con cui milioni di musulmani (così come i tanti fedeli delle religioni presenti nel mondo), vivono la loro fede. Quindi, continua il Papa “la religiosità dei musulmani merita rispetto”  a motivo della “loro fedeltà alla preghiera” e, indipendentemente dal luogo nel quale si trovano, si prostrano in ginocchio. Anzi, “rimane un modello per i confessori del vero Dio, in particolare per quei cristiani che, disertando le loro meravigliose cattedrali, pregano poco o non pregano per niente”[5].
      [1] Giovanni Paolo II intervistato da Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza, A. Mondadori, Milano, 1994, pag. 86
    [2] Ibidem, pag. 87
    [3] È il titolo della Dichiarazione conciliare su “le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”
    [4] Ibidem pagg. 103, 104
    [5] Ibidem pag 104
  9. Claudio C.
    La musica sacra, almeno dal Vaticano II in poi, è stata ed è spesso oggetto e fonte di tensioni interne alla Chiesa a tutti i livelli. Ho vissuto questa realtà nella mia esperienza ormai quasi ventennale di musicista di chiesa, attraversando in prima persona il territorio impervio e accidentato, del quale non si possiede una mappa sufficientemente veritiera e dettagliata quale appare ancora oggi la musica sacra nella Chiesa Cattolica in Italia e nel mondo.
    In questa traversata Benedetto XVI si è rivelato senza dubbio una guida sicura, autorevole, ricca di esperienza e capace di guardare lontano e illuminare la strada, motivo per cui la trattazione in questo testo si basa sul suo pensiero, da cardinale, da papa e da papa emerito. Insieme a lui mi chiedo: non è sotto gli occhi di tutti la totale eterogenesi dei fini a cui si è andati incontro introducendo nella liturgia musica prettamente funzionale, spesso banale, semplice musica d’uso, usando la comprensibilità a tutti come unica categoria e mettendo alla porta la bellezza?
    La liturgia non è diventata più comprensibile, ma solo più povera, banale e noiosa; le chiese non si sono nuovamente riempite, ma inesorabilmente svuotate.
    La Prof.ssa Eleonora Casulli ne propone una disamina nel testo: "Senza Bellezza non possiamo vivere. La Musica Sacra secondo Benedetto XVI", con prefazione di Don Nicola Bux.
    Per maggiori informazioni sul libro: Whatsapp al +39 3803523294; e-mail a eleonora.casulli@libero.it

  10. Claudio C.
    A cura del Prof. Nunzio Lozito.
    Nella rubrica il direttore risponde su Avvenire del 4 giugno, Marco Tarquinio risponde nel modo che potete leggere direttamente dalla fonte che allego *  https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/nessuno-mai-pu-espropriare-i-simboli-e-i-volti-della-nostra-fede. Il lettore si riferiva alla manifestazione di atti e simboli religiosi resi spesso pubblici da politici e, nello specifico, alle fotografie che ritraevano il Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, con la Bibbia in mano o in preghiera.

    A voler dare una risposta veramente evangelica, avrei risposto con le parole del Maestro: “va e anche tu fa’ lo stesso”. Invece il buon direttore di Avvenire non poteva perdere un’occasione così ghiotta, offerta dal suo lettore, per fare il suo atto di “fede” politico. Si avete capito bene, politico! Perché a parte il richiamo, a parole come  “Verità” (a proposito, caro direttore non basta la “maiuscola” per dare autorevolezza a quello che si vuol dire. Soprattutto non basta per distinguere la Verità dalla propria verità), “Bibbia tutta intera”, “Giovanni Paolo II servitore della Parola”, in sostanza l’obiettivo, non molto velato, è attaccare alcuni politici per osannarne altri. Sappiamo bene, che il contesto conta molto di più che le parole. E il contesto è che, secondo una certa vulgata cattolica,  ci sono politici che meritano rispetto, e se possibile anche il voto dei cattolici, perché non sono così rozzi da strumentalizzare la propria fede e i relativi simboli, in pubblico e politici da denigrare. Politici che, proprio in virtù della loro equidistanza dal Vangelo, possono aspirare a diventare, a pieno titolo, uomini delle Istituzioni  che, secondo la lezioncina di taluni, sono laiche. Guai quindi a chi si permettesse di richiamare in luoghi pubblici, che non siano le chiese, parole, simboli o  persone sacre. Per costoro, i simboli religiosi, non si capisce per quale ragione devono rimanere nascosti nell’ambito privato (sarà perché, così nessuno li vede?). Ma il Signore non aveva detto: “quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti”? Comunque senza voler scomodare il Signore Gesù, qual è quell’azienda che voglia vendere i suoi prodotti, senza sentire prima il bisogno di presentarli, magari sottolineandone gli aspetti benefici? Fuor di metafora.
    I simboli, in genere, hanno lo scopo di veicolare un messaggio in modo semplice ed immediato. Questo lo è ancor di più per quelli cristiani che, essendo la religione del Verbo incarnato, ha fatto della comunicazione il suo punto di forza. Quindi, a maggior ragione, nell’epoca in cui viviamo, fondato essenzialmente sulle immagini, noi cristiani dovremmo “approfittare” di questa congiuntura favorevole per veicolare il messaggio contenuto nei nostri simboli.
    Certo, le parole di Gesù, la sua vita, la sua morte e risurrezione ci insegnano che brandire un simbolo, o un’appartenenza formale ad un consesso, non basta a che, come d’incanto i contenuti a cui essi rimandano, si realizzino. Tuttavia in un tempo nel quale, il politicamente corretto monopolizza la scena culturale, sociale, politica e mediatica, esporre un simbolo può fare la differenza per riscaldare il cuore di molti. Tanto più se, certi messaggi, mediatici, oltre essere una legittima bandiera per confermare i propri consensi elettorali (non facciamo le anime candide, perché in campo politico ognuno utilizza le proprie bandiere), possano indicare una strada per uscire da questo clima da guerra civile permanente.
    E poi se fossi libero fino in fondo al lettore avrei risposto: finché siamo liberi di farlo facciamolo pure, perché se dovesse arrivare qualche norma dello Zan di turno (parlamentare che ha promosso la proposta di legge contro l’omofobia) ci sarà meno libertà per tutti. Oppure, meglio esporre i simboli religiosi, anche a rischio di “strumentalizzarli”, che rimanere silenti nei confronti di chi li abbatte con violenza.
    *

  11. Claudio C.
    Di seguito riportiamo la Catechesi di Don Nicola Bux sulla importanza della sanità del corpo comparata alla salvezza dell'anima. Le considerazioni fatte nel corso della meditazione, espongono un confronto impietoso tra i pesi che le persone, anche i cristiani, ritengono di dare ai due aspetti.
    Il video ed anche la trascrizione (grazie all'amico della Scuola Ecclesia Mater, Maurizio Vuittoni che ne ha trattato la edizione scritta).  Buon ascolto e buona lettura.
    "Non dobbiamo dimenticare che tutti i beni mondani, materiali vanno poi paragonati al bene eterno cioè alla salvezza. Gesù ha detto una frase importante: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima?”
    Questo vuol dire che noi abbiamo un bene ben più grande a cui dobbiamo tenere, perché a questo mondo, prima o poi, moriremo e lasceremo la materialità nostra, il nostro corpo ma non l'anima, questo è il punto.
    Sapete, è come quando succede nei terremoti o negli incendi che tu sai di avere una cassaforte con un tesoro oppure hai messo, in un angolo della casa, qualcosa di prezioso e, allora, ti preoccupi, mentre vuoi salvare te, dici: “(Madonna) devo andare a recuperare quella cosa perché non si perda”
    Allora, noi abbiamo un tesoro che è la anima che riguarda la nostra vita eterna. Il nostro corpo finisce con la morte; questo dobbiamo, una buona volta, cominciare a rifletterci quindi la cura del corpo la salute del corpo, il bodybuilding eccetera sono tutte cose relative se noi poi perdiamo l’anima, se ce la danniamo.
    Questo non vuol dire che non dobbiamo tenere a tutte le altre cose, però dobbiamo sempre aver chiaro che tutto quello che facciamo e perseguiamo deve essere in rapporto alla Salvezza
    La nostra libertà é indebolita a causa del primo peccato, l'indebolimento è reso più acuto dai peccati successivi perché i peccati successivi aumentano la debolezza a partire dal primo, ma “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” dice San Paolo nella lettera ai Galati “Con la sua Grazia lo Spirito Santo ci conduce alla libertà spirituale per farci suoi liberi collaboratori nella Chiesa e nel mondo”.
    Ecco, questo, può riprende quello che ho detto prima, cioè la cooperazione della Grazia divina alla libertà dell’uomo. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo.
    Per esempio, in questo tempo di contagio, noi dobbiamo solo fissarci sulla questione del contagio, dobbiamo anche puntare su che cosa? Su Dio! Qui dobbiamo pregare più perché il Signore allontani da noi il contagio, dei nostri cari e da mondo. Dovremmo, allora, intensificare il ricorso a Dio non semplicemente starci a preoccupare quanti numeri di contagiati, quanti sono morti; questa è la malattia del mondo materialista cioè che ha eleminato Dio e, quindi, tutto crede che si risolva in questa maniera.
    Noi dovremmo, proprio perché siamo in pericolo, intensificare il ricorso al Signore. Voi immaginate quando, nei secoli scorsi, la medicina non era quella di oggi, e c'erano le pestilenze, che cosa faceva la Chiesa? Organizzava le processioni, organizzava le preghiere, le suppliche per ottenere dal Signore quello che non possiamo ottenere dagli uomini.  Adesso invece che succede nella Chiesa? Che si chiudono le porte! Ho sentito gente anziana, che è sola, che mi ha detto che nei mesi scorsi, dopo quello che è accaduto, che si è ammalata di depressione perché diceva: “Io, prima, almeno andavo in chiesa; ero sola, arrivava una cert’ora e andavo chiesa e adesso hanno chiuso pure le chiese. Sono rimasta chiusa in casa giorno dopo giorno, mi sono intristita ancora di più e mi sono pure ammalata”
    Perché voi sapete il sistema immunitario ne risente quando tu sei depresso perché, siamo sempre lì, l’essere umano non è solo corpo, é anche anima, spirito,  quindi le cose interagiscono tra di loro.
    Quindi come si può dire … oggi ho sentito Renato Zero che ha fatto un appello per gli artisti che, come sapete, non possono lavorare e ha detto: “Vorrei dire ai signori che hanno bloccato tutto che noi – ha avuto il coraggio di dire lui – che noi siamo come i medici dello spirito. Non basta solo il medico – lo ha detto Renato Zero ma io me lo sarei aspettato da un Cardinale - non potete chiudere le chiese perché le chiese sono le cliniche dello spirito”.
    L’ ha detto Renato Zero per gli artisti e io credo che l’arte sia così perché l'arte serve allo spirito; la bella musica, la bella arte (le chiese sono rivelate tutte brutte per cui la gente, quando va in chiesa non si ricrea neanche nello spirito).
    Allora vedete a che livello ci hanno ridotti, cioè a farci credere quasi che l'unica salute è quella medica; virologi, epidemiologi, infettivologi eccetera eccetera, che non si mettono manco d’ accordo fra di loro, naturalmente, che litigano perché, chiaramente, non c'è una certezza. Ogni tanto qualcuno ha il coraggio di dire: “Ma noi non lo conosciamo questo virus”
    Io una volta ho detto: “E’ un virus invisibile perché, ovviamente, non si vede a occhio nudo, a mala pena si vede al microscopio, bene, questo è il contrappasso perché avete detto che l’embrione dell'uomo è invisibile, non è ancora un essere umano, quindi si può fare l’aborto”.
    Questo è il contrappasso perché se solo quello che si vede esiste, questo virus non si vede ma esiste e si vedono i risultati. Vedete che contraddizione! Noi erriamo, erriamo.
    Quindi dobbiamo recuperare il rapporto tra libertà umana e ordine della Salvezza perché la Salvezza ha un ordine, come quando viene un terremoto o un incendio che devi scappare, che fai? Salvi te stesso non puoi manco prendere le borse, le tue cose.
    Qui c'è una cosa più importante nell'ordine della Salvezza, una gerarchia. Allora tu devi salvare l'anima, S.O.S., voi sapete che deriva da “Save our soul” cioè salvale le nostre anime.
    Una volta i preti erano chiamati curati - ancora lo dicono in alcuni paesi europei - ma perché? Perché il curato si cura delle anime, non delle mense delle questioni sociali e di tutte le chiacchiere di cui oggi i preti si riempiono la bocca e perdono tempo perché queste cose le possono fare benissimo altri in maniera, forse anche, più professionale.
    Noi siamo, dovremmo essere coloro che curano le anime perché le anime sono la parte più preziosa dell’uomo."
  12. Claudio C.
    «Oggi la verità è dissolta nella filantropia umana della praxis, nella falsa pastorale. Per reagire, occorre difendere la verità nella carità», afferma Monsignor Gilles Wach, Priore Generale dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote in quest’intervista rilasciata in occasione del XXX anniversario della sua fondazione. «Il Cardinal Zuppi a Gricigliano? La sua visita è un onore. Ci rifiutiamo di considerare la Chiesa, che è un’istituzione divina, come un partito, con contrapposizioni solo mondane»
    Con 130 sacerdoti membri, 51 case nel mondo; una comunità femminile, le “Adoratrici del Cuore Regale di Cristo Sommo Sacerdote”, un seminario ormai famoso, a Gricigliano, in Toscana, nella dolce armonia delle colline del Chianti, intitolato a San Filippo Neri e fiorente per numero di vocazioni: un luogo di formazione considerato un baluardo della romanità cattolica classica, dottrinale e liturgica, sia da chi lo apprezza, sia da chi ne contesta la stessa esistenza.
    La missione in Gabon, che ha conosciuto nel corso del tempo un crescente sviluppo, è all’origine, trent’anni fa, dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, fondato il 1 settembre 1990 con decreto di Monsignor Ciriaco Simeone Obamba, Vescovo di Mouila, e divenuto Istituto di diritto pontificio nell’ottobre 2008.
    Ordinato diacono dal Cardinale Giuseppe Siri nel 1978 e sacerdote da Giovanni Paolo II nel 1979, Monsignor Gilles Wach è, con l’Abbè Philippe Mora, Rettore del Seminario, il fondatore dell’Istituto, di cui è stato rieletto Priore Generale nello scorso agosto per altri sei anni. Considerato da alcuni uomini di Chiesa «progressisti» troppo conservatore nel favorire il ripristino di aspetti secondari dell’antico cerimoniale, della liturgia o della disciplina o di usi ecclesiastici ormai tramontati, è paradossalmente contestato anche da alcuni ambienti del tradizionalismo cattolico che lo reputano eccessivamente «diplomatico» e «silenzioso» sulla «crisi della Chiesa» e sulle sue cause. Senza alcuna reticenza, accetta cortesemente di rispondere a tutte le domande.
     

    Mons Gilles Wach
     
    di Simone Ortolani. 
    Monsignore, in un’epoca nella quale molti seminari chiudono, l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote attrae molte nuove vocazioni. Cosa attira i giovani che desiderano entrarvi?
    Oggi abbiamo più di cento seminaristi in formazione. Siamo molto grati alla Divina Provvidenza per il fatto di ricevere così tante vocazioni. Quest’anno sono ventitré per Gricigliano, e quasi quaranta candidati che si preparano per il Seminario nelle nostre case in vari Paesi. Considero che sia sempre bene rammentarsi le parole di Nostro Signore: “Non voi avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi”. È Dio che chiama, e anche oggi, in questi nostri tempi, Lui non cessa mai di chiamare. La spiritualità dei nostri Santi Patroni, inoltre, per la sua bellezza e la sua forza, riesce ad attrarre i giovani. San Benedetto, innanzitutto, con la sua regola, che è alla base della Cristianità, alla sua scuola possiamo sottolineare l’importanza fondamentale riservata al culto, da cui nasce la cultura; al primo posto vanno messi il culto, l’adorazione, la riparazione e il ringraziamento: in breve direi che si tratta della pratica dei primi tre Comandamenti di Dio. San Tommaso d’Aquino, poi, con la sua teologia mai superata ed insuperabile, e con il suo fervente amore per la verità, espone la Fede della Chiesa in un modo così chiaro e netto che ci permette realmente di contemplare ed adorare le grandi Verità rivelate. Infine, il grande Dottore dell’Amore di Dio, San Francesco di Sales, suggerisce alle anime il suo equilibrio, la sua bontà, il suo zelo apostolico radicato nel primato della carità: in un mondo imbevuto di soggettivismo, per cui si rifiuta ogni forma oggettiva di vita retta, l’attenzione portata dal Santo Vescovo di Ginevra per le anime permette di avvicinarsi a tutti e di portare a tutti, compatibilmente alle forze di ciascuno, l’oggettività della Verità e del Bene.
     
    SER Card R. Burke con Mons Wach
    Quali sono state le motivazioni che hanno portato alla fondazione dell’Istituto e qual è la sua vocazione nella Chiesa?
    Le motivazioni sono venute da diversi giovani che, davanti alla decadenza teologica e morale di tanti seminari, hanno chiesto a me e a don Mora un aiuto per diventare sacerdoti secondo il Cuore di Gesù e l’insegnamento perenne della nostra Santa Madre Chiesa. Sotto la tutela e i consigli di grandi e compianti Cardinali romani - come i Cardinali Mayer, Palazzini, Oddi e Stickler – abbiamo iniziato questa grande avventura. La nostra vocazione è di servire ed amare la Chiesa. Il nostro motto può aiutare a capire chi siamo: Veritatem facientes in caritate. Oggi, la verità è dissolta nella filantropia umana della praxis, nella falsa pastorale. Per reagire, c’è chi vuole difendere la verità; ma, ci ammonisce Pascal, senza la carità “la verità è un idolo diabolico, perché ha l’aspetto di un’opera virtuosa”. Dobbiamo dunque mantenerle entrambe: verità e carità non sono in alcun modo opposte l’una all’altra; al contrario, si uniscono nella persona divina di Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Sommo Sacerdote; come scriveva Sant’Antonio di Padova: “Chi predica la verità con amore professa Cristo. Chi invece nella predicazione tace la verità, rinnega Cristo”.
     
    Chiesa dell'Istituto a Libreville, Notre Dame de Lourdes
     
    Perché l’Istituto ha scelto di celebrare i Sacramenti secondo l’antica Liturgia romana?
    Ricordiamo, come ha detto Papa Benedetto XVI, che i riti celebrati dalla Chiesa nel corso dei secoli non possono né essere abrogati, né essere un male in sé. La ricchezza teologica e liturgica di questi riti che sono stati trasmessi fin dall’epoca apostolica e si sono formati, come scriveva Dom Guéranger, con l’assistenza speciale dello Spirito Santo, sono un inesauribile tesoro di grazie e di vita, che hanno formato tanti Santi e tutta la nostra cara cristianità. Tempi belli e buoni. Rammentiamo quello che diceva Sant’Agostino “Cristianizzare è umanizzare”. I nuovi riti apparvero in un’epoca che si voleva, prima di tutto, pastorale, per toccare l’uomo moderno dei nostri tempi. Io direi che quasi sessant’anni dopo la riforma postconciliare, il mondo si è risvegliato pagano. Lasciamo che sia la storia a giudicare, ma da parte nostra, preferiamo rimanere sui sentieri sicuri che la Chiesa ci indica da secoli per la nostra salvezza eterna.
     
    Qual è il Suo bilancio del Motu Proprio “Summorum Pontificum” dopo 13 anni dalla sua promulgazione?
    Ringraziamo la Divina provvidenza per questo Motu Proprio che era più che necessario in un’epoca in cui nell’ambiente ecclesiastico, sperimentando il pluralismo e il dialogo, dovevamo porre fine ad una stupida guerra liturgica, in un periodo in cui la maggioranza della gente non va più in chiesa. Ci sono sempre stati diversi riti nella Chiesa. E questa è una ricchezza. Chi parla di divisione non ricorda più le parole del Cardinal Suenens durante il Concilio: “Unità non significa uniformità”. Il nostro Istituto, fiorito in vari continenti, è lieto di offrire, senza polemiche o divisioni, la bellezza della liturgia Romana ad un numero sempre crescente di fedeli, e soprattutto di giovani. Il pontificato di Papa Benedetto XVI sarà ricordato nella storia della Chiesa per aver restituito la sacra liturgia alla Chiesa e la Chiesa alla sacra liturgia.
     
    Nelle missioni sparse nel mondo, come in Gabon, i fedeli non gradirebbero una liturgia più vicina alla loro specifica dimensione antropologico-culturale?
    Ho avuto il dono prezioso di svolgere il ministero e l’ufficio di Vicario Generale in una Diocesi africana ormai qualche decennio fa; per cui mi sento di poter notare che la sua richiesta è tipica della nostra povera società europea, prematuramente invecchiata, che non sa più cosa sia realmente l’Africa e conosce l’Africa solo attraverso gli slogan di potenti correnti ideologiche che non fanno bene alla cara Africa, né alla sua immagine. Noi vi siamo presenti da ormai trent’anni ed ammiro sempre il loro senso del sacro, l’amore del bello e come cantano bene sia il gregoriano che la polifonia. Basteranno due aneddoti per illustrare quel che dico. Il primo: la vigilia dell’inaugurazione della nostra bella chiesa che abbiamo edificato a Libreville, c’erano tanti bambini davanti alla facciata e le mamme avevano difficoltà a riportarli a casa, perché esclamavano continuamente “Che bello! Rimaniamo qui! Quant’è bello!”. Il secondo: un mio caro amico africano stava assistendo con tristezza alla demolizione d’un bell’altare antico ad opera di un missionario europeo. Questo sacerdote voleva innalzare al suo posto delle pietre grezze ed un strano pezzo di legno. L’africano chiese perché; “Per l’inculturazione”, rispose il missionario. “Ma -disse l’Africano- allora, perché voi non fate i vostri altari con le lattine di Coca-Cola?” Gli africani hanno così tanto da insegnarci: sulla liturgia e anche sulla morale. Alcune delle nostre nuove leggi civili, come per esempio sulla famiglia, sono per loro, e giustamente, prive di ragione e di buon senso. Ho notato che spesso le cosiddette teologie africane sono composte da “vecchi intellettuali” europei. Che gioia vedere in questa bella Africa la freschezza e la bellezza della liturgia romana, celebrata con tanto entusiasmo da tanti giovani! Sono veramente attratti dalla liturgia romana e questo prova che è una liturgia divina per tutti i secoli e per il mondo intero.
     
    I canonici dell'ICRSS
    Lei e l’abbè Philippe Mora entrarono nel seminario di Genova, nell’epoca del Cardinale Giuseppe Siri. Qual è l’eredità teologica e liturgica di questo Porporato e quale il Suo ricordo personale? Questa eredità è ancora vitale per la Chiesa?
    Lei mi chiede di parlare di uno dei più grandi cardinali del XX secolo. È stato nominato Vescovo giovanissimo (38 anni) e Cardinale nel 1953 (aveva 47 anni) dal Venerabile Papa Pacelli. Sarebbe molto utile rileggere i suoi insegnamenti; sono di una profondissima e giustissima qualità; per la teologia, è bene rileggere il suo famoso libro Getsemani e anche le sue lettere pastorali sulla liturgia. Tutto era profetico; aveva ragione in tutto. Egli diceva che le conseguenze dell’era postconciliare erano incalcolabili e che il disastro era universale. Il Cardinal Siri ha certamente sofferto molto nel vedere distruzioni, tradimenti e rovine, nella Chiesa degli anni sessanta, settanta e dopo. Ma l’insegnamento che abbiamo imparato da quei tempi difficili è la memoria del suo grande amore per la Chiesa. La sua immancabile lealtà rivela una visone soprannaturale e veramente santa della Chiesa. La Chiesa, infatti, non è degli uomini ma di Dio. Nell’ultima udienza che ho avuto con lui prima che morisse, l’ho ringraziato perché ci aveva comunicato l’amore del servizio alla Chiesa, ricordandoci che siamo poveri, miserabili, ma che, nonostante la nostra debolezza, l’ufficio rimane grande e divino; noi non salveremo la Chiesa, ma la Chiesa ci salverà. Pur proclamando le verità della fede davanti ai peggiori eretici, Sant’Agostino amava dire: “La verità è come un leone. Non avrai bisogno di difenderla. Lasciala libera. Si difenderà da sola”. In questi tempi, di fronte ai grandi scandali che stanno sconvolgendo i ministri della Chiesa, ringrazio Dio di aver conosciuto questo grande Cardinale; questo ci aiuta ad essere fedeli nelle tribolazioni, mantenendo la nostra anima nella pace e il nostro cuore nella gioia di servire un Dio così buono ed una Chiesa così madre.
     
    SER Card Zuppi in visita a Gricigliano.
    Una critica che Le viene mossa da alcuni ambienti tradizionalisti riguarda le Sue relazioni con alti ecclesiastici di fama “progressista”. Alludo anche alla recente visita al Seminario del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, nello scorso agosto. Qual è il motivo che La porta ad intrattenere relazioni anche con esponenti della Gerarchia lontani la cui visione teologica o liturgica appare lontana dalla sensibilità tradizionale?
    Un’altra eredità del Cardinal Siri è che noi non siamo rivoluzionari. Ci rifiutiamo di accettare una visione eccessivamente politica e, per così dire, manichea della Santa Chiesa. Replicare il triste spettacolo di vedere rivoluzionari di destra opposti a rivoluzionari di sinistra nella Chiesa, non ci passa nemmeno per la testa. Sarebbe una visione troppo mondana. Noi non siamo rivoluzionari; tutt’altro, siamo controrivoluzionari e siamo servi inutili, essendo seri senza prenderci sul serio. A Gricigliano, da quando ci siamo, abbiamo ricevuto più di venti Cardinali. Sono successori degli Apostoli e membri del Sacro Collegio. È importante che i nostri giovani vedano come lavoriamo e come loro dovranno lavorare domani con la nostra Gerarchia cattolica. La Chiesa è una cosa seria, non un partito politico, no! Non abbassiamola al livello di cose meramente umane. I giovani seminaristi devono vederla come la Sposa di Cristo, “sine macula, sine ruga”. Visione soprannaturale non sociologica. Intendiamoci: non vuole dire a occhi chiusi. Vedere, sì, la triste situazione di oggi, ma al nostro posto. Sono seminaristi, non Vescovi! Sono in seminario per imparare, non per insegnare. Con la scusa della crisi, diventano magisteri ambulanti che devono avere una posizione su tutto e tutti. Questo non è la Chiesa ma è l’anarchia. Dirò di più, sono rari quelli che hanno la vocazione grande e bella di santa Caterina da Siena di chiamare gli alti prelati secondo giustizia e verità col nome di “demoni incarnati”. Da noi, nessuno ha questa vocazione, io per primo non ce l’ho. Fare bene il nostro dovere e già tanto. Domani sarà domani, oggi facciamo la volontà di Dio. Le idee devono essere chiare, certo, ma stando al nostro posto! Qui, a Gricigliano, siamo ad un piccolo posto di servizio alla Chiesa. Per carità, non chiudiamo le menti dei seminaristi solo con i fastidiosi problemi di oggi. Potranno affrontarli domani se avranno ricevuto i migliori e più solidi insegnamenti sulla teologia, sulla morale, sulla liturgia, sulla storia della Chiesa, sul diritto canonico, nella tranquillità e non nell’agitazione delle dispute che portano spesso all’orgoglio! Facciamo loro amare la Chiesa, per meglio combattere il male che può esservi anche dentro. A Gricigliano, vogliamo insegnare come amare, servire e soffrire per la Chiesa e forse anche dalla Chiesa come diceva il padre Clérissac (O.P.). Il Cardinal Arcivescovo di Bologna, che ci ha fatto l’onore della sua visita, noi lo conosciamo da anni e in occasione della sua visita a Gricigliano, ci ha indirizzato un bellissimo discorso sulla Madre Chiesa e i suoi diversi figli. È stato un bell’insegnamento per noi. Allo stesso modo, il giorno dopo abbiamo ricevuto il Cardinal Betori, il nostro Arcivescovo di Firenze, proprio come negli anni passati avevamo ricevuto i suoi predecessori, il Cardinal Piovanelli ed il Cardinal Antonelli. Ai nostri giovani, avendo idee ortodosse e ben chiare su ogni punto di vista dottrinale, dobbiamo anche trasmettere un grande senso di rispetto, di correttezza cristiana, di disciplina, che tanti ambienti tradizionalisti o progressisti, per dire come Lei, non hanno più, forse perché questi ambienti sono moderni, noi grazie al Cielo, no!
     
  13. Claudio C.
    di Manuela Antonacci su Europa Cristiana.
    L’arte, pur non appartenendo alle scienze esatte, può avere valore assoluto? Ci sono opere che costituiscono la risposta a questa domanda: l’arte che pone al centro Dio pone le sue fondamenta nell’Assoluto per eccellenza e diventa intuizione pura e immediata di quel «motore immobile», per dirla con Aristotele, quel polo di attrazione dell’universo, oggetto d’amore, principio e fine di ogni cosa, diventando così una porta verso l’Infinito, secondo la  concezione di Bellezza, incarnata anche in questo splendido filmato sulla Messa in rito romano antico, ritratta in tutta la sua solennità e in tutto il suo splendore. Stiamo parlando dell’ultimo video di Roberto Bonaventura – maestro d’arte, compositore di Luciano Pavarotti, scrittore, editore musicale e interprete – Deus Caritas Est. La S. Messa: il Miracolo dei miracoli, la cui sinfonia venne composta oltre 10 anni fa per un progetto musicale  inciso in uno degli studi di registrazione più famosi del mondo, l’Air Studios di Londra con una delle orchestre più importanti a livello internazionale e ora facilmente reperibile in rete:
     
    Girato a Ferrara, a Santa Maria in Vado, santuario eucaristico e mariano con la partecipazione e l’aiuto della fraternità Familia Christi  – il sacerdote che, nel video, celebra insieme ai ministranti e agli altri sacerdoti sono stati commissariati di recente – il bel lavoro del maestro, intende rappresentare l’effetto, il valore salvifico e il Miracolo che avviene nella Santa Messa, con particolare riferimento a quella in rito romano antico che, come sottolinea Bonaventura,  rappresenta il sublime incontro della indefettibile Teologia e della Bellezza. Ma il lavoro del maestro intende evidenziare anche la grandezza e la maestosità del sacerdozio che, nella liturgia vetus ordo, sottolinea; si può riscoprire veramente nel suo agire in persona Christi e che nel video viene eloquentemente rappresentato attraverso le piaghe con il segno dei chiodi che improvvisamente si aprono sulle mani del celebrante, al momento della consacrazione, scena che osserva attonito uno dei fedeli che assiste anche alla trasfigurazione del volto del sacerdote in quello di Cristo coronato di spine. Ed è proprio contemplando Gesù Cristo nella persona del celebrante, attraverso cui vede rinnovarsi, sotto i suoi occhi, il sacrificio compiuto sul Calvario, che avviene in lui una profonda trasformazione interiore, fino al punto da spingerlo ad abbracciare la vocazione sacerdotale, a sua volta.
    Il senso di questo filmato è quello di  rappresentare un contesto “mediatico” particolare nel quale  far emergere ancora una volta che, per dirla con Corrado Gnerre, la Messa tridentina non è vera perché è bella, ma è bella perché è vera e indubbiamente dall’esprimere la verità di Dio deriva tutto il suo splendore e che essa è il rito per eccellenza in quanto poggia l’armonia e l’unità di tutti i suoi elementi sulla realtà del Sacrificio della Croce, verso cui essi tendono in modo visibile e “sensibile” (gesti, parole, silenzio…).
    Insomma, sulla base di queste considerazioni, possiamo veramente dire che il lavoro di Roberto Bonaventura è un esempio di come l’arte, se messa al servizio di Dio, non può che risultare innervata di questo suo slancio trascendente, conservando ed esprimendo la sua naturale tensione razionale verso un Tu capace di plasmarla e darle significato. Un’impresa audace, oggigiorno, che merita di essere diffusa e conosciuta.
  14. Claudio C.
    A settembre del 2018 papa Francesco convocò in Vaticano i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo per un Summit dedicato agli abusi sessuali operati all’interno della Chiesa. L’incontro si svolse a febbraio del 2019. Nell’aprile di quell’anno il papa emerito Benedetto XVI decise di contribuire al dibattito pubblicando sul giornale tedesco Klerusblatt un testo destinato a far più rumore degli stessi interventi del vertice vaticano. I cosiddetti “Appunti” del papa Emerito furono accolti con stupore e con sorpresa ma generarono le reazioni scomposte di chi ha considerato l’intervento di Benedetto un affronto al Pontefice regnante e una intromissione nella Sua gestione (ed interpretazione) della crisi degli abusi sessuali. Reazioni stizzite e rabbiose quelle di coloro che avrebbero preferito un Emerito in religioso silenzio per il resto dei suoi anni. Eppure non sarebbe l’ultima volta che papa Benedetto avrebbe deciso di intervenire pubblicamente su un tema di fondamentale importanza contribuendo con le sue riflessioni al dibattito intra-ecclesiale: nel gennaio 2020 il suo testo sul celibato, pubblicato assieme al card. R. Sarah fu
    considerato da molti suoi nemici un “attentato” teologico al dibattito in corso durante il Sinodo dell’Amazzonia (conclusosi, da quel punto di vista, con un nulla di fatto).

    La sterile polemica sugli Appunti contribuì a derubricare i fatti come semplici bagarre clericali e ad far passare quasi inosservato un testo che merita ben altra considerazione. Il testo di Benedetto XVI resta un’acuta e profonda analisi dei motivi che stanno alla radice di quello che l’Autore definisce il progressivo “collasso morale” che ha coinvolto la società e la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Il nucleo degli Appunti è racchiuso nell’appello pressante per un ritorno a Dio, ad “anteporlo e non presupporlo”, perché Dio rischia ormai di scomparire dalla nostra società ma anche dalla teologia e dalla vita dei sacerdoti. Ritrovare col primato di Dio per rispondere alle sfide del permissivismo o della logica funzionalistica, che dopo la rivoluzione sessuale del 1968 ha investito l’Occidente. Un testo acuto e documentato, un appello impellente, frutto della riflessione di uno dei teologi più rappresentativi degli ultimi decenni, un sincero contributo di colui che per otto anni ricoprì il soglio di Pietro… eppure un testo che fino ad oggi non sembra aver meritato l’attenzione dei teologi né degli esperti di categoria.

    Ecco dunque la meritevole iniziativa dell’editore Cantagalli di offrirci un commento a più voci del testo del papa Emerito. Nel volume “Chiesa sotto accusa”, curato da Livio Melina e Tracey Rowland, sono raccolti (oltre al testo integrale degli Appunti) diversi saggi scritti da esperti di grande spessore teologico e culturale come il card. Ruini e i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma: Granados, Noriega, Pérez-Soba e Kampowski. Non poteva mancare il prezioso contributo di don Fortunato di Noto che da anni combatte sul campo la piaga della pedo pornografia. Mentre la professoressa Gabrielle Kuby, sociologa tedesca autrice dell’imperdibile “Rivoluzione Sessuale”, offre un’ulteriore analisi delle disastrose conseguenze del sessantotto anche all’interno della Chiesa Cattolica. Contribuiscono ad impreziosire l’opera i testi dei vescovi G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, R. Voderholzer, di H.-B. Gerl-Falkovitz, A. Diriart, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev e N. Bux*.

    Prefazione di Georg Gänswein. 
    Saggi di: Card. C. Ruini, R. Voderholzer, G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, H.-B. Gerl-Falkovitz, J. Granados, J. Noriega, J.J. Pérez-Soba, A. Diriart, S. Kampowski, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev, N. Bux*, G. Kuby, F. Di Noto.
    *"Il dissenso sulla natura della liturgia"
  15. Claudio C.
    Domenica 31 maggio 2020, la Congregazione delle Piccole Sorelle degli Anziani abbandonati ha celebrato i voti perpetui presi da 13 giovani religiose. Questa cerimonia si è svolta durante la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo ausiliare di Valencia, in Spagna, SER Mons. Arturo Ros.
    Le giovani religiose si sono impegnate solennemente a "servire Gesù Cristo, Sposo delle vergini e, per il suo amore, gli anziani indifesi". La Congregazione serve oltre 20.000 senzatetto in 204 case di cura e residenze in tutto il mondo.
    Nell'Eucaristia, dopo l'omelia del vescovo ausiliare, alle suore è stato chiesta conferma alla consacrazione e, subito dopo, sono state recitate le litanie dei santi . Ognuna delle professe si è poi avvicinata alla Madre Superiora e subito dopo ha recitato  la formula della professione, scritta a mano e poi firmata sull'altare. Le consacrate sono poi state benedette dal Vescovo e incoronate con una coroncina di fiori.
    La corona è "simbolo di unione con Gesù Cristo in amore e sacrificio". I nuovi membri della Congregazione hanno così preso i voti perpetui a Valencia dove hanno ricevuto la loro ultima fase di formazione. Sette delle novelle suore vengono dal Perù, due dal Messico, due dalla Colombia, una dalla Bolivia e una dal Brasile.
    Libera traduzione da Gaudium Press
  16. Claudio C.
    Libera traduzione da Catholic News Agency del 5 Maggio 2020. (Claudio)
    Una parrocchia nel West End di Londra offre l'Adorazione ai senzatetto, l'accesso ai Sacramenti e [la recita del] Santo Rosario, insieme al cibo fornito da un ristorante a cinque stelle.
    La Chiesa di San Patrizio a Soho, una zona nota per la sua vita notturna e il quartiere a luci rosse, offre un Ministero di riguardo ai senzatetto, mentre la capitale lotta per far fronte alla pandemia di coronavirus. P. Alexander Sherbrooke ha affermato di avere "una forte percezione del fatto che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade" in risposta alla crisi.

    Quando la città ha iniziato a chiudere tutte le proprie attività a metà marzo, il Consiglio comunale di Westminster si è rivolto a P. Sherbrooke, che coordina il servizio quotidiano di servizio ai senzatetto sin da quando giunse in parrocchia nel 2001, e gli ha chiesto, come responsabile della parrocchia di St. Patrick, di aumentare significativamente la fornitura di cibo per i senzatetto, cercando anche di ospitare coloro che vivevano per le strade.
    La parrocchia, fondata nel 1792, aveva già in precedenza sfamato i senzatetto nel suo centro parrocchiale. Ma dopo che alle chiese cattoliche di tutto il paese è stato ordinato di chiudere a causa del virus, la stessa parrocchia di St. Patrick è stata costretta ad improvvisare. Inizialmente ha cominciato a servire il cibo per senzatetto due volte al giorno, dal lunedì alla domenica. "Nella maggior parte dei giorni forniamo fino a 320 pasti", ha spiegato P. Sherbrooke. "In media, probabilmente vediamo 220 persone al giorno, alcune delle quali vengono sia a pranzo che a cena.". Il cibo caldo viene fornito dal Connaught Hotel, un ristorante a cinque stelle nel ricco quartiere di Mayfair a Londra, nonché dal ristorante Wiltons in Jermyn Street. La catena Pret a Manger fornisce sandwich.
    "È un'operazione molto complessa e ci impegniamo ad essere molto diligenti nel preservare le distanze sociali, l'igiene personale, l'igiene alimentare, ecc.", ha detto il sacerdote. “Abbiamo un buon numero di volontari. Continuiamo anche a fornire una doccia e servizi igienici".
    P. Sherbrooke ha anche spiegato che i senzatetto nel West End vivono di carità, nei pressi dei flussi di persone generati da aziende, ristoranti e teatri locali. "Non c'è nulla di tutto ciò adesso", ha detto. "È incredibilmente vuoto e può essere abbastanza pericoloso, soprattutto di notte.". "Il West End ha molte persone dipendenti dall'alcool e dalle droghe e senza la loro normale fonte di reddito, questo può creare una situazione instabile. La polizia è molto presente, ma il West End è molto inospitale, a volte minaccioso e non molto piacevole. ". "Sono stato in parrocchia per circa 17 anni, durante i quali gran parte del mio tempo è stato dedicato alla pastorale per i bisognosi. Ma nulla mi ha davvero preparato ad affrontare quello che viviamo in questo momento. "
    I volontari di San Patrizio sono determinati ad alleviare la privazione sia spirituale che fisica. Man mano che il cibo viene distribuito, pregano davanti al Santissimo Sacramento in una vicina tenda per l'Adorazione, osservando le distanze di sicurezza. P. Sherbrooke è sempre disponibile per i visitatori che cercano un incontro sacramentale, seduti a distanza di sicurezza e dietro un lenzuolo bianco. C'è anche una tenda in cui viene offerta la lectio divina.
    "Questa organizzazione è arrivata in gran parte come risposta alla richiesta delle autorità locali", ha detto P. Sherbrooke. “Abbiamo una lunga tradizione di carità e sostegno alimentare alle persone. Ma, in una maniera molto strana, la Chiesa, dall'essere una realtà fisica dietro quattro mura, è ora diventata una realtà per strada. ”
    P. Sherbrooke, che cita come fonte di ispirazione San Damiano di Molokai e Madre Teresa, ed ha continuato: "Stiamo contribuendo a dare una cura spirituale e pastorale, ed ho la netta sensazione che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade. C'è la lectio divina. C'è Adorazione, Confessione, Santo Rosario, ecc. Andiamo dalle persone, parliamo con loro, distribuendo Coroncine del Rosario e condividendo il Vangelo. Quindi c'è una vera opera di evangelizzazione in corso ”.
    I volontari distribuiscono anche un foglio ogni settimana con riflessioni, letture delle Scritture e consigli su come pregare. "Quindi stiamo mettendo in atto una vera e propria catechesi dei poveri", ha detto P. Sherbrooke.  “È proprio vero che in questa terribile situazione emergenziale di contagio, Dio sta permettendo di vivere la Chiesa in maniera evangelica e semplice. Tutto ciò non è avvenuto attraverso pianificazione, ma attraverso la Provvidenza di Dio ”. Ha osservato anche che, nonostante gli attuali pericoli, i volontari hanno provato un forte senso di protezione soprannaturale. "Personalmente, direi che anche il non aver contratto [il virus] - data la realtà della situazione qui nel quartiere - è che ogni giorno prego che il Preziosissimo Sangue di Gesù venga nel mio cuore, nelle mie vene , nei miei polmoni e proteggimi dal virus in modo che io possa fare questo lavoro ", ha aggiunto P. Sherbrooke.
    Nel 2011, San Patrizio ha riaperto dopo un progetto di restauro da 4 milioni di sterline, che includeva lo scavo del seminterrato e la creazione del centro parrocchiale, situato sotto la chiesa. Il cibo per i senzatetto viene ora preparato lì ogni giorno. "È quasi come se Dio avesse creato questa parrocchia per quest'opera in questo momento", ha detto Sherbrooke.
  17. Claudio C.
    Video integrale in calce della Catechesi: Adora il Signore Dio tuo, non la "madre terra", solo Lui è padre di SER Card. Raymond Burke e  Mons. Nicola Bux del 25.03.2020 (diretta dal Canale Facebook https://www.facebook.com/ilpensierocattolico/ )
    La chiave di volta del discorso sull'uomo è il confine della sua libertà, da cercare non solo nell'ambito della fede - non avrai altro Dio fuori di me - ma nel cuore e nelle leggi immutabili del diritto naturale.
     
    Il Cardinale Raymond Burke e Monsignor Nicola Bux si confrontano su questi tempi di pandemia e altre afflizioni e su cosa Dio ci voglia comunicare permettendo questa sofferenza e li individuano nei peccati contro l'umanità come l'eutanasia, o contro l'Ordine di Dio, come la "teoria del gender", che porta tante anime a definirsi diversamente da quanto Dio ha dato per natura, ma anche i grandi mali della chiesa, come l'idolo demoniaco entrato nella Chiesa, Pachamama, adorato sacrilegamente da alti prelati in Vaticano. Umanamente infatti, abbiamo perso la prospettiva essenziale della Vita Eterna che ordina la Creazione e la vita umana; San Paolo infatti diceva che il Signore ha scritto il buon ordine e la legge nei nostri cuori.
    Il messaggio ultimo che Nostro Signore ci invia è un profondo richiamo alla Conversione a Lui. Il Signore è Re della natura e della terra ed il primo strumento di battaglia contro questo contagio è tornare a Dio.Il Signore non imprime direttamente queste sofferenze, però Lui utilizza questa sofferenza per ispirarci a tornare a Lui e trovare la direzione per le nostre vite.
    Talvolta in queste tragedie l’uomo si chiede "dove è Dio?". Non dobbiamo chiederci tanto dove è Dio ma dove siamo noi? Talvolta noi ci avviciniamo a Lui solo in momenti di tragedia e grande crisi, dimenticandoci di Lui. Torniamo a Lui, di fronte al Tabernacolo, all’Ostia Sacra, sapremo che Dio è tra di noi, anche in questa situazione. Il Signore è sempre presente, ce lo ha promesso, "sarò con voi fino alla fine", ma a volte il Signore distoglie lo sguardo dalle nostre malvagità, attratti dal peccato e lascia agire Satana, come scritto nel libro di Giobbe. Ma, se il Signore ci mostrerà il Suo volto saremo salvi.
    Tante persone sono ricche di beni, ma sono infelici, vivono nelle cose mondane abusandone e non trovano soddisfazione. E' naturale; come disse Sant’Agostino, siamo fatti per Dio e solo in Lui troviamo pace.
    Dobbiamo essere certi che il Signore, che ha stretto l’Alleanza con l’umanità,  la rispetterà. Siamo noi a doverci chiedere se noi guardiamo a Dio rispettandone i Comandamenti, avendone paura ma bensì Timore di Dio. Quando non abbiamo più timore di Dio cediamo alla tentazione come accadde per Adamo ed Eva e da allora il caos ed il peccato regnano nella nostra vita.
    Inoltre, se Cristo ha espiato, è importante che espiamo anche noi la nostra Passione. Noi viviamo in Cristo, siamo tutti chiamati, come afferma San Paolo, ad essere gioiosi di soffrire con il nostro corpo nelle Sofferenze di Cristo per condividere con Lui la Vita Eterna. Qualcuno pensa che la vita in Cristo significhi non avere più problemi, ma sbagliano. La Grazia non è a buon mercato.
    Infine, ci si è chiesti come vivere in questo tempo in cui è difficile accedere ai Sacramenti ed in cui molti giustamente si angosciano ed hanno timore che la nostra vita non sia salva. Quando non è colpa nostra non poterci recare in Chiesa ed accedere ai Sacramenti, preghiamo la Madonna chiedendo di portarci al Signore, con il Santo Rosario e l'Angelus, perché la Madonna è Madre di ogni Grazia, consacrando a Cristo tramite il Cuore Immacolato di Maria noi stessi e le nostre famiglie nelle nostre case. Poi possiamo, se in stato di Grazia, ricevere la Comunione Spirituale.
    Altrimenti, se non si è nello Stato di Grazia, dobbiamo pentirci per i peccati mortali che abbiamo commesso, perché ha offeso Dio, con la Contrizione Perfetta, non solo per paura dell'Inferno, ma anche perché abbiamo mancato l'Amore di Dio.
    Al termine, ci sono state diverse domande dei video-ascoltatori dalla Consacrazione dell'Italia al Cuore Immacolato di Maria, al sacrilegio della adorazione dell'idolo pachamama, all'Apocalisse ed a come vivere in questi tempi. Da ascoltare.
    Ecco il video.
     
  18. Claudio C.
    Di Filip Mazurczak. Traduzione a cura di Claudio Caforio, Redazione IPC da NC Register qui il link.
    Ispirati dagli insegnamenti dei SS. Giovanni Paolo II e Massimiliano Kolbe, due cattolici polacchi, hanno lanciato una nuova iniziativa su tutti i continenti, ovvero quella di portare l'adorazione eucaristica perpetua del Santissimo Sacramento avendo come intenzione quella di chiedere la Grazia della pace in tutto il mondo.
    L'iniziativa "Stelle nella corona di Maria, Regina della Pace" nasce dall'idea dello scultore Mariusz Drapikowski e Piotr Ciołkiewicz, presidente della Comunità Regina della Pace, un apostolato internazionale istituito nel 2008 per incoraggiare l'adorazione del Eucaristia per la pace mondiale e la riconciliazione tra i popoli.
    Poco dopo l’avvio dell'apostolato, i suoi ideatori hanno avuto udienza presso Sua Santità Papa Benedetto XVI, che ha dato la sua benedizione all'iniziativa. Le 12 stelle nel simbolo si riferiscono alla "corona di 12 stelle" sulla testa di Maria menzionata nel Libro dell'Apocalisse. L'ostensorio in ciascuno degli otto centri esistenti per l'adorazione perpetua si riferisce a questa immagine di Maria; Drapikowski Studio, un laboratorio gestito dal padre e dal figlio di Mariusz e Kamil Drapikowski, ha progettato tutti gli ostensori. "La nostra ispirazione per la progettazione di questi ostensori deriva dalla lettura della Sacra Scrittura e dall'esegesi di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI", ha detto Mariusz Drapikowski al NC Register, aggiungendo che quando Drapikowski Studio stava progettando tali ostensori, contemporaneamente ben 2000 messe in tutto il mondo venivano celebrate con questa intenzione.
    "Colui che porta la pace è Cristo", ha aggiunto Drapikowski. "La pace deve iniziare al livello della relazione tra l'uomo e Cristo, che incontriamo durante l'adorazione".
    Le otto "stelle" esistenti nella Corona di Maria, Regina della Pace, si trovano in aree che sono state devastate dal conflitto, portando l'adorazione a coloro che ne hanno particolarmente bisogno.
    Il primo centro fu aperto a Gerusalemme, ma da allora è stato spostato nella cappella della grotta del latte a Betlemme. Il secondo centro di adorazione perpetua per la pace fu aperto nel Santuario di Nostra Signora, Regina della Pace a Ozernoye, Kazakistan, vicino al centro geografico della massa continentale eurasiatica e al luogo delle sofferenze di molti popoli sotto Josef Stalin. Il terzo centro dell'Asia è in costruzione a Dagupan, nelle Filippine, un paese attualmente devastato dagli attacchi terroristici sponsorizzati dallo Stato islamico.
    L'anno scorso è stato aperto un centro di adorazione a Namyang, in Corea del Sud. Il Centro di Preghiera per la Pace di Namyang è stato aperto dopo che Drapikowski e Ciołkiewicz hanno incontrato dei pellegrini coreani a Medjugorje che facevano penitenza con l’intenzione di chiedere la riconciliazione della loro nazione. Il centro coreano ha assunto una forma più concreta dopo, quando Michał Rzepka, un polacco che vive in Corea del Sud, e la sua moglie coreana, Agnes, hanno sostenuto questa iniziativa. Diversi mesi dopo, il mondo intero fu sorpreso quando i leader della Corea del Nord iniziarono i colloqui con i loro pari grado in Corea del Sud e negli Stati Uniti. Secondo Drapikowski, padre Francis Xavier Lee Sang Gak, il custode del centro di preghiera Namyang, è convinto che la lenta apertura del Nord al mondo sia legata all'adorazione perpetua messa in moto nel 2017.
     
    Come la penisola coreana, anche l'Africa continua ad essere una terra segnata dal conflitto, e per questo i Centri africani di preghiera per la pace sono stati stabiliti in luoghi di grande sofferenza umana. Il primo è a Kibeho, in Ruanda, il sito delle apparizioni mariane negli anni '80 e il luogo in cui si sono verificati gli orrori del genocidio in Ruanda del 1994.
    L'altra "stella" africana si trova nella Basilica di Nostra Signora della Pace a Yamoussoukro, in Costa d'Avorio; la basilica è il più grande luogo di culto cristiano del mondo. La Costa d'Avorio era il luogo della guerra civile tra il nord, controllato dai ribelli musulmani, e il governo cristiano che ha governato il sud dal 2002 al 2007 e dal 2010 al 2011. Nel frattempo, il primo centro di preghiera europeo fu costituito nella chiesa di San Giacomo a Medjugorje, La Bosnia ed Erzegovina, che negli anni '90 era al centro della pulizia etnica fratricida che ha segnato il crollo dello stato jugoslavo.
    Il secondo centro europeo è stato costituito nella basilica di Niepokalanów il 1 settembre di quest'anno, in concomitanza con il 79 ° anniversario dell'invasione della Polonia da parte della Germania nazista, che portò allo scoppio della seconda guerra mondiale.
    Niepokalanów è appena fuori Varsavia, ed ha sofferto più di ogni altra città durante la seconda guerra mondiale, con l'85% dei suoi edifici distrutti e la maggior parte dei suoi abitanti uccisi o sfollati.
    Un evento che può essere descritto come un possibile miracolo è avvenuto in coincidenza con la costruzione della cappella dell'adorazione perpetua per la pace mondiale a Niepokalanów. Infatti, mentre la cappella veniva costruita, i frati chiesero all'archivista di Niepokalanów, suor Annamaria Mix, di dissotterrare i materiali d'archivio relativi all'edificio della basilica. Trovò una lettera di san Massimiliano Kolbe scritta a Nagasaki, in Giappone, nel 1934. In essa, il futuro martire scrisse: "Immagino una bella figura dell'Immacolata tra un grande altare. Dietro le sue braccia distese sullo sfondo c'è un ostensorio, in cui il Santissimo Sacramento viene costantemente mostrato. I frati lo adoreranno tutto il tempo. Coloro che guarderanno all'interno della chiesa, all'interno della "basilica", cadranno in ginocchio, adoreranno l'Eucaristia e guarderanno il volto dell'Immacolata, che insieme a Gesù lavorerà per adempiere a ciò che hanno chiesto ". Ignari della lettera di San Massimiliano, Drapikowski Studio progettò una cappella molto simile a quella che aveva immaginato quest'ultimo: Sull'altare della cappella c'è una figura di Maria con le mani tese, e sotto il suo cuore, l'Eucaristia è esposta perpetuamente per l'adorazione.
    Nella cappella dei Drapikowski, l'altare di Niepokalanów è fatto di oro, argento e cristallo. Una figura d'argento di Maria stessa funge da ostensorio per un Ospite luminoso. La figura sarà circondata da una corona di gigli d'argento che, insieme al sole, creerà una luce dorata. Drapikowski aggiunse che chiamare il santuario di Niepokalanów una "basilica" era una profezia di San Massimiliano, perché San Giovanni Paolo II lo elevò allo stato di una basilica decenni più tardi.
    "Nessuna fotografia può riprodurre la bellezza di questo luogo e la presenza di Dio, che si può sperimentare lì", ha detto al NC Register il padre francescano Andrzej Sasiak, della parrocchia di Niepokalanów. "Quando vado nella cappella, è come se Dio mi stesse toccando".
    Drapikowski dice che ci sono piani per aprire due centri di preghiera perpetua per la pace nelle Americhe e due in Oceania (in Australia e Papua Nuova Guinea). "Abbiamo molte testimonianze simili da molti di questi luoghi", ha detto Drapikowski dei frutti tangibili di questa adorazione perpetua internazionale per la pace. "Oltre alla svolta della politica coreana, molte guarigioni miracolose si sono verificate dopo le preghiere in questi centri".
     
    "Per me, l'adorazione è un momento in cui posso approfondire la mia relazione personale con Dio. È al centro della mia vita ", ha detto Ciołkiewicz. "L'adorazione è un momento in cui mi impegno nel dialogo con Dio. Sento che ovunque sia presente Cristo nell'Eucaristia, anche Maria è presente. Lei è la mia guida. L'adorazione è la fonte della mia pace interiore, e quindi può anche portare pace tra le persone in conflitto tra loro. L'adorazione è come un faro che invia un segnale che ci invita ad un posto sicuro in un mondo burrascoso e ostile. "
    Per maggiori informazioni sui centri di adorazione eucaristica http://www.reginapacis.pl/en/main-page/

  19. Claudio C.
    di Courtney Mares
    Francis Malone sarà il futuro vescovo di Shreveport, in Louisiana. Malone, 69 anni, è il pastore di Christ the King a Little Rock, Arkansas, una parrocchia che ha prodotto 6 sacerdoti e 6 seminaristi dal 2006. Prima di diventare pastore nel 2001, la parrocchia non aveva vocazioni.
    “Mons. Francis Malone ... mi ha mostrato come la pura gioia possa essere contagiosa, e questo mi ha fatto desiderare di essere un prete sin dalla tenera età ”, ha scritto Daniel Wendel, un seminarista della parrocchia di Cristo Re, sul sito web della diocesi di Little Rock quest'anno . Altri seminaristi e parrocchiani hanno indicato l'esempio di Malone come uno dei motivi per cui la loro parrocchia ha chiamato molti uomini al sacerdozio. Lo stesso Malone ha accreditato l'adorazione eucaristica.
    "La nostra parrocchia non ha avuto seminaristi fino a quando non abbiamo inaugurato l'adorazione perpetua", così riferì Mons Malone all'Arkansas Catholic nel 2013. "Non può essere una coincidenza il fatto che dall'inizio della PEA [Adorazione Eucaristica Perpetua], ben 11 uomini hanno deciso di iniziare il processo di discernimento che conduce all'altare", ha detto.
    Come vescovo eletto della diocesi di Shreveport, Malone succederà al vescovo Michael Gerard Duca che guidò la diocesi per dieci anni fino a quando Papa Francesco lo nominò vescovo di Baton Rouge nel giugno 2018.
    Nato a Filadelfia il 1 ° settembre 1950, Malone fu ordinato sacerdote nella diocesi di Little Rock all'età di 26 anni. Prima di diventare parroco di Cristo Re, Malone fu pastore presso l'Immaculate Conception Church, St. Anne Church, St Michael Church, St. Mary of the Mount Church, e rettore nella Cattedrale di St. Andrew a Little Rock, tra gli altri incarichi. Malone è un avvocato di diritto canonico, che si è guadagnato il suo J.C.L. presso la Catholic University of America nel 1989. Ha inoltre conseguito diversi titoli presso l'Università di Dallas, dove ha studiato storia come studente universitario e ha conseguito la laurea. Dal 2008 è Cancelliere degli Affari ecclesiali della diocesi di Little Rock. In precedenza è stato vicario generale 2002-2006, direttore editoriale dell'Arkansas Catholic Journal e direttore delle comunicazioni nel 1995 e cappellano del Rogers Memorial Hospital nel 1983. È stato nominato Cavaliere del Santo Sepolcro nel 2002 e apostolico protonotario nel 2010.
    Malone sarà il terzo vescovo di Shreveport, una diocesi creata nel 1986. La diocesi di Shreveport ha una popolazione totale di 812.200 abitanti, di cui 41.335 cattolici.
    Traduzione da https://www.catholicnewsagency.com/news/pastor-of-vibrant-arkansas-parish-named-bishop-of-shreveport-64304 

  20. Claudio C.
    Cari amici,
    da un po’ di tempo a questa parte siamo in lotta contro la diffusione del coronavirus, Covid-19. Tutto quello che possiamo dire – e una delle difficoltà di questa lotta è che troppe cose di questa pestilenza sono ancora un mistero -, è che questa lotta andrà avanti ancora per un po’. Il virus in questione è particolarmente insidioso, in quanto ha un periodo di incubazione relativamente lungo – qualcuno dice 14 giorni, altri 20 – ed è altamente contagioso rispetto ad altri virus di cui abbiamo fatto esperienza.
    Tutta questa situazione certamente ci fa cadere in una profonda tristezza e anche paura. Nessuno vuole contrarre la malattia legata al virus o che ciò succeda a qualcun altro. In modo particolare non vogliamo che i nostri cari anziani o altri già in uno stato di salute precaria siano esposti al pericolo della morte mediante la diffusione di questo virus. Per combattere la paura del virus, siamo tutti in una specie di ritiro spirituale forzato, confinati nei nostri quartieri e incapaci dei soliti gesti di affetto verso famiglia e amici. Per chi è in quarantena, l’isolamento è ancora più duro, non potendo avere contatti con nessuno, nemmeno a distanza.
    E come se non bastassero le preoccupazioni legate alle malattie da coronavirus, non possiamo ignorare i danni economici causati dalla diffusione del virus, con gravi ripercussioni su individui e famiglie e su quanti ci servono attraverso i modi più disparati nella vita quotidiana. Certamente, i nostri pensieri non sono di grande aiuto, ma contemplano la possibilità di un’ancora più grande devastazione della popolazione nelle nostre terre natie e, quindi, nel mondo intero.
    Certamente, facciamo bene a imparare e mettere in pratica tutti i metodi più comuni per difenderci dal contagio. È un fondamentale atto di carità usare qualsiasi cautela per evitare il contagio o la diffusione del virus.
    Considerando quello che ci occorre per vivere, non dobbiamo dimenticare che il nostro primo bisogno è il rapporto con Dio. Per riprendere le parole di Nostro Signore nel Vangelo secondo Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di Lui” (14, 23). Cristo è il Signore della natura e della storia. Egli è vicino e disinteressato a noi e al mondo. Ce lo ha promesso: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Nel combattere il demone del coronavirus, la nostra arma più efficace è, quindi, il nostro rapporto con Cristo attraverso la preghiera e la penitenza, la devozione e il sacro culto. Ci rivolgiamo a Cristo per venire liberati dalla pestilenza e da ogni male, e Lui non manca mai di risponderci con amore puro e gratuito. Questo è il motivo per cui per noi è essenziale, in qualsiasi momento, specialmente in quelli di crisi, poter accedere alle nostre chiese e cappelle, ai Sacramenti, alle devozioni e alla preghiera.
    Allo stesso modo in cui possiamo comprare cibo e medicinali, con l’accortezza di non diffondere il coronavirus, così dobbiamo poter pregare nelle chiese e nelle cappelle, ricevere i Sacramenti e impegnarci in atti di pubblica preghiera e devozione, così da poter cogliere la vicinanza di Dio a noi e rimanerGli vicini, invocando in modo opportuno il Suo aiuto. Senza l’aiuto di Dio, siamo, quindi, persi. Storicamente, in epoche di pestilenza, i fedeli si radunavano in fervente preghiera e partecipavano alle processioni. Infatti, nel Messale Romano, promulgato da Papa San Giovanni XXIII nel 1962, ci sono dei testi appositi per la Santa Messa da offrire in tempo di pestilenza, la Messa Votiva per la Liberazione dalla Morte in Tempo di Pestilenza (Missae Votivae ad Diversa, n.23). Allo stesso modo, nella tradizionale Litania dei Santi, noi preghiamo così: “Liberaci, o Signore, dalla guerra, dalla carestia e dalla peste”.
    Spesso, quando ci troviamo in grande sofferenza, affrontando anche la morte, ci chiediamo: “Dov’è Dio?”. Ma la vera domanda è: “Dove siamo noi?”.  In altre parole, senza dubbio, Dio è con noi per aiutarci e salvarci, specialmente, nei momenti di dura prova o di morte, ma troppo spesso siamo noi lontani da Lui a causa della nostra incapacità a riconoscere la nostra totale dipendenza da Lui e, quindi, di pregarlo quotidianamente e di offirGli il nostro culto.
    In questi giorni, ho sentito tanti cristiani devoti profondamente rattristati e scoraggiati e incapace di pregare e rendere culto nelle loro chiese e cappelle. Essi comprendono il bisogno di rispettare la distanza sociale e di seguire le altre precauzioni, e seguono questi pratici accorgimenti, che possono facilmente mettere in pratica nei loro luoghi di culto. Tuttavia, abbastanza spesso, devono passare per la sofferenza profonda del vedere le loro chiese e cappelle chiuse e del non poter accedere alla Confessione e alla Santissima Eucaristia.
    Alla stessa stregua, un fedele non può considerare l’attuale calamità in cui ci troviamo, senza considerare anche quanto sia distante da Dio la nostra cultura di popolo. Non solo è indifferente alla Sua presenza in mezzo a noi, ma si ribella apertamente a Lui e al buon ordine con cui ci ha creati e ci sostiene nel nostro essere. Ci basti pensare soltanto ai comuni violenti attacchi alla vita umana, maschile e femminile, che Dio creò a Sua immagine e somiglianza (Gn 1, 27), agli attacchi ai bambini non nati, innocenti e indifesi e a chi è il primo responsabile della nostra cura, coloro che devono reggere il pesante fardello di gravi malattie, età avanzate, o bisogni specifici. Siamo quotidianamente testimoni della diffusione della violenza in una cultura incapace di rispettare la vita umana.
    Allo stesso modo, ci basti pensare anche solo agli attacchi pervasivi all’integrità della sessualità umana, alla nostra identità di uomini e donne, con la pretesa di autodefinirci, spesso con l’impiego di strumenti violenti, un’identità sessuale diversa da quella dataci da Dio. Siamo testimoni, con un coinvolgimento sempre maggiore, dei devastanti effetti, su individui e famiglie, della cosiddetta “teoria del gender”.
    Siamo altresì testimoni, anche all’interno della Chiesa, di un paganesimo che rende culto alla natura e alla terra. Ci sono quelli, all’interno della Chiesa, che si rivolgono alla terra chiamandola nostra madre, come se noi venissimo dalla terra ed essa fosse la nostra salvezza. Ma noi veniamo dalla mano di Dio, Creatore del Cielo e della Terra. In Dio soltanto è la nostra salvezza. Preghiamo con le parole, di ispirazione divina, del Salmista “Lui solo è mia roccia e mia salvezza, mia difesa: mai potrò vacillare” (Ps 62 [61], 6). Constatiamo come la vita della fede stessa sia diventata sempre più secolarizzata e come questo abbia compromesso la Signoria di Cristo, Dio il Figlio Incarnato, Re del Cielo e della Terra. Siamo testimoni di tanti altri mali derivanti dall’idolatria, dal culto di noi stessi e del nostro mondo, sostituitisi al culto di Dio, fonte del nostro essere. Vediamo tristemente dentro di noi la verità delle parole ispirate di San Paolo riguardanti “l’ateismo e la perfidia degli uomini che con questa perfidia uccidono la verità”: “hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli!” (Rom 1, 18. 25).
    Molti con cui sono in comunicazione, riflettendo sull’attuale crisi sanitaria mondiale con tutti i suoi relativi effetti, mi hanno espresso la speranza che essa ci porterà – come individui e famiglie e come società – a rivedere le nostre vite, a volgerci a Dio, che indubbiamente ci è vicino e che è incommensurabile e incessante nella sua misericordia e nel suo amore per noi. È fuori discussione che grandi mali quali la pestilenza siano effetto del peccato originale e dei nostri attuali peccati. Dio, nella Sua giustizia, deve riparare il caos introdotto dal peccato nelle nostre vite e nel nostro mondo. Lui, infatti, adempie alla domanda di giustizia attraverso la Sua sovrabbondante grazia.
    Dio non ci ha lasciato nel caos e nella morte, introdotti nel mondo dal peccato, ma ha mandato il Suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, affinché soffrisse, morisse, risorgesse da morte e ascendesse nella gloria della Sua destra, per rimanere con noi per sempre, purificandoci dal peccato e infiammandoci con il Suo amore. Nella Sua giustizia, Dio riconosce i nostri peccati e il bisogno della loro riparazione, mentre, nella Sua misericordia ci inonda della sua grazia, affinché ci pentiamo e ripariamo ai nostri peccati. Il profeta Geremia pregava così: “Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità, l’iniquità dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te”, ma poi prosegue dicendo “Ma per il tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono della tua gloria. Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi”. (Ger 14, 20-21).
    Dio non ci volta mai le spalle; non romperà mai il Suo patto di fedele e duraturo amore con noi, malgrado noi siamo così spesso indifferenti, freddi e infedeli. Dal momento che questa attuale sofferenza ci mette davanti agli occhi la nostra così frequente indifferenza, freddezza e infedeltà, siamo chiamati a volgerci a Dio, implorando la Sua grazia. Siamo fiduciosi che Lui ci ascolterà e ci benedirà con i Suoi doni di grazia, perdono e pace. Uniamo le nostre sofferenze alla Passione e Morte di Cristo e così, come dice San Paolo, “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). Vivendo in Cristo, scopriamo la verità della nostra preghiera Biblica: “La salvezza dei giusti viene dal Signore, nel tempo dell’angoscia, è loro difesa” (Sal 36 [37], 39). In Cristo, Dio ci ha pienamente rivelato la verità espressa nella preghiera del salmista: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal 84 [85], 11).
    Nella nostra cultura totalmente secolarizzata, c’è la tendenza a vedere la preghiera, la devozione e il culto come normali passatempi, come possono esserlo andare al cinema o a una partita di calcio, che non sono essenziali e perciò possono essere cancellati in ragione di tutte le precauzioni atte a scongiurare la diffusione di un contagio mortale. Ma preghiera, devozione e culto, e soprattutto Confessione e Santa Messa, sono vitali per farci rimanere spiritualmente forti e in salute e per cercare l’aiuto di Dio in un tempo di grande pericolo per tutti. Quindi, non possiamo semplicemente accettare decisioni di governi secolari che trattano il culto di Dio allo stregua di una sera al ristorante o di una gara sportiva. Altrimenti, la gente che già soffre le conseguenze della pestilenza sarà privata di quell’incontro oggettivo con Dio, che è in mezzo a noi per riportare la salute e la pace.
    Noi vescovi e sacerdoti abbiamo bisogno di spiegare pubblicamente la necessità per i cattolici di pregare e rendere culto nelle loro chiese e cappelle e di andare in processione per vie e strade, chiedendo la benedizione di Dio sopra il Suo popolo che soffre così intensamente. Dobbiamo insistere sul fatto che i decreti dello Stato, anche per il bene dello Stato, devono riconosce la singolare importanza dei luoghi di culto, specialmente in un’epoca di crisi nazionale e internazionale. In passato, infatti, i governi hanno compreso, soprattutto, l’importanza della fede, della preghiera e del culto, da parte del popolo, per sconfiggere le pestilenze.
    Allo stesso modo in cui abbiamo trovato un modo di procurarci cibo e medicinali e altre necessità della vita in periodo di contagio, senza rischiare irresponsabilmente la diffusione del contagio, così, in modo analogo, possiamo trovare il modo di provvedere alle necessità della nostra vita spirituale. Possiamo fornire maggiori opportunità per la Santa Messa e per i riti a cui possa partecipare un numero di fedeli senza andare contro le necessarie precauzioni atte a contrastare il contagio. Molte nostre chiese e cappelle sono molto grandi. Permettono il raduno di un gruppo di fedeli per la preghiera e il culto senza violare i requisiti della “distanza sociale”. I confessionali con la tradizionale grata divisoria, solitamente sono dotati, o possono diventarlo, con un sottile velo, lavabile con un disinfettante, in modo che diventi possibile accedere al Sacramento della Confessione senza grandi difficoltà e senza pericolo di trasmettere il virus. Se una chiesa o una cappella non dispongono di uno staff sufficientemente numeroso a disinfettare regolarmente le panche e le altre superfici, non ho dubbi che il fedele, come gratitudine per i doni della Santa Eucaristia, della Confessione, e della devozione pubblica, sarà felicemente assistito in questo.
    Anche se, per qualunque ragione, non siamo in grado di recarci nelle nostre chiese e cappelle, non dobbiamo dimenticare che le nostre case sono un prolungamento della nostra parrocchia, una piccola Chiesa in cui portiamo Cristo dopo il nostro incontro con Lui nella Chiesa più grande. Lasciamo che le nostre case, durante il periodo della crisi, riflettano le verità secondo cui Cristo è l’ospite di ogni casa cristiana. Lasciamoci volgere a Lui attraverso la preghiera, specialmente il Rosario, e altre forme di devozione. Se l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, insieme a quella del Cuore Immacolato di Maria, non è già esposta in casa nostra, quale momento migliore di questo per farlo. Il posto per l’immagine del Sacro Cuore di Gesù per noi è un altarino nella nostra casa, attorno a cui raccoglierci, consapevoli che Cristo dimora con noi attraverso l’effusione dello Spirito Santo nei nostri cuori, e mettere i nostri cuori, assai spesso poveri e peccatori, nel Suo glorioso Cuore trafitto – sempre aperto a riceverci, a guarirci dai nostri peccati e a colmarci di divino amore. Se volete esporre l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, vi raccomando il manuale, The Enthronement of the Sacred Heart of Jesus, disponibile attraverso l’ Apostolato della Catechesi Mariana, anche nelle traduzioni in polacco e slovacco.
    Per coloro a cui non è possibile accedere alla Santa Messa e alla Santa Comunione, raccomando la devota pratica della Comunione Spirituale. Quando siamo rettamente disposti a ricevere la Santa Comunione, ossia, quando siamo in uno stato di grazia, inconsci di qualsiasi peccato mortale che abbiamo commesso e non perdonatoci nel sacramento della Penitenza, e desideriamo ricevere Nostro Signore nella Santa Comunione ma non ne siamo in grado, ci uniamo spiritualmente al Santo Sacrificio della Messa, pregando il Nostro Signore Eucaristico con le parole di Sant’Alfonso de’ Liguori: “Poiché ora non posso riceverTi sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore”. La Comunione Spirituale è una bella espressione di amore per il Nostro Dio nel Santissimo Sacramento. Questo non mancherà di portarci abbondante grazia.
    Al tempo stesso, quando siamo consapevoli di aver commesso un peccato mortale e non siamo in grado di accedere al Sacramento della Penitenza o Confessione, la Chiesa ci invita a fare un atto di perfetta contrizione, ossia di riprovazione per il peccato, che “proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa”. Un atto di perfetta contrizione “ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale” (Catechismo della Chiesa Cattolica, no. 1452). Un atto di perfetta contrizione dispone la nostra anima alla Comunione Spirituale.
    Alla fine, fede e ragione, come fanno sempre, operano insieme per fornire la giusta e retta soluzione a una sfida difficile. Dobbiamo usare la ragione, ispirati dalla fede, per trovare il modo giusto per affrontare una pandemia mortale. Tale modo deve dare la priorità alla preghiera, alla devozione e al culto, all’invocazione della grazia di Dio sul Suo popolo che soffre così tanto ed è in pericolo di morte. Fatti a immagine e somiglianza di Dio, godiamo dei beni dell’intelletto e del libero arbitrio. Usando questi doni datici da Dio, in unione con Fede, Speranza e Carità, anch’essi doni di Dio, troveremo la nostra strada in questo tempo di prova a livello mondiale, che è causa di così tanta tristezza e paura.
  21. Claudio C.
    Mons. Nicola Bux (qui Profilo Wikipedia) rilascia una intervista a Il Giornale. Già stretto collaboratore di Papa Benedetto XVI, è stato per lunghi anni a Gerusalemme ed ha conosciuto da vicino la cultura orientale.
    Mons. Bux, possibile che Silvia Romano sia stata convertita o magari sia stata manipolata dagli islamici? La giovane sostiene che la sua adesione all'islam sia stata una scelta spontanea..
     
    Il concilio ricorda che la libertà religiosa riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile. Ma anche che ciò lascia intatta la Dottrina Cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la Vera religione e l'unica chiesa di Cristo. Una persona cosciente del suo battesimo conosce tutto questo.
    Le risulta normale che una persona finita nelle mani di estremisti islamici finisca per convertirsi?
    Dipende dal soggetto. Un cattolico dalla coscienza ben formata sa qual è la vera religione e, di conseguenza, che il suo abbandono, cioè l'apostasia è uno dei peccati più gravi. Si badi che l'islam punisce l'apostasia con la morte. Pertanto, il vero cristiano non teme il martirio per Gesù Cristo. Se invece la coscienza non fosse ben formata o facesse ciò per ignoranza, esiste l'attenuante davanti a Dio.
    Quale messaggio per l'identità europea arriva dalla storia di Silvia Romano?
    Ricordo un documentario prodotto dalla Rai dieci anni fa. L'indimenticabile Luca De Mata lo intitolò Dio: pace o dominio, perché dal reportage in giro per l'Europa aveva ricavato che l'islam stesse avanzando scaltramente, presentandosi come religione di pace, in realtà puntando al dominio del continente. Celebre l'avvertimento dell'allora vescovo di Izmir (Smirne, ndr) agli europei: i promotori islamici dell'immigrazione in Europa pensano: con le vostre leggi vi invaderemo, con la sharia vi sottometteremo. Che vi cooperino gli europei, è masochismo. La Rai dovrebbe riproporre quel documentario in cinque puntate.
    Teme per i cattolici in giro per il mondo?
    Dalle statistiche è noto che il cristianesimo cattolico è la religione più perseguitata al globo. Ma i cristiani non temono la persecuzione, perché è la condizione ordinaria del cristianesimo. Gesù Cristo ha detto: "Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". Perciò il cristianesimo vince sempre quando è sconfitto. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli lo dovrebbero sapere a memoria, non solo, ma anche che alla fine solo la croce di Cristo vince. Lo ricorda Giovanni Paolo II nell'enciclica missionaria Redemptoris missio.
    Quindi?
    Quindi, i programmi di neo-umanesimo, di fratellanza universale, di dialogo interreligioso senza Cristo, sono destinati al fallimento. Meglio farebbero le chiese europee a spendere tutte le forze, anche finanziarie, anzi la loro vita, nell'unico compito che Cristo ha affidato loro: far conoscere il Vangelo a tutte le genti e chiamarle a conversione. Solo l'estensione della fede cattolica può compattare il globo secondo i tempi di Dio. Questo passerà attraverso la persecuzione, la Croce, la vera "teologia della liberazione".
    Esistono fenomeni di proselitismo studiati ad hoc? Magari adatti pure per gli europei che fanno cooperazione all'estero?
    Circa vent'anni fa, ho conosciuto ad Amman dei giovani sauditi che ogni tre mesi, muniti di visto, uscivano dall'Arabia per venire a catechizzarsi per diventare cristiani. Mi mostrarono il materiale propagandistico stampato in arabo, che dal loro paese veniva inviato fino a Londra, documentando il piano di dominio islamico in Europa. Per attuarlo è necessaria l'immigrazione ma anche il proselitismo tra gli europei, specialmente delle Ong, in cui l'identità cristiana o è inesistente o è annacquata. Oggi sappiamo che Londra è in gran parte musulmana, complice anche la pressoché totale sparizione degli anglicani. Ma c'è una pattuglia di cattolici che resiste e vincerà, a costo del martirio.
    Silvia ha scelto di chiamarsi Aisha, come una delle mogli di Maometto...
    Chissà se prima di cambiar nome e credo, sapeva che Santa Silvia è la madre di San Gregorio Magno. E chissà se conosce quanto conclude uno studioso di prima grandezza, dell'islam e della tradizione araba cristiana, della cui amicizia mi onoro, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir - citando il Corano al versetto 228 della sura della Vacca e al 34 di quella delle Donne: "Mentre nella concezione cristiana l'uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità,in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani, che presentano il ruolo della donna nell'Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all'uomo e deve sottostare a lui".
  22. Claudio C.
    Catechesi mensile sul Credo e le verità in cui credere, che don Nicola Bux ha tenuto nella Chiesa di San Giuseppe in Bari, Utilizzando come testo guida il "Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica".
    Per poter seguire meglio la catechesi, ci si può avvalere del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica
    http://www.vatican.va/archive/compend...

    dal n. 79 al n. 84 CAPITOLO SECONDO CREDO IN GESÙ CRISTO, IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO

    - 79. Qual è la Buona Novella per l'uomo?
    422-424
    È l'annunzio di Gesù Cristo, «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), morto e risorto. AI tempo del re Erode e dell'imperatore Cesare Augusto, Dio ha adempiuto le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza mandando «suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4-5).

    - 80. Come si diffonde questa Buona Novella?
    425-429
    Fin dall'inizio i primi discepoli hanno avuto l'ardente desiderio di annunziare Gesù Cristo, allo scopo di condurre tutti alla fede in lui. Anche oggi, dall'amorosa conoscenza di Cristo nasce il desiderio di evangelizzare e catechizzare, cioè svelare nella sua persona l'intero disegno di Dio e mettere l'umanità in comunione con lui.

    « E IN GESÙ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE »

    - 81. Che cosa significa il nome «Gesù»?
    430-435
    452
    Dato dall'Angelo al momento dell'Annunciazione, il nome «Gesù» significa «Dio salva». Esso esprime la sua identità e la sua missione, «perché è lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Pietro afferma che «non vi è sotto il cielo altro Nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).

    - 82. Perché Gesù è chiamato «Cristo »?
    436-440
    453
    «Cristo» in greco, «Messia» in ebraico, significa «unto». Gesù è il Cristo perché è consacrato da Dio, unto dello Spirito Santo per la missione redentrice. È il Messia atteso da Israele, mandato nel mondo dal Padre. Gesù ha accettato il titolo di Messia precisandone tuttavia il senso: «Disceso dal cielo» (Gv 3,13), crocifisso e poi risuscitato, egli è il Servo Sofferente «che dà la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Dal nome Cristo è venuto a noi il nome di cristiani.

    - 83. In che senso Gesù è il «Figlio Unigenito di Dio»?
    441-445
    454
    Egli lo è in senso unico e perfetto. Al momento del Battesimo e della Trasfigurazione, la voce del Padre designa Gesù come suo «Figlio prediletto». Presentando se stesso come il Figlio che «conosce il Padre» (Mt 11,27), Gesù afferma la sua relazione unica ed eterna con Dio suo Padre. Egli è «il Figlio Unigenito (1Gv 4,9)» di Dio, la seconda Persona della Trinità. È il centro della predicazione apostolica: gli Apostoli hanno visto «la sua gloria, come di Unigenito dal Padre» (Gv 1,14).

    - 84. Che cosa significa il titolo «Signore»?
    446-451
    455
    Nella Bibbia, questo titolo designa abitualmente Dio Sovrano. Gesù lo attribuisce a se stesso e rivela la sua sovranità divina mediante il suo potere sulla natura, sui demoni, sul peccato e sulla morte, soprattutto con la sua Risurrezione. Le prime confessioni cristiane proclamano che la potenza, l'onore e la gloria dovuti a Dio Padre sono propri anche di Gesù: Dio «gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9).
    Egli è il Signore del mondo e della storia, il solo a cui l'uomo debba sottomettere interamente la propria libertà personale.
  23. Claudio C.
    Catechesi mensile sul Credo e le verità in cui credere, che don Nicola Bux ha tenuto nella Chiesa di San Giuseppe in Bari, utilizzando come testo guida il "Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.
    Il tema di questo incontro  trae spunto dal primo articolo  nonché la prima affermazione del Credo:
    Credo in un Solo Dio
    Padre onnipotente
    Creatore del Cielo e della Terra
    Gli argomenti trattati in questa catechesi sono :
    1. Io credo in Dio Padre Onnipotente;
    2. Creatore del cielo e della terra;
     quest'ultimo ha ulteriori tre approfondimenti:
    - gli angeli;
    - la caduta;
    - il peccato.
    questa prima parte arriva al primo dei tre approfondimenti ovvero "gli angeli"

    Per poter seguire meglio la catechesi, ci si può avvalere del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica
    http://www.vatican.va/archive/compendium_ccc/documents/archive_2005_compendium-ccc_it.html
    dal n. 36 al n. 78
    « IO CREDO IN DIO, PADRE ONNIPOTENTE, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA »?
    36. Perché la professione di fede inizia con: «Io credo in Dio»?
    37. Perché professiamo un solo Dio?
    38. Con quale nome Dio si rivela?
    39. Solo Dio «è»?
    40. Perché è importante la rivelazione del nome di Dio?
    41. In che senso Dio è la verità?
    42. In qual modo Dio rivela che egli è amore?
    43. Che cosa comporta credere in un solo Dio?
    44. Qual è il mistero centrale della fede e della vita cristiana?
    45. Il mistero della Santissima Trinità può essere conosciuto dalla sola ragione umana?
    46. Che cosa Gesù Cristo ci rivela del mistero del Padre?
    47. Chi è lo Spirito Santo, rivelato a noi da Gesù Cristo?
    49. Come operano le tre Persone divine?
    50. Che cosa significa che Dio è onnipotente?
    51. Perché è importante affermare: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1)?
    52. Chi ha creato il mondo?
    53. Perché è stato creato il mondo?
    54. Come Dio ha creato l'universo?
    55. In che cosa consiste la Provvidenza divina?
    56. Come l'uomo collabora con la Provvidenza divina?
    57. Se Dio è onnipotente e provvidente, perché allora esiste il male?
    58. Perché Dio permette il male?
                                                                          Il cielo e la terra
    59. Che cosa ha creato Dio?
    60. Chi sono gli angeli?
    61. In che modo gli angeli sono presenti nella vita della Chiesa?
    62. Che cosa insegna la Sacra Scrittura circa la creazione del mondo visibile? 
    63. Qual è il posto dell'uomo nella creazione?
    64. Che tipo di legame esiste tra le cose create?
    65. Che relazione c'è fra l'opera della creazione e quella della redenzione?
                                                                               L'uomo
    66. In che senso l'uomo è creato a «immagine di Dio»?
    67. Per quale fine Dio ha creato l'uomo?
    68. Perché gli uomini formano un'unità?
    69. Come nell'uomo l'anima e il corpo formano un'unità?
    70. Chi dona l'anima all'uomo?
    71. Quale relazione Dio ha posto tra l'uomo e la donna?
    72. Qual era la condizione originaria dell'uomo secondo il progetto di Dio?
     
  24. Claudio C.
    Catechesi mensile sul Credo e le verità in cui credere, che don Nicola Bux ha tenuto nella Chiesa di San Giuseppe in Bari, Utilizzando come testo guida il "Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica".
    Il tema di questo incontro: La Caduta e il Peccato
    Per poter seguire meglio la catechesi, ci si può avvalere del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica
    http://www.vatican.va/archive/compendium_ccc/documents/archive_2005_compendium-ccc_it.html
    dal n. 73 al 78

    CAPITOLO I
    IO CREDO IN DIO PADRE 
    I SIMBOLI DELLA FEDE
                                                                                La Caduta
    73. Come si comprende la realtà del peccato?
    74. Che cos'è la caduta degli angeli?
    75. In che cosa consiste il primo peccato dell'uomo?
    76. Che cos'è il peccato originale?
    77. Quali altre conseguenze provoca il peccato originale?
    78. Dopo il primo peccato, che cosa ha fatto Dio?
     
     
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