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TU CHIAMALA, SE VUOI, SENSIBILITÀ… a cura del Prof. Nunzio Lozito. Parafrasando Emozioni, la canzone, del noto cantautore Lucio Battisti, nel titolo di queste riflessioni mi sono preso la libertà di sostituire la parola “emozioni” con “sensibilità”. Perché prendere in considerazione questa parola? È un termine molto usato nel linguaggio comune. È una parola che tende a mettere in evidenza le specificità di una persona, le sue peculiarità, il suo personale approccio alla realtà. Senz’altro aspetti positivi, perché attestano l’unicità della persona umana, rispetto alla meccanicità di un automa. Tuttavia, non è di questo che si vuol parlare qui. Il campo nel quale vogliamo utilizzarla è quello liturgico. È da tempo che in questo ambito circola e non sempre in modo appropriato. Si è fatta largo nella Chiesa l’idea, che ci sono approcci al culto, ormai superati, non più in linea con i tempi e che, pertanto chiunque si trovasse, o per età anagrafica o per storia personale, ad avere una sensibilità spirituale diversa da quella comune, è bene che utilizzi, “spazi” riservati. Che la questione non vada liquidata in questo modo, lo dimostra l’invito che l’attuale Prefetto del culto divino, ha fatto in più circostanze ai cattolici che seguono la liturgia vetus ordo, affinché non si sentano rinchiusi in una sorta di riserva, ma rivendichino il loro essere cattolici a pieno titolo. Questo atteggiamento ha assunto punte di esagerazione in questo periodo di lockdown, che, come tutti sappiamo ha raggiunto anche le nostre chiese. Con la riapertura di queste, per la celebrazione delle Sante Messe cum populo, ci sono state una serie di disposizioni ecclesiastiche e civili che hanno condizionato, e continueranno a farlo, il nostro modo di partecipare al culto divino. Adesso è certamente il momento di applicare le disposizioni indicate dalle autorità. Tuttavia, verrà il momento in cui si dovrà fare un’ analisi critica di tutte le disposizioni diramate, onde poter capire le esagerazioni o gli eventuali abusi. In questa riflessione non prenderemo in considerazione eventuali conflitti che si sarebbero potuti innescare tra Stato italiano e Chiesa cattolica. Non ci sono né il tempo, né le competenze, né l’autorità necessaria per affrontare temi così ampi. Ci soffermeremo soltanto alle conseguenze che queste disposizioni riguardano la Santa Eucarestia, soprattutto quelle circa la modalità della sua ricezione. Il fronte delle opinioni è ampio: da medici che sostengono che, da un punto di vista sanitario è più sicuro riceverla sulla lingua, magari in ginocchio, per allungare ulteriormente la distanza di sicurezza tra ministro e fedele; a chi, invece, sostiene, che è più sicura la modalità della distribuzione sulla mano. Come è avvenuto per tutto il periodo dell’emergenza, anche in questa circostanza le autorità ecclesiastiche hanno seguito il parere degli esperti ufficiali (che, come abbiamo appena osservato, sono divisi). Per onore di verità dobbiamo premettere, che nel mondo ecclesiale, piuttosto diviso sui vari aspetti della fede cattolica, c’è una parte che sembra, non aspettare altro che dare un “colpo” mortale alla modalità della distribuzione dell’Eucarestia sulla lingua, ancor più se in ginocchio. Chiudiamo, per così dire, la parentesi polemica e ritorniamo a ragionare. Quindi posto che, il mondo medico-scientifico è diviso, entra in ballo il giudizio di chi è “esperto” nella questione. Solo chi è portatore di una Tradizione bi millenaria originata da Nostro Signore, passando per gli Apostoli, i primi Concili, i Padri, Trento, il Vaticano II, fino ai nostri giorni può dire una parola chiarificatrice L’insegnamento costante della Chiesa, sull’Eucarestia è univoco: dopo le parole pronunciate da Gesù durante l’ultima cena e ripetute dal sacro ministro in ogni celebrazione eucaristica, di quel pezzo di pane e di quelle gocce di vino, non restano altro che gli accidenti , perché nella sostanza, diventano Corpo e Sangue di Cristo. Una certezza ininterrotta, dicevamo, che ha sempre fatto da spartiacque tra vera e falsa fede. Non bisogna dimenticare che l’attacco alla Presenza reale di Gesù nell’Eucarestia, lungo i secoli è stato costante, raggiungendo il suo apice con Lutero. Ritorniamo al punto dal quale siamo partiti: prendere l’Eucarestia nel tempo del Covid19. Le attuali disposizioni, tra l’altro, piuttosto ambigue, ci suggeriscono di prendere l’Ostia sulla mano. E qui ritorniamo alla parola “sensibilità”. Per cui, a coloro che hanno una certa sensibilità, per così dire tradizionalista, viene “concessa” la possibilità di dare la comunione con le pinze, per evitare, così, l’uso del guanto; oppure, al fedele di riceverla su di un fazzoletto di lino. Nascono da tutto ciò una serie di domande: è questione di tutela della sensibilità? Ognuno può accostarsi al Sacramento come crede, pensando quello che ritiene, mentre si accinge a riceverlo? Oppure ci sono aspetti oggettivi, che riguardano tutti? A queste domande non possiamo non rimandare a quanto la Chiesa afferma nei suoi documenti ufficiali e normativi. A proposito della ricezione e del significato interroghiamo alcuni di questi documenti. Partiamo con la sintesi che fornisce il Catechismo di san Pio X. Alla domanda n° 355: “Quante cose sono necessarie per fare una buona Comunione?” il Catechismo risponde “per fare una buona comunione sono necessarie tre cose: essere in grazia di Dio; sapere e pensare chi si va a ricevere; rispettare il digiuno eucaristico”. Alla domanda n° 338 “ che cosa significa sapere e pensare chi si va a ricevere” il Catechismo risponde: “Significa accostarsi a Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucaristia con fede viva, con ardente desiderio e con profonda umiltà e modestia”. Quanto viene affermato dal Catechismo di san Pio X, non cambia, nella sostanza, nei documenti più recenti. La terminologia è certo più discorsiva, ma nulla viene sottratto alla precisione delle definizioni. Sulla dovuta centralità del Sacramento per eccellenza, non ci troviamo, quindi, di fronte ad un vuoto contenutistico. Soffermiamoci alla riflessione degli ultimi anni. Nel 2004, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, emanò l’Istruzione Redemptionis sacramentum. Su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia. Ai numeri 90, 91, 92 si afferma: “ «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza dei Vescovi», e confermato da parte della Sede Apostolica. «Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme». Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi…”. Appena un anno dopo dalla pubblicazione dell’Istruzione, si celebrò un Sinodo, proprio sull’Eucaristia. Qualche anno dopo, Benedetto XVI, pubblicò l’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis. Nel sinodo, nel sottolineare l’importanza del Sacramento fu evidenziato il rischio della perdita della necessaria centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e denunciate le non poche “difficoltà” nonché “taluni abusi” perpetrati nei confronti della stessa . Il sinodo affrontò anche la questione relativa alla ricezione della Comunione. Quindi la modalità della ricezione, lungi dal poter essere considerata una questione esclusivamente ritualistica e formale, segnala invece la dovuta adorazione che si deve alla Santa Comunione. Ecco quanto afferma l'Esortazione al n° 50 “Un altro momento della celebrazione a cui è necessario accennare è la distribuzione e la ricezione della santa Comunione.” Il documento chiede, inoltre, a coloro che sono preposti alla distribuzione ”di fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incontro personale con il Signore Gesù nel Sacramento”. Allora, se le cose stanno in questo modo, non rimane altro da fare che, “gareggiare” tra chi adora di più il mirabile mistero di questo Sacramento. Per cui, trattare questa materia relegandola esclusivamente ad una questione di “sensibilità” personale è quantomeno riduttivo. Pertanto, ricercare modi di accostarsi all’Eucaristia, anche in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, non è una disputa tra tradizionalisti o non tradizionalisti. È una questione che riguarda tutti. Sappiamo che le questioni in tempi di emergenza vanno affrontate con modalità di emergenza. Però non permettiamo che vengano denigrati coloro che, per grazia, per formazione e finanche per sensibilità, “indicano”, agli altri pratiche più idonee o tendenzialmente più rispettose di accostarsi alla Comunione. Facciamo sì che, non ci siano sacerdoti che impongano di alzarsi in piedi, a coloro che vogliono ricevere il Corpo di Cristo in ginocchio; o altri che redarguiscono aspramente coloro che osano accostarsi all’altare con le mani coperte da un fazzoletto di lino per ricevere l’Ostia. Non deve accadere tutto ciò, perché, terminata l’emergenza, si possa rimettere ogni “cosa” al suo posto. Anche per non dimenticare che la modalità “ordinaria” resta sempre quella di prendere la Comunione sulla lingua, o addirittura in ginocchio. La modalità di prenderla sulla mano, seppur consentita, rimane pur sempre un “indulto, che, con la prassi consolidata, per taluni è diventato l’unico modo consentito.
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"Va e fà anche tu lo stesso", a cura del Prof. Lozito
Claudio C. posted a blog entry in -Attualità cattolica
A cura del Prof. Nunzio Lozito. Nella rubrica il direttore risponde su Avvenire del 4 giugno, Marco Tarquinio risponde nel modo che potete leggere direttamente dalla fonte che allego * https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/nessuno-mai-pu-espropriare-i-simboli-e-i-volti-della-nostra-fede. Il lettore si riferiva alla manifestazione di atti e simboli religiosi resi spesso pubblici da politici e, nello specifico, alle fotografie che ritraevano il Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, con la Bibbia in mano o in preghiera. A voler dare una risposta veramente evangelica, avrei risposto con le parole del Maestro: “va e anche tu fa’ lo stesso”. Invece il buon direttore di Avvenire non poteva perdere un’occasione così ghiotta, offerta dal suo lettore, per fare il suo atto di “fede” politico. Si avete capito bene, politico! Perché a parte il richiamo, a parole come “Verità” (a proposito, caro direttore non basta la “maiuscola” per dare autorevolezza a quello che si vuol dire. Soprattutto non basta per distinguere la Verità dalla propria verità), “Bibbia tutta intera”, “Giovanni Paolo II servitore della Parola”, in sostanza l’obiettivo, non molto velato, è attaccare alcuni politici per osannarne altri. Sappiamo bene, che il contesto conta molto di più che le parole. E il contesto è che, secondo una certa vulgata cattolica, ci sono politici che meritano rispetto, e se possibile anche il voto dei cattolici, perché non sono così rozzi da strumentalizzare la propria fede e i relativi simboli, in pubblico e politici da denigrare. Politici che, proprio in virtù della loro equidistanza dal Vangelo, possono aspirare a diventare, a pieno titolo, uomini delle Istituzioni che, secondo la lezioncina di taluni, sono laiche. Guai quindi a chi si permettesse di richiamare in luoghi pubblici, che non siano le chiese, parole, simboli o persone sacre. Per costoro, i simboli religiosi, non si capisce per quale ragione devono rimanere nascosti nell’ambito privato (sarà perché, così nessuno li vede?). Ma il Signore non aveva detto: “quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti”? Comunque senza voler scomodare il Signore Gesù, qual è quell’azienda che voglia vendere i suoi prodotti, senza sentire prima il bisogno di presentarli, magari sottolineandone gli aspetti benefici? Fuor di metafora. I simboli, in genere, hanno lo scopo di veicolare un messaggio in modo semplice ed immediato. Questo lo è ancor di più per quelli cristiani che, essendo la religione del Verbo incarnato, ha fatto della comunicazione il suo punto di forza. Quindi, a maggior ragione, nell’epoca in cui viviamo, fondato essenzialmente sulle immagini, noi cristiani dovremmo “approfittare” di questa congiuntura favorevole per veicolare il messaggio contenuto nei nostri simboli. Certo, le parole di Gesù, la sua vita, la sua morte e risurrezione ci insegnano che brandire un simbolo, o un’appartenenza formale ad un consesso, non basta a che, come d’incanto i contenuti a cui essi rimandano, si realizzino. Tuttavia in un tempo nel quale, il politicamente corretto monopolizza la scena culturale, sociale, politica e mediatica, esporre un simbolo può fare la differenza per riscaldare il cuore di molti. Tanto più se, certi messaggi, mediatici, oltre essere una legittima bandiera per confermare i propri consensi elettorali (non facciamo le anime candide, perché in campo politico ognuno utilizza le proprie bandiere), possano indicare una strada per uscire da questo clima da guerra civile permanente. E poi se fossi libero fino in fondo al lettore avrei risposto: finché siamo liberi di farlo facciamolo pure, perché se dovesse arrivare qualche norma dello Zan di turno (parlamentare che ha promosso la proposta di legge contro l’omofobia) ci sarà meno libertà per tutti. Oppure, meglio esporre i simboli religiosi, anche a rischio di “strumentalizzarli”, che rimanere silenti nei confronti di chi li abbatte con violenza. *