9 Maggio 2024

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Augustinus Hipponensis

I vescovi e gli altri. Siamo di fronte a dichiarazioni formali di scisma?
Prime reazioni alla Dichiarazione “Fiducia Supplicans” sulla benedizione aliturgica delle coppie irregolari

Con la pubblicazione della Dichiarazione Fiducia Supplicans del 18.12.2023, che abbiamo commentato ieri (il nostro commento, ripreso da Il Pensiero cattolico, è stato, a sua volta, rilanciato anche dal blog Stilum Curiae del giornalista M. Tosatti), non si sono fatte attendere delle chiare prese di posizione da parte di singoli vescovi o conferenze episcopali (per una rassegna generale, cfr. L. Coppen, ‘Fiducia supplicans’: Who’s saying what?, in The Pillar, 19.12.2023; in traduzione italiana, Dichiarazione «Fiducia supplicans» sul senso pastorale delle benedizioni: chi dice cosa?, in blog Messa in latino, 20.12.2023.

Per un’analisi generale del documento, cfr. E. A. Allen, Vatican’s doctrinal czar parses details for enabling same-sex blessings, in Catholic Herald, 18.12.2023; Vatican appears to endorse couples in ‘irregular situations’ receiving blessings that do not ‘validate their status’, ivi. Per un esame canonistico della dichiarazione, cfr. L. Knuffke, Prominent canon lawyer Fr. Murray excoriates new Vatican doc endorsing ‘blessings’ of gay couples, in Lifesitenews, 20.12.2023).

Certo, formalmente, la dottrina non sembra sia stata intaccata. Ciò che sarebbe cambiato, con questo documento, è la prassi pastorale. Fiducia Supplicans insiste con decisione sulla distinzione tra dare una benedizione a una coppia omosessuale e benedire la loro relazione. Certo, chiunque può chiedere una benedizione a un sacerdote; questo non è mai stato in discussione. Quando, però, due persone chiederanno ad un sacerdote di impartire loro una benedizione come coppia, come potrà la Chiesa evitare l’impressione che il sacerdote, in quanto rappresentante della fede cattolica, benedica la loro unione? Senza contare che la benedizione in parola debba essere impartita senza «degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio» (n. 39). La benedizione dovrebbe essere spontanea e non impartita nella forma rituale propria della preghiera liturgica. Ma sicuramente le coppie che si avvicineranno – ammesso che ce ne saranno – a richiedere la benedizione, senz’altro vorranno, in un certo qual modo, solennizzare quel momento – evidentemente importante per loro – con la partecipazione di amici, parenti, e magari anche con in sottofondo la marcia nuziale di Mendelssohn. La Dichiarazione rimette ai pastori la libertà di decidere come rispondere alle richieste delle coppie. Li avverte, nondimeno, di non fare affidamento sugli “schemi dottrinali o disciplinari” («La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari […]»: n. 25). Insomma, una sorta di invito ad eludere la dottrina, per evitare qualsiasi spiacevolezza che possa sorgere dalla condanna da parte della Chiesa di atti non conformi alla legge divina. Il Dicastero per la Dottrina della Fede, c’è da pensare, permette (incoraggia?), in questo modo, il clero a mantenere una sorta di purezza rituale, affermando che non ha trattato l’unione omosessuale come un matrimonio, mentre agli occhi del mondo ha fatto esattamente questo (così P. Lawler, Vatican’s homosexual ‘blessings’ document invites priests to fudge both doctrine and practice, ivi, 19.12.2023). Continua la lettura su Scuola Ecclesia Mater

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