Padre Vladimiro Caroli: " CARITÀ E VERITÀ NELL’ANIMA DI SAN DOMENICO"
1) Cos’è la carità.
Poiché desideriamo comprendere in che modo viva la carità in un’anima tanto santa, come quella di San Domenico, tentiamo di darne una definizione, per capire bene dall’inizio cos’è la carità. E lo facciamo con l’aiuto di San Tommaso d’Aquino[1].
«La carità è l’amore di Dio con cui lo si ama come oggetto di beatitudine»[2] e mediante cui «ci uniamo»[3] a lui «come a ultimo fine»[4].
Tutte le creature hanno un proprio fine, una certa natura, una specie di Dna, per il quale esse sono come un progetto che giungerà al pieno sviluppo di questa loro natura. Ed è questo il fine e il bene al quale ciascuna cosa si dirige e che in qualche modo desidera: c’è in tutte le cose un appetito del bene, cioè del loro proprio e pieno sviluppo. Infatti si dice che «il bene è “ciò che tutte le cose appetiscono”[5]»[6].
2) Come può l’uomo conoscere e amare il proprio fine e il proprio bene.
Nell’uomo, però, c’è una particolare luce che gli indica il bene ultimo da raggiungere: cioè il fine migliore ma anche specifico e proprio dell’uomo, quello della beatitudine, della felicità senza fine. Per questo la carità è un amare Dio come oggetto della nostra beatitudine o felicità di uomini in quanto uomini, cioè in quanto creature dotate di ragione, cioè creature in cui Dio ha posto una luce davvero unica per farci vedere il bene: l’intelletto, cioè l’anima razionale.
Questo significa che in noi non c’è una natura che si sviluppa automaticamente verso il proprio fine ultimo, come nelle piante che nascono, crescono e si distruggono. Il bene nostro proprio e specifico non è solo quello di nascere, crescere e finire nella corruzione del terreno, al fine di fertilizzare altre piante. Dentro di noi c’è una luce che ci fa vedere un bene più grande al quale siamo destinati in modo specifico, un fine beato, felice e immortale. «Perciò in Sal., 4, 6-7, si dice: “Molti dicono: Chi ci fa vedere cose buone?”. A questa domanda il salmista risponde: “È impresso su di noi, o Signore, il lume del tuo volto»[7]. E questa luce del volto di Dio che è impressa dentro di noi, per farci vedere il bene, è «il lume intellettuale»[8], dice San Tommaso, o «la ragione»[9], che è lo stesso.
Il ben vivere di un uomo, cioè la bontà dell’intera vita di un uomo, allora, dipende dall’aver capito che la verità di Dio, scritta nelle cose, nella legge che Dio ha impresso nella natura di tutte le cose, è una verità che le altre creature eseguono, ma che solo l’uomo può leggere e rispettare in modo pienamente consapevole, mediante il lume creato dell’intelletto che egli riceve da Dio come facoltà propria della sua stessa natura. Ma l’uomo non rispetta la legge scritta nelle cose create come se fosse una cosa indifferente per lui, una cosa della quale all’uomo non dovrebbe importare nulla. Questa legge scritta da Dio nel creato – così come anche quella rivelata dal Verbo di Dio incarnato e fatto uomo per noi e poi insegnata dagli Apostoli e dalla Santa Chiesa – va seguita perché essa guida verso le cose buone di cui parlava il salmista, cioè verso il bene dell’uomo in quanto uomo: la vita e la beatitudine eterna, che è il fine buono e felice più di qualsiasi altro bene. Ecco perché Dio non può davvero essere amato dall’uomo se non quando questi lo ama al di sopra di tutto, anche della propria stessa vita. Tuttavia, tutto ciò si può ricavare dal creato o impararlo dall’insegnamento di Gesù Signore e degli Apostoli, mediante l’osservazione delle creature e mediante l’ascolto della predicazione apostolica, giunta fino a noi. Ma non bastano la vista e l’udito.
Infatti, anche gli animali sono dotati di vista e di udito in abbondanza, ma per conoscere i beni eccelsi destinati all’uomo bisogna sì vedere con gli occhi o udire, ma poi bisogna anche poter leggervi dentro quelle verità e quegli insegnamenti che ci guidano verso Dio. Quindi, c’è bisogno dell’intelletto. E infine, per poter seguire la legge che scopriamo nel creato e anche quella che ci viene rivelata dalla predicazione del Signore, è necessaria la volontà. Ed è così che l’intelletto e la volontà dell’uomo diventano buoni, cioè adatti a guidarci verso la beatitudine, inquanto sono facoltà ricevute da Dio per scoprirlo, amarlo come oggetto della nostra beatitudine e per ottenere la quale osserviamo le sue leggi.
Quando, dunque, il Salmista, alla domanda chi ci farà vedere il bene, risponde che Dio ha impresso in noi la luce del suo volto, è «come se dicesse: “Il lume della ragione, che è in noi, intanto può mostrarci le cose buone e regolare la nostra volontà, in quanto tale lume è la luce del Tuo volto, cioè derivata dal Tuo volto”»[10].
3) La verità e la carità che San Domenico ha amato e insegnato
Tuttavia, affinché gli uomini possano imparare più facilmente a conoscere le verità su Dio, quelle che tutti noi amiamo non appena comprendiamo che esse ci guidano al nostro Sommo Bene, bisogna che qualcuno ci aiuti e ci faciliti un compito tanto importante e che, quindi ci insegni le verità di Dio, sia quelle scritte nella natura sia, poi, quelle rivelate. Questo aiuto nei confronti di chi vuol conoscere e credere in Dio è un’opera di carità. Ed è questo che accadde nell’anima e nella vita operosa di San Domenico.
San Domenico, dice Dante, fu «tutto»[11] di Dio fin dalla nascita. Già gli occhi «de la sua nutrice»[12], si accorsero di un fanciullo capace di sacrifici generosissimi, in testimonianza dell’amore di carità che accendeva San Domenico di amore per il nostro Sommo Bene, qual è Dio.
Fu naturale, dunque, per San Domenico, non solo amare Dio, ma amare il suo prossimo, affinché anche coloro che egli incontrava potessero conoscere la Verità di Dio. Ogni uomo ha, per natura, come abbiamo detto, una luce che gli mostra la suprema importanza, per la sua vita, di onorare e amare Dio e adempierne la volontà; ma ci sono molte strade sbagliate, sette, errori, che portano le anime lontano dalla meta vera e piena di cose buone di cui parlava prima il salmista. Ecco, dunque, quale fu il desiderio di carità di San Domenico. Poiché gli uomini, in quanto uomini, giungono ad amare Dio più facilmente e come si deve solo mediante un buono ragionamento, egli volle spendere tutta la sua vita affinché tutti gli affamati della verità di Dio potessero cibarsi in modo sano e imparare ad amare Dio così come lui stesso, San Domenico, fin da piccino lo aveva amato e servito.
Questo è, dunque, il senso profondo con cui talvolta si riassume l’anima e, quindi, la missione specifica di San Domenico e del suo Ordine: Fate la carità della verità!
[1] San Tommaso è certamente il più grande tra i figli di San Domenico e che meglio ha saputo illustrare con profondità e robustezza di spiritualità e ragionamento sia tutta la teologia cattolica (è detto Norma dei teologi) sia anche l’intuizione di San Domenico e della prima generazione di frati dell’Ordine domenicano. E poiché citeremo spesso la sua opera principale (la celebre Summa), consigliamo l’edizione più recente, frutto di nove anni di lavoro di un assai rinomato studioso: San Tommaso d’Aquino, Somma di Teologia, a cura di Fernando Fiorentino, 5 voll., Roma, Città Nuova, 2018-2019. È un’edizione ricca di apparati, tra i quali anche gli indici analitici e gli elenchi curati dal sottoscritto.
[2] San Tommaso d’Aquino, Somma di Teologia, I-II, q. 65, a. 5, 1um. D’ora innanzi, per brevità, non menzioneremo più né autore, né titolo, secondo una ben nota maniera di citare la Summa.
[3] I-II, q. 72, a. 5.
[4] I-II, q. 89, a. 1, 3um.
[5] Aristotele, Et. nic., I, 1.
[6] I, q. 5, a. 1.
[7] I, q. 85, a. 5.
[8] Ib.
[9] I-II, q. 19, a. 4.
[10] Ib.
[11] Dante Alighieri, Paradiso, c. XII, v. 69.
[12] Ib., v. 77.
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