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Chi è il mio prossimo? Chi è mio fratello? Interviene il biblista S. Sandro Carbone


Claudio C.

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Nell’Antico Testamento (AT) ebraico i termini prossimo (reaˁ ) e fratello (ˀakh) praticamente coincidono. Il termine prossimo significa “Colui che ti sta vicino”: è insomma un uomo con cui ho a che fare, senza che ciò implichi particolari vincoli parentali. Può essere il vicino (Es 11,2); l’amico (2Sam 13,3), il prossimo (Es 2,13; At 7,27), il proprio simile (Pr 6,1), o semplicemente “l’altro”. Tutti costoro però vivono all’interno della sfera dell’alleanza di JHWH (cfr U. Falkenroth, DCBNT, 735).

 

Anche il comandamento dell’amore: “amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18) riguarda i membri del proprio popolo di Dio. La considerazione per lo straniero nel capitolo 19 del Levitico è aggiunta solo alla fine del discorso (al v. 34 di 37).

Ma mentre “fratello” in tutto l’AT indica sempre e solo il membro del popolo eletto, il termine “prossimo” invece subisce una evoluzione semantica di tipo universalista, venendo a designare il proprio simile in generale ed il proselito in particolare, cioè ogni uomo in quanto possibile soggetto di conversione. Questo soprattutto nei LXX (la traduzione greca più antica dell’AT che data dal 300 a.C.).

Il termine “fratello” resta invece strettamente vincolato ai limiti dell’alleanza e dell’appartenenza al popolo eletto.

La cosa non cambia affatto nel Nuovo Testamento (NT), che usa sempre e solo i termini dell’AT (soprattutto nell’accezione data dalla LXX), senza mutarne mai il significato, eccetto il caso in cui questo sia stato fatto direttamente da Gesù. La fedeltà terminologica degli agiografi del NT è simile a quella dei Padri della Chiesa e dei primi sette Concili Ecumenici, che nelle loro definizioni dogmatiche non si permettevano mai di usare termini che non fossero già contenuti nella Sacra Scrittura.

Gesù si permette di  mutare un poco il significato di questi due termini a partire da … Lui stesso in persona. Chi è il prossimo nella parola del Buon Samaritano? “Colui che ha avuto compassione di lui” si legge nel testo di Lc 10,37. Ora l’espressione “colui che ha compassione di… “ nel Vangelo di Luca è usata solo per designare l’atteggiamento di Gesù verso gli uomini. E chi denota nella tradizione evangelica il termine Samaritano? Ancora Gesù (cfr Gv 8,48).  Solo Gesù infatti è in grado di dichiarare superate le barriere legali giudaiche e di venire incontro al povero pagano assalito dai demoni e lasciato semi morto lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico. Lui solo è in grado di abbattere il muro di separazione che esiste tra i due popoli per mezzo della riconciliazione che Egli ha operato sulla croce (cfr Ef 2,14-18).

In conclusione, il discepolo diventa prossimo di qualcuno quando si prende cura di lui come ha fatto Gesù, nel senso di imitarne non solo l’atto, ma anche la modalità di azione, che nella sua complessità ora qui non stiamo ad esaminare, ma che comporta sempre un tentativo di suscitare una risposta di fede o di abbandono fiducioso.

Va’ e anche tu fa lo stesso (Lc 10,37), significa che il cristiano deve essere “Gesù” per ogni uomo che si imbatte nel suo cammino. Questo è il suo prossimo: l’universale destinatario del messaggio di Gesù di cui è latore,  da lui concretamente incrociato.

Per il termine fratello invece la dinamica non cambia di molto rispetto all’AT. Infatti anche per il NT il termine fratello si riferisce solo e sempre ai membri dell’alleanza. Come abbiamo detto nell’articolo precedente pubblicato in Stilum Curiae (Che tutti siano Uno,) nel NT il termine fratello designa innanzitutto il comune rapporto col corpo di Cristo nel quale i discepoli del Regno sono inseriti mediante il battesimo ed il dono dello Spirito Santo.

Secondo il NT infatti vi sono delle diversità fondamentali tra il comportamento che il cristiano deve tenere verso il prossimo e quello che deve avere verso il fratello.

Se verso il fratello di dice di non mescolarsi con i fratelli impudichi, ma di “togliere il malvagio di mezzo a voi” (1Cor 6,12), e “questo individuo sia dato in balia a satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (1Cor 5,5);  del prossimo invece si dice che bisogna comunque convivere anche con gli impudichi, gli avari e gli  idolatri, “altrimenti dovreste uscire dal mondo!” (1Cor 6,10) e di farsi tutto a tutti “con la speranza di salvarne qualcuno” (1Cor 9,22).

Se del prossimo si dice che ciascuno sarà giudicato in base alla testimonianza della sua stessa coscienza che ora lo accusa, ora lo assolve, per mezzo di Gesù Cristo e del vangelo predicato dagli apostoli (cfr Rom 2,15), dei fratelli si dice : “esaminate voi stessi se siete nella fede, mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi? A meno che la prova non sia contro di voi. E se si, spero almeno che riconosciate che essa non è contro di noi!” (2Cor 13,5), e che i figli del Regno saranno giudicati in base a come hanno saputo far rendere i talenti che Cristo ha dato a loro (Mt 25,14-30), in base ai frutti che hanno prodotto (Gv 15,8) e come hanno saputo perseverare sino alla fine ( cfr Lc 21,19).

Se del comportamento verso prossimo si dice: la vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4,5), “perché la tristezza del mondo produce la morte” (2Cor7,10), del comportamento verso io fratelli si dice: “noi siamo pronti a reprimere ogni disobbedienza, appena la vostra obbedienza sia perfetta “ (2Cor 10,6 ), “perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza” (2Cor 7,10). Perciò verso di voi dobbiamo agire severamente, con il potere che Cristo  ha dato a noi [apostoli] per edificare e per distruggere (cfr 2Cor 13,10).

Se del prossimo si dice: “ama il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,31), comandamento base della Legge antica e fondamento dell’amore naturale e carnale degli uomini come creature di Dio (cfr 1Cor 2,13ss.) del fratello si dice: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; cfr Gv 15,17), comandamento che fonda l’amore infra-ecclesiale tra membra che formano un solo corpo in Cristo. Gesù Cristo è il primogenito di ogni creatura  .. ed è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa. Il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti… (Col 1,16.18).

Se dei fratelli si dice che sono tutti membra del corpo di Cristo (1Cor 12,27: ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte), perché siate uno in Cristo come il Padre è uno con il Figlio (cfr Gv 17,11),  del prossimo invece si dice: “salvatevi da questa generazione perversa!” (At 2,40); “non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli!” (2Cor 6,14.17) e vivete nel mondo: “come stranieri e pellegrini .. la vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere buone giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1Pt 2,11-12; cfr Eb 13,13).

Proseguendo su questa linea molto comune a tutti gli scritti del NT, potremmo aggiungere che esiste anche una modalità di sviluppo orizzontale, diciamo così, del termine fratello. Infatti, mentre diventa prossimo chi è oggetto terminale dell’azione caritativa-missionaria del fratello, può diventare fratello nell’escaton, cioè entrare nel Regno di Dio, colui che fa un’azione caritativa verso i fratelli più piccoli del Signore. Un pagano diventa prossimo se si lascia aiutare da un fratello, ma diventa fratello nel Regno se aiuta un cristiano. “Chiunque avrà dato un solo bicchiere d’acqua ad uno di questi miei fratelli più piccoli perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa”(Mt 10, 42).

I “fratelli più piccoli” del Signore, termine che nel vangelo di Matteo designa sempre e solo i discepoli di Gesù, sono infatti coloro che sono costantemente perseguitati, discriminati, imprigionati, malati, poveri, ignudi, affamati e assetati (cfr Mt 25,31-46). Allora chiunque li accoglie e li aiuta è come se accogliesse Cristo in persona, perché “Dio .. ha messo gli apostoli all’ultimo posto, come condannati a morte” (1Cor 3,9 ). Se Gesù ha detto : “chi non è contro di noi è per noi” (Mc 10,40) e “chi accoglie voi accoglie me” (Mt 10,40), a maggior ragione può dire chi aiuta voi aiuta me (cfr Mt 25,45).

Se per far diventare prossimo un uomo occorre mettere in atto un complesso e impegnativo cammino di guarigione e di liberazione, nella speranza che qualcuno diventi anche fratello accogliendo non solo l’opera caritatevole del discepolo, ma anche e soprattutto la Parola di Gesù che egli incarna, per far diventare  invece un pagano fratello basta che il discepolo di Gesù si lasci aiutare nella sua croce che porta come perseguitato dal mondo (hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi: Gv 15,20). E a questo fine il vero discepolo deve imitare veramente lo stile di vita apostolico  accettando di essere il povero in spirito, l’affamato, l’assetato, lo straniero, il malato, il carcerato, in una parola  il perseguitato dal demonio e dagli uomini di questo mondo, nonché dai falsi fratelli  (cfr 2Cor 11,26), come Gesù.

Non deve tanto fare, ma essere. Paradossalmente, ma non troppo, si può dire che il discepolo non deve preoccuparsi tanto di accogliere gli stranieri, quanto di accettare lui stesso di essere straniero; non tanto di dar da mangiare agli affamati, quanto di accettare lui stesso di diventare affamato, assettato ….. per amore di Gesù: “io non ho né argento, né oro, ma quello che io ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina” (At 3,6).

Non deve cercare potere, ricchezza affermazione.. ma di restare sottomesso a tutti e servo di tutti per realizzare quella parola di Paolo: “noi apostoli siamo diventati la spazzatura del mondo” (cfr 1Cor 4,13) e: “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mc 10,45);  e vivere ed agire nella potenza dello Spirito (cfr 1Cor 2,4). La vera azione caritativa, che è un obbligo inderogabile, è verso i propri fratelli nella fede: “da questo sapranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altr”i (Gv 13,35), perché costituisce una testimonianza che può far diventare il prossimo fratello (cfr Gc 2,16).

In realtà noi apostoli siamo la spazzatura del mondo, dice San Paolo; ma Paolo è la spazzatura del mondo, perché lui stesso ha considerato spazzatura tutto il mondo per avere Cristo (cfr Fil 3,8) che il mondo considera scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,21), per non avere nessun altro vanto che nella Croce di Cristo (cfr Gal 6,14).

E questa è esattamente anche l’esegesi di San Francesco, che ha chiamato i suoi frati “minori” proprio a partire da questa imitazione di Cristo, e proprio su questo termine ha fondato la modalità di presenza e di missione dei suoi frati nel mondo, come veri discepoli di Gesù.

Don Sandro Carbone

biblista

Ripreso dal Blog di M. Tosatti. Stlum Curiae

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