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  1. A settembre del 2018 papa Francesco convocò in Vaticano i presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo per un Summit dedicato agli abusi sessuali operati all’interno della Chiesa. L’incontro si svolse a febbraio del 2019. Nell’aprile di quell’anno il papa emerito Benedetto XVI decise di contribuire al dibattito pubblicando sul giornale tedesco Klerusblatt un testo destinato a far più rumore degli stessi interventi del vertice vaticano. I cosiddetti “Appunti” del papa Emerito furono accolti con stupore e con sorpresa ma generarono le reazioni scomposte di chi ha considerato l’intervento di Benedetto un affronto al Pontefice regnante e una intromissione nella Sua gestione (ed interpretazione) della crisi degli abusi sessuali. Reazioni stizzite e rabbiose quelle di coloro che avrebbero preferito un Emerito in religioso silenzio per il resto dei suoi anni. Eppure non sarebbe l’ultima volta che papa Benedetto avrebbe deciso di intervenire pubblicamente su un tema di fondamentale importanza contribuendo con le sue riflessioni al dibattito intra-ecclesiale: nel gennaio 2020 il suo testo sul celibato, pubblicato assieme al card. R. Sarah fuconsiderato da molti suoi nemici un “attentato” teologico al dibattito in corso durante il Sinodo dell’Amazzonia (conclusosi, da quel punto di vista, con un nulla di fatto).La sterile polemica sugli Appunti contribuì a derubricare i fatti come semplici bagarre clericali e ad far passare quasi inosservato un testo che merita ben altra considerazione. Il testo di Benedetto XVI resta un’acuta e profonda analisi dei motivi che stanno alla radice di quello che l’Autore definisce il progressivo “collasso morale” che ha coinvolto la società e la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Il nucleo degli Appunti è racchiuso nell’appello pressante per un ritorno a Dio, ad “anteporlo e non presupporlo”, perché Dio rischia ormai di scomparire dalla nostra società ma anche dalla teologia e dalla vita dei sacerdoti. Ritrovare col primato di Dio per rispondere alle sfide del permissivismo o della logica funzionalistica, che dopo la rivoluzione sessuale del 1968 ha investito l’Occidente. Un testo acuto e documentato, un appello impellente, frutto della riflessione di uno dei teologi più rappresentativi degli ultimi decenni, un sincero contributo di colui che per otto anni ricoprì il soglio di Pietro… eppure un testo che fino ad oggi non sembra aver meritato l’attenzione dei teologi né degli esperti di categoria.Ecco dunque la meritevole iniziativa dell’editore Cantagalli di offrirci un commento a più voci del testo del papa Emerito. Nel volume “Chiesa sotto accusa”, curato da Livio Melina e Tracey Rowland, sono raccolti (oltre al testo integrale degli Appunti) diversi saggi scritti da esperti di grande spessore teologico e culturale come il card. Ruini e i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II di Roma: Granados, Noriega, Pérez-Soba e Kampowski. Non poteva mancare il prezioso contributo di don Fortunato di Noto che da anni combatte sul campo la piaga della pedo pornografia. Mentre la professoressa Gabrielle Kuby, sociologa tedesca autrice dell’imperdibile “Rivoluzione Sessuale”, offre un’ulteriore analisi delle disastrose conseguenze del sessantotto anche all’interno della Chiesa Cattolica. Contribuiscono ad impreziosire l’opera i testi dei vescovi G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, R. Voderholzer, di H.-B. Gerl-Falkovitz, A. Diriart, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev e N. Bux*. Prefazione di Georg Gänswein. Saggi di: Card. C. Ruini, R. Voderholzer, G. Crepaldi, S.J. Aquila, J.A. Reig Pla, H.-B. Gerl-Falkovitz, J. Granados, J. Noriega, J.J. Pérez-Soba, A. Diriart, S. Kampowski, F. Pesci, J. Saward, P. Syssoev, N. Bux*, G. Kuby, F. Di Noto. *"Il dissenso sulla natura della liturgia"
  2. “Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura”. Secondo il Card. Biffi, passato a vita eterna il 2 Maggio di qualche anno fa, il messaggio di Pinocchio era profondamente cattolico. La Fata Turchina? «È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna». Lucignolo? «È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco». E il diavolo dov'è? «Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio». «Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana – spiega il cardinale Biffi – comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero”. La storia del racconto-fiaba è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino. Le avventure di Pinocchio raccontano la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza. La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti, è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo ed esiste un’oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l’ortodossia cattolica. Le sette verità fondamentali di Pinocchio illuminano tutta la vicenda umana dall’origine dell’artefice creatore. Pinocchio, creatura legnosa, è costruito come una cosa ma è chiamato subito “figlio” dal suo creatore. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da un gratuito, imprevedibile amore. 1) Il mistero di un creatore che vuole essere padre Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore. Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità. 2) Il mistero del male interioreIn questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21). Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19). 3) Il mistero del male esteriore all’uomo La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico: «Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31). 4) Il mistero della mediazione redentiva L’ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l’orgogliosa affermazione dell’autoredenzione dell’uomo: l’uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto. Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l’illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle. 5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà. Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore. Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo. 6) Il mistero della trasnaturazione Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia. Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo. 7) Il mistero del duplice destino La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione. Verità cristiane Queste sette convinzioni, si è visto, sono affermate e concIamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne.Orbene, è anche fuori dubbio che esse siano sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè: La nostra origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli Il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male Il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina La mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza Il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione Il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio I due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere. Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell’esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino. Ascoltate dalle sue parole e pregate per la sua anima. Ne sarà contento.
  3. Riportiamo qui di seguito alcune considerazioni di Mons. Bux rilasciate da Mons. Bux alla "Fede Quotidiana" dal titolo “non bisogna dare a Cesare quello che è di Dio”. “Chi dice il contrario evidentemente nega, non conosce il Catechismo della Chiesa cattolica o Gli Atti degli Apostoli, capitolo 5, nel quale si dice che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che gli agli uomini”: l’affondo è del noto teologo e liturgista barese con Nicola Bux. Don Nicola i vescovi italiani, la sera del 26 Aprile, hanno protestato per il no del Governo alle messe col popolo. Il Papa, dal canto suo, ha detto che per sconfiggere la pandemia bisogna rispettare le leggi del Governo. Sembra una sconfessione… “Non so che cosa volesse dire, ne sentiamo tante. Io mi rimetto a quello che da sempre afferma e comanda la Chiesa cattolica e a questo devo vincolarmi non ad interpretazioni fantasiose”. Cioè? “E’ evidente che bisogna rispettare le leggi dello Stato per quanto riguarda l’organizzazione e il bene comune. Tuttavia, la legge dell’ uomo non può e non deve entrare e sopraffare quella di Dio ed anzi se vanno contro bisogna disobbedire ed obiettare. Lo dice il Compendio del Catechismo della Chiesa, meglio ancora Gli Atti degli Apostoli al capitolo 5, due elementi che qualunque sacerdote e meglio ancora chi ha responsabilità nella Chiesa dovrebbe conoscere, spero che le conosca. E non vale l’abusato ‘Date a Cesare’, perché si intende con questo che non bisogna dare al Cesare quello che è di Dio. Tanto meno ci è lecito, in ottica di credenti, bruciare incenso all’imperatore. Il nostro solo Re è Cristo, nessun altro, che sia leader politico o Capo del Governo”. E se lo Stato vieta il culto? “E una’ norma ingiusta e va disattesa. Come le dicevo, il Governo norma quello che concerne la vita sociale, ma sulla vita spirituale, nella vita religiosa bisogna fedelmente seguire la Legge di Dio senza sconti. Insomma, con le dovute precauzioni sanitarie e di cautela, il credente privilegi il primato dell’ anima su quello del corpo. E infatti il Vangelo ci dice: ‘A che cosa serve all’uomo guadagnare il mondo intero se perde sé stesso?’ La messa è un nutrimento dell’ animo. Adesso pare che conti solo il nutrimento del corpo”. Queste norme sono state decise in base al comitato scientifico… “A mio avviso questo comitato o comitati sono composti da persone quanto meno indifferenti o agnostiche”. Conte è cattolico? “Conte si è dichiarato tale. Tuttavia trovo singolare che non sappia che esista un primato dell’ anima sul corpo Piuttosto dimostri con i fatti che è credente, non con le parole”. Escludere le messe con il popolo che cosa vuole dire? “Ignorare il primo comandamento, dare culto a Dio e il terzo, santificare le feste. I primi tre riguardano il rapporto con Dio, Conte il cattolico dovrebbe saperlo”. E la Chiesa? “E’ un realtà sovrana ed autonoma che non deve essere sottomessa al mondo e alle sue leggi, o all’autorità mondana, ma collaborare nel rispetto della sua autonomia”. Su un giornale della Puglia l’ arcivescovo di Taranto Monsignor Santoro ha usato l’ espressione “pane eucaristico”: condivide? “No. E’ una dizione simil luterana perché Cristo non è il pane, ma ha detto ‘questo’ è il mio corpo nel senso in cui questo indica il passaggio dal pane al corpo. In sostanza, il pane si converte nella sostanza del corpo di Cristo”. In una chiesa del nord Italia a Cremona sacerdoti tempo fa hanno fatto irruzione sospendendo una messa… “Un abuso ed atto ingiusto, anche se il prete è stato un tantino imprudente. In ogni caso vi è la tendenza di molti sacerdoti a ritenere che la messa sia valida o utile solo col popolo. Non è così. La messa prima di tutto è sacrificio, dopo banchetto. E allora proprio perché sacrificio, vale anche con una sola persona o col celebrante, si applica in modo universale e tanti sacerdoti e vescovi martiri lo hanno fatto da una cella, per tutti”. Intervistatore Bruno Volpe Intervista reperibile qui https://www.lafedequotidiana.it/mons-bux-non-bisogna-dare-a-cesare-quello-che-e-di-dio/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook
  4. Raccogliendo alcune obiezioni all'articolo pubblicato qui Dio Castiga? in cui veniva messo in dubbio che Dio possa castigare, P. Francesco Solazzo ha ritenuto permettere a chi obietta di approfondire portando situazioni che possono essere maggiormente chiarificatrici. 1- Nella Sacra Scrittura il castigo divino è paragonato alla correzione di un padre verso un figlio (come si comprende dall'ultima citazione biblica che è presa da Eb 12,5-8; di cui mi è sfuggito di riportare i versetti). Ebbene, succede che un padre che corregge un figlio, forse che non si adiri? Ma perché si adira? Non è forse per l'amore che prova verso il figlio? Giacché, al contrario, un padre degenere che non ama il figlio, non lo corregge e non si arrabbia verso i suoi errori: lascia correre come se niente fosse e resta imperturbabile davanti alle deviazioni del figlio. Questo parallelo ci fa comprendere che proprio un dio che non castiga e non si adira sarebbe un dio perfido e sadico. Se attribuissimo questa caratteristica al nostro Dio, dovremmo concludere che Egli non si prende cura della sua creatura, ma che ha soltanto creato l'uomo e lo ha gettato nel creato senza nessuna ulteriore preoccupazione. Ma questo contraddice radicalmente la Croce di Cristo, che è il segno sovreminente dell'amore e della cura di Dio verso l'uomo. 2- Qui veniamo alla seconda questione: la Croce di Cristo è la testimonianza di come e fino a qual punto è arrivato l'amore di Dio verso l'uomo, quindi negare la possibilità che Dio castighi, significa negare la Croce di Cristo, ma negare la Croce di Cristo è bestemmia contro lo Spirito Santo. Facciamo attenzione alla citazione che ho preso dal libro di Giobbe: «Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male» (Gb 5,19). Il sette è il numero della perfezione divina, quindi qui indica l'opera di Dio. L'Onnipotente, dice Giobbe, libera da sei tribolazioni: innanzitutto va notato che libera, ma non impedisce che arrivino ed, anzi, il libro di Giobbe, ci dice che le manda. Al settimo posto, in cui si mette l'accento sulla perfezione dell'opera di Dio, dice che "non ti toccherà il male". Qui siamo costretti a distinguere tra male e tribolazioni e dobbiamo concludere che le sofferenze, i dolori, i lutti che viviamo su questa terra non sono mali, ma tribolazioni, cioè prove (temptationes in latino, quelle di cui parla il Padre nostro). Il male, nello stretto senso teologico, è la morte dell'anima e la separazione definitiva da Dio. Ebbene, Gesù non è venuto per evitarci le tribolazioni, ma per farci sfuggire al male: Egli si è frapposto fra noi e il colpo letale della morte eterna, poiché solo Lui poteva superare e sconfiggere questo male assoluto. È per questo che, qui su questa terra, noi non siamo liberati dalla morte corporale, perché essa non è un male assoluto, ma la suprema tribolazione cui tutti andiamo incontro. Gesù, sulla Croce, non è semplicemente morto di morte corporale, ma ancor di più, è morto di morte eterna per poi risuscitare alla vita eterna (Lui è il risorto che non muore più). Dunque, Dio non ci risparmia le tribolazioni, ma risparmia il male, cioè la morte dell'anima, a chi crede e resta in comunione con Cristo ("egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana", dice Giobbe). 3- La terza questione riguarda il perché i castighi divini colpiscano anche gli innocenti. (Nell'articolo che ho citato S. Tommaso ne parla molto meglio di me.) Va prima di tutto sottolineato il fatto che solo Gesù Cristo e la Vergine Maria sono immuni dal peccato originale e dal peccato attuale, quindi nessuno davanti a Dio è mai pienamente innocente. L'uomo non è solo, ma vive in società ed anche in società è chiamato a vivere la fede salvifica in Cristo (la Chiesa); l'uomo, dunque, non pecca solo in un modo personale, ma, quando un peccato è generalizzato, è tutta una società che è riconosciuta peccatrice, come ci attestano i casi di Sodoma e Gomorra in cui sono le due città intere a perire, compresi i bambini e i neonati che non si erano potuti ancora associare coscientemente ai peccati degli adulti. Quindi anche il castigo può avere un significato generale e particolare: generale perché riguarda una intera società, e particolare perché riguarda i singoli individui. Gli innocenti possono perire, prima di tutto, come abbiamo ricordato, perché la morte corporale non è il male assoluto, ma è male assoluto solo la morte dell'anima. La sofferenza degli innocenti, in secondo luogo, li mette in diretta relazione col Sacrificio della Croce di Cristo. Ognuno di noi è chiamato a portare la croce in unione alla Croce di Gesù, sia in modo pienamente cosciente, come ci insegnano i casi di grandi Santi che si sono associati in maniera particolare alla Passione di Gesù (S. Gemma Galgani, S. Caterina da Siena, S. Veronica Giuliani; o i Santi stigmatizzati come S. Paolo Apostolo, S. Francesco o S. Pio da Pietrelcina), ma anche in modo inconsapevole e al di là della propria volontà, come ci testimoniano in modo meraviglioso i Santi Martiri Innocenti che da sempre la Chiesa ha venerato e considerati a tutti gli effetti, testimoni di Cristo. 4- La quarta ed ultima questione che qui tocco, la possiamo prendere dal libro di Giobbe: il protagonista dell'omonimo libro è colpito da mali (anzi, dobbiamo dire tribolazioni, per usare un linguaggio più preciso cui ho fatto riferimento più sopra) di cui gli è ignota la ragione. Giobbe non conosce il dialogo tra Dio e Satana che è riportato all'inizio del libro, da cui noi potremmo, se ragioniamo in modo grossolano, dedurre che Dio sia sadico. Giobbe leva forte la sua voce verso Dio non comprendendo il suo agire. In pochissimo tempo perde tutto: averi e i figli. Alla fine del libro Dio appare a Giobbe e non gli spiega affatto le ragioni delle amare tribolazioni che ha vissuto, ma semplicemente si presenta come il Dio onnipotente e onnisciente; il senso è che Dio non deve rendere conto all'uomo di ciò che fa e l'uomo non ha alcun bisogno di sapere perché Dio agisce in un modo o in un altro. O meglio: noi sappiamo il perché remoto dell'agire di Dio: la Croce «Ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9); ci dice S. Paolo, cioè di farci Suoi figli. La ragione primitiva dell'agire di Dio è l'infinito amore per noi: questo ci deve bastare per la salvezza. Non ci è necessario sapere i "perché secondari e particolari" del Suo agire. Quando Giobbe viene ristabilito nella sua condizione, come premio della sua fedeltà a Dio, riceve il doppio di quanto aveva: aveva sette figli, che erano periti, ma diviene padre di altri sette figli, non quattordici. Perché? Perché i figli non sono come gli altri beni e, benché periti, non sono morti, perché essi continuano a vivere per Dio e in Dio. Cosa risponde, infatti, Gesù ai sadducei circa la risurrezione dei morti? «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui» (Lc 20,38). Così Giobbe, quando viene ristabilito nella sua condizione, ha il doppio di tutto: aveva sette figli, ora ne ha quattordici: sette con lui sulla terra e sette che vivono in Dio. La conclusione, quindi, è che non ammettere che Dio possa castigare significa ammettere che Dio sia un sadico che non si prende cura dell'uomo, ma questo contraddice la Croce di Cristo che è il Sacrificio che ci fa evitare, non le tribolazioni di questo mondo, ma il male della morte eterna. Dio, infine, nei castighi generali, colpisce anche gli innocenti poiché Egli associa questi ai meriti della sua Passione, aumentandone i meriti e perché chi muore in Cristo, anche se morto, vive in eterno. Il Dio che castiga, dunque, non è affatto sadico, ma lo sarebbe se non castigasse.
  5. Claudio C.

    Dio castiga?

    a cura di P. Francesco Solazzo. Sì, Dio castiga. La Sacra Scrittura lo dice chiaramente.«È a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino» (Gdt 8,27).«Felice l'uomo, che è corretto da Dio: perciò tu non sdegnare la correzione dell'Onnipotente, perché egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana. Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male» (Gb 5,17-19). Da notare: Dio manda le tribolazioni, cioè le prove e le sofferenze, proprio affinché non sia il male a colpire; e questo male altro non è se non il male radicale, la morte eterna, il totale distacco da Dio che è fonte della vita. «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!». Si dirà però che il castigo di Dio è cieco perché arriva per tutti, sia i giusti, sia gli ingiusti. Ma questo succede poiché tutti siamo peccatori. La vera differenza è fra il pio e l'empio. Per il pio (cioè per l'uomo che cerca Dio e chiede perdono per i propri peccati), il castigo è una correzione, cioè una possibilità di crescere nella perfezione (questa è la tentazione di cui parla il Padre nostro) e possibilità di partecipare alla Passione di Gesù (come ci insegna S. Paolo Apostolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» 1Col 1,24). Per l'empio, invece, il castigo è punizione per il peccato e richiamo, se vuol ascoltare, alla conversione. *Padre passionista, nato a Lecce nel 1978, ordinato sacerdote nel 2015.
  6. di Don Mario Proietti Carissima amica ed amico, Non essere schiavo delle opinioni della massa degli uomini. Vivi la tua vita, d'accordo con le luci che ti vengono dall'alto. Gli uomini giudicano il lato esterno. L'intimo solo Dio lo conosce. Il mondo non può conoscere gli insegnamenti di amore del Maestro. Preferisci obbedire al Maestro amando sempre. Non dare valore alle opinioni della moltitudine, che fa di tutto perché anche noi diventiamo uguali ad essa, senza personalità e senza opinione. BUONA DOMENICA E BUONA GIORNATA E IL SIGNORE TI BENEDICA.
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