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Mario Mascia : L’essere umano tra libertà e verità


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Il tema della libertà, intesa quale capacità di agire dell’essere umano, riveste un interesse essenziale della vita umana dal punto di vista sia interiore che relazionale, per quanto concerne la rilevanza nelle implicazioni della esistenza umana non è possibile sottrarsi alle risposte di fronte ad una istanza dettata dalla esigenza di scoprire una verità che riguarda il destino umano. Il principio ontologico che definisce nella sua essenza l’essere umano assume un significato profondo nella sua identità. La concezione dell’uomo secondo Platone è contraddistinta dal dualismo tra corpo e anima, ognuna delle quali ha uno stato di benessere e di malessere: salute" e la "malattia" per il «corpo», la "virtù" e il "vizio" per l’«anima. Di queste due parti, quella più propriamente umana, in quanto comanda sull’altra, è l’«anima». Questa contrapposizione dualistica viene gradualmente attenuata con una concezione di collaborazione tra corpo e anima affermando che la vita migliore non sta solo nel piacere, o solo nell’esercizio dell’intelligenza, cioè nella sapienza, bensì in una mescolanza di piacere e di intelligenza. La conoscenza dell’uomo si estende oltre i limiti dei caratteri distintivi del corpo e dell’anima. Secondo San Tomaso l’uomo esprime in sé stesso una portata trascendente. L’uomo è pienamente concepito se mira a ciò che sta al di sopra di sé stesso. La ragione può dimostrare l’esistenza di Dio partendo dalla realtà, l’uomo non può giungere al suo destino se non mediante la libertà. Nel senso comune la libertà può definirsi la capacità dell’uomo di essere arbitro delle proprie azioni, mostrando la scelta tra varie alternative: di agire o non agire, di compiere qualcosa piuttosto che un’altra. Nella sua essenzialità una componente che distingue l’essere umano da ogni vivente in natura è la libertà innata. Tale capacità di essere arbitro delle proprie scelte tra possibilità e alternative, tra agire o meno pone l’uomo di fronte al suo destino come risposta della sua libertà. Il suo destino è proteso alla felicità che nella sua pienezza giunge alla “comunione Divina”. Nella libertà l’essere è proteso a Dio come coerenza di vita ed anche scoperta di Dio. La libertà raggiunge la sua piena realizzazione in quanto consona al destino umano. Se il destino risponde alla realizzazione della felicità la libertà imprime essenzialmente un carattere strumentale nell’appagamento della pienezza dell’essere. L’uomo, essendo incline al conseguimento degli obiettivi dettati dalla necessità dell’appagamento delle inclinazioni innate dell’esistenza, deve tener conto della sua dimensione relazionale in termini sociali, economici e politici. L’esistenza si estende in uno spazio predefinito in cui la libertà può esprimersi nella sua compiutezza. Nell’ambito relazionale la libertà è imprescindibile per riconoscere quando le risorse morali siano determinanti per stabilire quanto il bene o il male abbia prevalso nelle scelte umane. Quindi La volontà dell’uomo impone delle scelte buone o cattive seguendo un proprio giudizio. Nell’esercizio del libero arbitrio non potrà mai venir meno il buon consiglio della grazia divina che l’uomo potrà accogliere o rifiutare. La grazia è il principio fondamentale per la conoscenza della verità. Gli assertori di un principio relativistico rispondendo ad una concezione umanistica, individuano nella coscienza la sede del giudizio quale presupposto della scelta riconoscendo così nella coscienza individuale il proprio fondamento, disconoscendo la responsabilità di fronte al Padre Celeste. Ne deriva una concezione individualistica della verità. I problemi umani legati maggiormente al benessere economico e alla giustizia sociale alla ricerca di soluzioni nella riflessione morale si collegano al problema della libertà dell’uomo. I dibattiti pubblici che hanno acuito il problema della libertà si sono orientati a risaltare che gli uomini del tempo attuale hanno acquisito maggiore consapevolezza della dignità umana e nel loro operare dalla consapevolezza del dovere. Resta l’interrogativo se la cultura moderna abbia offerto un contributo determinante alla valorizzazione della dignità umana affermando o negando la verità nell’uomo come creatura ad immagine di Dio alla luce della fede. Resta l’interrogativo quanto la ricerca della verità trascendente sia determinante nel definire autenticamente la libertà come principio del bene e negazione del male. In altri termini per esercitare la libertà l’uomo può concepirsi libero da condizionamenti culturali o ideologici? La cultura dominante, espressione di una concezione relativistica della coscienza umana attribuisce alla coscienza individuale il carattere di una istanza suprema del giudizio morale da cui consegue la decisione del bene e del male, a tal punto deriva il dovere di seguire la propria coscienza da cui il giudizio morale è vero se proviene dalla coscienza. Ne consegue che l’affermazione autentica della verità viene sostituita dalla regola della sincerità e autenticità per offrire una definizione soggettiva del giudizio morale. Nelle estreme implicazione di una visione relativistica della verità viene smarrito il principio della verità universale del bene concepita dalla ragione per cui viene modificata la concezione della coscienza. L’essere umano, responsabile delle scelte emanazione di una volontà dettata da una coscienza a cui viene attribuito il potere di stabilire autonomamente il bene e il male e di agire di conseguenza, ha smarrito il senso della verità negando la visione autentica della natura umana. A tal punto risulta imprescindibile la citazione al numero 34 dell’enciclica “Veritatis splendor” di Giovanni Paolo II pubblicata nell’agosto del 1993 “Alcune tendenze della teologia morale odierna, sotto l'influsso delle correnti soggettiviste ed individualiste, interpretano in modo nuovo il rapporto della libertà con la legge morale, con la natura umana e con la coscienza, e propongono criteri innovativi di valutazione morale degli atti: sono tendenze che, pur nella loro varietà, si ritrovano nel fatto di indebolire o addirittura di negare la dipendenza della libertà dalla verità. Se vogliamo operare un discernimento critico di queste tendenze, capace di riconoscere quanto in esse vi è di legittimo, utile e prezioso e di indicarne, al tempo stesso, le ambiguità, i pericoli e gli errori, dobbiamo esaminarle alla luce della fondamentale dipendenza della libertà dalla verità, dipendenza che è stata espressa nel modo più limpido e autorevole dalle parole di Cristo: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).” In altri termini per conoscere la verità è necessario liberarsi dalla menzogna delle ideologie soggettivistiche e individualistiche

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