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Fabio Mirino: Credo ut Intelligam - Sant’Anselmo maestro di Fede Razionale.


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Siamo nell’alto Medioevo, Anselmo nasce ad Aosta nel 1033 da nobile famiglia, da cui però si allontana presto per entrare nell’ordine benedettino, nell’abbazia di Notre-Dame du Bec nel 1060, di cui divenne in poco tempo priore e grazie al suo talento amministrativo nel 1079, esercitato nelle relazioni con l’Inghilterra, divenne Arcivescovo di Canterbury nel 1093. Nella sua vita si occupò di varie argomentazioni sul piano teologico e filosofico sostenendo sempre il primato della Ragione, ma considerando la Fede superiore ad essa, in quanto, laddove la ragione umana non riuscisse ad arrivare a causa dei limiti a cui il peccato originale l’ha condannata, la Fede doveva prevalere. Da qui la celebre frase “Credo ut Intelligam” dove prima viene la Fede e poi la Ragione. La traduzione di tale espressione non si distacca da quella utilizzata da Agostino. Il credo per capire è ribadito in Anselmo, ma a scanso di equivoci, non è la fede in sé che primeggia sulla ragione, ma è la ragione che alimenta un atto di fede e laddove, semmai ci fossero casi che la ragione non potesse spiegare, la Fede non andrebbe messa in discussione. La verità è che il fedele medioevale era convinto che senza la ragione non si poteva arrivare ad avere una fede cosciente.

Anselmo è spesso ricordato per le sue prove, una apriori e una a-posteriori, dell’esistenza di Dio. Apriori intendeva prima dell’esperienza, dunque una prova a partire dal pensiero; per a-posteriori intendeva dopo l’esperienza, ossia partendo dalla realtà umana si poteva risalire a Dio. Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

La prova apriori consisteva nel fatto che se si può pensare Dio, lo si pensa certamente come qualcosa di “cui non si può pensar qualcosa di più grande”. Dal momento che l’idea di Dio è l’idea della perfezione espressa “come ciò di cui non si può pensare il maggiore”, bisogna ragionevolmente ammettere, che il perfetto non può mancare di qualcosa come l’esistenza. Se Dio è il Perfetto e il Perfetto non manca di nulla, allora Dio esiste perché la perfezione non può non esistere, in quanto mancherebbe in qualcosa, ossia nell’esistenza stessa. Interessante è l’obiezione che gli mosse un suo contemporaneo, il monaco Gaunilone.

Egli sostenne che non deve per forza esistere una cosa per il semplice fatto che la pensiamo, cioè che sia nell’intelletto. Gaunilone, approcciando alla questione secondo una logica aristotelica, che a differenza di quella neo-platonica non fa coincidere essere e pensiero, vale a dire che il pensiero può essere una vuota rappresentazione della realtà, ritiene necessario dimostrare l’esistenza di un qualcosa prima di dichiarare che deve necessariamente esistere. Così porta l’esempio di un’isola che non esiste dicendo che non basta pensarla per dichiarare che esiste. Questo ragionamento verrà poi ripreso da San Tommaso d’Aquino che, introducendo la distinzione essenza-esistenza, per dimostrare come la tesi di Anselmo non possa essere accettata sul piano ontologico, in quanto, pur essendo vero che si possano avere idee per astrazione, dal particolare all’universale, è necessario dimostrare l’esistenza di tale idea partendo dai dati sensibili. Questo aspetto, necessita tuttavia di un ulteriore approfondimento, che verrà fatto nel prossimo articolo, dedicato proprio a San Tommaso. Cartesio, invece riproporrà la tesi di Anselmo, ma concependo Dio come ente perfetto. Kant contrasterà Anselmo con l’argomentazione dei cento talleri dicendo che la differenza tra cento talleri immaginari e cento talleri reali è l’esistenza, dunque, pur rimanendo cento talleri alcuni esistono altri no. Dio, anche se lo penso perfetto non è detto che esiste, poiché potrebbe essere come quei cento talleri immaginari. Si rende necessaria allora la prova pratica dell’esistenza di Dio. In questo dibattito la risposta di Anselmo, che aveva già confutato l’obiezione di Gaunilone nel suo primo ragionamento, sostiene che tale ragionamento vale solo per Dio, ma non in quanto pensato come “perfetto”, dunque al positivo, ma come Colui di “cui non si può pensare il maggiore”, dunque al negativo.  Ciò significa, secondo Anselmo, che se Dio è pensato come “Colui della quale non può essere pensato il maggiore”, tale pensiero implica che il massimo non può mancare dell’esistenza, altrimenti non potrebbe essere pensato come il maggiore. Altro è invece dire che Dio è il più grande, il perfettissimo, perché questo non implica che esiste, in quanto potrebbe essere come i cento talleri immaginari, per dirla con Kant. In effetti, a rigor logico, Anselmo ha ragione. Solo in riferimento a Dio, la ragione trova la stessa importanza della fede, in quanto Dio è veramente il pensiero perfetto, poiché non vi è pensiero maggiore. San Bonaventura aveva intuito la grandezza di tale argomentazione, partendo da un ragionamento basilare: il pensiero dell’Essere non può contemplare la non-esistenza. Qui il piano logico è ancorato, platonicamente, alle parole, che rivelano un piano ontologico (la verità sta nelle parole sostiene Platone nel Cratilo). Tutto ciò fa notare l’errore in cui Cartesio, pur riprendendo il ragionamento di Anselmo, è caduto, affermando Dio come essere perfettissimo al positivo. Facendo così e non potendone dimostrare l’esistenza, a causa del rifiuto della logica tomista (che parte dal visibile per dimostrare l’invisibile), relegherà Dio, la Res Cogitans (la cosa pensata) solo nel mondo ideale separandola dalla Res Extensa (la cosa estesa) dalla materia. Questo modo di ragionare porterà all’errore hegeliano (idealista) che altro non è che l’eco di quello cartesiano, con l’aggravante che esso ha generato una ulteriore divisione tra realtà ed idea che, per esasperazione, ha condotto al positivismo logico nella sua doppia faccia, quella idealista in senso spirituale e quella idealista in senso materiale, ossia: da un lato si ritiene l’idea superiore alla realtà, ricadendo nella gnosi neo-platonica; dall’altro si ritiene la realtà superiore all’idea, cadendo nell’eresia materialista di matrice marxista (nel versante hegeliano di sinistra) che conduce all’esistenzialismo, all’esasperazione della terra, ad una gaia scienza (Nietzsche docet) che riduce Dio ad un modello puramente umano, un superuomo, un supereroe che fonda la nuova religione della terra, un dionisismo cristiano che altro non è che la morte del Dio Cristiano Vero (una sorta di nichilismo come fenomeno religioso avrebbe detto G. Scholem). Con tutto ciò si vuole dire che il ragionamento al negativo di Anselmo non è lo stesso di quello al positivo di Cartesio, di Kant e di Hegel, che son caduti nell’errore interpretativo di Gaunilone. San Tommaso, al contrario degli altri, non parte da questo presupposto, ma da un ragionamento che prevede una classificazione, una distinzione, persino nella terminologia, arrivando a dimostrare ciò che Anselmo, partendo da un ragionamento negativo, ha dimostrato per assurdo, ossia la falsità di chi nega l’esistenza di Dio pensandolo, poiché “non vi è” pensiero maggiore. Tutto questo, però, non può valere per il creato.

Se pensiamo ad uno scultore che pensa, davanti ad un blocco di marmo, ad una statua, si può dire che ancora la statua non esiste se non nella sua mente. Questo perché quel pensiero non è perfetto in sé come il pensiero di Dio, in quanto ci sarà sempre qualcosa di maggiore sul piano del sensibile. Potrei pensare un’isola bella, ma non è detto che esista o se esistesse potrei pensare ad una ancora più bella una volta conosciuta. Fino a quando siamo sul piano delle creature (isole, persone, statue, dipinti, ecc…) l’argomento apriori non è valido, ma se pensiamo Dio, lo pensiamo come il non plus ultra che ovviamente non può mancare nell’esistenza altrimenti non sarebbe il maggiore pensabile e la mente potrebbe pensare qualcosa di migliore. Anselmo così dicendo afferma il primato della Ragione che pensa Dio.

Ciò che invece può valere sul piano creaturale è la funzione che esso esercita per aiutarci a risalire a Dio. Qui vi è la prova a-posteriori. Anselmo fa notare che nella vita umana tutto procede per comparazione. Qualcosa sarà più o meno bella di un’altra, più o meno buona, più o meno alta, più o meno perfetta. Ora, se si accetta che vi è sempre il migliore o il peggiore, dobbiamo accettare logicamente che vi sarà un insuperabile, il perfetto, e questo è Dio che eccelle in tutto al di sopra di ogni creatura. Così dicendo abbiamo confermato la prova apriori partendo da quella a-posteriori, determinando che esse conducono alla fine, logicamente, allo stesso punto: Dio esiste perché non-superabile. Il ragionamento a-posteriori ha confermato quello apriori espresso al negativo.

Abbiamo, dunque, due piani di dimostrazioni: uno apriori e uno a-posteriori, ed entrambi, cercano di dimostrare l’essere di Dio, dimostrarlo ontologicamente, ossia che esiste il suo Essere, e questo lo fa sul piano logico, sul piano della Ragione. Ci si potrebbe chiedere a questo punto: dove sta allora la priorità della Fede? La Fede, Cristiana per Anselmo, è l’ambito in cui l’umano si muove, poiché Dio è un pensiero che nasce da una fede: esiste la perfezione. Il pensare Dio è già credere che vi è una perfezione, anche solo come desiderio di perfezione, in quanto non si può desiderare ciò che si crede che non esiste. Dunque Anselmo pone la fede per prima, per ristabilire l’ordine a cui la ragione si sottomette, in quanto la fede in Dio abilita la ragione a muoversi in una direzione che conferma la fede che ti fa pensare, comprendere, che esiste il Dio Perfetto. La fede cristiana diventa per Anselmo l’espressione della perfezione assoluta di Dio. Si può anche dire che ciò che fa pensare l’Essere di cui maggiore non vi è, è la ragionevolezza delle fede cristiana stessa. Questo ovviamente non è detto a chiare lettere da Anselmo, ma a mio modesto parere ne è una conseguenza logica. Vediamo in che senso, seguendo sempre il suo ragionamento.

Nel Medioevo si usava una espressione: Deus semper major. Dio sempre maggiore. Come può, ci si chiedeva, Dio che è perfetto, insuperabile, essere maggiore se è già ciò che non si può superare? La risposta è nell’incarnazione. Dio si è fatto maggiore facendosi il suo opposto, facendosi Uomo. Qui allora il ragionamento di Anselmo che sancisce la perfezione, non solo di Dio, ma della religione cristiana, che possiamo esprimere così: se Dio lo penso, penso la perfezione e il perfetto deve esistere e non può mancare di nulla. Il Dio perfetto, pensato e creduto prima del cristianesimo, mancava di qualcosa, aveva tutto, l’esistenza, la bontà, la giustizia, tutto, tranne una cosa: l’umanità. Il Dio cristiano non manca di nulla, perché oltre ad essere il Dio Perfetto è anche l’Uomo Perfetto. La Fede nell’incarnazione è allora ragionevole e siccome l’incarnazione è oggetto della fede cattolica, allora per deduzione logica, la fede cattolica è ragionevole. Ed è proprio l’incarnazione che sancisce la ragionevolezza della logica aristotelica, in quanto il sensibile è ora assunto da Dio e da questo si può partire per risalire alla sua Perfezione. Il tomismo dirà logicamente che i sensi attraverso la quale conosco il reale, che mi conduce a Dio, sono gli stessi sensi che Dio ha assunto. San Tommaso fonda il suo ragionamento sulla fede nell’incarnazione, rendendo così ragione ad Agostino, ad Anselmo, pur non accettando il loro punto di partenza come definitivo. È questo ciò che distingue il pensare cattolicamente da tutti gli altri modi di pensare: nella cattolicità le verità si danno appuntamento nella Verità, poiché laddove si hanno dei dubbi, dare priorità alla fede non significa annullare la ragione, ma aspettare che essa si sforzi di comprendere ciò che crede in modo che quella fede non si spenga nell’ateismo radicale del pensiero stesso o nel fideismo cieco. È dovere del pensar cattolicamente, oggi soprattutto, ricucire il filo rosso, che lega il pensare di Agostino, di Anselmo, di Bonaventura, di Tommaso e di tutti quei pensatori che si sono messi sulla scia della Tradizione Cattolica, in modo che vengano confutati e annullati tutti quei modi di pensare che, seppur legittimi, hanno separato anziché unire, hanno disperso anziché raccogliere. Per far questo è necessario conservare la Fede, porre prima il Credo e poi Intelligam, esattamente l’opposto del pensiero eretico che pone prima la ragione per poi affermare di credere in ciò che i suoi limiti gli hanno imposto di credere. Per esprimermi al contrario di Kant, che definii illegittimo il metodo di Anselmo, ossia quello di passare dal piano logico al piano ontologico, dico che è lecito passare dal piano logico a quello ontologico, ma se e solo se si presuppone la Fede al comprendere, se e solo se non si limita la fede alla ragione, ma al contrario se si limita la ragione umana alla Fede Cattolica, ossia alla Vera Ragione. È sottile la distinzione, ma è fondamentale comprendere l’errore kantiano e prima di questo quello cartesiano, in modo che si riscopra la Verità della Fede Cattolica, ossia quella di essere la Vera Ragione che rende ragione ad ogni esistenza, al creato in tutte le sue manifestazioni. 

Credo per Capire è così l’invito di Sant’Anselmo a non smettere di avere fiducia nella Fede ricevuta, ma di sforzarsi di capire, con la ragione, che essa trova il suo Principio nella Ragione perfetta, che è il Dio fatto Uomo, che ha creato esseri ragionevoli a sua immagine e somiglianza e che si è fatto come loro. Le prove del Santo sono chiamate ontologiche, ossia essere-logico, discorso logico sull’essere, su Dio e sulla fede in Lui che ce lo fa pensare, dire, pregare e celebrare con la Ragione, con la ferma fede che essa è capace di Dio.  

 

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