20 Maggio 2024

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Piergiuseppe Gabriele

Guerra ai padri

Nei tempi odierni registriamo una continua critica e tangibile insoferenza nei confronti dei padri, verso il termine medesimo e verso chi ricopre incarichi cardine nel contesto sociale. Guardiamo con attenzione i media e, con un magico incantesimo, veniamo immediatamente sopraffatti da un pedante linguaggio vittimistico mainstream volto all’esaltazione di un pensiero liquido e inconsistente che prevede la totale scomparsa sia della parola padre che di tutte le altre ramificazioni.

La parola padre è fortemente legata al sostantivo “Deus”, che significa fautore, creatore, ovvero, colui che dà il soffio della vita, come tramandato dai testi più antichi. In un’epoca di continui stravolgimenti che si annoverano dalla stagione del’68, notiamo come ogni misfatto o crimine venga imputato alla figura del padre “reo” di aver imposto e sottomesso i suoi figli al patriarcato, cioè a un sistema tirannico e assolutistico che ne ha mercificato i rapporti.
In realtà tale traduzione estremistica dei fatti più recenti non è altro che una astuta modalità per scagionare da ogni responsabilità l’attuale società e genitori privi di valori, i quali – certamente – come i loro figli con il patriarcato non hanno nulla a che fare.
E’ ovvio che per affermare ciò rimando ancora il riferimento al ’68, da allora i genitori sono diventati amici dei figli, liberi, giovani e belli, appassionati del linguaggio della libertà e dell’assenza di ogni frontiera, che fa della volontà del singolo la necessità del possesso. Quindi nulla di patriarcato, nulla di oscurantista, insomma è il tempo del terzo millennio. In verità il problema è differente. La nostra società che l’ateo Umberto Eco (si dia a lui il merito per questo) definiva liquida dopo decenni di contestazione è giunta alla conclusione che se prima queste certezze dell’autorità dei padri ostacolavano sogni e libertà dei figli, è pur vero che oggi si è rimasti senza guide, senza padri che siano cardine, supporto, custodia e guida in tutti i momenti della nostra esistenza. Una sorta di contestazione degli idoli che ne ha portato al completo abbattimento per poi rendersi conto di uno spaesamento perdurante colmo di nubi e incertezze.
Perciò se i fatti di cronaca più recenti ci gettano nello sconforto e nell’indignazione ciò è dovuto al fatto che la generazione dei nati del 2000 sta subendo questa sorta di impatto delle conseguenze del passato, che ha comportato la denigrazione costante della famiglia e dei padri, e che ora avverte tutta la povertà di valori aggravata dall’assenza di patriarchi veri. Ed ecco che il crimine, il possesso assume valenza di grido d’aiuto, di esasperazione dell’individuo rimasto solo, che ad un semplice no si sente denigrato offeso, privato di sentimenti, e allora emerge l’io animalesco l’istinto di dover eliminare qualcosa che non puoi avere, in quanto la dura risposta è stato il rifiuto più crudo. C’è bisogno, al contrario, di una seria riscoperta del ruolo dei padri, del valore e della missione della famiglia che passa attraverso i rapporti sociali- che non sono un comprare al Mc Donalds merce più merce, ma sono corpo-anima e spirito, cioè , un continuo dare e ricevere che va al di là della finitezza e del possesso padronale.
Al netto di queste analisi è altresì doveroso sottolineare l’origine della parola patriarcato. La parola deriva da patriarca, quella figura dell’epoca Tardoantica che ha guidato enormi comunità cristiane alla diffusione del Vangelo e di uno stile di vita incentrato sulla morale unita alla conoscenza di Dio tramite la filosofia. Non dimentichiamo che le comunità guidate dai patriarchi erano comunità numerose ma non prive di pericoli in un contesto pagano che nettamente sterzava verso il cristianesimo. I patriarchi quindi hanno diffuso cultura, difeso identità, diocesi, diritti. Li possiamo definire anche una crasi di ruoli tra un presidente e un pontefice , ius civilis e ius divinum messi insieme, collegati perfettamente tra di essi. Allora da ciò comprendiamo come caricare di significato negativo una parola oggi come oggi è semplicissimo, non solo perché non ne si conosce l’origine, ma anche perché il nostro ruolo di telespettatorisi è ridotto ad una tremenda passività che ci porta ad essere uno strumento accanto ad un altro strumento, abrogando ogni ragione critica. Inoltre è bene sottolineare come i patriarchi, nel loro vero ruolo di padri di intere comunità, abbiano difeso la dottrina cristiana nelle concitate sessioni dei primi concili della Storia, penso a Nicea, Calcedonia, Efeso ecc. e con quale verve e temperamento!
E’ evidente che se analizziamo la parola padre e patriarca e derivati, potremmo avere già un atteggiamento differente, meno inquisitorio, come invece vorrebbero i nostri mezzi di comunicazione che si nutrono costantemente di sedicenni emotivi e privi di qualsiasi insegnamento. Tutto ciò che è stato delineato è quindi frutto di una assenza che pesa e che non possiamo fare altro- se teniamo alla fede dei nostri figli affinchè essi non si perdano- che colmare con una rivalutazione della figura del padre, in barba a tutti i pluridecorati sessantottini emblema di vecchi ricordi e sane nostalgie di occupazione.
Nella letteratura italiana spesso troviamo riferimenti alla figura del padre, opere intere dedicate al rapporto con la famiglia, spesso conflittuale, come è tipico nei capolavori della letteratura primonovecentesca, futurista e modernista.
Ma prima di questo “salto” in avanti della letteratura è bene ricordare l’Ottocento, non solo come il secolo di Manzoni e Leopardi, ma anche del buon Verga, spesso tacciato di essere noioso, troppo patriarcale.
Invece, se leggiamo il romanzo scevri da qualsiasi interpretazione pregiudiziosa, noteremmo come il libro è uno spaccato della società del tempo, una precisa interpretazione dei fatti post- unitari e d un dipinto macchiaiolo perfetto dei nostri nonni che con ruvide mani hanno lavoraro diramente ed anche combattuto duramente per una patria- questo è anche patriarcato; l’insieme delle sventure dei Malavoglia non fermano il vechio ‘Ntoni che dopo due naufragi lavora anche come fattore a tempo, come pescatore, a servizio dei potenti del paese per poter sfamare i piccoli nipoti rimasti orfani dopo la morte di suo figlio in mare, prima, e dopo con la morte improivvisa di colera della povera Maruzza. Il duro lavoro, il tema dello sfruttamento che passa attraverso l’amore della famiglia : affinchè nessuno dei suoi nipoti fosse perduto”.
Aggiungerei il capolavoro di Pinocchio, questa continuua ricerca del miglioramento della coscienza, diventare un bambino vero, quella verità che passa attraverso la lotta contro il male, l’astuzia becera e antipatica tenuta alla larga dai consigli della fatina e grazie anche al mitico Babbo, che riempie la vita del burattino fino al ricongiungimento nella pancia della balena, una rinascita definitiva come quella di Giona nella Bibbia.
Il finale del romanzo, poi, svela questo continuo dare e ricevere tra padri e figli di cui prima facevo menzione: Pinocchio lavora per il padre malato e diventa un bambino vero. Vediamo, quindi, un esempio di vita spesa bene con i padri e insieme ai padri che trova ampio respiro nel riferimento più compiuto della Storia che è il rapporto tra San Giuseppe e il piccolo Gesù. Vorrei concludere questo mio contributo letterario con la citazione di un famoso scrittore francese, cristiano, di nome Georges Bernanos, il quale diceva: “Tutti vogliono che la Chiesa segua la corrente, ma solo i cani morti se ne lasciano rascinare”.
E’ certamente una citazione forte di riferimenti, ciò vuol dire che se vogliamo salvarci dal canto magico delle sirene di oggi è bene nella Chiesa, come anche nella società, non farci trascinare dalla corrente perché questa corrente è dannosa e burrascosa, al contrario, se la corrente è Cristo ed ogni cosa è in lui non potremmo fare altro che navigare verso nuovi lidi e nuovi orizzonti.

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