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  1. Francesco, il giullare di Dio! L'appellativo ideato da Roberto Rossellini nel 1950 racchiude perfettamente le caratteristiche dell'animo di San Francesco: il servizio, innanzitutto. Come tutti i giullari, servi di un sovrano, lui sceglie un sovrano-Padre, il sommo tra i sovrani. Opera un servizio totalizzante e vive la sua fede per tutta l'esistenza. Ma ha il grande pregio dell'umiltà, di chi si sente sempre servo inutile, cioè quel servo che sa che Dio non ha bisogno di lui, ma trova in Dio la propria pienezza e gode di tutto, ogni istante, perchè riceve il 'nulla' (1) di Dio e ne fa tesoro. Dal momento della chiamata ribalta la sua esistenza, totalmente, si spoglia di tutto e comincia a vedere con il punto di vista di Dio. La felicità che sente dentro di sè dopo questa scelta la trasmette ad altri, Chiara in primis, con una forza che smuove le montagne. Un giullare deve divertire il re e lui impasta di gaiezza la sua santità, fino a ricevere le stimmate. E' una santità 'bambina', quella di Francesco, che non riconosce il linguaggio ieratico della Chiesa e scandalizza per la sua autenticità. Lo porta a parlare con tutti gli elementi del creato che considera tutti egualmente degni di rispetto perché sono creati da Dio. E allora sgorga come acqua di ruscello di montagna dal suo animo Il Cantico delle creature, oggi ancora uno dei testi poetici più toccanti, perché veri, che siano mai stati scritti. Bellezza e verità coincidono sempre, nell'arte sacra più che mai. E allora voglio proporre quest'opera(2) del pittore barese Toni Bux (compianto fratello del nostro amato don Nicola ndr),(3) come emblematica della gaiezza del giullare di Dio, Francesco, dal nostro autore colta appieno ed espressa con epifanica maestria e modernità. Con la sua inconfondibile pennellata fluida, avvalorata dall'uso della tempera e dalle scelte cromatiche vivaci, Bux qui mette in campo il soffio vitale di un anima, come quella di Francesco, in simbiosi con Dio e quindi col creato. E allora predilige la linea curva che da sempre rimanda al divino, all'unione, al cielo. Tutto è ricurvo: prato, cielo, edicola, foglio del frate che scrive, raggi del sole, luna, ali degli uccelli, postura del corpo, dita e piedi di Francesco con lo sguardo rivolto al cielo. Le braccia aperte in posizione dell'orante ma rivisitate in chiave mistico-visionaria, a tracciare la sagoma di un gabbiano in volo, leggiadro e leggero, perché è vuoto di mondo e pieno di Dio. Ha lo sguardo del cane di Goya (4), che tira fuori il capo dalla rena, e solleva il suo canto di speranza mirando l'infinito. Quanta leggerezza ci trasmette questo dipinto, proprio quella che sospinge Francesco in questa lirica di lode. Con la speditezza del tratto dei paesaggi veneziani di Monet ma con la pennellata essenziale di Velazquez e la discrezione della sue figure Toni Bux si esprime attraverso un realismo che voglio definire trasfigurato. Trasfigurato perchè è oltre lo sguardo reale, approda già ad un oltre che è quello cristiano, quello di chi ha 'confidenza' con Dio e sa trasmettere una esperienza estetica che, se si tratta di arte sacra, come in questo caso, è anche estatica. (1) Nello Zibaldone Leopardi scrive:" Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell'essere, il niente, possa essere senza limiti e che l'infinito venga in sostanza ad essere lo stesso che il nulla" (2 Maggio 1826) (2) L'opera fa parte di una serie di 8 tutte su San Francesco custodite nella Badia Benedettina a Settimo(FI) premiate e vincitrici al concorso d'Arte sacra di Firenze del 1998. (3) Bari, 1936-2016. (4) Francisco de Goya y Lucientes,Il cane, olio su muro trasportato su tela,1819-23, Madrid, Museo del Prado.
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