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  1. Raccogliendo alcune obiezioni all'articolo pubblicato qui Dio Castiga? in cui veniva messo in dubbio che Dio possa castigare, P. Francesco Solazzo ha ritenuto permettere a chi obietta di approfondire portando situazioni che possono essere maggiormente chiarificatrici. 1- Nella Sacra Scrittura il castigo divino è paragonato alla correzione di un padre verso un figlio (come si comprende dall'ultima citazione biblica che è presa da Eb 12,5-8; di cui mi è sfuggito di riportare i versetti). Ebbene, succede che un padre che corregge un figlio, forse che non si adiri? Ma perché si adira? Non è forse per l'amore che prova verso il figlio? Giacché, al contrario, un padre degenere che non ama il figlio, non lo corregge e non si arrabbia verso i suoi errori: lascia correre come se niente fosse e resta imperturbabile davanti alle deviazioni del figlio. Questo parallelo ci fa comprendere che proprio un dio che non castiga e non si adira sarebbe un dio perfido e sadico. Se attribuissimo questa caratteristica al nostro Dio, dovremmo concludere che Egli non si prende cura della sua creatura, ma che ha soltanto creato l'uomo e lo ha gettato nel creato senza nessuna ulteriore preoccupazione. Ma questo contraddice radicalmente la Croce di Cristo, che è il segno sovreminente dell'amore e della cura di Dio verso l'uomo. 2- Qui veniamo alla seconda questione: la Croce di Cristo è la testimonianza di come e fino a qual punto è arrivato l'amore di Dio verso l'uomo, quindi negare la possibilità che Dio castighi, significa negare la Croce di Cristo, ma negare la Croce di Cristo è bestemmia contro lo Spirito Santo. Facciamo attenzione alla citazione che ho preso dal libro di Giobbe: «Da sei tribolazioni ti libererà e alla settima non ti toccherà il male» (Gb 5,19). Il sette è il numero della perfezione divina, quindi qui indica l'opera di Dio. L'Onnipotente, dice Giobbe, libera da sei tribolazioni: innanzitutto va notato che libera, ma non impedisce che arrivino ed, anzi, il libro di Giobbe, ci dice che le manda. Al settimo posto, in cui si mette l'accento sulla perfezione dell'opera di Dio, dice che "non ti toccherà il male". Qui siamo costretti a distinguere tra male e tribolazioni e dobbiamo concludere che le sofferenze, i dolori, i lutti che viviamo su questa terra non sono mali, ma tribolazioni, cioè prove (temptationes in latino, quelle di cui parla il Padre nostro). Il male, nello stretto senso teologico, è la morte dell'anima e la separazione definitiva da Dio. Ebbene, Gesù non è venuto per evitarci le tribolazioni, ma per farci sfuggire al male: Egli si è frapposto fra noi e il colpo letale della morte eterna, poiché solo Lui poteva superare e sconfiggere questo male assoluto. È per questo che, qui su questa terra, noi non siamo liberati dalla morte corporale, perché essa non è un male assoluto, ma la suprema tribolazione cui tutti andiamo incontro. Gesù, sulla Croce, non è semplicemente morto di morte corporale, ma ancor di più, è morto di morte eterna per poi risuscitare alla vita eterna (Lui è il risorto che non muore più). Dunque, Dio non ci risparmia le tribolazioni, ma risparmia il male, cioè la morte dell'anima, a chi crede e resta in comunione con Cristo ("egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana", dice Giobbe). 3- La terza questione riguarda il perché i castighi divini colpiscano anche gli innocenti. (Nell'articolo che ho citato S. Tommaso ne parla molto meglio di me.) Va prima di tutto sottolineato il fatto che solo Gesù Cristo e la Vergine Maria sono immuni dal peccato originale e dal peccato attuale, quindi nessuno davanti a Dio è mai pienamente innocente. L'uomo non è solo, ma vive in società ed anche in società è chiamato a vivere la fede salvifica in Cristo (la Chiesa); l'uomo, dunque, non pecca solo in un modo personale, ma, quando un peccato è generalizzato, è tutta una società che è riconosciuta peccatrice, come ci attestano i casi di Sodoma e Gomorra in cui sono le due città intere a perire, compresi i bambini e i neonati che non si erano potuti ancora associare coscientemente ai peccati degli adulti. Quindi anche il castigo può avere un significato generale e particolare: generale perché riguarda una intera società, e particolare perché riguarda i singoli individui. Gli innocenti possono perire, prima di tutto, come abbiamo ricordato, perché la morte corporale non è il male assoluto, ma è male assoluto solo la morte dell'anima. La sofferenza degli innocenti, in secondo luogo, li mette in diretta relazione col Sacrificio della Croce di Cristo. Ognuno di noi è chiamato a portare la croce in unione alla Croce di Gesù, sia in modo pienamente cosciente, come ci insegnano i casi di grandi Santi che si sono associati in maniera particolare alla Passione di Gesù (S. Gemma Galgani, S. Caterina da Siena, S. Veronica Giuliani; o i Santi stigmatizzati come S. Paolo Apostolo, S. Francesco o S. Pio da Pietrelcina), ma anche in modo inconsapevole e al di là della propria volontà, come ci testimoniano in modo meraviglioso i Santi Martiri Innocenti che da sempre la Chiesa ha venerato e considerati a tutti gli effetti, testimoni di Cristo. 4- La quarta ed ultima questione che qui tocco, la possiamo prendere dal libro di Giobbe: il protagonista dell'omonimo libro è colpito da mali (anzi, dobbiamo dire tribolazioni, per usare un linguaggio più preciso cui ho fatto riferimento più sopra) di cui gli è ignota la ragione. Giobbe non conosce il dialogo tra Dio e Satana che è riportato all'inizio del libro, da cui noi potremmo, se ragioniamo in modo grossolano, dedurre che Dio sia sadico. Giobbe leva forte la sua voce verso Dio non comprendendo il suo agire. In pochissimo tempo perde tutto: averi e i figli. Alla fine del libro Dio appare a Giobbe e non gli spiega affatto le ragioni delle amare tribolazioni che ha vissuto, ma semplicemente si presenta come il Dio onnipotente e onnisciente; il senso è che Dio non deve rendere conto all'uomo di ciò che fa e l'uomo non ha alcun bisogno di sapere perché Dio agisce in un modo o in un altro. O meglio: noi sappiamo il perché remoto dell'agire di Dio: la Croce «Ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9); ci dice S. Paolo, cioè di farci Suoi figli. La ragione primitiva dell'agire di Dio è l'infinito amore per noi: questo ci deve bastare per la salvezza. Non ci è necessario sapere i "perché secondari e particolari" del Suo agire. Quando Giobbe viene ristabilito nella sua condizione, come premio della sua fedeltà a Dio, riceve il doppio di quanto aveva: aveva sette figli, che erano periti, ma diviene padre di altri sette figli, non quattordici. Perché? Perché i figli non sono come gli altri beni e, benché periti, non sono morti, perché essi continuano a vivere per Dio e in Dio. Cosa risponde, infatti, Gesù ai sadducei circa la risurrezione dei morti? «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui» (Lc 20,38). Così Giobbe, quando viene ristabilito nella sua condizione, ha il doppio di tutto: aveva sette figli, ora ne ha quattordici: sette con lui sulla terra e sette che vivono in Dio. La conclusione, quindi, è che non ammettere che Dio possa castigare significa ammettere che Dio sia un sadico che non si prende cura dell'uomo, ma questo contraddice la Croce di Cristo che è il Sacrificio che ci fa evitare, non le tribolazioni di questo mondo, ma il male della morte eterna. Dio, infine, nei castighi generali, colpisce anche gli innocenti poiché Egli associa questi ai meriti della sua Passione, aumentandone i meriti e perché chi muore in Cristo, anche se morto, vive in eterno. Il Dio che castiga, dunque, non è affatto sadico, ma lo sarebbe se non castigasse.
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