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Intervista a Don Nicola Bux a cura di Vito Palmiotti. In vista dell’ imminente pubblicazione dell’Esortazione Apostolica che seguirà il sinodo sull’Amazzonia, stiamo assistendo ad una radicalizzazione di posizioni stile ultrà al punto che, ad esempio, se Ratzinger e Sarah scrivono delle riflessioni si urla al successo da una parte e lo scandalo dall’altra, si assiste a una sorta di standing ovation di una fazione alla sola ipotesi di ritiro della firma di Benedetto, salvo poi sdegnarsi quando questa di fatto rimane in qualche modo sulla copertina. Quindi nuovamente si assiste ad una serie di epiteti tesi a descrivere Benedetto “lucido solo mezz’ora al giorno” (e magari è proprio la mezz’ora in cui ha scritto poi tornerebbe in uno stato soporifero per ventitré ore e mezza) e se così non fosse allora diventa una grave ingerenza nei confronti di qualcosa che nessuno conosce ma che è tirato per la giacca di qua e di là, interpretando i pensieri di colui- il papa- che deve dare una indicazione, si spera chiara, tra le altre cose, su un tema delicato quale la possibilità di aprire al clero uxorato, in alcune “situazioni particolari” come chiedono i padri sinodali nel documento finale del controverso e discusso Sinodo sull’Amazzonia. L’impressione che se ne ricava è che manchi uno sguardo cattolico e il senso della realtà. Che farà il papa? Il cardinal Charles Journet, insigne patrologo, diceva: «Quanto all’assioma “Dove è il Papa, lì è la Chiesa” vale quando il Papa si comporta come Papa e capo della Chiesa; nel caso contrario, né la Chiesa è in lui, né lui nella Chiesa». D. Nicola Bux ha partecipato, da esperto invitato da Ratzinger cardinale e poi papa, al sinodo sull’Eucaristia del 2005 e a quello sul Medioriente del 2010: quindi sa come vanno le cose. Certo, se continua questo can can, altro che sinodo: il papa potrebbe risentirsi e mutare qualcosa. VP: Cosa vuol dire sinodalità, parola di cui tutti si riempiono la bocca? DBUX: I variegati fan di san Francesco ignorano forse che egli si definiva uomo cattolico ed apostolico: la prima è ormai parola rara da udire, eppure indica lo sguardo alla realtà ‘secondo la totalità dei suoi fattori’. Dal greco katà olòn. Purtroppo, la morale del ‘caso per caso’ e l’enfasi sulla ‘Chiesa locale’, hanno contribuito all’oblio. Infatti, si ritiene che, dare la Comunione a una coppia di divorziati risposati in un paesino sperduto, e non darla in una parrocchia di città, possa farsi senza pregiudicare l’unità del tutto, che è poi la Chiesa cattolica. Proprio su questo bisogna soffermarsi. L’unità è il bene più prezioso, dice san Giovanni Crisostomo, purché le diversità non siano avverse tra loro, ma convergano verso l’unità, siano cioè uni-versus, universali. Ecco la Chiesa universale o cattolica. Il Papa dovrebbe essere segno e vincolo di ciò. Dobbiamo sperare che l’Esortazione serva a questo: per essere cattolica, dovrebbe non rifarsi al Documento finale del Sinodo. Se così sarà, non poco lo si dovrà anche al contributo di Benedetto XVI e del cardinal Sarah con il loro libro sul celibato sacerdotale, e di quanti nella Chiesa non hanno smesso di dire la verità senza venir meno alla carità, senza cedere alla tentazione di separarsi, che è soprattutto dovuta alla mancanza della pazienza dell’amore. Dietro quel libro c’è una parte non piccola della Chiesa, di cui il papa, da pater patruum, non può non tener conto; non solo: ci sono duemila anni di traditio di Gesù Cristo e degli Apostoli, che, con la Scrittura, è fonte della rivelazione. La pazienza è la prima caratteristica dell’amore indicata da san Paolo: la carità è paziente. In conclusione, la sinodalità può essere sinonimo di cammino e di sguardo comune (sempre stando all’etimo greco) e in tal senso, ciascun cristiano e la Chiesa devono usarla. Ma la Chiesa non è un Sinodo e nemmeno un Concilio permanenti, ma una comunità gerarchicamente ordinata. Se il Documento finale ha espresso la parola dei vescovi e degli altri padri sinodali, l’Esortazione comunicherà la parola del papa, che non necessariamente deve concordare con quella. Si ricordi la nota praevia fatta apporre da Paolo VI alla costituzione Lumen Gentium. Il Sinodo è rappresentativo e non sostitutivo dell’intero episcopato cattolico. VP: Il Papa è infallibile, sempre? D.BUX: Il magistero c’è quando il papa e tutti i vescovi concordano (Compendio CCC 185) - sottolineo ‘concordano’ - nel proporre un insegnamento definitivo sulla fede e sulla morale. Che vuol dire definitivo? Deve essere – come le foto ad alta definizione – dai contorni nitidi. Infatti, come negli atti dommatici straordinari, il papa usa tre verbi: pronunziamo, dichiariamo e definiamo, così nell’insegnamento ordinario, se dovesse permanere la discordia non ci sarebbe il magistero. Oggi succede che molti vescovi non concordino ma siano discordi persino su una dottrina già creduta per fede: la discordanza significa che non c’è infallibilità, ma non per questo i fedeli non sono tenuti ad obbedirvi, salvo che quell’insegnamento contrasti con il depositum fidei. Se un padre dicesse una cosa e la madre l’opposto, i figli a chi dovrebbero obbedire? Abbiamo ragione di sperare e pregare che l’Esortazione sia chiara e senza eccezioni. Se non fosse così, si favorirebbe l'avvicinarsi della 'grande apostasia’ che asservirebbe la Chiesa; la prova che scuoterà la Chiesa(CCC 675-677) ben oltre l'attuale crisi di fede: la persecuzione.
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Il 27 giugno è stato diffuso in varie lingue una forte critica del cardinale Walter Brandmüller all’Instrumentum laboris del Sinodo sull’Amazzonia (http://www.sinodoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/l-instrumentum-laboris-per-il-sinodo-sull-amazzonia1.html ) che si aprirà in Vaticano il prossimo 6 ottobre. Il cardinale tedesco spiega perché l’”Instrumentum laboris” “contraddice l’insegnamento vincolante della Chiesa in punti decisivi e quindi deve essere qualificato come eretico” e, dato che il documento mette in discussione il fatto stesso della divina rivelazione “si deve anche parlare, in aggiunta, di apostasia”. L’”Instrumentum laboris” , conclude il cardinale, “costituisce un attacco ai fondamenti della fede, in un modo che non è stato finora ritenuto possibile. E quindi deve essere rigettato col massimo della fermezza”. Riportiamo il testo del documento, il cui originale è in tedesco, nella traduzione italiana tratta dal blog di Sandro Magister. . Una critica dell’”Instrumentum laboris” per il sinodo dell’Amazzonia Introduzione Può davvero causare stupore che, all’opposto delle precedenti assemblee, questa volta il sinodo dei vescovi si occupi esclusivamente di una regione della terra la cui popolazione è solo la metà di quella di Città del Messico, vale a dire 4 milioni. Ciò è anche causa di sospetti riguardo alle vere intenzioni che si vorrebbero attuare in modo surrettizio. Ma bisogna soprattutto chiedersi quali siano i concetti di religione, di cristianesimo e di Chiesa che sono alla base dell’”Instrumentum laboris” recentemente pubblicato. Tutto ciò sarà esaminato con l’appoggio di singoli elementi del testo. Perché un sinodo in questa regione? Per cominciare, occorre chiedersi perché un sinodo dei vescovi dovrebbe trattare argomenti, che – come è il caso dei tre quarti dell’”Instrumentum laboris” – hanno solo marginalmente qualcosa a che fare con i Vangeli e la Chiesa. Ovviamente, da parte di questo sinodo dei vescovi viene compiuta anche un’aggressiva intrusione negli affari puramente mondani dello Stato e della società del Brasile. C’è da chiedersi: che cosa hanno a che fare l’ecologia, l’economia e la politica con il mandato e la missione della Chiesa? E soprattutto: quale competenza professionale autorizza un sinodo ecclesiale dei vescovi a emettere dichiarazioni in questi campi? Se il sinodo dei vescovi davvero lo facesse, ciò costituirebbe uno sconfinamento e una presunzione clericale, che le autorità statali avrebbero motivo di respingere. Sulle religioni naturali e l’inculturazione C’è un altro elemento da tenere presente, che si trova in tutto l’”Instrumentum laboris”: vale a dire la valutazione molto positiva delle religioni naturali, includendo pratiche di guarigione indigene e simili, come anche pratiche e forme di culto mitico-religiose. Nel contesto del richiamo all’armonia con la natura, si parla addirittura del dialogo con gli spiriti (n. 75). Non è solo l’ideale del “buon selvaggio” tratteggiato da Rousseau e dall’Illuminismo che qui viene messo a confronto con il decadente uomo europeo. Questa linea di pensiero si spinge oltre, fino al XX secolo, quando culmina in un’idolatria panteistica della natura. Hermann Claudius (1913) creò l’inno del movimento operaio socialista “Quando camminiamo fianco a fianco…”, in una strofa del quale si legge: ”Verde delle betulle e verde dei semi, che la vecchia Madre Terra semina a piene mani, con un gesto di supplica affinché l’uomo diventi suo… “. Va notato che questo testo è stato successivamente copiato nel libro dei canti della Gioventù hitleriana, probabilmente perché corrispondeva al mito del “sangue e suolo” nazionalsocialista. Questa prossimità ideologica è da rimarcare. Questo rigetto anti-razionale della cultura “occidentale” che sottolinea l’importanza della ragione è tipico dell’”Instrumentum laboris, che parla rispettivamente di “Madre Terra” nel n. 44 e del “grido della terra e dei poveri” nel n.101. Di conseguenza, il territorio – vale a dire le foreste della regione amazzonica – viene addirittura dichiarato essere un “locus theologicus”, una fonte speciale della divina rivelazione. In esso vi sarebbero i luoghi di un’epifania in cui si manifestano le riserve di vita e di saggezza del pianeta, e che parlano di Dio (n. 19). Inoltre, la conseguente regressione dal Logos al Mythos viene innalzata a criterio di ciò che l’”Instrumentum laboris” chiama l’inculturazione della Chiesa. Il risultato è una religione naturale con una maschera cristiana. La nozione di inculturazione è qui virtualmente snaturata, dal momento che in realtà significa l’opposto di ciò che la commissione teologica internazionale aveva presentato nel 1988 e di quanto aveva precedentemente insegnato il decreto “Ad gentes” del Concilio Vaticano II sull’attività missionaria della Chiesa. Sull’abolizione del celibato e l’introduzione di un sacerdozio femminile È impossibile nascondere che questo “sinodo” è particolarmente adatto per attuare due progetti tra i più cari che finora non sono mai stati attuati: vale a dire l’abolizione del celibato e l’introduzione di un sacerdozio femminile, a cominciare dalle donne diacono. In ogni caso si tratta di “tener conto del ruolo centrale che le donne svolgono oggi nella Chiesa amazzonica” (n. 129 a3). E allo stesso modo, si tratta di “aprire nuovi spazi per ricreare ministeri adeguati a questo momento storico. È il momento di ascoltare la voce dell’Amazzonia… “ (n. 43). Ma qui si omette il fatto che, da ultimo, anche Giovanni Paolo II ha affermato con la massima autorità magisteriale che non è nel potere della Chiesa amministrare il sacramento dell’ordine alle donne. In effetti, in duemila anni, la Chiesa non ha mai amministrato il sacramento dell’ordine a una donna. La richiesta che si colloca in diretta opposizione a questo fatto mostra che la parola “Chiesa” viene ora utilizzata esclusivamente come termine sociologico da parte degli autori dell’”Instrumentum laboris”, negando implicitamente il carattere sacramentale-gerarchico della Chiesa. Sulla negazione del carattere sacramentale-gerarchico della Chiesa In modo simile – sebbene con espressioni piuttosto di passaggio – il n. 127 contiene un attacco diretto alla costituzione gerarchico-sacramentale della Chiesa, quando vi si chiede se non sarebbe opportuno “riconsiderare l’idea che l’esercizio della giurisdizione (potere di governo) deve essere collegato in tutti gli ambiti (sacramentale, giudiziario, amministrativo) e in modo permanente al sacramento dell’ordine”. È da una visione così errata che deriva poi nel n. 129 la richiesta di creare nuovi uffici che corrispondano ai bisogni dei popoli amazzonici. Tuttavia è il campo della liturgia, del culto, quello in cui l’ideologia di un’inculturazione falsamente intesa trova la sua espressione in modo particolarmente spettacolare. Qui, alcune forme delle religioni naturali sono assunte positivamente. L’”Instrumentum laboris” (n. 126 e) non si trattiene dal chiedere che i “popoli poveri e semplici” possano esprimere “la loro (!) fede attraverso immagini, simboli, tradizioni, riti e altri sacramenti (!!)”. Questo sicuramente non corrisponde ai precetti della costituzione “ Sacrosanctum Concilium“, né a quelli del decreto “Ad gentes” sull’attività missionaria della Chiesa, e mostra una comprensione puramente orizzontale della liturgia. Conclusione “Summa summarum”: l’”Instrumentum laboris” carica il sinodo dei vescovi e in definitiva il papa di una grave violazione del “depositum fidei”, che significa come conseguenza l’autodistruzione della Chiesa o il cambiamento del “Corpus Christi mysticum” in una ONG secolare con un compito ecologico-sociale-psicologico. Dopo queste osservazioni, naturalmente, si aprono delle domande: si può qui rinvenire, specialmente riguardo alla struttura sacramentale-gerarchica della Chiesa, una rottura decisiva con la Tradizione apostolica in quanto costitutiva per la Chiesa, o piuttosto gli autori hanno una nozione dello sviluppo della dottrina che viene sostenuta teologicamente al fine di giustificare le rotture sopra menzionate? Questo sembra essere davvero il caso. Stiamo assistendo a una nuova forma del Modernismo classico dell’inizio del XX secolo. All’epoca, si è cominciato con un approccio decisamente evolutivo e poi si è sostenuta l’idea che, nel corso del continuo sviluppo dell’uomo a gradi più alti, devono essere trovati di conseguenza anche livelli più elevati di coscienza e di cultura, per cui può risultare che quello che era falso ieri può essere vero oggi. Questa dinamica evolutiva è applicata anche alla religione, cioè alla coscienza religiosa con le sue manifestazioni nella dottrina, nel culto e naturalmente anche nella morale. Ma qui, allora, si presuppone una comprensione dello sviluppo del dogma che è nettamente opposta alla genuina comprensione cattolica. Quest’ultima comprende lo sviluppo del dogma e della Chiesa non come un cambiamento, ma, piuttosto, come uno sviluppo organico di un soggetto che rimane fedele alla propria identità. Questo è ciò che i Concili Vaticani I e II ci insegnano nelle loro costituzioni “Dei Filius“, “Lumen Gentium” e “Dei Verbum”. Dunque si deve dire oggi con forza che l’”Instrumentum laboris” contraddice l’insegnamento vincolante della Chiesa in punti decisivi e quindi deve essere qualificato come eretico. Dato poi che anche il fatto della divina rivelazione viene qui messo in discussione, o frainteso, si deve anche parlare, in aggiunta, di apostasia. Ciò è ancor più giustificato alla luce del fatto che l’”Instrumentum laboris” usa una nozione puramente immanentista della religione e considera la religione come il risultato e la forma di espressione dell’esperienza spirituale personale dell’uomo. L’uso di parole e nozioni cristiane non può nascondere che esse sono semplicemente usate come parole vuote, a prescindere dal loro significato originale. L’”Instrumentum laboris” per il sinodo dell’Amazzonia costituisce un attacco ai fondamenti della fede, in un modo che non è stato finora ritenuto possibile. E quindi deve essere rigettato col massimo della fermezza.