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Valerio

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  1. Dio premia i buoni e castiga i cattivi perché é giustizia infinita. A me la vendetta; io farò giustizia, dice il Signore (Rm 12, 19). Il Signore prova il giusto e il malvagio; ma chi ama la prepotenza Egli lo odia di cuore. Pioverà sui malvagi brace di fuoco; zolfo e vento avvampante è la parte della loro coppa. Poiché giusto è il Signore, e ama le giuste azioni. I retti vedranno il volto di Lui (Sal 10, 6-8). Nostro Signore ci ha descritto diffusamente come sarà fatto da Lui il Giudizio universale, che segnerà il trionfo della divina giustizia, non lascerà nessun peccato impunito e nessuna opera buona senza premio (v. Mt 25, 31-46). La giustizia è la virtù che dà a ciascuno ciò che gli è dovuto, assegnando il castigo proporzionato alla colpa e il premio corrispondente al merito. La giustizia di Dio, come tutte le altre sue perfezioni, è infinita e s'identifica con Lui. Come giustizia infinita, Dio non potrebbe assegnare la stessa sorte ai buoni che Lo amano e Lo servono fedelmente, e ai cattivi, che col peccato calpestano i suoi comandamenti e disprezzano la sua volontà. Riflessione. - Se a trattenerci dal male e a spronarci al bene non basta l'amore di carità, servano almeno il timore del castigo e il desiderio del premio! Esempi: 1. Al primo peccato, commesso dai nostri progenitori nel Paradiso terrestre, seguì subito il castigo divino con l'esclusione dal luogo delle delizie, l'esilio, la perdita della divina amicizia, la condanna alla morte, all'ignoranza, al lavoro e a tutte le malattie e miserie della vita (v. Gn 3, 14-24). 2. La misericordia divina sopportò a lungo i peccati dei discendenti di Adamo, che diventavano sempre peggiori; ma alla fine la giustizia intervenne e punì l'umanità col diluvio universale. Tutti gli uomini perirono, eccetto Noè con la sua famiglia, che fu salvato perché era un uomo giusto (v. Gn cc. 6-7).
  2. L'inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene. Per i paurosi e per gli increduli e gli esecrandi e gli omicidi e i fornicatori e i venefici e gl'idolatri e per tutti i mentitori, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte (Ap 21, 8). Dio ci ha creati per contemplarlo, possederlo e goderlo in cielo. Egli solo, come Verità prima, Sommo Bene e Vita beata, ci può rendere pienamente felici appagando tutte le nostre brame. Dopo la morte, nessuna cosa creata può attirare l'anima, che tende irresistibilmente a Dio, unico e infinito bene. Nell'inferno, invece, l'anima non può avere Dio, la sua visione, il suo possesso, e quindi la beatitudine che viene da Lui. L'anima ha bisogno di Dio, una necessità vitale, ma nell'inferno si sa privata di Lui per l'eternità e questa è la pena più grande ed ineffabile. I cattivi dopo la morte saranno gettati nel fuoco, come l'erbaccia della parabola evangelica (Lc 16, 19-26). Il fuoco dell'inferno, per volontà divina, tormenta i demoni, le anime e anche i corpi dei dannati dopo la risurrezione finale. Il dannato è immerso nel fuoco, permeato e quasi immedesimato col fuoco, come noi con l'aria che respiriamo. I reprobi dell'inferno sono anche tormentati da tutti gli altri mali possibili. Privi di Dio sono privi di ogni bene e afflitti da tutti i mali, che sono la mancanza del bene dovuto. Tra i massimi tormenti vi sono, oltre il fuoco, la disperazione, l'odio vicendevole, le pene, le umiliazioni inflitte dai demoni, l'immobilità, le tenebre. Il fumo dei loro tormenti si alzerà nei secoli dei secoli; e non hanno riposo né giorno, né notte (Ap 14, 11); saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli (ivi, 20, 10), nel fuoco inestinguibile, dove il loro verme non muore, e il fuoco non si estingue (Mr 9, 43). Che cosa sono i piccoli ed effimeri piaceri della colpa, in confronto della pena eterna, che ne è la punizione? ESEMPIO: Si racconta che, nell'XI secolo, mentre si cantava l'Ufficio dei defunti per il dottor Diocres, dell'Università di Parigi, alle parole: "Responde mihi: rispondimi!", dal feretro uscì una voce lugubre, che diceva: "Per giusto giudizio di Dio, sono stato accusato". Dopo una sospensione piena di paura, fu ripreso da capo il canto dell'Ufficio. Giunti nuovamente alle parole: "Responde mihi!" si ripeté la voce: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato!". Parve che il cadavere si muovesse, ma dopo un attento esame se ne costatò la rigidità. L'Ufficio fu sospeso e ripreso l'indomani. Alle parole: "Responde mihi!" il cadavere si agitò, si pose a sedere e disse con voce straziante: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno!". Poi ricadde e non si mosse più. Tutti furono vivamente impressionati, ma specialmente Brunone, professore dell'Università, che abbandonò la brillante carriera, si ritirò nella solitudine, fondò l'ordine religioso dei Certosini e divenne santo, canonizzato dalla Chiesa. E' fondamentale pregare molto per la conversione dei peccatori, perché non vadano all'inferno. Molti, infatti, come ha affermato la Madonna a Fatima, vanno all'inferno perché non c'è nessuno che preghi per loro, per la loro conversione e salvezza.
  3. Il beato Carlo d'Asburgo è stato l'ultimo imperatore d'Austria e governante dell'Impero Austro-Ungarico, ma è stato anche ed in particolare un padre di famiglia ed un marito amorevole e leale per sua moglie Zita. Sono stati sposati per undici anni prima della morte prematura di lui nel 1922, e hanno avuto otto figli. Nonostante le difficoltà del governo durante la Prima guerra mondiale, Carlo non ha mai dimenticato l’importanza del suo matrimonio, offrendo ai figli e ai suoi sottomessi un modello da seguire e imitare. Il giorno prima del loro matrimonio, Carlo disse a Zita: “Ora aiutiamoci l’un l’altra ad arrivare in Paradiso”. Il matrimonio, infatti, è prima di tutto un sacramento che unisce le anime dei coniugi, santificando il loro amore e rivolgendolo al destino ultimo del Paradiso nell'aiuto e nel sostegno reciproco. La coppia si fece incidere una frase speciale all’interno delle fedi nuziali. L’iscrizione recitava in latino Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix (Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Madre di Dio), per porre la loro unione sotto la protezione della Beata Vergine Maria. Prima di andare in viaggio di nozze, inoltre, la coppia compì un pellegrinaggio al santuario mariano di Mariazell, dedicato a Nostra Signora Magna Mater Austriae (Grande Madre dell’Austria). I due erano intimamente legati ed oltre a lavorare insieme come coppia reale, insegnavano ai propri figli le verità della fede. Non era semplicemente compito di Zita insegnare ai bambini come pregare, perché anche Carlo instillò nei suoi figli l’amore per Dio e insegnò loro personalmente le preghiere. Prendevano sul serio l’ideale biblico di diventare “una sola carne” in tutto. Carlo e Zita non hanno smesso di amarsi neanche quando sono sorte le difficoltà. Dopo aver affrontato l’umiliazione di essere esiliati dal proprio Paese, il loro rapporto è diventato più forte che mai. Poco dopo hanno affrontato una prova ancora più grande quando Carlo ha contratto la polmonite, che lo ha portato alla morte a neanche 35 anni. Le ultime parole di Carlo alla moglie sono state “Ti amo infinitamente”. Nei 67 anni successivi, Zita ha indossato abiti neri a indicare il suo lutto. Non ha mai smesso di amare Carlo fino alla propria morte, quando si è riunita con lui in cielo. Il loro amore non è stato un semplice sentimento, ma una scelta di amarsi “finché morte non ci separi” e oltre.
  4. I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale meritano l'Inferno. Il ricco epulone, di cui parla il Vangelo, non serviva Dio osservando la sua Legge, ma le proprie passioni. Quando morì andò nell'Inferno (v. Lc 16, 19-26) I cattivi sono coloro che peccano disobbedendo ai comandamenti di Dio, così servono le loro passioni, il mondo, il demonio. Anche se compiono qualche opera buona, questa, non essendo essi in amicizia con Dio, non li rende meritevoli del premio eterno, che il Signore ha preparato per quelli che Lo amano. Chi muore in peccato mortale, senza prima essersi riconciliato con Dio, non ha la grazia, cioè l'amicizia con Lui e quindi non può essere ammesso alla beatitudine eterna del Paradiso, dove non entra nulla che sia macchiato. Questa verità Gesù ce la mostra con la parabola delle nozze. Colui che si era introdotto nella sala del banchetto (immagine del Paradiso) senza la veste nuziale, per ordine del padrone fu preso, legato mani e piedi e gettato fuori nel buio della notte e nel freddo dell'inverno (v. Mt 22, 1-14). La grazia divina che abbiamo ricevuto nel Battesimo, è un tesoro inestimabile, da custodire con ogni cura.
  5. 3. Il martirio dell'anima Questo martirio è il più doloroso di tutti. Viene direttamente da Dio e, apparentemente, senza un motivo e senza preavviso. Santa Teresina, durante tutta la sua vita religiosa si nutrì del pane amaro dell'aridità spirituale e della mancanza di consolazione nella preghiera quotidiana. "Per me è sempre notte, sempre tenebre, notte oscura. Nelle mie relazioni con Gesù, niente: Aridità! Sonno! Ma se Gesù vuole dormire, perché dovrei impedirglielo?". Santa Teresina trovava particolarmente ostici i ritiri: "Lungi dal portarmi consolazioni, mi ha recato l'aridità più assoluta e quasi l'abbandono. Gesù dormiva, come sempre, nella mia navicella. Ah! vedo bene che di rado le anime Lo lasciano dormire tranquillamente in loro stesse. Gesù è così stanco di sollecitarle sempre con favori che si affretta ad approfittare del riposo che io Gli offro. Non si sveglierà certamente prima del mio grande ritiro dell'eternità, ma, invece di addolorarmi, ciò mi fa un piacere immenso". Il momento in cui Santa Teresina riceveva meno consolazioni era proprio quello della Santa Comunione, ma, tuttavia, non vi rinunciava, né per questo abbreviava le sue preghiere ed i suoi ringraziamenti. "Quando non sento nulla, quando sono incapace di pregare, di praticare le virtù, è quello il momento di cercare delle piccole occasioni, dei nonnulla che piacciono a Gesù. Un sorriso, una parola amabile quando avrei voglia solo di tacere. Quando non mi capita nessuna occasione, Gli voglio almeno dire tante volte che L'amo". Col tempo l'oscurità spirituale diventava sempre più fitta, e si rafforzavano le tentazioni contro la fede. "Ero estremamente provata, quasi triste, in una notte tale che non sapevo più se ero amata da Dio". E ancora: "Quando voglio riposare il cuore, stanco delle tenebre che lo circondano, ricordando il paese luminoso al quale aspiro, il mio tormento raddoppia; mi pare che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, mi dicano facendosi beffe di me: 'Tu sogni la luce, una patria dai profumi soavi. Tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie... Rallegrati della morte, che ti darà non già ciò che speri, ma una notte più profonda: la notte del niente'". Una prova orribile per chi ama Dio con tutto se stesso. E prosegue: "Non è più un velo (tra me e Dio, ndt), è un muro che si alza fino ai Cieli". Il demonio, per di più, la teneva "con una mano che pareva di ferro", per portarla alla disperazione. La Santa, però, correva da Gesù e gli assicurava che era pronta a dare il sangue per testimoniare la sua fede nella vita beata; ringraziava il buon Dio e i Santi per quella prova, convinta che che essi volessero vedere, dice: "fin dove saprò spingere la mia speranza". "Allora - scrive in una poesia - Gli dico che Egli è tutto per me, Lo copro di carezze; e le raddoppio se si nasconde alla mia fede". Il Piccolo Fiore di Lisieux soffrì questo doloroso, indescrivibile, triplice martirio simultaneo, del corpo, del cuore e dell'anima, che proseguì fino alla sua morte, fino alla sua chiamata in Paradiso. Alla fine della sua vita disse: " Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto!", ma nonostante ciò, era sempre calma e serena, contenta e sorridente. Disse: "Tra le acque delle tribolazioni di cui ero così assetata, ero la più felice dei mortali". Saremo capaci di capire questa "austera dolcezza" solo se saremo disposti a farne l'esperienza. Ma quanto è forte il nostro amore per Dio?
  6. Merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia. Nella parabola dei talenti Nostro Signore ci dice che i servi fedeli che avranno curato gli interessi del padrone, nel giorno del rendiconto saranno premiati e resi partecipi della sua gioia (v. Mt 25, 14-24). Il merito è il diritto alla ricompensa per il lavoratore che compie bene la sua opera. Il merito è detto "de condigno" quando c'è parità tra esso e l'opera compiuta, e dà un diritto di giustizia alla ricompensa. Gesù con la Passione e Morte meritò "ex justitia", cioè "de condigno", la nostra salvezza. Il merito è "de congruo", o di convenienza, quando non vi è parità tra il servizio reso e la ricompensa, che in questo caso è dovuta non per giustizia, ma per convenienza. Ad esempio, se un bambino povero offrisse un mazzo di fiori a una regina, egli non avrebbe diritto ad una ricompensa, ma sarebbe conveniente per la generosità, dignità e ricchezza della sovrana, che ella gli donasse un premio importante, come un vestito nuovo. Noi meritiamo il Paradiso "de condigno", perché Dio ha promesso di ricompensare così le nostre buone opere. Merita il Paradiso chi è buono, cioè chi ama e serve fedelmente Dio, facendo la sua volontà, chi osserva i suoi comandamenti. Bisogna poi, anche morire in stato di grazia, perché Dio non potrebbe ammettere in Paradiso chi morisse in peccato mortale, cioè privato della sua amicizia. Dice Gesù: "Se qualcuno non resterà in me, sarà gettato via, come un tralcio che si dissecca, si raccoglie e si butta nel fuoco, dove brucia (Gv 15, 6). Per conservare la grazia di Dio e vivere nella sua volontà è fondamentale accostarsi ai sacramenti e pregare spesso e regolarmente.
  7. La preghiera Aufer a nobis Oremus. Aufer a nobis, quaesumus, Dòmine, iniquitàtes nostras: ut ad Sancta sanctòrum puris mereàmur méntibus introìre. Per Christum Dòminum nostrum. Amen. Preghiamo. Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con animo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. È in un profondo sentimento d'umiltà e con un grande desiderio di santità che conviene salire all'altare. Durante la Messa il sacerdote è invitato ad rivestirsi di umiltà, come vediamo nelle preghiere che egli recita, a voce bassa, salendo all'altare: "Aufer a nobis...", "Liberaci da ogni iniquità...", "Oramus te, Domine", "Noi ti preghiamo, o Signore [...] degnati di perdonare tutti i nostri peccati". L'umiltà è la base di tutte le virtù, perché ci porta all'adorazione ed è la conseguenza di essa. È umile colui che si trova alla presenza di Dio, perché è la presenza di Dio che lo rende umile e gli fa prendere continuamente coscienza del suo nulla: che egli è niente mentre Dio è tutto. La virtù dell'umiltà corrisponde perfettamente all'adorazione che dobbiamo a Dio. Ci illudiamo se crediamo di essere qualcosa quando, invece, siamo nulla. Se Dio volesse, se ci abbandonasse, ritorneremmo nel nulla, non esisteremmo più. Se, dunque, viviamo per noi stessi, senza riferirci a Nostro Signore, viviamo nell'illusione, come se crediamo di essere qualche cosa grazie a noi stessi. Nessuno di noi può darsi da sé l'esistenza, per cui essa non ci appartiene, ma ci è donata da Dio. Ogni creatura deve essere umile, anche Nostro Signore lo era: "Imparate da me - Egli dice - che sono mite e umile di cuore" (Mt. 11, 29). L'umiltà non è una virtù rivolta banalmente ad abbassarci, sminuirci e piegarci, ma essa, come afferma San Tommaso d'Aquino: "È una virtù morale che ci inclina per riverenza verso Dio, ad abbassarci, rimanendo nel posto che vediamo a noi essere dovuto". Dobbiamo, dunque, abbassarci nel senso che dobbiamo mettere la nostra vita al suo giusto posto, cioè quello della vita di una creatura, riscattata dal Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Il nostro legame profondo con Dio deve essere quello delle creature e precisamente delle creature riscattate, perché siamo peccatori. Se approfondiamo la nozione di creatura, possiamo metterci nel nostro giusto posto davanti a Dio. Allo stesso modo è importante approfondire la grazia immensa che Lui ci ha fatto nel riscattarci e renderci suoi figli nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, dobbiamo meditare sul nostro stato di peccatori e sull'infinita misericordia di Dio verso di noi. L'umiltà, inoltre, va di pari passo con la carità, poiché la carità costituisce l'espressione più alta dell'umiltà. Cerchiamo l'umiltà per raggiungere la carità, per essere nella carità. Lottiamo contro il peccato per arrivare alla vera carità verso Dio e verso il prossimo. Il nostro scopo deve essere la carità, l'unione con Dio, l'unione con Nostro Signore.
  8. Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male. San Pietro, avendo contemplato per alcuni istanti, sul monte Tabor, la Gloria del Cristo trasfigurato, ne fu inebriato ed uscì di sé per la gioia, desiderando di rimanere per sempre in quella beatitudine. Cosa sarà allora il Paradiso, dove si contemplerà eternamente Dio nello splendore della sua Gloria? Sulla terra le creature non possono farci felici e appagare il nostro bisogno della beatitudine senza fine. Sono piccole, limitate nel tempo e nello spazio per saziare la nostra fame di Verità e del Bene infinito, e con la morte lasceremo ogni cosa. Solo in Paradiso tutti noi potremo essere totalmente felici. Le creature sono strumenti, vie, ma solo Dio è la destinazione, il vero obiettivo. Sulla terra vediamo le opere di Dio e l'impronta della sua perfezione impressa in esse; con la fede crediamo in Dio, ma c'è sempre come un velo di oscurità a separarci da Lui; in Paradiso, invece, vedremo Dio direttamente, senza ostacoli, come Egli è per se stesso. Allora lo ameremo e lo possederemo perfettamente, così saremo pienamente felici. Dio, sommo bene, è la sorgente di ogni bene, per cui chi lo contempla, lo ama e lo possiede, gode anche di tutti i beni. Allora l'intelligenza vede tutta la Verità, grazie alla luce della Gloria, la volontà possiede tutti i beni e così tutti i desideri del cuore possono essere esauditi e il cuore riposare definitivamente. Sant'Agostino, infatti, diceva che il cuore dell'uomo non potrà mai trovare veramente la pace fino a quando non riposerà in Dio. In Lui si potranno conoscere tutti i misteri della creazione ed anche il corpo, dopo la risurrezione, parteciperà della felicità dell'anima e diventerà immortale, impassibile, luminoso e agilissimo. Se nei momenti bui della vita riusciremo a pensare alla felicità preparata per noi in Cielo, niente ci sembrerà troppo duro o penoso pur di meritarla e raggiungerla.
  9. L'ultima settimana di Quaresima si dice santa, perché in essa si celebra la memoria dei più grandi misteri operati da Gesù Cristo per la nostra redenzione. Nel giovedì santo si celebra l'istituzione del SS. Sacramento dell'Eucarestia; nel venerdì santo si ricorda la passione e morte del Salvatore; nel sabato santo si onorano la sepoltura di Gesù Cristo e la sua discesa al Limbo e dopo il segno del Gloria si comincia ad onorare la sua gloriosa risurrezione. Per passare la settimana santa secondo la mente della Chiesa dobbiamo fare tre cose: 1. unire al digiuno un maggior raccoglimento interno, e un maggior fervore di orazione; 2. meditare di continuo con ispirito di compunzione i patimenti di Gesù Cristo; 3. assistere, se si può, ai divini uffici con questo medesimo spirito. Dal giovedì sino al sabato santo non si suonano le campane in segno di grande afflizione per la passione e morte del Salvatore. Nel giovedì santo si conserva un'ostia grande consacrata: 1. affinché si tributino speciali adorazioni al sacramento dell'Eucaristia nel giorno in cui venne istituito; 2. perché si possa compiere la liturgia nel venerdì santo, in cui non si fa dal sacerdote la consacrazione. Nel giovedì, dopo la Santa Messa, si spogliano gli altari per rappresentarci Gesù Cristo spogliato delle sue vesti per essere flagellato e affisso alla Croce; e per insegnarci che per celebrare degnamente la sua Passione dobbiamo spogliarci dell'uomo vecchio, cioè d'ogni affetto mondano. Nel giovedì santo si fa la lavanda dei piedi: 1. per rinnovare la memoria di quell'atto di umiliazione con cui Gesù Cristo si abbassò a lavarli ai suoi Apostoli; 2. perché Egli medesimo esortò gli Apostoli e, in persona di essi, i fedeli ad imitare il suo esempio; 3. per insegnarci che dobbiamo purificare il nostro cuore da ogni macchia, ed esercitare gli uni verso gli altri i doveri della carità ed umiltà cristiana. Nel giovedì santo i fedeli si recano alla visita del Santissimo Sacramento in più chiese in memoria de' dolori sofferti da Gesù Cristo in più luoghi, come nell'orto, nelle case di Caifa, di Pilato e di Erode, e sul Calvario. Nel giovedì santo si devono fare le visite non per curiosità, per abitudine o divertimento, ma per sincera contrizione dei nostri peccati, che sono la vera cagione della passione e morte del nostro Redentore, e con vero spirito di compassione delle sue pene, meditandone i vari patimenti; per esempio nella prima visita quel che soffrì nell'orto; nella seconda quel che soffrì nel pretorio di Pilato; e così dicasi delle altre. La Chiesa nel venerdì santo, in modo particolare, prega il Signore per ogni sorta di persone per dimostrare che Cristo è morto per tutti gli uomini e per implorare a beneficio di tutti il frutto di sua Passione. Nel venerdì santo si adora solennemente la Croce, perché essendovi Gesù Cristo stato inchiodato ed essendovi morto in quel giorno, la santificò col Suo Sangue. Si deve adorazione al solo Dio, e però quando si adora la Croce, la nostra adorazione si riferisce a Gesù Cristo morto su di essa. Nei riti del sabato santo è da considerarsi specialmente la benedizione del cero pasquale e del fonte battesimale.
  10. Nella festa dell'Annunciazione di Maria Vergine, si celebra l'annuncio che le fece l'angelo Gabriele di essere stata eletta Madre di Dio, rivolgendole le parole con le quali anche noi la salutiamo ogni giorno: "Io ti saluto, o piena di grazia: il Signore è con te". Allora Maria si turbò, sentendosi salutare con titoli nuovi ed eccellenti, dei quali si considerava indegna. Dimostrò così una purezza ammirabile, una profonda umiltà, una fede ed un'ubbidienza perfetta. All'annuncio dell'angelo Gabriele, la Madonna fece conoscere il suo grande amore per la purezza con la sua preoccupazione di conservare la verginità, sollecitudine dimostrata nello stesso momento in cui si sentì chiamata alla dignità di madre di Dio. Fece conoscere la sua profonda umiltà con le parole: "Ecco l'ancella del Signore", pronunciate mentre diveniva madre di Dio, e la sua fede ed obbedienza col dire: "Si faccia di me secondo la tua parola". Nel momento stesso in cui Maria diede il suo consenso ad esser madre di Dio, la seconda Persona della santissima Trinità s'incarnò nel seno di lei, prendendo corpo ed anima, come abbiamo noi, per opera dello Spirito Santo. La Santissima Vergine nella sua Annunciazione: 1. insegna in particolare alle vergini a fare altissima stima del tesoro della verginità; 2. insegna a noi tutti a disporci con grande purezza ed umiltà a ricevere dentro di noi Gesù Cristo nella santa Comunione; 3. c'insegna a sottometterci prontamente al divino volere. Nella solennità dell'Annunciazione di Maria Vergine dobbiamo fare tre cose: 1. adorare profondamente il Verbo incarnato per la nostra salute, e ringraziarlo d'un sì grande benefizio; 2. congratularci colla Santissima Vergine della dignità conferitale di madre di Dio, e onorarla come nostra signora ed avvocata; 3. risolvere di recitare sempre, con grande rispetto e divozione, la salutazione angelica, detta comunemente Ave Maria.
  11. Il martirio del cuore E' un martirio ancor più doloroso di quello del corpo. Anche quando era bambina, Teresina aveva un immenso desiderio di amore e di affetto nel cuore: "Non ho un cuore insensibile - scrisse -; ma appunto perché lo so capace di soffrire molto, io bramo offrire a Gesù tutti i generi di patimenti che al mio cuore sia possibile sopportare". Quello che normalmente porta le persone a lamentarsi, per lei era, invece, fonte di gioia, perché, attraverso la sofferenza, aveva modo di dar prova del suo amore al buon Dio. Provava un'avversione tanto forte verso una consorella che spesso l'unica soluzione era la fuga; ma comunque era dolcissima verso di lei, al punto che si sospettava ci fosse tra loro un'amicizia particolare. Si dedicava volontariamente all'assistenza di una monaca malata, benché sapesse che "non era facile contentarla", e lo fece "con tanto amore che - scrisse - mi sarebbe stato impossibile far meglio se avessi dovuto condurre Gesù stesso". Aiutava la suora rotara, che metteva a dura prova la sua pazienza, per la sua grande lentezza, ma l'amorevolezza di Santa Teresina non faceva immaginare a nessuno la forte lotta interiore che doveva affrontare. Vivendo nello stesso convento con tre delle sue sorelle, soffrì molto nel dominare il suo naturale carattere affettivo: disse che, per mezzo loro, Dio le offriva più di un calice amaro. Fra tutti i membri della comunità, la Santa era quella che meno di tutte si univa alle sue sorelle durante la ricreazione; per molti mesi lavorò a fianco della sorella Paolina, ma senza dirle una parola. "Mammina mia - le dirà più tardi -, quanto soffrii allora! Non potevo aprirle il mio cuore, e pensavo che ella non mi conoscesse più". Questo martirio del cuore fu amarissimo specialmente nei riguardi del suo amato padre durante la sua dura malattia. Le mancavano le parole per esprimere il suo dolore, né tentava di descriverlo. Le sue lacrime erano tanto copiose da non riuscire a mantenere la penna per scrivere, tuttavia disse: "I tre anni del martirio di papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi della nostra vita, né io li cambierei con le estasi più sublimi. Il mio cuore, dinanzi a siffatti tesori inestimabili, esclama con riconoscenza: Siate benedetto, o mio Dio, per questi anni di grazie che abbiamo trascorso nei mali. Come fu preziosa e dolce quella croce così amara". Parole misteriose! Amara, eppure dolce! Se siamo pronti ad offrire a Gesù tutte le sofferenze che il nostro cuore può sopportare, allora capiremo. Ma lo siamo per davvero?
  12. Dio ci ha creati per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita, e per goderLo poi nell'altra in Paradiso A uno scriba che gli chiedeva quale fosse il primo comandamento, Gesù rispose essere quello che impone di amare Dio con tutto noi stessi (v. Mr 12, 28-32). Per amare bisogna prima conoscere. L'amore nasce dalla conoscenza dell'oggetto amato e porta a servire la persona amata. L'uomo è superiore a tutti gli esseri visibili per la sua intelligenza, che gli è data prima di tutto perché possa conoscere Dio, le sue opere e la sua volontà e lo glorifichi a nome di tutto il creato. A noi battezzati, oltre l'intelligenza, Dio ha dato anche il dono immensamente superiore della fede, che ce Lo fa conoscere come si è rivelato e ci fa credere ai divini misteri. Noi siamo quindi creati prima di tutto perché conosciamo Dio con il lume di ragione nelle sue opere e con il lume di fede nella rivelazione soprannaturale, andando a Lui per via della conoscenza di ragione e di fede. Dalla conoscenza naturale e soprannaturale di Dio, delle sue opere e delle sue perfezioni, nasce in noi l'amore verso Dio, via che ci guida nell'osservare liberamente la legge divina. L'amore porta a servire la persona amata. L'amore divino ci porta a servire Dio nel modo che ci è indicato dalla sua volontà espressa nei divini comandamenti, via e guida oggettiva della nostra condotta. Dio non ci costringe a fare la sua volontà. A chi lo ama e serve fedelmente in questa vita, Egli darà il premio della felicità eterna in cielo, la meta preparata da Lui a chi cammina nella fede, nell'amore e nel servizio divino. Il buon cristiano agisce sempre conformemente al fine per il quale è stato creato. Esempio Il figlio dodicenne di un milionario newyorkese, esaminando ritagli di giornali vecchi, lesse che il padre dodici anni prima aveva adottato un trovatello. Nella speranza di scoprire un fratello domandò al babbo: "Papà, che ne è del bambino che ha adottato dodici anni fa e che ora dovrebbe avere la mia età?". Stringendo a sé il ragazzo, il ricco milionario gli disse: "E' una storia che ti riguarda da vicino, figlio mio! Non avrei voluto dirtelo e pensavo di non svelarti questo segreto. Tu sei l'orfanello di un giorno, che io adottai per impedire che fossi portato al ricovero dei trovatelli. Ma ora sei mio figlio e tutte le mie ricchezze, tutti i miei beni, tutto il mio amore sono per te! Mi basta che tu sia un figlio affezionato, degno dell'amore di tuo padre!" - "Papà, te lo prometto, sarò sempre degno del tuo amore!". Noi siamo i figli adottivi di Dio, fatti eredi del suo amore e delle sue ricchezze. Viviamo in modo da essere figli degni di tale Padre!
  13. LA PREGHIERA DEL CONFITEOR S - Confíteor Deo Omnipoténti, Beátae Maríae semper Vírgini, Beáto Michaëli Archángelo, Beáto Ioánni Baptístæ, Sanctis Apostόlis Petro et Paulo, όmnibus Sanctis et tibi, pater, quia peccávi nimis cogitatiόne, verbo et όpere (Percutit sibi pectus ter, dicens:) Mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa; Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, Beátum Michaélem Archángelum, Beátum Ioánnem Baptístam, Sanctos Apόstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dόminum Deum Nostrum. C - Misereátur vestri Omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis vestris, perdúcat vos ad vitam ætérnam. S - Amen. C - Indulgéntiam, † absolutiόnem et remissiόnem peccatόrum nostrόrum tríbuat nobis Omnípotens et Miséricors Dόminus. S - Amen. C - Deus, tu convérsus vivificábis nos. S - Et plebs tua lætábitur in te. C - Osténde nobis, Dόmine, misericόrdiam tuam. S - Et salutáre tuum da nobis. C - Dόmine, exáudi oratiόnem meam. S - Et clámor meus ad te véniat. C - Dόminus vobíscum. S - Et cum spíritu tuo. S - Confesso a Dio Onnipotente, alla Beata sempre Vergine Maria, a San Michele Arcangelo, a San Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a te padre, che ho peccato molto in pensieri, parole ed opere, (si percuote il petto tre volte, dicendo:) per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la Beata sempre Vergine Maria, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi e a te padre, di pregare per me il Signore Dio nostro. C - Dio Onnipotente abbia misericordia di voi, perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eterna. S - Amen. C - Il Signore, Onnipotente e Misericordioso, ci conceda l’indulgenza, l’assoluzione e il perdono dei nostri peccati. S - Amen. C - Volgendoti a noi, o Dio, ci farai vivere. S - E il tuo popolo si allieterà in te. C - Mostraci, o Signore, la tua misericordia. S - E donaci la tua salvezza. C - Signore, ascolta la mia preghiera. S - E il mio grido giunga fino a te. C - Il Signore sia con voi. S - E con il tuo spirito. Ogni uomo è peccatore e deve riconoscerlo. La liturgia tradizionale, quella che la Chiesa ci ha trasmesso da secoli e secoli, è un'ammirabile scuola di umiltà. Lo si vede chiaramente nei gesti e nelle azioni: le prostrazioni, le genuflessioni, gli inchini, sono altrettante manifestazioni della nostra umiltà, della nostra riverenza prima di tutto nei riguardi di Dio. Il sacerdote, all'inizio della Messa, durante la preghiera del Confiteor si inchina, come il pubblicano, con gli occhi bassi verso terra, dicendo: "Signore, abbi pietà di me, che sono un povero peccatore" (Lc. 18,13). Anche noi siamo peccatori. La prima lettera di san Giovanni è molto chiara su questo punto: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto e ci perdona e ci purifica da ogni iniquità. Se diciamo che siamo senza peccato, facciamo di lui un mentitore e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate. E se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo, il Giusto. Egli stesso è vittima di propiziazione per i nostri peccati, non solamente per i nostri, ma per quelli di tutto il mondo" (1 Gv. 1,8-22). Dobbiamo ricordarci del nostro stato di peccatori, anche le anime più perfette se ne sono sempre ricordate, perché avvertivano nella loro natura tutte le conseguenze del peccato, ne soffrivano e se ne sentivano stimolate ad essere più fervorose, a contemplare maggiormente la Passione di Nostro Signore, a essere più legate alla Croce di Nostro Signore per essere più perfette. I Santi si sono sempre considerati peccatori e proprio per questo si sono avvicinati tanto a Dio che, al ricordo dei loro peccati, anche dei più piccoli, ne hanno visto la gravità, pentendosi e ritenendo la loro vita insufficiente a rimpiangere le colpe commesse davanti alla bontà di Dio, al suo Amore. Come quando ci si avvicina a un quadro se ne notano i difetti che non si vedono da lontano, così più la nostra anima si avvicina a Dio più grandi appaiono i nostri difetti. Nella Messa alcune preghiere ci ricordano proprio che siamo peccatori, per farci invocare la misericordia di Dio. Una virtù da ricercare e che ci è tanto consigliata dalle preghiere della Santa Messa, è la contrizione interiore, che gli antichi chiamavano compunzione. Essa consiste nell'aver sempre davanti a noi il ricordo del nostro peccato. Questo non ci umilia. Non crediamo che sia per umiliarci che la Chiesa ci chiede questa virtù, ma per la nostra santificazione e per metterci nella realtà della vita spirituale. Chi vivesse questo stato di compunzione abituale eviterebbe molti peccati, perché questo dolore, questa disposizione interiore rispetto al nostro stato di peccatori, ci allontana dal peccato. Se ci dispiacciamo del peccato, se ne abbiamo orrore, allora nasce in noi questo sentimento, questo istinto di disprezzo e rifiuto del peccato. Sono disposizioni molto favorevoli alla vita spirituale e propizie all'esercizio della carità, perché la penitenza è richiesta da Dio e dalla Chiesa per farci praticare la carità, per distruggere in noi l'egoismo, l'orgoglio, tutto ciò che è vizio, che in qualche maniera imprigiona il nostro cuore, che lo chiude in una piccola torre d'avorio.
  14. Il martirio del corpo Santa Teresina, nella preghiera, aveva chiesto di soffrire le pene del martirio, e fu esaudita. Le sue sofferenze fisiche furono, anzi, più di un martirio. Soffrì molto anche durante la sua infanzia, ma fu soprattutto verso la fine della sua vita terrena che le sue pene si moltiplicarono. Le sue forze diminuirono; si trascinava, nel vero senso della parola, ai vari esercizi della Comunità, compiendo ogni dovere, anche il più faticoso ufficio liturgico della sera, sebbene dovesse combattere contro lo stordimento e le vertigini per mantenersi in piedi. Quando tutto era finito, si trascinava sulle scale aggrappandosi al corrimano, e si fermava ad ogni scalino, per riprendere fiato, tanto che impiegava almeno mezz'ora per attraversare il corridoio ghiacciato che la conduceva nella sua fredda cella. Una volta arrivataci, era così spossata che le ci voleva almeno un'ora per spogliarsi. Allora provava a riposare sul duro pagliericcio ma, avendo solo due coperte sottili, trascorreva l'intera notte tremando dal freddo. La sua malattia, avendo indebolito il sangue, la rese molto più sensibile al freddo, tanto che ella stessa confessò sul letto di morte: "Ciò per cui soffersi di più fisicamente, durante la mia vita religiosa, fu il freddo; ne soffersi da morire". Ma continuò a combattere, perché uno dei suoi principi era: "Bisogna essere all'estremo delle forze, prima di muover lamento". Infine, non riuscendo più a stare in piedi, fu costretta a mettersi a letto. Le sue pene aumentavano; tossiva gran parte della notte, di giorno era consumata da una febbre ardente e spossata da un copioso sudore; era colpita da violente emorragie ed attacchi di soffocamento; il suo estremo deperimento le causava tante piaghe dolorose. Quando l'infermiera provava a darle un po' di sollievo mettendola seduta, santa Teresina diceva di sentirsi sedere sugli arpioni. "Se solo sapesse - le disse - quello che soffro. Bisognerebbe farne l'esperienza per sapere cosa significa. Posso facilmente capire perché le persone senza fede, quando soffrono in questo modo, sono tentate di togliersi la vita... Vi dico che, quando si soffre così, manca solo un passo per impazzire". Osiamo ancora chiedere se la piccola Teresa soffrì tanto? Eppure, c'era sempre un dolce sorriso sulle sue labbra. E noi non possiamo sopportare con un sorriso delle pene insignificanti per amor di Dio?
  15. Dio ha cura e provvidenza delle cose create, e le conserva e dirige tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. Il Salvatore ci raccomanda: Non angustiatevi per la vostra vita, di quello che mangerete, né per il vostro corpo, di quello che vestirete. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. E voi non valete di più? (Mt 6, 25-26; cfr. ivi, 26-34). La cura che Dio ha per le sue creature è immensamente più grande di quella della mamma per i figli. Dio è sapienza infinita e conosce ciò che ha creato; è onnipotente e può averne cura; è infinitamente buono, ama le sue creature, e non può fare a meno di averne cura e di provvedere ad esse quanto occorre. Come un fiume per scorrere deve essere alimentato dalla sorgente, così le creature, per continuare ad esistere e ad agire, devono essere conservate da Dio, sorgente del loro essere e del loro potere, altrimenti scomparirebbero istantaneamente nel nulla da cui furono tratte. Dio ha creato ogni essere per un fine specifico e dirige ogni cosa al fine generale che è la sua gloria. Il Signore, infatti, ha fatto tutte le cose per se stesso (Pr 16, 4). Con le leggi fisiche dirige le cose prive di libertà; con la legge morale governa gli esseri liberi, come la via guida il viandante alla meta. La provvidenza divina si manifesta specialmente nel dare alle cose le vie e i mezzi necessari per raggiungere il fine voluto per esse, e nel dirigerle con la sua potenza perché ognuna lo consegua e tutte insieme gli diano la gloria di cui ha diritto. Gli attributi divini che più rifulgono nella divina provvidenza sono: 1) la sapienza. - Nel creato esiste un ordine meraviglioso, dall'attività degli esseri liberi al movimento degli astri, alla composizione dell'atomo invisibile. In tale ordine perfetto ogni cosa tende al suo fine particolare e tutti gli esseri uniti cantano la sapienza e la grandezza di Dio. Solo l'uomo che usa male della sua libertà può andare contro l'ordine della sapienza divina. Tutto è regolato da leggi e condotto per vie che sono l'impronta dell'infinita sapienza divina; 2) la bontà. - Nell'ordine della provvidenza rifulge sovrana la divina bontà, che crea, conserva, dirige per amore ogni cosa alla perfezione e tutto ha posto al servizio dell'uomo, perché riconosca l'amore di Dio e canti, a nome di tutti gli esseri, la gloria divina; 3) la giustizia. - La giustizia di Dio si manifesta nel dare a ogni cosa ciò che le è necessario per conseguire il fine particolare (all'occhio perché possa vedere, al cibo perché nutra, all'intelligenza perché conosca la verità...) e il fine generale della gloria di Dio. La giustizia divina, inoltre, si manifesta nel premiare gli esseri liberi che osservano la legge morale e nel castigare quelli che la trasgrediscono. In Dio le vie della sapienza, bontà e giustizia sono infinite, come tutte le altre perfezioni. Nel creato non si manifesta tutta l'infinità delle divine perfezioni, ma la loro impronta è così manifesta, grande, fulgida, che ci riempie di stupore, ancorché non comprendiamo l'opera divina che in minima parte. Dall'umile filo d'erba agli astri smisurati, tutto canta la sapienza, la bontà, la giustizia di Dio, ed è via che ci conduce a Lui nostro principio, modello e fine.
  16. L'inchino al Gloria Patri C - Glòria Patri et Fìlio et Spirìtui Sancto. S - Sicut erat in princìpio et nunc et semper, et in saecula saeculòrum. Amen. C - Introìbo ad altàre Dei. S - Ad Deum Qui laetìficat iuventùtem mèam. C - Adjutòrium nostrum in nòmine Dòmini. S - Qui fècit caelum et terram. C - Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. S - Come era nel principio, e ora, e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen. C - Mi accosterò all'altare di Dio. S - A Dio che allieta la mia giovinezza. C - Il nostro aiuto è nel nome del Signore. S - Egli ha fatto cielo e terra. Voi dite alla fine del salmo: Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto... et in saecula saeculorum. Amen. E' la più bella preghiera che fate, non dimenticatelo! E' la conclusione della preghiera dei salmi. La Chiesa ha voluto mettere questa preghiera alla fine dei salmi perché é come la conclusione, il risplendere di tutta la preghiera. Non potremmo pregare meglio che dicendo: Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto... et in saecula saeculorum. Amen. E' la più bella preghiera che noi possiamo fare. E se, dicendo questa preghiera vi inchinate davanti alla Santissima Trinità, è per adorarla, perché non c'è niente di più grande, di più sublime, di più bello che adorare la Santissima Trinità. La fede ci rivela che Dio Padre genera il Verbo. Scoprire questo è meraviglioso, straordinario! Dio Padre non è solo. Genera nel suo amore il Verbo di Dio, una persona assolutamente uguale a Lui. E il Verbo ama suo Padre di un amore uguale a lui stesso. E l'amore, col quale il Padre e il Figlio si amano mutuamente, genera una terza Persona che è lo Spirito Santo. E' una scoperta che ci fa comprendere la vita intima di Dio nell'eternità prima dell'inizio del mondo e che ci fa cogliere come Dio abbia comunicato il suo amore alle creature. Il Buon Dio ha sempre avuto questa vita intensa d'amore, che oltrepassa tutto ciò che noi possiamo concepire e immaginare. Se il Verbo è assolutamente uguale al Padre è perché il Padre non tiene nulla per sé del suo amore: dà tutto al Verbo, la sua propria vita e tutto il suo Essere, restando comunque se stesso, certamente! La sola differenza tra il Padre e il Figlio è che uno genera e l'altro è generato. Fuori da questa relazione di paternità e figliolanza, sono esattamente uguali. Non vi sono più qualità, più potere, più intelligenza nel Padre che nel Figlio. Ed è così da tutta l'eternità. Da tutta l'eternità, Dio Padre genera suo Figlio e l'amore del Padre e del Figlio genera quella terza Persona che è lo Spirito Santo. Il Padre e il Figlio sono co-principio dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l'amore con il quale si amano. E' il grande mistero! Il mistero dell'Incarnazione e il mistero della Redenzione sono certamente dei grandi misteri che mostrano l'amore del Buon Dio nei nostri confronti. Ma non esistono che a causa della Santissima Trinità. Se non ci fosse stata la Santissima Trinità, non ci sarebbe stata né l'Incarnazione né la Redenzione. Così il grande mistero che ci rallegrerà per tutta l'eternità sarà soprattutto il mistero della Trinità.
  17. Dio non può fare il male, perché non può volerlo; ma lo tollera per lasciar libere le sue creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male. Dopo che Gesù ebbe digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, gli si accostò satana per distoglierlo dalla missione messianica e magisteriale, inducendolo a peccare di gola, di presunzione e d'idolatria (v. Mt 4, 1-10). Le tentazioni diaboliche riuscirono vane, perché Cristo era Dio, non poteva fare il male e neppure volerlo. Il male è la mancanza del bene dovuto a chi ne è privo. Se manca un bene fisico, come la vista al cieco e l'udito al sordo, allora il male è fisico; se, invece, manca una perfezione o bene morale, come la giustizia o la purezza, allora il male è morale. Il vero male, però, è solo quello morale, non il male fisico. Dio può volere il male fisico per un bene superiore, Gesù Cristo, infatti, volle la passione e la morte, con tutte le sofferenze, per il bene della nostra salvezza. Dio, invece, non può volere il male morale, perché è bontà infinita. Se potesse volerlo e farlo, offenderebbe se stesso, non sarebbe più Dio, ma appunto come potrebbe Dio non voler essere più Dio? Il più grande dono naturale datoci da Dio è la libera volontà, per cui possiamo volere o no, scegliere una cosa o un'altra, senza essere costretti né dall'esterno né dall'interno. Dio ci ha dato la libertà perché scegliamo senza costrizioni il bene da Lui voluto. Noi, però, possiamo usare male la libertà scegliendo il male, commettendo il peccato col fare ciò che Dio ha proibito, o non facendo quello che ha comandato. Il Creatore potrebbe toglierci la libertà e ridurci allo stato di bruti che agiscono per istinto, e impedirci di volere e scegliere il male. Ma Egli rispetta il dono che ci ha fatto, e si limita a proibirci, senza impedircelo, di volere il male morale o peccato. Dio permette il male per fini che conosciamo solo in minima parte, ma sappiamo che lo fa per ricavarne sempre qualche bene. Egli permette le persecuzioni contro la Chiesa per purificare i suoi eletti, rendendoli più simili a Cristo e maggiormente meritevoli della gloria celeste. Dai mali spaventosi delle guerre sa trarre il bene dell'eroismo e della manifestazione della vera carità. Permise il tradimento di Giuda usandolo per il compimento del sommo bene della Redenzione. Chi abusa della sua libertà per commettere il peccato opera per la sua rovina.
  18. Dio può far tutto ciò che vuole: Egli è l'Onnipotente. Nostro Signore, toccando con la mano e dicendo: Lo voglio, sii mondato, guarì in un attimo e perfettamente un lebbroso dall'orribile malattia contro la quale era inefficace ogni rimedio umano (cfr. Mr 1, 40-43). Gesù Cristo operava i miracoli con la sua divina onnipotenza. Gli uomini possono fare molte cose; i sovrani possono dichiarare guerra e talora vincerla... Ma nessuno può comandare al mare e fermare le onde infuriate, mutare il corso delle stagioni, fermare la morte per sempre e strapparle le sue prede. L'uomo con la sua potenza può fare qualcosa, ma non tutto. Non é onnipotente. Solo Dio è onnipotente e la sua volontà può fare tutto ciò che vuole. Ciò non significa che Dio possa fare anche le cose assurde. L'assurdo è impossibile in se stesso, perché contraddittorio nei termini; un circolo non potrà mai essere quadrato, perché quadrato e circolo si escludono a vicenda. Non si può essere sani e ammalati, buoni e cattivi, vecchi e giovani nello stesso tempo. Oltre le cose assurde, Dio non può fare neppure il male, perché non può volerlo. Ogni volta che diciamo il Credo esprimiamo la nostra fede nell'onnipotenza di Dio: Io credo in Dio... onnipotente. La Sacra Scrittura chiede: Vi è forse qualcosa di difficile per Iddio? (Gn 18,14) Con la sua onnipotenza Dio può punire a ogni istante i nostri peccati e premiare le nostre opere buone. Stiamocene quindi davanti a Lui nell'umiltà, intenti solo a operare il bene.
  19. La Purificazione di Maria Vergine è la festa istituita in memoria del giorno nel quale la santissima Vergine andò al tempio di Gerusalemme, per adempiere la legge della purificazione e per presentarvi il suo divin figliuolo Gesù Cristo. La legge della purificazione era quella di Mosè, la quale obbligava tutte le donne a purificarsi dopo il parto nel tempio, con l'oblazione di un sacrifizio. La Santissima Vergine ovviamente non era obbligata alla legge della purificazione, perché divenuta madre per opera dello Spirito Santo, conservando la sua verginità. La Santissima Vergine si sottomise alla legge della Purificazione, alla quale non era obbligata, per darci esempio di umiltà e di obbedienza alla legge di Dio. Essendo povera, nella sua Purificazione offrì al tempio il sacrificio delle madri povere, un paio di tortore o di colombi. La santissima Vergine nel giorno della Purificazione presentò Gesù Cristo al tempio, perché la legge antica obbligava i genitori a presentare a Dio i loro primogeniti, e a recuperarli poi con una certa somma di denaro, perché di proprietà del Signore. Iddio aveva stabilito la legge della presentazione dei primogeniti perché il suo popolo ricordasse sempre che fu liberato dalla schiavitù del Faraone, quando l'Angelo uccise tutti i primogeniti degli egiziani e salvò quelli degli ebrei. Quando Gesù Cristo fu presentato al tempio, venne riconosciuto come vero Messia da un santo vecchio chiamato Simeone e da una santa vedova chiamata Anna. Simeone lo prese fra le sue braccia e, ringraziando il Signore disse il cantico Nunc dimittis, con cui espresse che moriva contento dopo aver veduto il Salvatore; predisse in più le contraddizioni che doveva soffrire Gesù Cristo, e le pene che ne avrebbe provato la sua Santa Madre. La profetessa Anna lodava e ringraziava il Signore d'aver mandato il Salvatore del mondo, e ne parlava a tutti quelli che ne aspettavano la venuta. Dai misteri della Purificazione di Maria Vergine e della Presentazione di Gesù Cristo dobbiamo imparare principalmente tre cose: 1. ad adempiere esattamente la legge di Dio, e non cercar pretesti per dispensarci dall'osservarla; 2. a desiderare Dio solo, e offrirci a Lui per fare la sua divina volontà; 3. ad avere grande stima dell'umiltà, e purificarci sempre più colla penitenza. I padri e le madri nella festa della purificazione dovrebbero offrire i loro figliuoli a Dio, e domandargli la grazia di allevarli cristianamente. Nel giorno della Purificazione si fa la processione con le candele accese in mano, in memoria del viaggio della santissima Vergine da Betlemme al tempio di Gerusalemme col bambino Gesù fra le braccia, e del giubilo che dimostrarono i santi Simeone ed Anna nell'incontrarsi con esso. Assistendo alla processione noi dobbiamo rinnovare la fede in Gesù Cristo nostra vera luce, e pregarlo ad illuminarci con la sua grazia e renderci degni d'essere un giorno ammessi al tempio della gloria per l'intercessione della sua Santissima Madre.
  20. Il salmo 42: Judica me 2. Un sacrificio per amore del Padre e delle anime "Nostro Signore ha dato la sua vita innanzitutto per amore del Padre, per ristabilire la gloria del Padre. Si comprende bene che Nostro Signore sulla Croce è tutto orientato verso il Padre; si rivolge a Lui all'inizio della sua Passione; tutti i suoi sentimenti sono orientati verso il Padre. Senza dubbio, dona il suo Sangue per redimerci, per la Redenzione dai peccati del mondo, ma ogni suo pensiero è orientato verso l'immenso amore che ha per il Padre. Vuol fare la volontà del Padre, ristabilire la gloria di suo Padre. Mai creatura ha potuto cantare le lodi del Padre come il suo proprio Figlio, il Figlio incarnato. Evidentemente, nessuna creatura potrà mai fare altrettanto. Per avere un'idea di ciò che pensava Nostro Signore Gesù Cristo quando era sulla Croce, non potremmo forse mettergli sulle labbra le parole della grande preghiera che pronunciò prima di andare al Cenacolo per la santa Cena e prima di salire sulla Croce? Quest'ammirevole preghiera racchiude le più belle parole che Nostro Signore Gesù Cristo abbia mai pronunciato: "Padre, glorificami della gloria che avevo in Te prima che il mondo fosse" (Gv. 17,5). Questa frase ci pone in un'atmosfera celeste, completamente divina, dell'eternità di Dio stesso. Nessun uomo quaggiù, nemmeno la Santa Vergine, ha potuto pronunciare simili parole. Esse erano riservate all'Uomo-Dio, a Dio. Nostro Signore chiede, dunque, a suo Padre di glorificarlo di nuovo e, attraverso ciò, glorifica suo Padre. E mentre chiede di essere glorificato, Nostro Signore non può non chinarsi sugli uomini. Sulla Croce, quando dice: "Tutto è compiuto" (Gv. 19,30), ripete la frase che ha pronunciato prima della sua Passione: "Ho compiuto l'opera che mi hai dato" (Gv. 17,12). Ho custodito le anime che mi hai affidato: gli Apostoli, i discepoli, i fedeli che mi hanno seguito e tutti quelli che hanno creduto nella missione che mi hai dato e che ho compiuto. Tutti questi, li ho custoditi e chiedo che un giorno anche tu li glorifichi (Cfr. "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria"): "Che essi siano una sola cosa con noi" (Gv. 17, 22-23). "Li ho scelti dal mondo" (Gv. 15,19), dice Nostro Signore, "...ma non sono del mondo, come io non sono del mondo" (Gv. 17,14), e "Io non prego per il mondo" (Gv. 17,9). Nostro Signore pronuncia tutte queste parole in ragione di coloro che rifiutano di credere nella sua divinità e che si oppongono a Lui. Nostro Signore chiede al Buon Dio di custodire i suoi fedeli, di proteggerli dal mondo: "Preservali dal male", affinché siano fedeli con la loro perseveranza alla scelta che Egli ha fatto di loro. Tutto ciò è molto grave e misterioso. "Tutto è compiuto". Queste ultime parole, Nostro Signore le pronuncia mentre è sulla Croce e le rivolge al Padre suo ripensando a tutta l'opera che aveva compiuto nel corso degli anni trascorsi sulla terra."
  21. Dio sa tutto, anche i nostri pensieri: Egli è l'Onnisciente. Gesù Cristo lesse nei cuori degli scribi che mormoravano contro di Lui, perché aveva dichiarato perdonati i peccati del paralitico che gli avevano presentato. E per dimostrare che Egli come Dio aveva il potere di perdonare i peccati, all'istante guarì l'infermo (cfr. Mt 9, 1-7). Il bambino nei primi mesi della sua vita non sa nulla. Poi, a poco a poco, acquista cognizioni sempre nuove, e forse, fatto adulto, sarà ammirato per la vasta scienza, ma anche allora ignorerà molte cose, e più crescerà la scienza e più l'orizzonte di ciò che ignora si allargherà. Socrate era stato definito l'uomo più sapiente della Grecia, e confessava di conoscere una cosa sola: che non sapeva nulla. Dove si può trovare un saggio che sappia quanti sono i capelli del nostro capo, le gocce dell'oceano, le stelle del firmamento? Dio solo conosce tutte le cose, perché è "onnisciente". Se ignorasse anche una sola cosa, non sarebbe perfettamente sapiente e non sarebbe Dio, perché Dio deve possedere tutte le perfezioni e ciascuna in sommo grado. Egli è infatti infinito nell'intelletto e in tutte le perfezioni, per cui Lui solo può conoscere perfettamente Se Stesso. Nessuno conosce il Figlio tranne il Padre, e nessuno conosce il Padre tranne il Figlio (Mt 11, 27). Egli conosce anche i nostri pensieri e desideri più intimi. Non possiamo, infatti, né pensare né volere la minima cosa senza il concorso divino. Gesù Cristo predisse la sua Passione, Morte e Resurrezione, la distruzione di Gerusalemme, le persecuzioni contro i suoi discepoli e la Chiesa...Tutto si è avverato e si avvera. Dio conosce non solo tutte le cose future che saranno realmente, ma anche quelle puramente possibili e che non esisteranno mai. Egli sa, ad esempio, che un bambino che muore nella culla, se diventasse adulto commetterebbe molte colpe. Egli conosce tutto ciò che farebbero gl'infiniti esseri possibili che non esisteranno mai, perché tutto farebbero conforme alla previsione della sua scienza e con il concorso della sua potenza. Esempio: Santa Teresa d'Avila descrive una sua visione dell'onniscienza di Dio: "La divinità è come un diamante di una trasparenza sovranamente limpida e assai più grande del mondo. Ciascuna delle nostre azioni si vede in questo diamante, perché nulla può esistere fuori dell'immensità che contiene in sé ogni cosa".
  22. Il salmo 42: Judica me C - Introibo ad altare Dei. S - Ad Deum qui laetificat iuventutem meam. C - Judica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta: ab homine iniquo, et doloso érue me. S - Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me repulisti, et quare tristis incédo, dum afflìgit me inimìcus? C - Emìtte lucem tuam et veritatem tuam: ipsa me deduxèrunt et adduxèrunt in montem sanctum tuum, et in tabernàcula tua. S - Et introìbo ad altàre Dei: ad Deum qui laetìficat iuventutem meam. C - Confitèbor tibi in cìthara, Deus, Deus meus; quare tristis es, anima mea, et quare contùrbas me? S - Spera in Deo, quòniam adhuc confitèbor illi: salutare vultus mei, et Deus meus. C - Mi accosterò all'altare di Dio. S - A Dio che allieta la mia giovinezza. C - Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: liberami dall'uomo iniquo e fraudolento. S - Tu sei la mia forza, o Dio; perché mi respingi? E perché devo andare così triste sotto l'oppressione del nemico? C - Degnami del tuo favore e della tua grazia, onde mi guidino e mi conducano al tuo santo monte e ai tuoi tabernacoli. S - Mi accosterò all'altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza. C - Te loderò sulla mia cetra, o Dio, Dio mio; perché sei triste, anima mia? Perché mi turbi? S - Spera in Dio, perché ancora potrò lodarlo, Lui che è la salvezza mia e il mio Dio. Nostro Signore Gesù Cristo, segno di contraddizione, è stato molto amato, ma anche odiato, al punto da essere perseguitato e messo a morte. Ha offerto la sua vita per amore del Padre e per amore delle anime. In questo salmo si può vedere Nostro Signore che implora il soccorso del Padre in mezzo alle prove che lo condurranno fino all'altare del suo Sacrificio. Il sacerdote, altro Cristo, deve a sua volta attingere le proprie forze in Dio per portare generosamente la croce. 1. Nostro Signore, segno di contraddizione. "Quando, all'inizio della Messa, diciamo: "Judica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta", "O Dio, giudicami e separami da coloro che non sono santi", sembra che consideriamo noi stessi puri e gli altri impuri; ma non possiamo negare la verità che ci siano coloro che non vogliono Nostro Signore Gesù Cristo. Nell'inno (della festa di Cristo Re) cantiamo: "La folla scellerata grida: Non vogliamo Cristo Re". Eh si, esiste questa folla. E' dappertutto nel mondo, più che mai! Più che mai si dicono parole: "Non vogliamo Cristo Re!". Ebbene, da parte nostra, al contrario, dobbiamo sempre affermare questo desiderio, questa volontà di ricercare sempre il regno di Nostro Signore. Una lotta è cominciata all'inizio dei tempi, quando i nostri progenitori hanno peccato, e continua ancora ai nostri giorni. Noi siamo i testimoni di questo gigantesco combattimento tra Nostro Signore Gesù Cristo e Satana, tra i seguaci di Satana e i discepoli della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa lotta è stata sostenuta, nell'Antico Testamento, da coloro che formavano il popolo di Israele, il popolo scelto da Dio perché da esso nascesse Colui che sarebbe stato il vincitore del demonio, del mondo e del peccato: Nostro Signore Gesù Cristo. Il popolo d'Israele, che prefigura la Chiesa, ha dovuto lottare con fermezza e forza contro coloro che volevano la sua distruzione, contro Satana che voleva la sua distruzione. Ha lasciato l'Egitto rimanendo quarant'anni nel deserto, mentre dietro di sé, tutta l'armata del Faraone veniva inghiottita dai flutti del mare. Forse che tutto questo non rappresenta una lotta, un combattimento? E questo scontro si perpetuerà fino ai tempi di Nostro Signore. Nostro Signore ne sarà la Vittima, ma la Vittima trionfante. Da quel momento la storia della Chiesa non sarà altro che la lotta tra Satana e i fedeli della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. La Croce sarà il segno della vittoria di Costantino sui suoi nemici. La Chiesa trionferà su coloro che vogliono la sua scomparsa. La nostra società deve restare cattolica, oggi è minacciata di diventare protestante, atea, pagana, apostata, di abbandonare Nostro Signore Gesù Cristo, di non avere più alcuna religione, se non quella della lussuria, del piacere, del denaro, della concupiscenza. Per questo, nel momento in cui si assassinano i bambini attraverso la legge dell'aborto e presto gli anziani con l'eutanasia, noi dobbiamo essere i difensori della nostra santa religione, dobbiamo lottare contro coloro che vogliono ridurci al peggiore dei paganesimi. Dobbiamo giurare, oggi, di custodire la Legge di Dio, di custodire l'amore per la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, essere fedeli alla sua Croce."
  23. L'antifona Introibo ad altare Dei C - Introibo ad altare Dei. S - Ad Deum Qui laetificat juventutem meam. C - Salirò all'altare di Dio. S - Al Dio che rallegra la mia giovinezza. La Messa ci avvicina a Nostro Signore Gesù Cristo. Essa è la sorgente della gioia e della vera felicità per tutti coloro che scelgono di seguirlo nel Suo Sacrificio e di rimanere con Lui. 1. Salirò all'altare di Dio Dove troveremo Nostro Signore Gesù Cristo? E' necessario andare in Palestina sul monte della Trasfigurazione? No, Lo troveremo sui nostri altari, perché ormai Egli è sui nostri altari. E' là che lo troveremo in tutto il suo splendore e avremo gli stessi sentimenti degli Apostoli sulla montagna della Trasfigurazione. E' per questo che non possiamo abbandonare i nostri altari. Il nostro altare è il Sinai; il nostro altare è il Tabor; Nostro Signore vi si trova in tutta la sua gloria. Se noi potessimo vedere l'altare come gli angeli e i santi lo vedono, avremmo anche noi il nostro volto illuminato, raggiante di gioia, della gloria di Nostro Signore. E' ai piedi dei nostri santi altari che troveremo la luce di Nostro Signore. Questa luce è l'emanazione della carità di Dio, di quella vita di Dio che deve riempire le nostre anime. 2. A Dio che allieta la mia giovinezza Che il santo Sacrificio della Messa sia per tutti voi la sorgente della vostra spiritualità, la sorgente della vostra gioia, la sorgente della vostra felicità; possiate trovare nella Santa Messa, nella comunione tutte le mattine, la vostra più grande gioia. Che la Messa vi procuri anche, al di là della gioia, la pace inalterabile. Se la vostra fede, la vostra dottrina, la vostra spiritualità sono fondate sul santo Sacrificio della Messa, siete nella verità. Non ci si può sbagliare quando si è stabilita la propria fede sul santo Sacrificio della Messa.
  24. Per accedere al grande mistero della Croce di Nostro Signore è indispensabile una preparazione. Per questo, durante la prima parte della Messa, la Chiesa unisce alla lode alcune preghiere per suscitare l'umiltà e la contrizione interiore, per poi nutrire la nostra fede con i testi che ci propone di meditare. La prima parte della Messa, chiamata Messa dei catecumeni, è consacrata alla lode, alla compunzione, ma soprattutto all'insegnamento. Essa si riassume nel Credo. E' utile che la Santa Messa sia occasione d'insegnamento, di comunicazione del Verbo di Dio "che illumina ogni uomo che viene in questo mondo" (Gv. 1,9). Questa prima parte della Messa deve essere a sua volta la sorgente dello zelo nel manifestare Nostro Signore alle anime. Il segno di croce Il celebrante: "In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. (Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia. Il segno di croce, simbolo del Sacrificio di Nostro Signore, ricorda per quale mezzo l'ordine, fondato da Dio all'origine e distrutto dal peccato, è stato ristabilito. Noi crediamo che in Dio ci sono tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Siamo stati battezzati nel nome di queste tre Persone e, nel fare il nostro segno di croce, diciamo sempre: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E' un credo che è entrato nella nostra vita ed è un principio fondamentale della vita cristiana. La Croce fa pensare alla SS. Trinità. In effetti, è il Figlio che è inchiodato alla Croce e lo è per l'amore a suo Padre e dunque ripieno di Spirito Santo. Le tre Persone della SS. Trinità circondano la Croce che è l'espressione più profonda, più ammirabile di ciò che ha fatto per noi Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. E' nel momento in cui Egli è morto che l'ordine è stato ristabilito, che il demonio è stato vinto, che Dio è stato servito come doveva essere. Ogni grazia viene dalla Croce, dal Calvario, dal Cuore di Gesù Cristo trafitto, da cui sono sgorgati sangue e acqua. Il sangue rappresenta il Sacrificio della Messa e l'acqua rappresenta il battesimo che lava i peccati. Di conseguenza, è con il Sacrificio di Nostro Signore che abbiamo acquistato la redenzione dai nostri peccati. Questo dobbiamo tenerlo sempre presente alla mente.
  25. Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l'Eterno. Tutti gli esseri viventi, composti di materia, nascono e finiscono con la morte, che è la disgregazione delle parti che li compongono. L'uomo muore quando l'anima spirituale si separa dal corpo. I viventi materiali sono mortali; quelli spirituali, essendo semplici, non possono disgregarsi nelle loro parti e quindi morire. L'angelo, dopo che è stato creato, non può morire e cessare di esistere. Lo spirito, che comincia ad esistere con la creazione, non finisce più, è immortale. Sono esseri immortali gli angeli e l'anima dell'uomo, che hanno principio, ma non fine. Dio è spirito purissimo da ogni limite, e non avrà mai fine; è perfettissimo ed esiste necessariamente, e non può avere né principio, né fine. Ciò che esiste senza fine e senza principio è "eterno". Perciò nel Simbolo Atanasiano diciamo di Dio: "Eterno è il Padre; eterno il Figlio; eterno lo Spirito Santo; tuttavia non sono tre eterni, ma un solo eterno". La Sacra Scrittura attesta: Prima che si formassero i monti e che fossero fatti la terra e il mondo, dal principio alla fine tu sei Dio (Sal 89, 2). Riflessione. - Gli astronomi calcolano che l'universo abbia avuto inizio circa due miliardi e mezzo di anni fa. Che cos'è la nostra esistenza terrena in confronto dell'età del mondo? e che cos'è questa di fronte all'Eterno? Esempi: 1. Il fratello di san Gregorio Nazianzeno, risparmiato miracolosamente con la sua casa da un terremoto che aveva distrutto tutta la città, propose di costruirsi una casa che non potesse venir distrutta in eterno, e si ritrasse nella solitudine a servire Dio con più impegno. 2. La moglie di san Tommaso Moro s'era recata dal marito chiuso in carcere per indurlo a rinnegare la fede cattolica per aver salva la vita. Alla prospettiva di aver ancora una ventina d'anni di vita felice e onorata il santo esclamò: "E vuoi che per una ventina d'anni perda l'eternità beata?". 3. Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque, che si rifiutava di scrivere le grazie ricevute perché non le ricordava, disse: "Io sono la memoria eterna del Padre, nel quale l'avvenire e il passato sono presenti".
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