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Valerio

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Blog Entries di Valerio

  1. Valerio
    Articolo di Paolo Risso, pubblicato su "Il Settimanale di Padre Pio" nel novembre del 2016.
    "La “dichiarazione dei diritti dell’uomo”, promulgata in base ai principi di “libertà, uguaglianza e fraternità” senza Dio e contro Dio, a Parigi il 26 luglio 1789, all’inizio della Rivoluzione francese, condusse subito alla proibizione di offrire a Dio i voti e alla soppressione degli Ordini religiosi. Secondo i rivoluzionari, non può essere libero chi si consacra a Dio con i voti – sicuramente vi è stato costretto – ed è pertanto compito della “Nazione” liberarlo. E se non vuole essere liberato, sia ammazzato, perché la società dev’essere di liberi e di uguali!
    Le Priore di tre Monasteri Carmelitani francesi, a nome degli altri, inviarono all’assemblea nazionale il loro proclama: «Alla base dei nostri voti c’è la libertà più grande: nelle nostre case regna la più perfetta uguaglianza; noi confessiamo davanti a Dio che siamo davvero felici». Si rispose loro, da parte dell’Assemblea nazionale, mandando alle porte dei Monasteri uno stuolo di ufficiali per offrirsi loro come liberatori!
    “Qui vogliamo vivere e morire”
    Gli ufficiali della Rivoluzione giunsero anche al Carmelo di Compiègne dove vivevano sedici Monache guidate dalla Priora Madre Teresa di Sant’Agostino. Esse furono convocate una ad una, per dichiarare “liberamente” di voler uscire dal Monastero. Un segretario verbalizzava le loro risposte, per cui la loro singolare avventura è documentata con scrupolo dagli stessi persecutori.
    La Priora dichiarò di «voler vivere e morire in questa santa casa». La più anziana disse: «Sono 56 anni che sono Suora e vorrei averne ancora altrettanti per consacrarli tutti al Signore». Un’altra spiegò: «Mi sono fatta religiosa di mio pieno gradimento e conserverò il mio abito anche a costo del sangue». Così, con parole simili, ripeterono tutte, fino alla più giovane professa da pochi mesi: «Nulla mi indurrà ad abbandonare il mio Sposo Gesù».
    Veramente le Monache erano solo 14, due erano solo delle collaboratrici laiche, ma in quel frangente dichiararono che anch’esse volevano condividere con le “sorelle” la stessa passione e la stessa gloria. Dunque, si tratta sostanzialmente di sedici Carmelitane.
    Intanto la Rivoluzione continuava, volendo separare il Clero e i Cattolici di Francia dal Papa di Roma, iniziando presto la persecuzione più cruenta contro coloro che non accettavano di giurare secondo i suoi “princìpi”. Nella Pasqua del 1792, la Priora di Compiègne propose alle consorelle di offrirsi con lei «in olocausto per placare la collera di Dio e in modo che la sua pace sia restituita alla Chiesa e allo Stato».
    Nel 1792, in un massacro durato tre giorni, si contarono 1.600 vittime, tra cui 250 Preti massacrati a Parigi. Il 12 settembre, le Carmelitane di Compiègne ebbero l’ordine di lasciare il Monastero, subito requisito. Andarono a vivere in gruppetti in quattro casette vicine nello stesso quartiere, riuscendo a comunicare tra loro e ad osservare il più possibile la loro santa Regola di preghiera e di lavoro, in intimità con il Signore Gesù, pronte a ogni evenienza.
    Tra l’ottobre 1793 e l’estate 1794, i senza-Dio scatenarono “il grande Terrore”, che doveva portare alla scristianizzazione totale. Ogni giorno funzionava la ghigliottina, le cui vittime più numerose e più innocenti furono Sacerdoti, Religiosi, credenti, sotto l’accusa di “fanatismo”: in realtà in odio alla Fede. Proprio di “fanatismo” vennero accusate le Suore di Compiègne: furono arrestate e destinate a morire soppresse. Non restava loro che prepararsi al martirio.
    Il 13 luglio 1794, Madre Teresa di Sant’Agostino e le consorelle giunsero a Parigi e furono gettate nella Concergierie, il carcere della morte. Il 16 luglio 1794, festa della Madonna del Carmelo, le Monache composero un nuovo canto, come loro abitudine, alla loro Patrona. Riscrissero la Marsigliese, cambiando l’inno della Rivoluzione in un inno di dedicazione a Gesù.
    Al patibolo cantando
    L’indomani, 17 luglio 1794, comparvero al tribunale accusate di “ribellione”, “sedizione”, “oppressione” del popolo francese, cose incredibili per donne inermi e dedite soltanto alla preghiera. Risposero che non volevano accuse generiche, confuse e mescolate alla politica. Quando l’accusatore, il “cittadino” Fouquier-Tinville, le definì “fanatiche”, Suor Enrichetta Pelres domandò: «Vorreste, voi illustre cittadino, spiegarci che cosa significa fanatismo?».
    Fouquier-Tinville s’infuriò e rispose: «È quella vostra affezione a credenze puerili, quella vostra sciocca pratica religiosa». Suor Enrichetta a nome di tutte, lo ringraziò; poi rivolta alle consorelle disse: «Avete udito che ci condannano per l’affetto che portiamo alla nostra santa Religione. Siano rese grazie a Colui che ci ha precedute sulla via della Croce! Che felicità e che consolazione poter morire per il nostro Gesù!».
    Erano le sei di sera, quando, condannate a morte, con le mani legate dietro la schiena, salirono su due carrette per essere condotte alla ghigliottina. In mezzo alla folla che si assiepava ai margini della via, lungo il loro ultimo viaggio, cantarono Compieta come in Monastero al tramonto di ogni giornata. Tra lo stupore e il silenzio, la gente allibita e muta, sentì innalzarsi con voce dolcissima l’inno Te lucis ante terminum, quindi il Miserere e la Salve Regina, come se quelle andassero a una festa lungamente attesa e preparata.
    Ai piedi del palco, la Priora chiese di morire per ultima, per assistere le sue Figlie come vera madre. Nelle sue mani, le Monache rinnovarono i voti e baciarono la medaglia della Madonna. A quel punto, Madre Teresa intonò il Veni Creator Spiritus, mentre la più giovane saliva per prima al patibolo.
    Mentre si continuava a cantare l’inno allo Spirito di Cristo e il canto si faceva sempre più flebile, le loro teste cadevano una per una sotto la lama. Ultima salì la Priora... Sulla piazza, nel caldo del sole di luglio, tra l’odore del sangue, era sceso un silenzio solenne, mai visto, come se il cielo si fosse squarciato ad accogliere quelle sante Anime.
    Uno dei commissari di polizia, vedendole cadere, disse loro: «Il popolo non ha bisogno di serve!». Le superstiti risposero: «Ma ha bisogno di Martiri e questo è un servizio che ci possiamo assumere». «Noi cadiamo soltanto in Dio».
    Non trascorse un anno che, il 6 maggio 1795, il nuovo tribunale rivoluzionario di Parigi condannò a morte Fouquier-Tinville e tre antichi giudici, sei giurati e altre sei persone che avevano collaborato con quelli all’esecuzione delle Carmelitane di Compiègne. In tutto sedici, come erano le sante Monache.
    Il 27 maggio 1906 Papa san Pio X beatificò le Martiri carmelitane di Compiègne, Madre Teresa di Sant’Agostino e Compagne martiri, fissandone la festa al 17 luglio. Basterebbe, amici, questa pagina di storia, per proclamare senza paura di smentita che il Cattolicesimo è divino!"
  2. Valerio
    "Siete disperati della situazione nella scuola dei vostri figli o volete contribuire a migliorare la situazione educativa nel nostro paese in generale?
    Non lasciate le mani in tasca; ci sono delle congregazioni di suore legati al rito antico che hanno suore giovani e che potrebbero aprire nuove scuole elementari o un collegio femminile con un profilo chiaramente cattolico anche in Italia.
    Chiedetele l’apertura di nuove scuole.
    Aiutatele nella ricerca di strutture adatte.
    Andate a trovarle e conoscere la loro realtà.
    Mettete i vostri talenti e capacità alla loro disposizione.
    Convincete altre famiglie di lottare senza stancarsi per avere delle scuole che sono cattoliche non soltanto pro forma.
    Ecco gli indirizzi postali per incoraggiare le suore a mettere in piedi nuove scuole in Italia; ogni lettera è preziosa:
    Dominicaines enseignantes du Saint-Nom-de-Jésus
    Saint-Pré
    3100, Route de la Roquebrussanne
    83170 La Celle (Brignoles)
    FRANCIA
    Suore consolatrici del Sacro Cuore di Gesù
    Via Flaminia Vecchia, 20
    05030 Vigne di Narni
    Dominicaines enseignantes du Saint-Nom-de-Jésus
    St-Dominique du Cammazou
    B.P. 10
    11270 Fanjeaux
    FRANCIA"
       
  3. Valerio
    Sappiamo che S. Francesco d'Assisi non volle diventare Sacerdote perché si riteneva troppo indegno di così eccelsa vocazione. Venerava i Sacerdoti con tale devozione da considerarli suoi "Signori", poiché in essi vedeva solamente "il Figlio di Dio"; in particolare venerava le mani dei Sacerdoti, che egli baciava sempre in ginocchio con grande devozione; e anzi baciava anche i piedi e le stesse orme dove era passato un Sacerdote.
    Il S. Curato d'Ars diceva: "Si dà un gran valore agli oggetti che sono stati deposti, a Loreto, nella scodella della Vergine Santa e del Bambino Gesù. Ma le dita del Sacerdote, che hanno toccato la Carne adorabile di Gesù Cristo, che si sono affondate nel calice, dove è stato il suo Sangue, nella pisside dove è stato il suo Corpo, non sono forse più preziose?".
    "Se io incontrassi - diceva il S. Curato d'Ars - un Sacerdote e un Angelo, saluterei prima il Sacerdote, poi l'Angelo... Se non ci fosse il Sacerdote, a nulla gioverebbe la Passione e la Morte di Gesù... A che servirebbe uno scrigno ricolmo d'oro, quando non vi fosse chi lo apre? Il Sacerdote ha le chiavi dei tesori celesti..."
    San Francesco di Sales racconta che un pio seminarista vedeva spesso il suo Angelo custode camminare al suo fianco o a un passo avanti. Il giorno dell'ordinazione notò che l'Angelo non gli era più al fianco, ma dietro, alla distanza di qualche passo. Il neo sacerdote si fece indietro per rimettersi al fianco dell'Angelo, ma anche questi indietreggiò. Allora gli domandò: "Mio celeste amico, ti ho forse offeso in qualche cosa?" "No, rispose l'Angelo; fino a oggi io camminavo davanti a te, perché ero più degno. Ma da oggi la tua dignità di sacerdote ti eleva sopra di me. Non ti priverò della mia compagnia, ma non ti precederò più".
    Quest'altissima dignità del Ministero Sacerdotale comporta anche una responsabilità immensa rispetto ai limiti umani della persona a cui viene affidata, del tutto identici a quelli di ogni altro uomo.
    "Il Sacerdote - diceva S. Bernardo - per natura è come tutti gli altri uomini, per dignità è superiore a qualsiasi altro uomo della terra, per condotta deve essere emulo degli Angeli".
    Per questo Padre Pio diceva: "Il Sacerdote o è un santo o è un demonio". O santifica, o rovina. San Giovanni Bosco diceva che "un prete o in paradiso o in inferno non va mai solo: vanno sempre con lui un gran numero di anime, o salvate col suo santo ministero o col suo buon esempio, o perdute con la sua negligenza nell'adempimento dei propri doveri e col suo cattivo esempio".
    Preghiamo, dunque, molto e costantemente perché il Signore ci doni molti Sacerdoti e li sostenga sempre con la Sua Grazia, perché siano Santi secondo la Sua volontà, a Sua Gloria ed a salvezza delle anime a loro affidate.
  4. Valerio
    3. Il martirio dell'anima
    Questo martirio è il più doloroso di tutti. Viene direttamente da Dio e, apparentemente, senza un motivo e senza preavviso. Santa Teresina, durante tutta la sua vita religiosa si nutrì del pane amaro dell'aridità spirituale e della mancanza di consolazione nella preghiera quotidiana. "Per me è sempre notte, sempre tenebre, notte oscura. Nelle mie relazioni con Gesù, niente: Aridità! Sonno! Ma se Gesù vuole dormire, perché dovrei impedirglielo?". Santa Teresina trovava particolarmente ostici i ritiri: "Lungi dal portarmi consolazioni, mi ha recato l'aridità più assoluta e quasi l'abbandono. Gesù dormiva, come sempre, nella mia navicella. Ah! vedo bene che di rado le anime Lo lasciano dormire tranquillamente in loro stesse. Gesù è così stanco di sollecitarle sempre con favori che si affretta ad approfittare del riposo che io Gli offro. Non si sveglierà certamente prima del mio grande ritiro dell'eternità, ma, invece di addolorarmi, ciò mi fa un piacere immenso".
    Il momento in cui Santa Teresina riceveva meno consolazioni era proprio quello della Santa Comunione, ma, tuttavia, non vi rinunciava, né per questo abbreviava le sue preghiere ed i suoi ringraziamenti. "Quando non sento nulla, quando sono incapace di pregare, di praticare le virtù, è quello il momento di cercare delle piccole occasioni, dei nonnulla che piacciono a Gesù. Un sorriso, una parola amabile quando avrei voglia solo di tacere. Quando non mi capita nessuna occasione, Gli voglio almeno dire tante volte che L'amo".
    Col tempo l'oscurità spirituale diventava sempre più fitta, e si rafforzavano le tentazioni contro la fede. "Ero estremamente provata, quasi triste, in una notte tale che non sapevo più se ero amata da Dio". E ancora: "Quando voglio riposare il cuore, stanco delle tenebre che lo circondano, ricordando il paese luminoso al quale aspiro, il mio tormento raddoppia; mi pare che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, mi dicano facendosi beffe di me: 'Tu sogni la luce, una patria dai profumi soavi. Tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie... Rallegrati della morte, che ti darà non già ciò che speri, ma una notte più profonda: la notte del niente'". Una prova orribile per chi ama Dio con tutto se stesso. E prosegue: "Non è più un velo (tra me e Dio, ndt), è un muro che si alza fino ai Cieli". Il demonio, per di più, la teneva "con una mano che pareva di ferro", per portarla alla disperazione.
    La Santa, però, correva da Gesù e gli assicurava che era pronta a dare il sangue per testimoniare la sua fede nella vita beata; ringraziava il buon Dio e i Santi per quella prova, convinta che che essi volessero vedere, dice: "fin dove saprò spingere la mia speranza". "Allora - scrive in una poesia - Gli dico che Egli è tutto per me, Lo copro di carezze; e le raddoppio se si nasconde alla mia fede".
    Il Piccolo Fiore di Lisieux soffrì questo doloroso, indescrivibile, triplice martirio simultaneo, del corpo, del cuore e dell'anima, che proseguì fino alla sua morte, fino alla sua chiamata in Paradiso. Alla fine della sua vita disse: " Non avrei mai creduto possibile soffrire tanto!", ma nonostante ciò, era sempre calma e serena, contenta e sorridente. Disse: "Tra le acque delle tribolazioni di cui ero così assetata, ero la più felice dei mortali".
    Saremo capaci di capire questa "austera dolcezza" solo se saremo disposti a farne l'esperienza.
    Ma quanto è forte il nostro amore per Dio? 
     
  5. Valerio
    “La Messa è sempre Messa, si, ma… l’Efficacia cambia: questa proprio è insopportabile!” (satana)
    Questo mi grida - dice un sacerdote esorcista - il Demonio (per sommi capi) ogni qualvolta costringo qualche “paziente” a venire con me alla S. Messa, ad assistere al Divin Sacrififcio così come tramandato nella Chiesa Cattolica Romana per secoli, così come lo hanno celebrato migliaia di Santi, in modo Tradizionale, secondo il rito di San Pio V (Giovanni XXIII).
    Noto veramente un efficacia maggiore.
    La S.Tradizione è odiata dal Demonio e tutto ciò che è tradizionale (Cattolico) e suona come tale egli cerca di distruggerlo, perché rovina i suoi piani.
    La S.Tradizione è ricca di simboli e riti mirati a tener lontano il Demonio ed a cacciarlo.
    La S.Tradizione ricorda al Demonio le sue sconfitte, (si pensi alle parole che tante volte lo hanno cacciato, al latino, ai canti, alle preghiere recitate da tanti Santi) riaffiorano questi ricordi nella sua “mente” e si sente sconfitto in partenza, sono per lui come dei traumi, ferite che si riaprono.
    Egli stesso ha ammesso queste cose ed il suo odio verso le cose Sacre, verso la Santa Messa Tridentina e tutta la Liturga Tradizionale.
    Cercherò di fare un reso conto dei commenti del Demonio durante una S. Messa “di sempre“: al solo entrare in Chiesa… ” che puzza di morto, di antico, che schifo!”
    Liturgia: "Introibo ad Altare Dei ad Deum qui laetificat juventutem meam"
    Reazione demonio: “altro che letificare qui comincia a venirmi il mal di mare, andiamo via portami via o ti faccio vedere lo spettacolo!”
    Liturgia: "Judica me Deus et discerne causam meam de gente non sancta"
    Reazione: “Judex ego sum…il giudizio l’ho dato già io, mi ha rotto (Dio) e me ne sono andato, e un’altro giudizio è questo: lui (il posseduto) è mio, e tu se non mi porti subito fuori ti faccio volare!”
    Liturgia: "et introibo ad Altare Dei"
    Reazione: “ancora! sempre le stesse cantilene; tanto all’Altare non vi ci faccio arrivare… tranquilli!”
    Liturgia: "Confiteor Deo Omnipotenti, Beatae Mariae semper Virginis, Beato Michaelis Archangelo…"
    Reazione: “nnnnoooooo loro nooo, eh basta”
    Liturgia: "Misereatur vestri… Indulgentiam…"
    Reazione: “tanto lo vedi come siete caduti in basso, altro che indulgenze e assoluzioni, sono io che manovro tutto (riferimento agli scandali)”
    Per questioni di praticità e tempo ho riportato solo questo, ma potete ben immaginare il resto.
    Eruttazioni continue durante tutta la S. Messa, voglia di scappare, diceva che c’erano le pulci, poi le zecche, e un rifiuto secco di inginocchiarsi alla S. Comunione: ma con un po di forza e l’aiuto di Dio ci sono riuscito a inginocchiarlo.. e poi dopo la comunione urla a voce medio alta: “basta mi hai dato il veleno assassino, mi hai fatto prendere il veleno…”
    Invito tutti, sopratutto le persone che non hanno conosciuto il rito antico e non lo praticano a cercare di praticarlo, perché fa davvero terrore a Satana ed anche perché è la ricchezza della nostra Tradizione racchiusa in esso.
    Aggiungo anche che sinceramente non possiamo chiudere gli occhi e non vedere nello stravolgimento del Sacro Rito lo zampino nefasto del Demonio e di tutto l’Inferno che tanto ne godono, nel veder Celebrare i Divini Misteri con tanta sciattezza e prepotenza (Sacerdoti che non vestono adeguatamente le Sacre Vesti e a volte le evitano persino o riducono alla sola Stola, danno di spalle al Santissimo Sacramento e credono di essere loro i padroni della scena così come i laici che invadono i S. Altari con canti e preghiere inappropriati), freddezza (Sacerdote e Fedeli che non si preparano più alla S. Messa), abusi liturgici anche gravi (stravolgimenti liturgici da parte di Clero e laici), sacrilegi (si pensi a quanti fanno la S. Comunione in peccato grave o la ricevono sulle mani senza attenzione e riverenza, il Demonio gode nel vedere la Santissima Comunione sulle nostre lorde non consacrate mani), profanazioni (quanti con facilità oggi riescono a rubare L’Ostia Santa per fare riti e messe nere) e così via.
    Come non vedere l’ opera nefanda dell’astuto ingannatore, in tutta la Liturgia stravolta a partire dai Sacramenti: nel Battesimo si è tolto quasi del tutto l’esorcismo, non sembra quasi più che bisogna purificarsi dal peccato originale e dal conseguente potere che il fomentatore di quel reato esercita da allora sulla stirpe di Adamo. Dappertutto si sono tolte tutte le invocazioni ai Santi, agli Angeli Beati, ogni riferimento al Demonio (prima in tutte le Benedizioni c’era una parte Esorcistica, cioè che allontanava in Nome di Dio il Demonio ed una deprecativa con la quale si chiedeva a Dio di essere Lui il padrone di ogni cosa e che mandasse i Suo Santi Angeli a custodire) , non si recitano più le preci Leonine alla fine della S. Messa, mai abolite come molte cose; ma di fatto cadute in disuso perché ritenute obsolete.
    Anche durante la S. Messa al Confiteor sono stati tolti i Sacri nomi di S. Michele e S. Giovanni; che tanto odia il Demonio.
    Satana propaga ogni moda e modernità in nome della freschezza; quella freschezza falsa e malsana che dopo qualche piccola euforia presto si tramuta in pesantezza e problema, perché non viene da Dio che è l’Unico padrone del Tempo e di tutto ciò che esiste, Egli è l’Unica verità che non muta, che non passa; sempre Antica e sempre Nuova.
    Concludo col dire che nella Santa Messa si rallegra e vi assiste il Cielo tutto, si refrigerano le Santa Anime del Purgatorio, trema e viene debellato tutto l’Inferno.
  6. Valerio

    DOTTRINA CRISTIANA
    L'ultima settimana di Quaresima si dice santa, perché in essa si celebra la memoria dei più grandi misteri operati da Gesù Cristo per la nostra redenzione.
    Nel giovedì santo si celebra l'istituzione del SS. Sacramento dell'Eucarestia; nel venerdì santo si ricorda la passione e morte del Salvatore; nel sabato santo si onorano la sepoltura di Gesù Cristo e la sua discesa al Limbo e dopo il segno del Gloria si comincia ad onorare la sua gloriosa risurrezione.
    Per passare la settimana santa secondo la mente della Chiesa dobbiamo fare tre cose:
    1. unire al digiuno un maggior raccoglimento interno, e un maggior fervore di orazione;
    2. meditare di continuo con ispirito di compunzione i patimenti di Gesù Cristo;
    3. assistere, se si può, ai divini uffici con questo medesimo spirito.
    Dal giovedì sino al sabato santo non si suonano le campane in segno di grande afflizione per la passione e morte del Salvatore.
    Nel giovedì santo si conserva un'ostia grande consacrata:
    1. affinché si tributino speciali adorazioni al sacramento dell'Eucaristia nel giorno in cui venne istituito;
    2. perché si possa compiere la liturgia nel venerdì santo, in cui non si fa dal sacerdote la consacrazione.
    Nel giovedì, dopo la Santa Messa, si spogliano gli altari per rappresentarci Gesù Cristo spogliato delle sue vesti per essere flagellato e affisso alla Croce; e per insegnarci che per celebrare degnamente la sua Passione dobbiamo spogliarci dell'uomo vecchio, cioè d'ogni affetto mondano.
    Nel giovedì santo si fa la lavanda dei piedi:
    1. per rinnovare la memoria di quell'atto di umiliazione con cui Gesù Cristo si abbassò a lavarli ai suoi Apostoli;
    2. perché Egli medesimo esortò gli Apostoli e, in persona di essi, i fedeli ad imitare il suo esempio;
    3. per insegnarci che dobbiamo purificare il nostro cuore da ogni macchia, ed esercitare gli uni verso gli altri i doveri della carità ed umiltà cristiana.
    Nel giovedì santo i fedeli si recano alla visita del Santissimo Sacramento in più chiese in memoria de' dolori sofferti da Gesù Cristo in più luoghi, come nell'orto, nelle case di Caifa, di Pilato e di Erode, e sul Calvario.
    Nel giovedì santo si devono fare le visite non per curiosità, per abitudine o divertimento, ma per sincera contrizione dei nostri peccati, che sono la vera cagione della passione e morte del nostro Redentore, e con vero spirito di compassione delle sue pene, meditandone i vari patimenti; per esempio nella prima visita quel che soffrì nell'orto; nella seconda quel che soffrì nel pretorio di Pilato; e così dicasi delle altre.
    La Chiesa nel venerdì santo, in modo particolare, prega il Signore per ogni sorta di persone per dimostrare che Cristo è morto per tutti gli uomini e per implorare a beneficio di tutti il frutto di sua Passione.
    Nel venerdì santo si adora solennemente la Croce, perché essendovi Gesù Cristo stato inchiodato ed essendovi morto in quel giorno, la santificò col Suo Sangue.
    Si deve adorazione al solo Dio, e però quando si adora la Croce, la nostra adorazione si riferisce a Gesù Cristo morto su di essa.
    Nei riti del sabato santo è da considerarsi specialmente la benedizione del cero pasquale e del fonte battesimale.
  7. Valerio
    "Il disprezzo dei comandamenti di Dio significa empietà e l’empietà conduce alla dannazione eterna di molte anime. Nel suo messaggio in Fatima la Madre di Dio ha indicato i peccati contro la castità e il disprezzo per la santità del matrimonio come la causa più frequente della dannazione eterna delle anime. La Vergine Maria diceva a Santa Giacinta che “i peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne e che saranno introdotte certe mode che molto offenderanno Nostro Signore. Quelli che servono Dio non dovrebbero seguire queste mode. La Chiesa non ha mode: Nostro Signore è sempre lo stesso”.
    Il carattere profetico delle parole della Madonna si è reso talmente evidente ai nostri giorni dal momento che persino nella vita di alcune chiese particolari i peccati della carne e le unioni adulterine sono nella pratica approvati per mezzo della cosiddetta “pastorale” dell’ammissione alla santa Comunione di quelle persone divorziate che intenzionalmente continuano ad avere rapporti sessuali con una persona che non è il loro legittimo coniuge. 
    La Beata Vergine Maria disse a Santa Giacinta: “Se gli uomini sapessero ciò che è l’eternità, farebbero di tutto per cambiare la loro vita. Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno penitenza”.
    La Madonna ha poi detto ai bambini: “Avete visto l’inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore immacolato”.
    Suor Lucia continua a raccontare poi: “Giacinta continuava seduta sul suo sasso, pensierosa, e domandò: – Quella Signora disse pure che vanno molte anime all’inferno! L’inferno non finisce mai. E neanche il paradiso. Chi va in paradiso non esce più di là. E neppure chi va all’inferno. Non capisci che sono eterni, che non finiscono mai? Facemmo, allora, per la prima volta, la meditazione sull’inferno e sull’eternità. Quel che impressionò di più Giacinta, fu l’eternità” (Suor Lucia, Memorie, 45-46). Giacinta, poco prima che morisse ha detto: “Se gli uomini sapessero ciò che è l’eternità, farebbero tutto il possibile per cambiare la loro vita. Mortificazione e sacrifici piacciono molto al nostro Divino Signore.”
    “La visione dell’inferno le aveva causato tanto orrore, che tutte le penitenze e mortificazioni le sembravano un nulla, per riuscire a liberare di là alcune anime.” Giacinta con frequenza si sedeva per terra o su qualche masso e, pensierosa, cominciava a dire: “L’inferno! L’inferno! Come mi fanno pena le anime che vanno all’inferno!” Rivolgendosi a me e a Francesco diceva: “Francesco! Francesco! Non stai a pregare con me? Bisogna pregare molto per liberare le anime dall’inferno. Tante vanno laggiù, tante!”. Altre volte domandava: «Ma come mai la Madonna non fa vedere l’inferno ai peccatori? Se loro lo vedessero, non peccherebbero più per non andarci. Di’ un po’ a quella Signora che faccia vedere l’inferno a tutta quella gente (si riferiva a quelli che si trovavano a Cova da Iria, al momento dell’apparizione). Vedrai come si convertono”. Qualche volta domandava pure: – Ma che peccati saranno quelli che questa gente fa per andare all’inferno? – Non saprei. Forse il peccato di non andare a messa la domenica, di rubare, di dire parolacce, di augurare il male, di giurare… Come mi fanno pena i peccatori! Se potessi fargli vedere l’inferno! Improvvisamente a volte si stringeva a me e diceva: – Io vado in cielo, ma tu rimani quaggiù. Se la Madonna ti lascia, di’ a tutti com’è l’inferno, perché non facciano più peccati e non vadano più laggiù. Altre volte, dopo essere stata un po’ a pensare, diceva: – Tanta gente che va all’inferno! Tanta gente all’inferno! – Non aver paura, tu vai in cielo! – le dicevo per tranquillizzarla. – Io, sì, ci vado – diceva con calma – ma io vorrei che tutta quella gente ci andassero anche loro.” Dobbiamo lasciarci commuovere e ispirare dall’esempio dei bambini di Fatima per crescere nello spirito d’espiazione e di riparazione per i peccati. I bambini soffrivano sete, però non c’era nemmeno una goccia d’acqua vicino a quel luogo. Invece di lamentarsi Giacinta di sette anni sembrava essere felice. “Come è buono” diceva lei. “Ho sete, ma offro tutto per la conversione dei peccatori.” Lucia, la più grande dei tre bambini, si sentiva responsabile di prendersi cura dei suoi cugini, e così andò ad una casa vicina per chiedere un po’ d’acqua. Suor Lucia racconta: “Diedi la brocca d’acqua a Francesco, e gli dissi che bevesse. “Non voglio bere”, rispose il ragazzo di nove anni; “Voglio soffrire per i peccatori.” – “Bevi tu, Giacinta”. – “Anch’io voglio offrire un sacrificio per i peccatori”. Versai, allora, l’acqua nella fossetta di una roccia, per farla bere alle pecore, e andai a restituire la brocca alla padrona. Il caldo diventava sempre più intenso. Le cicale e i grilli univano il loro canto a quello delle rane del pantano vicino e facevano uno schiamazzo insopportabile. Giacinta, indebolita dalla fiacchezza e dalla sete, mi disse, con quella semplicità che le era naturale: – Dì ai grilli e alle rane che stiano zitti! Mi fa tanto male la testa! Allora, Francesco le chiese: – Non vuoi soffrire questo per i peccatori? La povera bambina, stringendo la testa fra le manine, rispose: – Sì, lo voglio, lasciali cantare”. Commentando l’esempio di Francesco e di Giacinta Suor Lucia diceva: “Molte persone, pensando che la parola penitenza implichi grandi austerità, e sentendo che non hanno la forza per grandi sacrifici, diventano scoraggiati e continuano una vita di tiepidezza e di peccato.” Suor Lucia racconta ciò che Nostro Signore le ha spiegato: “Il sacrificio richiesto di ogni persona consiste nell’adempimento dei propri obblighi di vita e nell’osservanza della Mia legge. Questa è la penitenza che Io adesso cerco e chiedo.”"
  8. Valerio
    Dio ci ha creati per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita, e per goderLo poi nell'altra in Paradiso
    A uno scriba che gli chiedeva quale fosse il primo comandamento, Gesù rispose essere quello che impone di amare Dio con tutto noi stessi (v. Mr 12, 28-32). Per amare bisogna prima conoscere. L'amore nasce dalla conoscenza dell'oggetto amato e porta a servire la persona amata.
    L'uomo è superiore a tutti gli esseri visibili per la sua intelligenza, che gli è data prima di tutto perché possa conoscere Dio, le sue opere e la sua volontà e lo glorifichi a nome di tutto il creato. A noi battezzati, oltre l'intelligenza, Dio ha dato anche il dono immensamente superiore della fede, che ce Lo fa conoscere come si è rivelato e ci fa credere ai divini misteri. Noi siamo quindi creati prima di tutto perché conosciamo Dio con il lume di ragione nelle sue opere e con il lume di fede nella rivelazione soprannaturale, andando a Lui per via della conoscenza di ragione e di fede.
    Dalla conoscenza naturale e soprannaturale di Dio, delle sue opere e delle sue perfezioni, nasce in noi l'amore verso Dio, via che ci guida nell'osservare liberamente la legge divina.
    L'amore porta a servire la persona amata. L'amore divino ci porta a servire Dio nel modo che ci è indicato dalla sua volontà espressa nei divini comandamenti, via e guida oggettiva della nostra condotta.
    Dio non ci costringe a fare la sua volontà. A chi lo ama e serve fedelmente in questa vita, Egli darà il premio della felicità eterna in cielo, la meta preparata da Lui a chi cammina nella fede, nell'amore e nel servizio divino.
    Il buon cristiano agisce sempre conformemente al fine per il quale è stato creato.
    Esempio
    Il figlio dodicenne di un milionario newyorkese, esaminando ritagli di giornali vecchi, lesse che il padre dodici anni prima aveva adottato un trovatello. Nella speranza di scoprire un fratello domandò al babbo: "Papà, che ne è del bambino che ha adottato dodici anni fa e che ora dovrebbe avere la mia età?". Stringendo a sé il ragazzo, il ricco milionario gli disse: "E' una storia che ti riguarda da vicino, figlio mio! Non avrei voluto dirtelo e pensavo di non svelarti questo segreto. Tu sei l'orfanello di un giorno, che io adottai per impedire che fossi portato al ricovero dei trovatelli. Ma ora sei mio figlio e tutte le mie ricchezze, tutti i miei beni, tutto il mio amore sono per te! Mi basta che tu sia un figlio affezionato, degno dell'amore di tuo padre!" - "Papà, te lo prometto, sarò sempre degno del tuo amore!".
    Noi siamo i figli adottivi di Dio, fatti eredi del suo amore e delle sue ricchezze. Viviamo in modo da essere figli degni di tale Padre!
     
  9. Valerio
    Tra i tantissimi venerabili santi che si sono succeduti nei secoli, ve n'è uno che purtroppo, sovente, è trascurato o sottovalutato, eppure, dopo la Madonna è assolutamente il più grande. Si tratta di San Giuseppe, al quale l'Eterno Padre affidò il suo Figliuolo diletto, lo Spirito Santo la sua purissima Sposa, e Maria Vergine tutti i tesori della sua Verginità. Tali doni supremi egli ha sempre custodito e curato con incomparabile rettitudine e virtù. Il suo cuore era un braciere ardente, che si consumava nell’amore divino. Viveva intensamente la vita spirituale. Si dice che San Giovanni Evangelista fu immensamente fortunato per aver avuto la possibilità, durante l'Ultima Cena, di appoggiare il capo sul petto di Gesù ed ascoltare i divini palpiti. Che dire allora di San Giuseppe che questa fortuna l'ebbe di continuo? Quante volte Gesù, bambino o adolescente, si addormentò tra le sue braccia! Che cosa provava in quei momenti il cuore di San Giuseppe? La sua vita interiore era alimentata dalla presenza reale e visibile di Dio; viveva con Gesù, vero Dio e vero uomo; con Lui lavorava e pregava; con Lui prendeva il cibo e con Lui riposava sotto lo stesso tetto; sopra Gesù fissava lo sguardo, ne ascoltava la voce e a Lui dirigeva gli affetti del cuore. San Giuseppe era beato per tale presenza, poiché nulla c'è di più dolce; la sua vita interiore fu una continua unione con Dio. Bisogna, dunque, avere una grandissima devozione per il Santo Patriarca e tenere sempre presente il suo esempio. Così c'invita a fare proprio la Santa Vergine Maria, da cui Santa Brigida, devota di San Giuseppe, meritò di sentire queste parole in una visione celeste: "Figlia mia, sappi che il mio sposo Giuseppe fu così riservato nelle sue parole, che nessuna gliene uscì di bocca la quale non fosse buona, nessuna oziosa o di mormorarazione. Fu pazientissimo e diligentissimo nella fatica, ubbidiente, forte e costante, testimonio fedele delle meraviglie celesti. Morto alla carne ed al mondo, visse solo per Dio e per i beni celesti, e solo questi desiderava. Fu pienamente conforme alla volontà di Dio e tanto rassegnato ad essa, che sempre ripeteva: ‘Si faccia in me la volontà del Signore!’ Rare volte parlava con gli uomini, ma continuamente con Dio. Per la sua santa vita egli ora gode in Cielo grande gloria. Procura d’imitare anche tu gli esempi del mio Giuseppe, che fu un prodigio di santità."
  10. Valerio
    Merita il Paradiso chi è buono, ossia chi ama e serve fedelmente Dio, e muore nella sua grazia.
    Nella parabola dei talenti Nostro Signore ci dice che i servi fedeli che avranno curato gli interessi del padrone, nel giorno del rendiconto saranno premiati e resi partecipi della sua gioia (v. Mt 25, 14-24).
    Il merito è il diritto alla ricompensa per il lavoratore che compie bene la sua opera.
    Il merito è detto "de condigno" quando c'è parità tra esso e l'opera compiuta, e dà un diritto di giustizia alla ricompensa. Gesù con la Passione e Morte meritò "ex justitia", cioè "de condigno", la nostra salvezza.
    Il merito è "de congruo", o di convenienza, quando non vi è parità tra il servizio reso e la ricompensa, che in questo caso è dovuta non per giustizia, ma per convenienza. Ad esempio, se un bambino povero offrisse un mazzo di fiori a una regina, egli non avrebbe diritto ad una ricompensa, ma sarebbe conveniente per la generosità, dignità e ricchezza della sovrana, che ella gli donasse un premio importante, come un vestito nuovo.
    Noi meritiamo il Paradiso "de condigno", perché Dio ha promesso di ricompensare così le nostre buone opere.
    Merita il Paradiso chi è buono, cioè chi ama e serve fedelmente Dio, facendo la sua volontà, chi osserva i suoi comandamenti.
    Bisogna poi, anche morire in stato di grazia, perché Dio non potrebbe ammettere in Paradiso chi morisse in peccato mortale, cioè privato della sua amicizia.
    Dice Gesù: "Se qualcuno non resterà in me, sarà gettato via, come un tralcio che si dissecca, si raccoglie e si butta nel fuoco, dove brucia (Gv 15, 6).
    Per conservare la grazia di Dio e vivere nella sua volontà è fondamentale accostarsi ai sacramenti e pregare spesso e regolarmente.
  11. Valerio
    La grande Santa Caterina da Siena, mistica e Dottore della Chiesa, Patrona d'Italia e Compatrona d'Europa, teologa e maestra di spiritualità, nel "Dialogo della divina Provvidenza", in cui raccoglie gli insegnamenti ricevuti da Gesù stesso, riporta le parole che Egli le disse riguardo al peccato impuro contro natura ed a coloro che lo praticano: «Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, alla quale siete inclinati per la vostra fragile natura (benché la ragione, quando lo vuole il libero arbitrio, faccia star quieta questa ribellione), ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fà schifo a Me, che sono somma ed eterna purità (a cui è tanto abominevole, che per questo solo peccato cinque città sprofondarono per mio divino giudizio, non volendo più oltre sopportarle la mia giustizia), ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori. Non è che ai demoni dispiaccia il male, quasi che a loro piaccia un qualche bene, ma perché la loro natura è angelica, e perciò schiva di vedere o di stare a veder commettere quell’enorme peccato»
  12. Valerio
    "Un giorno a Roma andò a confessarsi da San Filippo Neri una donna molto pia, ma facile alla maldicenza e perfino alla calunnia. Il santo ascoltò pazientemente la penitente, poi le disse:"Come penitenza, prenderai una gallina, percorrerai le vie principali di Roma, strappandole lentamente le piume, che getterai al vento. Poi ritorna da me"
    La donna ubbidì. Al suo ritorno il santo aggiunse:"La penitenza non è ancora finita. Ora devi rifare le strade percorse e raccogliere tutte le piume che hai seminato!" "Ma è impossibile!" San Filippo, allora, seriamente concluse:"Così e della maldicenza, dei pettegolezzi e delle calunnie. Facilmente si disperdono ovunque e la riparazione troppo spesso è impossibile."
  13. Valerio
    I cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale meritano l'Inferno.
    Il ricco epulone, di cui parla il Vangelo, non serviva Dio osservando la sua Legge, ma le proprie passioni. Quando morì andò nell'Inferno (v. Lc 16, 19-26)
    I cattivi sono coloro che peccano disobbedendo ai comandamenti di Dio, così servono le loro passioni, il mondo, il demonio. Anche se compiono qualche opera buona, questa, non essendo essi in amicizia con Dio, non li rende meritevoli del premio eterno, che il Signore ha preparato per quelli che Lo amano.
    Chi muore in peccato mortale, senza prima essersi riconciliato con Dio, non ha la grazia, cioè l'amicizia con Lui e quindi non può essere ammesso alla beatitudine eterna del Paradiso, dove non entra nulla che sia macchiato.
    Questa verità Gesù ce la mostra con la parabola delle nozze. Colui che si era introdotto nella sala del banchetto (immagine del Paradiso) senza la veste nuziale, per ordine del padrone fu preso, legato mani e piedi e gettato fuori nel buio della notte e nel freddo dell'inverno (v. Mt 22, 1-14).
    La grazia divina che abbiamo ricevuto nel Battesimo, è un tesoro inestimabile, da custodire con ogni cura.
  14. Valerio
    Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.
    San Pietro, avendo contemplato per alcuni istanti, sul monte Tabor, la Gloria del Cristo trasfigurato, ne fu inebriato ed uscì di sé per la gioia, desiderando di rimanere per sempre in quella beatitudine. Cosa sarà allora il Paradiso, dove si contemplerà eternamente Dio nello splendore della sua Gloria?
    Sulla terra le creature non possono farci felici e appagare il nostro bisogno della beatitudine senza fine. Sono piccole, limitate nel tempo e nello spazio per saziare la nostra fame di Verità e del Bene infinito, e con la morte lasceremo ogni cosa. Solo in Paradiso tutti noi potremo essere totalmente felici. Le creature sono strumenti, vie, ma solo Dio è la destinazione, il vero obiettivo.
    Sulla terra vediamo le opere di Dio e l'impronta della sua perfezione impressa in esse; con la fede crediamo in Dio, ma c'è sempre come un velo di oscurità a separarci da Lui; in Paradiso, invece, vedremo Dio direttamente, senza ostacoli, come Egli è per se stesso.
    Allora lo ameremo e lo possederemo perfettamente, così saremo pienamente felici.
    Dio, sommo bene, è la sorgente di ogni bene, per cui chi lo contempla, lo ama e lo possiede, gode anche di tutti i beni. Allora l'intelligenza vede tutta la Verità, grazie alla luce della Gloria, la volontà possiede tutti i beni e così tutti i desideri del cuore possono essere esauditi e il cuore riposare definitivamente. Sant'Agostino, infatti, diceva che il cuore dell'uomo non potrà mai trovare veramente la pace fino a quando non riposerà in Dio.
    In Lui si potranno conoscere tutti i misteri della creazione ed anche il corpo, dopo la risurrezione, parteciperà della felicità dell'anima e diventerà immortale, impassibile, luminoso e agilissimo.
    Se nei momenti bui della vita riusciremo a pensare alla felicità preparata per noi in Cielo, niente ci sembrerà troppo duro o penoso pur di meritarla e raggiungerla.
     
  15. Valerio
    Da qualche giorno è stato attivato un nuovo sito internet che cerca di favorire lo sviluppo delle scuole autenticamente cattoliche, cioè legate alla messa tridentina e in coerenza con la dottrina cattolica tradizionale (senza compromissione con il modernismo teologico):
    www.rinascita.education
    Molti papi hanno sottolineato che la scelta di una scuola cattolica è un'importantissima responsabilità dei genitori verso i loro figli e che la frequentazione di una scuola “neutra” o “laica” può essere tollerata soltanto in determinate circostanze:
    “I fanciulli non frequenteranno scuole acattoliche, neutre, miste, e solamente il vescovo potrà tollerarlo con le dovute cautele.”
    (Codice di diritto canonico 1917, § 1374)
    Purtroppo l’Italia è rimasta molto indietro rispetto ad altri paesi in Europa dove esistono delle scuole della Tradizione spesso già da decenni (ad esempio in Francia, Germania, Inghilterra, Svizzera, Polonia). Il nuovo sito vuole essere uno strumento modesto per accelerare il recupero di questo ritardo:
    • mostrando la varietà delle scuole già esistenti per facilitare la scelta di quella adatta per i singoli bambini;
    • mettendo in contatto famiglie desiderose di avere una nuova scuola "tradizionale" nella loro regione;
    • Incoraggiando ognuno a collaborare a modo suo per lo sviluppo dell’insegnamento cattolico in Italia. Servono più benefattori per assicurare lo sviluppo degli istituti già esistenti (come la Scuola San Pancrazio vicino Roma);
    • facendo conoscere le congregazioni insegnanti; tesori spesso ignoti;
    • aiutando chi vuole seguire degli studi scientifici sulla storia dell’insegnamento cattolico.
    Il nuovo sito di RINASCITA DELLE SCUOLE CATTOLICHE è affiancato anche da una pagina facebook:
    https://www.facebook.com/RinascitaScuoleCattoliche/
  16. Valerio
    Tommaso da Celano, nella "Vita Prima", così scrive: Nel tredicesimo anno dalla sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano (Melek-el-Kamel). Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e l’eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l’afferrarono, l’insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’odio brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore!”
    L'altra testimonianza è quella di frate Illuminato, presente all'incontro tra il Santo ed il Sultano. Egli scrive: “Mentre il beato Francesco era alla corte, il sultano volle mettere alla prova la fede e la devozione che egli mostrava d’avere verso il Signore nostro crocifisso. Un giorno fece stendere nella sala delle udienze uno splendido tappeto, decorato per intero con un motivo geometrico a forma di croce, e poi disse ai presenti: ‘Si chiami ora quell’uomo che sembra essere un cristiano autentico; se per venire fino a me calpesterà con i suoi piedi questi segni di croce intessuti nel tappeto, l’accuseremo di fare ingiustizia al suo Signore; se invece si rifiuta di venire gli domanderò perché commetta questa scortesia di non venire fino a me’. Chiamato, il beato Francesco, che era pieno di Dio e da questa pienezza era bene istruito su quanto doveva fare e su quanto doveva dire, andò dritto dal Sultano. Quegli, ritenendo d’aver motivo sufficiente per rimproverare l’uomo di Dio perché aveva fatto ingiuria al suo Signore Gesù Cristo, gli disse: ‘Voi cristiani adorate la croce, come segno speciale del vostro Dio; perché dunque non hai avuto timore a calpestare questi segni della croce disegnati sul tappeto?’. Rispose il beato Francesco: ‘Dovete sapere che assieme al Signore nostro furono crocifissi anche due ladroni. Noi possediamo la vera croce del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, e questa noi l’adoriamo e la circondiamo della più profonda devozione. Ora, mentre questa santa e vera croce del Signore fu consegnata a noi, a voi invece sono state lasciate le croci dei due ladroni. Ecco perché non ho avuto paura di camminare sui segni della croce dei ladroni. Tra voi non c’è nulla della santa croce.’ Il Sultano sottopose anche un’altra questione: ‘Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliere la tonaca. Quanto più voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre.’ Rispose il beato Francesco: ‘Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altrove, infatti, è detto: se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te. E con questo ha voluto insegnarci che se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti a separarlo, allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tenta di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione di lui quanti più uomini potete. Se invece voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi.’ Il Sultano disse: ‘Raduniamo qui i nostri savi e discutiamo della nostra e della vostra fede.’ Replicò il beato Francesco: ‘La nostra fede è superiore alla ragione e la ragione riesce persuasiva solo per chi crede. Inoltre non potrei prendere argomenti dalla Scrittura, perché loro alla Scrittura non credono. Si faccia piuttosto un fuoco con legna di bosco: io entrerò nel fuoco insieme con i vostri savi; quelli che saranno bruciati, segno che la loro fede è falsa.’ Ma subito i savi del Sultano si ritirarono, tanto che il sultano si mise a sorridere dicendo: ‘Non credo che troverei qualcuno disposto a entrare con voi nel fuoco’."
    Lette queste testimonianze, viene da chiederci il perché san Francesco decise di andare disarmato dal sultano. La risposta è molto semplice ma importante per capire: perché davvero san Francesco voleva convertire il sultano e sapeva benissimo che non era né sarà mai possibile alcuna conversione imposta con le armi. Ciò dimostra come anche il Poverello di Assisi era perfettamente consapevole del fatto che le crociate (così come è attestato dalla storiografia più recente) non scaturissero dal tentativo di imporre la fede con la forza, bensì dall’intenzione di ripristinare il diritto al pellegrinaggio nella Terra Santa.
  17. Valerio

    DOTTRINA CRISTIANA
    Nella festa dell'Annunciazione di Maria Vergine, si celebra l'annuncio che le fece l'angelo Gabriele di essere stata eletta Madre di Dio, rivolgendole le parole con le quali anche noi la salutiamo ogni giorno: "Io ti saluto, o piena di grazia: il Signore è con te". Allora Maria si turbò, sentendosi salutare con titoli nuovi ed eccellenti, dei quali si considerava indegna.
    Dimostrò così una purezza ammirabile, una profonda umiltà, una fede ed un'ubbidienza perfetta.
    All'annuncio dell'angelo Gabriele, la Madonna fece conoscere il suo grande amore per la purezza con la sua preoccupazione di conservare la verginità, sollecitudine dimostrata nello stesso momento in cui si sentì chiamata alla dignità di madre di Dio.
    Fece conoscere la sua profonda umiltà con le parole: "Ecco l'ancella del Signore", pronunciate mentre diveniva madre di Dio, e la sua fede ed obbedienza col dire: "Si faccia di me secondo la tua parola".
    Nel momento stesso in cui Maria diede il suo consenso ad esser madre di Dio, la seconda Persona della santissima Trinità s'incarnò nel seno di lei, prendendo corpo ed anima, come abbiamo noi, per opera dello Spirito Santo.
    La Santissima Vergine nella sua Annunciazione:
    1. insegna in particolare alle vergini a fare altissima stima del tesoro della verginità;
    2. insegna a noi tutti a disporci con grande purezza ed umiltà a ricevere dentro di noi Gesù Cristo nella santa Comunione;
    3. c'insegna a sottometterci prontamente al divino volere.
    Nella solennità dell'Annunciazione di Maria Vergine dobbiamo fare tre cose:
    1. adorare profondamente il Verbo incarnato per la nostra salute, e ringraziarlo d'un sì grande benefizio;
    2. congratularci colla Santissima Vergine della dignità conferitale di madre di Dio, e onorarla come nostra signora ed avvocata;
    3. risolvere di recitare sempre, con grande rispetto e divozione, la salutazione angelica, detta comunemente Ave Maria.
  18. Valerio
    La Messa non è un banchetto, un convito, un'assemblea o un ritrovo festoso, non è un momento di allegria, di svago o intrattenimento. Essa è realmente e sostanzialmente lo stesso Sacrificio della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, che si rinnova incruentemente, ma sostanzialmente, riofferto da Cristo Stesso al Padre, per mezzo del sacerdote, per la nostra salvezza e donato a noi nel Suo Corpo e nel Suo Sangue per la vita eterna.
    L'Eucarestia è stato il centro di tutta la vita di Padre Pio, della cui giornata ogni momento costituiva una continua preparazione e ringraziamento a Gesù Sacramentato, con la preghiera e la sofferenza anche di notte. Nella celebrazione della Messa il santo, facendo la volontà di Dio, fa sua tutta la Passione di Cristo: l'agonia nell'orto, il processo dinanzi a Pilato, il viaggio al Calvario, la Crocifissione. Riportiamo di seguito la fedele trascrizione di domande che furono poste a San Pio da Pietralcina e delle risposte da lui date:
    D. Padre, che cosa è la vostra Messa?
    R. Un pasticciotto sacro con la passione di Gesù. La mia responsabilità è unica al mondo, dice piangendo.
    D. Che cosa debbo leggere nella vostra santa Messa?
    R. Tutto il Calvario.
    D. Padre, ditemi tutto quello che soffrite nella santa Messa.
    R. Tutto quello che ha sofferto Gesù nella sua passione, inadeguatamente, lo soffro anche io, per quanto a umana creatura è possibile. E ciò contro ogni mio demerito e per sola sua bontà.
    D. Agonizzate, Padre, come Gesù nell'orto?
    R. Sicuramente.
    D. Quale «fiat» pronunziate?
    R. Di soffrire e sempre soffrire per i fratelli di esilio e per il suo divin regno.
    D. E allora anche voi siete tutto una piaga dalla testa ai piedi?
    R. E non è questa la nostra gloria? E se non ci sarà più spazio per fare altre piaghe nel mio corpo, faremo piaga su piaga.
    D. Dio mio, questo è troppo! Siete, Padre mio, un vero carnefice di voi stesso!
    R. Non ti spaventare, ma gioisci. Non desidero la sofferenza in se stessa, no; ma per i frutti che mi dà. Dà gloria a Dio e salva i fratelli. Che altro posso desiderare?
    D. Con la coronazione di spine, quali peccati scontò Gesù?
    R. Tutti. In particolare quelli di pensiero, non esclusi quelli vani e inutili.
    D. Le spine, Padre, ce le avete sulla fronte o intorno al capo?
    R. Intorno a tutto il capo.
    D. Padre, è vero che durante la Messa soffrite il supplizio della coronazione di spine?
    R. E lo metti in dubbio?
    D. Durante tutta la Messa?
    R. E anche prima e dopo. Il diadema non si lascia mai.
    D. Nel divin sacrificio, Padre, voi prendete su di voi le nostre iniquità?
    R. Non si può fare diversamente, poiché fa parte del divin sacrificio.
    D. Vi ho visto tremare mentre salivate i gradini dell'altare. Perché? Per quello che dovevate soffrire?
    R. Non per quello che dovevo soffrire, ma per quello che dovevo offrire.
    D. In qual momento del divin sacrificio soffrite di più?
    R. Sempre e in modo crescente.
    D. Nella celebrazione della santa Messa, quale è il momento in cui soffrite di più?
    R. Dalla consacrazione alla comunione.
    D. In qual momento della Messa soffrite la flagellazione?
    R. Dal principio alla fine, ma più intensamente dopo la consacrazione.
    D. Durante la Messa le punture della corona di spine e le ferite della flagellazione sono reali?
    R. Cosa intendi dire con questo? Gli effetti è certo che sono gli stessi.
    D. Perché piangete all'offertorio?
    R. Vorresti strapparmi il segreto? E sia pure. Allora è il momento che l'anima viene separata dal profano.
    D. Durante la vostra Messa, Padre, la folla fa un po' di chiasso!...
    R. E se vi foste trovate sul Calvario dove si sentivano urli, bestemmie, rumori, minacce!? Lì era tutto un fracasso!
    D. I rumori che fanno in chiesa vi distraggono?
    R. Niente affatto.
    D. Perché soffrite tanto, Padre, nella consacrazione?
    R. Sei troppo cattiva!
    D. Ditemelo perché soffrite tanto nella consacrazione.
    R. Perché è proprio lì che avviene una nuova e ammirabile distruzione e creazione.
    D. Perché soffrite tanto nella consacrazione?
    R. I segreti del sommo Re non si svelano senza profanarli. Mi domandi perché soffro? Non lacrimucce, ma torrenti di lacrime vorrei versare! Non rifletti al tremendo mistero? Un Dio vittima dei nostri peccati!... Noi poi siamo i suoi macellai.
    D. L'amarezza del fiele, Padre, la soffrite?
    R. Sì e spesso spesso.
    D. Padre, come vi reggete in piedi sull'altare?
    R. Come si reggeva Gesù sulla croce.
    D. Sull'altare siete sospeso sulla croce come Gesù al Calvario?
    R. E lo domandi pure?
    D. Come fate a reggervi?
    R. Come si reggeva Gesù sul Calvario.
    D. I carnefici capovolsero la croce di Gesù per ribattere i chiodi?
    R. Si capisce!
    D. Anche a voi ribattono i chiodi?
    R. E come!
    D. Pure a voi la capovolgono?
    R. Sì, ma non aver paura.
    D. Padre, recitate pure voi durante la santa Messa le sette parole che Gesù proferì in croce?
    R. Sì, indegnamente, le recito pure io.
    D. E a chi dite: «Donna, ecco tuo figlio»?
    R. Dico a Lei: Ecco i figli del tuo Figlio.
    D. Soffrite la sete e l'abbandono di Gesù?
    R. Sì.
    D. In quale momento soffrite la sete e l'abbandono?
    R. Dopo la consacrazione.
    D. Fino a quale momento soffrite l'abbandono e la sete?
    R. Ordinariamente sino alla comunione.
    D. Gesù crocifisso aveva le viscere consumate?
    R. Di' piuttosto: bruciate!
    D. Di che cosa aveva sete Gesù crocifisso?
    R. Del regno di Dio.
    D. Ditemi cosa potrei fare per alleggerire il vostro calvario.
    R. Alleggerirlo?!... Di' piuttosto per appesantirlo. Bisogna soffrire!
    D. È doloroso assistere al vostro martirio senza potervi aiutare!
    R. Anche l'Addolorata dovette assistere. Per Gesù, certo, era più confortante avere una Madre dolorante, che una indifferente.
    D. Che faceva la Vergine ai piedi di Gesù crocifisso?
    R. Soffriva nel vedere soffrire suo Figlio. Offriva le sue pene e i dolori di Gesù al Padre celeste per la nostra salvezza.
    D. Che cosa è la santa comunione?
    R. È tutta una misericordia interna ed esterna. Tutto un amplesso. Pregate pure Gesù che si faccia sentire sensibilmente.
    D. Che fa Gesù nella comunione?
    R. Si delizia nella sua creatura.
    D. La comunione è una incorporazione?
    R. È una fusione. Come due ceri si fondono insieme e più non si distinguono.
    D. Quando vi unite a Gesù nella santa comunione che dobbiamo chiedere al Signore?
    R. Che sia anche io un altro Gesù, tutto Gesù, sempre Gesù.
    D. Pure alla comunione soffrite?
    R. È il punto culminante.
    D. Dopo la comunione continuano le vostre sofferenze?
    R. Sì, ma sofferenze amorose.
    D. In questa unione, Gesù non vi consola?
    R. Sì, ma non si cessa di stare sulla croce!
    D. Nella santa Messa morite anche voi?
    R. Misticamente nella santa comunione.
    D. È per veemenza d'amore o di dolore che subite la morte?
    R. Per l'uno e per l'altro: ma più per amore.
    D. Nella comunione subite la morte: allora non ci siete più sull'altare?
    R. Perché? Anche Gesù morto era sul Calvario.
    D. Avete detto, Padre, che nella comunione la vittima muore. Nelle braccia della Madonna vi depongono?
    R. Di san Francesco
    D. La santissima Vergine assiste alla vostra Messa?
    R. E credi tu che la Mamma non s'interessi del figlio?
    D. Gli angeli assistono alla vostra Messa?
    R. A torme.
    D. Che fanno?
    R. Adorano e amano.
    D. Padre, chi sta più vicino al vostro altare?
    R. Tutto il paradiso.
    D. Desiderate celebrare più di una Messa al giorno?
    R. Se fosse in mio potere non scenderei mai dall'altare.
    D. Il Signore, Padre, ama il sacrificio?
    R. Sì, perché con questo ha rigenerato il mondo.
    D. Quanta gloria dà a Dio la santa Messa?
    R. Infinita gloria.
    D. Che dobbiamo fare durante la santa Messa?
    R. Compassionare ed amare.
    D. Padre, come dobbiamo ascoltare la santa Messa?
    R. Come vi assistettero la santissima Vergine e le pie donne. Come assistette san Giovanni al sacrificio eucaristico e a quello cruento della croce.
    D. Che benefici riceviamo ascoltandola?
    R. Non si possono enumerare. Li vedrete in paradiso.
  19. Valerio

    CONFETTI DI SANTITÀ
    Il beato Carlo d'Asburgo è stato l'ultimo imperatore d'Austria e governante dell'Impero Austro-Ungarico, ma è stato anche ed in particolare un padre di famiglia ed un marito amorevole e leale per sua moglie Zita. Sono stati sposati per undici anni prima della morte prematura di lui nel 1922, e hanno avuto otto figli. Nonostante le difficoltà del governo durante la Prima guerra mondiale, Carlo non ha mai dimenticato l’importanza del suo matrimonio, offrendo ai figli e ai suoi sottomessi un modello da seguire e imitare. Il giorno prima del loro matrimonio, Carlo disse a Zita: “Ora aiutiamoci l’un l’altra ad arrivare in Paradiso”. Il matrimonio, infatti, è prima di tutto un sacramento che unisce le anime dei coniugi, santificando il loro amore e rivolgendolo al destino ultimo del Paradiso nell'aiuto e nel sostegno reciproco. La coppia si fece incidere una frase speciale all’interno delle fedi nuziali. L’iscrizione recitava in latino Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix (Ricorriamo alla tua protezione, o Santa Madre di Dio), per porre la loro unione sotto la protezione della Beata Vergine Maria. Prima di andare in viaggio di nozze, inoltre, la coppia compì un pellegrinaggio al santuario mariano di Mariazell, dedicato a Nostra Signora Magna Mater Austriae (Grande Madre dell’Austria). I due erano intimamente legati ed oltre a lavorare insieme come coppia reale, insegnavano ai propri figli le verità della fede. Non era semplicemente compito di Zita insegnare ai bambini come pregare, perché anche Carlo instillò nei suoi figli l’amore per Dio e insegnò loro personalmente le preghiere. Prendevano sul serio l’ideale biblico di diventare “una sola carne” in tutto. Carlo e Zita non hanno smesso di amarsi neanche quando sono sorte le difficoltà. Dopo aver affrontato l’umiliazione di essere esiliati dal proprio Paese, il loro rapporto è diventato più forte che mai. Poco dopo hanno affrontato una prova ancora più grande quando Carlo ha contratto la polmonite, che lo ha portato alla morte a neanche 35 anni. Le ultime parole di Carlo alla moglie sono state “Ti amo infinitamente”. Nei 67 anni successivi, Zita ha indossato abiti neri a indicare il suo lutto. Non ha mai smesso di amare Carlo fino alla propria morte, quando si è riunita con lui in cielo. Il loro amore non è stato un semplice sentimento, ma una scelta di amarsi “finché morte non ci separi” e oltre.
  20. Valerio
    Il sesto articolo del Credo c'insegna che Gesù Cristo, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, alla presenza de' suoi discepoli, ascese da se stesso al cielo, e che essendo, come Dio, eguale al Padre nella gloria, come uomo è stato innalzato sopra tutti gli Angeli e tutti i Santi, e costituito Signore di tutte le cose. Prima stette quaranta giorni sulla terra per provare, con varie apparizioni, che era veramente risorto, e per istruire sempre più e confermare gli Apostoli nelle verità della fede. E' salito al cielo per prendere possesso del sul regno meritato colla sua morte, per preparare il nostro posto di gloria e per essere nostro Mediatore ed Avvocato appresso il Padre; per mandare, infine, lo Spirito Santo a' suoi Apostoli. La Madre sua, in quanto creatura, sebbene la più degna di tutte, salì al cielo per virtù di Dio e non propria. "Siede alla destra di Dio Padre onnipotente": "siede" indica il pacifico possesso che Gesù Cristo ha della sua gloria; "alla destra di Dio Padre onnipotente" vuol dire che Egli ha il posto d'onore sopra tutte le creature.
  21. Valerio
    La preghiera Aufer a nobis
    Oremus.
    Aufer a nobis, quaesumus, Dòmine, iniquitàtes nostras: ut ad Sancta sanctòrum puris mereàmur méntibus introìre. Per Christum Dòminum nostrum. Amen.
    Preghiamo.
    Togli da noi, o Signore, le nostre iniquità: affinché con animo puro possiamo entrare nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore.
    È in un profondo sentimento d'umiltà e con un grande desiderio di santità che conviene salire all'altare.
    Durante la Messa il sacerdote è invitato ad rivestirsi di umiltà, come vediamo nelle preghiere che egli recita, a voce bassa, salendo all'altare: "Aufer a nobis...", "Liberaci da ogni iniquità...", "Oramus te, Domine", "Noi ti preghiamo, o Signore [...] degnati di perdonare tutti i nostri peccati".
    L'umiltà è la base di tutte le virtù, perché ci porta all'adorazione ed è la conseguenza di essa. È umile colui che si trova alla presenza di Dio, perché è la presenza di Dio che lo rende umile e gli fa prendere continuamente coscienza del suo nulla: che egli è niente mentre Dio è tutto. La virtù dell'umiltà corrisponde perfettamente all'adorazione che dobbiamo a Dio.
    Ci illudiamo se crediamo di essere qualcosa quando, invece, siamo nulla. Se Dio volesse, se ci abbandonasse, ritorneremmo nel nulla, non esisteremmo più.
    Se, dunque, viviamo per noi stessi, senza riferirci a Nostro Signore, viviamo nell'illusione, come se crediamo di essere qualche cosa grazie a noi stessi.
    Nessuno di noi può darsi da sé l'esistenza, per cui essa non ci appartiene, ma ci è donata da Dio.
    Ogni creatura deve essere umile, anche Nostro Signore lo era: "Imparate da me - Egli dice - che sono mite e umile di cuore" (Mt. 11, 29).
    L'umiltà non è una virtù rivolta banalmente ad abbassarci, sminuirci e piegarci, ma essa, come afferma San Tommaso d'Aquino: "È una virtù morale che ci inclina per riverenza verso Dio, ad abbassarci, rimanendo nel posto che vediamo a noi essere dovuto". Dobbiamo, dunque, abbassarci nel senso che dobbiamo mettere la nostra vita al suo giusto posto, cioè quello della vita di una creatura, riscattata dal Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Il nostro legame profondo con Dio deve essere quello delle creature e precisamente delle creature riscattate, perché siamo peccatori. Se approfondiamo la nozione di creatura, possiamo metterci nel nostro giusto posto davanti a Dio.
    Allo stesso modo è importante approfondire la grazia immensa che Lui ci ha fatto nel riscattarci e renderci suoi figli nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, dobbiamo meditare sul nostro stato di peccatori e sull'infinita misericordia di Dio verso di noi.
    L'umiltà, inoltre, va di pari passo con la carità, poiché la carità costituisce l'espressione più alta dell'umiltà. Cerchiamo l'umiltà per raggiungere la carità, per essere nella carità. Lottiamo contro il peccato per arrivare alla vera carità verso Dio e verso il prossimo. Il nostro scopo deve essere la carità, l'unione con Dio, l'unione con Nostro Signore.
     
  22. Valerio
    L'antifona Introibo ad altare Dei
    C - Introibo ad altare Dei.
    S - Ad Deum Qui laetificat juventutem meam.
    C - Salirò all'altare di Dio.
    S - Al Dio che rallegra la mia giovinezza.
    La Messa ci avvicina a Nostro Signore Gesù Cristo. Essa è la sorgente della gioia e della vera felicità per tutti coloro che scelgono di seguirlo nel Suo Sacrificio e di rimanere con Lui.
    1. Salirò all'altare di Dio
    Dove troveremo Nostro Signore Gesù Cristo? E' necessario andare in Palestina sul monte della Trasfigurazione? No, Lo troveremo sui nostri altari, perché ormai Egli è sui nostri altari. E' là che lo troveremo in tutto il suo splendore e avremo gli stessi sentimenti degli Apostoli sulla montagna della Trasfigurazione. E' per questo che non possiamo abbandonare i nostri altari.
    Il nostro altare è il Sinai; il nostro altare è il Tabor; Nostro Signore vi si trova in tutta la sua gloria. Se noi potessimo vedere l'altare come gli angeli e i santi lo vedono, avremmo anche noi il nostro volto illuminato, raggiante di gioia, della gloria di Nostro Signore. E' ai piedi dei nostri santi altari che troveremo la luce di Nostro Signore. Questa luce è l'emanazione della carità di Dio, di quella vita di Dio che deve riempire le nostre anime.
    2. A Dio che allieta la mia giovinezza
    Che il santo Sacrificio della Messa sia per tutti voi la sorgente della vostra spiritualità, la sorgente della vostra gioia, la sorgente della vostra felicità; possiate trovare nella Santa Messa, nella comunione tutte le mattine, la vostra più grande gioia. Che la Messa vi procuri anche, al di là della gioia, la pace inalterabile. Se la vostra fede, la vostra dottrina, la vostra spiritualità sono fondate sul santo Sacrificio della Messa, siete nella verità. Non ci si può sbagliare quando si è stabilita la propria fede sul santo Sacrificio della Messa.
  23. Valerio
    Più tardi il Vangelo, parlando della vita di Gesù fra Maria e Giuseppe a Nazareth, la descriverà con queste sole parole: “Ed era loro sottomesso. E la madre custodiva nel suo cuore tutte queste cose, e Gesù cresceva; in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini” (Lc 2,51.52). Per quanto breve sia in questo caso il testo sacro, esso scopre tuttavia al nostro sguardo una luminosa visione d’ordine e di pace, nell’autorità, nella sottomissione, nella dipendenza e nei mutui rapporti. La santa casa di Nazareth si offre a noi come il modello perfetto del focolare cristiano. Qui Giuseppe comanda con la calma e con la serenità, perché ha coscienza, agendo in tal modo, di fare la volontà di Dio e di parlare in suo nome. Sa che riguardo alla sua castissima Sposa e al suo divin Figlio egli è molto inferiore, tuttavia la sua umiltà gli fa accettare, senza timore né turbamento, il compito che gli è stato affidato da Dio di essere il capo della sacra Famiglia, e come un buon superiore non pensa a far uso dell’autorità se non per adempiere più perfettamente l’ufficio di servitore, di suddito, di strumento. Maria, come conviene alla donna, rimane modestamente sottomessa a Giuseppe e, a sua volta, adorando Colui cui essa comanda, dà senza esitare gli ordini a Gesù nelle mille occasioni che presenta la vita di famiglia, chiamandolo, chiedendo il suo aiuto, affidandogli questa o quella occupazione, come fa una madre con il figlio. E Gesù accetta umilmente tale soggezione; si mostra sollecito ai minimi desideri dei genitori, docile ai loro minimi ordini. In tutti i particolari della vita ordinaria, egli, più abile, più sapiente, più santo di Maria e di Giuseppe, e benché ogni onore sia dovuto a lui, resta sottomesso a loro, e lo sarà fino ai giorni della sua vita pubblica, perché quelle sono le condizioni della umanità che ha rivestito e quello è il beneplacito del Padre. “Sì – esclama san Bernardo preso dall’entusiasmo davanti a spettacolo così sublime – il Dio al quale sono sottomessi gli Angeli, al quale obbediscono i Principati, le Potestà, era sottomesso a Maria; e non soltanto a Maria, ma anche a Giuseppe a motivo di Maria! Ammirate dunque l’uno e l’altro, e osservate ciò che vi sembra più ammirevole, se la benignissima condiscendenza del Figlio o la gloriosissima dignità della Madre. Motivo di stupore da entrambe le parti; miracolo sublime ancora da entrambe le parti. Un Dio obbedisce a una creatura umana: ecco un’umiltà che non ha riscontro; una creatura umana comanda a un Dio: ecco una sublimità che non ha uguali” (Omelia I sul Missus est).
    Salutare lezione quella che qui ci è presentata! Dio vuole che si obbedisca e si comandi secondo il compito e le funzioni di ciascuno, non secondo il grado dei meriti e della virtù. A Nazareth, l’ordine dell’autorità e della dipendenza non è lo stesso che quello della perfezione e della santità. Così avviene pure spesso in qualsiasi società umana e nella stessa Chiesa: se il superiore deve talvolta rispettare nell’inferiore una virtù più alta della sua, l’inferiore ha sempre il dovere di rispettare nel superiore un’autorità derivata dall’autorità stessa di Dio.
    La sacra Famiglia viveva del lavoro delle sue mani. La preghiera in comune, i santi colloqui con i quali Gesù si compiaceva di formare ed elevare in maniera sempre crescente le anime di Maria e di Giuseppe, avevano un proprio tempo, e dovevano cessare davanti alla necessità di provvedere alle esigenze della vita quotidiana. Povertà e lavoro sono mezzi di santificazione troppo importanti perché Dio non li imponesse al piccolo gruppo benedetto di Nazareth. Giuseppe esercitava dunque assiduamente il suo mestiere di falegname, e Gesù, appena sarà in grado di farlo, condividerà il suo lavoro. Nel II secolo, la tradizione conservava ancora il ricordo dei gioghi e degli aratri fabbricati dalle sue mani divine (San Giustino, Dialogo con Trifone, 88).
    In quelle ore, Maria compiva tutti i suoi doveri di padrona d’una umile casa. Preparava i pasti che Giuseppe e Gesù dovevano trovar pronti dopo il lavoro, attendeva all’ordine e al disbrigo delle faccende,e senea dubbio – secondo l’usanza di quel tempo – provvedeva essa stessa in gran parte ai vestiti suoi e della famiglia, oppure faceva per altri qualche lavoro il cui compenso sarebbe servito ad aumentare il benessere di tutti. Così, con la sua vita oscura ed attiva nella bottega di Giuseppe, Gesù ha elevato e nobilitato il lavoro manuale che è la sorte della maggior parte degli uomini. Assumendo per sé e per i genitori la condizione di semplice artigiano, egli ha meravigliosamente onorato e santificato la condizione delle classi lavoratrici, che possono d’ora in poi venire a cercare, in così augusti esempi, insieme ad un incoraggiamento nella pratica delle più nobili virtù, un motivo costante di soddisfazione e di felicità (Leone XIII, Breve Neminem fugit del 14 giugno 1892).
    Così ci appare la sacra Famiglia sotto l’umile tetto di Nazareth, vero modello di quella vita domestica con i suoi mutui rapporti di carità e le sue ineffabili bellezze, che è la sfera d’azione di milioni di fedeli in tutto il mondo; dove il marito comanda come faceva Giuseppe, la moglie obbedisce come faceva Maria; dove i genitori sono solleciti dell’educazione dei figli, e dove questi ultimi tengono il posto di Gesù con l’obbedienza, il progresso, la gioia e la luce che diffondono intorno a sé. Secondo l’espressione d’un pio autore che ci piace citare, il focolare cristiano, per le grazie che ogni giorno e ad ogni istante sono riversate dal cielo su di lui, per la moltitudine delle virtù che, mette in azione e infine per la felicità di cui è lo scrigno, è “come il vestibolo del Paradiso” (Coleridge, La vita della nostra vita, ovvero la Storia di Nostro Signor Gesù Cristo, III, c. 16). Cosicché non c’è da stupire se esso forma l’oggetto di continui attacchi dei nemici del genere umano. E se questi riportano talora qualche notevole vittoria sul regno fondato quaggiù da Nostro Signore, ciò avviene quando riescono a contaminare il matrimonio, a distruggere l’autorità dei genitori, a raffreddare gli affetti e i doveri che legano i figli al padre e alla madre. Non v’è invasione di orde barbariche avanzanti attraverso una fiorente regione che mettono a ferro e fuoco, che sia tanto odiosa agli occhi del cielo quanto una legge che sanzioni lo scioglimento del vincolo matrimoniale, o che sottragga i figli alla custodia e alla direzione dei genitori. In tutto il mondo per misericordia di Dio, la famiglia cristiana è stata stabilita e difesa dalla Chiesa come la sua più bella creazione e il suo più .grande beneficio verso la società. Ora la luce, la pace, la purezza- e la felicità del focolare cristiano, è derivato tutto dalla vita trascorsa da Gesù, Maria e Giuseppe nella santa casa di Nazareth.
    dom Prosper Guéranger
  24. Valerio
    La liturgia dei tre ultimi giorni della Settimana Santa è tutta pervasa del ricordo della redenzione. Nelle ufficiature, che sono tra le più belle dell'anno, la Chiesa ricorda i grandi avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi giorni di vita del Salvatore e ci fa celebrare il mistero della nostra redenzione.
    Meravigliosa celebrazione, in cui la passione ci è resa misteriosamente presente affinché rinnoviamo la nostra vita alle sorgenti stesse da cui è scaturita.
    Il Giovedì Santo è consacrato al ricordo vivo dell'istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio. Alla vigilia della sua morte, il giovedì, celebrando la Pasqua coi suoi discepoli, Gesù, gran sacerdote della nuova legge, trasformò il banchetto rituale dei Giudei in un banchetto ancora più sacro, in cui Lui stesso, autentico agnello pasquale, si diede in nutrimento a coloro che doveva riscattare con la sua morte di croce.
    Lo stesso giorno il vescovo procede alla benedizione degli olii santi: è così manifesto che i sacramenti, di cui gli olii sono, in parte la materia, hanno la loro sorgente in Cristo, rappresentato dal vescovo, e attingono la loro fecondità nel mistero pasquale della salvezza. Inoltre oggi si svolge, nella Messa Vespertina, la cerimonia del "Mandatum": ricordo commovente del gesto pieno di umiltà e di carità col quale Gesù volle contrassegnare il "comandamento nuovo" dell'amore fraterno.
    MESSA VESPERTINA IN COENA DOMINI
    Nel momento stesso in cui si tramava la sua morte, il Salvatore istituiva il mezzo di perpetuare il suo sacrificio e di continuare tra noi la sua presenza. Nel ricordo della cena, la Chiesa celebra oggi il santo sacrificio con gioia raggiante: essa riveste i suoi ministri con paramenti di festa e canta il Gloria in excelsis, mentre suonano tutte le campane.
    Generalmente in ogni chiesa c'è una sola Messa, alla sera; tutto il clero vi partecipa e vi si comunica. Ciò vuol significare, nel giorno anniversario dell'istituzione dell'eucaristia, che non vi è che un sacerdozio, incaricato da Gesù stesso di rinnovare perpetuamente il suo sacrificio. Nelle preghiere del Canone della Messa, al Communicantes e al momento della Consacrazione, la Chiesa ci fa pensare con commozione a Gesù che istituisce e celebra il sacrificio di ringraziamento, la vigilia della sua passione.
    PROPRIO DELLA S.MESSA
    INTROITUS
    Gal 6:14.- Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Iesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus ~~ Ps 66:2- Deus misereátur nostri, et benedícat nobis: illúminet vultum suum super nos, et misereátur nostri. ~~ Nos autem gloriári opórtet in Cruce Dómini nostri Iesu Christi: in quo est salus, vita et resurréctio nostra: per quem salváti et liberáti sumus
    Gal 6:14.- Quanto a noi non sia mai che ci gloriamo d'altro se non della croce del Signor nostro Gesù Cristo; in Lui è la salvezza, la vita e la resurrezione nostra; per mezzo suo siamo stati salvati e liberati. ~~ Ps 66:2- Dio abbia pietà di noi e ci benedica; faccia splendere su di noi il suo sguardo e ci usi pietà. ~~ Quanto a noi non sia mai che ci gloriamo d'altro se non della croce del Signor nostro Gesù Cristo; in Lui è la salvezza, la vita e la resurrezione nostra; per mezzo suo siamo stati salvati e liberati.
    Gloria
    Durante il canto del Gloria si suonano le campane che poi rimarranno mute fino al Gloria della Notte di Pasqua.
    ORATIO
    Orémus.
    Deus, a quo et Iudas reatus sui poenam, et confessiónis suæ latro praemium sumpsit, concéde nobis tuæ propitiatiónis efféctum: ut, sicut in passióne sua Iesus Christus, Dóminus noster, diversa utrísque íntulit stipéndia meritórum; ita nobis, abláto vetustátis erróre, resurrectiónis suæ grátiam largiátur: Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.
    Preghiamo.
    Dio, da cui Giuda ricevette il castigo del suo delitto e il ladrone il premio del suo pentimento, fa a noi sentire l'effetto della tua pietà, affinché, come nella sua Passione Gesù Cristo Signor nostro diede all'uno e all'altro il dovuto trattamento, cosi tolte da noi le aberrazioni dell'uomo vecchio, ci dia la grazia della sua risurrezione. Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
    LECTIO
    Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
    1 Cor 11:20-32.
    (In questo racconto dell'ultima cena, tramandato da S. Paolo, si inseriscono precetti riguardanti la carità fraterna. Non è forse questo il comandamento nuovo che Gesù diede ai suoi discepoli in questo giorno? E il sacrificio della Messa, realizzazione sacramentale, come la cena, del sacrificio della Croce, non è il fattore principale dell'unità cristiana?)
    Fratres: Conveniéntibus vobis m unum, iam non est Domínicam coenam manducáre. Unusquísque enim suam cenam præsúmit ad manducándum. Et alius quidem ésurit: álius autem ébrius est. Numquid domos non habétis ad manducándum et bibéndum? aut ecclésiam Dei contémnitis, et confúnditis eos, qui non habent? Quid dicam vobis? Laudo vos? In hoc non laudo. Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem. Simíliter et cálicem, postquam coenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine: hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis: mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de cálice bibat. Qui enim mandúcat et bibit indígne, iudícium sibi mandúcat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini. Ideo inter vos multi infirmi et imbecílles, et dórmiunt multi. Quod si nosmetípsos diiudicarémus, non útique iudicarémur. Dum iudicámur autem, a Dómino corrípimur,ut non cum hoc mundo damnémur.
    Fratelli; quando vi adunate in sacra adunanza, non vi comportate come chi deve prepararsi a mangiare la Cena del Signore, poiché ciascuno pensa a consumare la propria cena tanto che uno patisce la fame e l'altro si ubriaca. Ma non avete le vostre case per mangiare e bere? O avete in disprezzo l'assemblea di Dio e desiderate far arrossire coloro che non hanno nulla? Che " devo dirvi? forse lodarvi? In questo certamente no, Quello infatti che io vi ho insegnato me l'ha comunicato il Signore, e cioè: II Signore Gesù la notte in cui fu tradito, prese il pane e, dopo aver reso le grazie a Dio, lo spezzò e disse: «Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo, che sarà dato a morte per voi; fate questo in memoria di me». E similmente, dopo aver cenato, prese anche il Calice, dicendo: «Questo Calice è il nuovo Patto nel mio Sangue: fate questo tutte le volte che ne berrete in mio ricordo», Quindi ogni qualvolta mangerete questo Pane e berrete questo Calice annunzierete la morte del Signore, finché Egli non venga. Chiunque dunque mangerà questo Pane o berrà il Calice del Signore indegnamente sarà reo del Sangue e del Corpo del Signore. Ognuno pertanto esamini se stesso e poi mangi di quel Pane e beva di quel Calice; perché chi ne mangia e ne beve indegnamente, non pensando che quello è il Corpo del Signore, mangia e beve la sua condanna. Ecco perché tra voi ci sono molti malati e deboli, e parecchi ne muoiono. Se ci esaminassimo bene da noi stessi, non saremmo condannati; invece se siamo giudicati dal Signore, Egli deve castigarci per non condannarci col mondo
    GRADUALE
    Phil 2:8-9
    Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis
    V. Propter quod et Deus exaltávit illum: et dedit illi nomen, quod est super omne nomen.
    Il Cristo si è fatto per noi obbediente fino alla morte e morte di croce.
    V. Perciò Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome, che è sopra ogni altro nome.
    EVANGELIUM
    Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Ioánnem.
    Ioann 13:1-15
    (Avendo già riportato nell'Epistola l'istituzione dell'eucaristia, la liturgia ci parla ora della grande lezione di aiuto fraterno di cui Gesù, durante la cena, volle dare un indimenticabile esempio ai suoi discepoli.)
    Ante diem festum Paschae, sciens Iesus, quia venit hora eius, ut tránseat ex hoc mundo ad Patrem: cum dilexísset suos, qui erant in mundo, in finem diléxit eos. Et cena facta, cum diábolus iam misísset in cor, ut tráderet eum Iudas Simónis Iscariótæ: sciens, quia ómnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit, et ad Deum vadit: surgit a cena et ponit vestiménta sua: et cum accepísset línteum, præcínxit se. Deinde mittit aquam in pelvim, et coepit laváre pedes discipulórum, et extérgere línteo, quo erat præcínctus. Venit ergo ad Simónem Petrum. Et dicit ei Petrus: Dómine, tu mihi lavas pedes? Respóndit Iesus et dixit ei: Quod ego fácio, tu nescis modo, scies autem póstea. Dicit ei Petrus: Non lavábis mihi pedes in ætérnum. Respóndit ei Iesus: Si non lávero te, non habébis partem mecum. Dicit ei Simon Petrus: Dómine, non tantum pedes meos, sed et manus et caput. Dicit ei Iesus: Qui lotus est, non índiget nisi ut pedes lavet, sed est mundus totus. Et vos mundi estis, sed non omnes. Sciébat enim, quisnam esset, qui tráderet eum: proptérea dixit: Non estis mundi omnes. Postquam ergo lavit pedes eórum et accépit vestiménta sua: cum recubuísset íterum, dixit eis: Scitis, quid fécerim vobis? Vos vocátis me Magíster et Dómine: et bene dícitis: sum étenim. Si ergo ego lavi pedes vestros, Dóminus et Magíster: et vos debétis alter altérius laváre pedes. Exémplum enim dedi vobis, ut, quemádmodum ego feci vobis, ita et vos faciátis.
    Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che per lui era venuta l'ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine: e fatta la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figliuolo di Simone Iscariota, il disegno di tradirlo: sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e ch'era venuto da Dio e a Dio se ne tornava: si leva da tavola, depone il mantello e, preso un asciugatoio, se Io cinge. Poi versa dell'acqua nel bacino, e si mette a lavare i piedi ai discepoli e a rasciugarli con l'asciugatoio. Viene dunque a Simon Pietro; e Pietro gli dice: Signore, tu lavare i piedi a me? Gesù gli rispose: «Quel che io faccio, tu adesso non lo sai; ma lo capirai dopo». Pietro gli dice: Tu non mi laverai i piedi, mai! E Gesù gli risponde: «Se io non ti laverò, non avrai parte con me». E Simon Pietro gli dice: Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! E Gesù gli dice : «Chi è stato lavato, non ha bisogno di lavarsi, se non i piedi, ma è interamente mondo. E voi siete mondi, ma non tutti». Siccome sapeva chi era colui che l'avrebbe tradito, per questo disse: «Non tutti siete mondi». Come dunque ebbe loro lavato i piedi, ed ebbe ripreso il mantello, rimessosi a tavola, disse loro: « Lo capite quel che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Orbene, se io, che sono il Signore e il Maestro , vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi l'uno all'altro. Poiché vi ho dato un esempio, affinché cosi come ho fatto io, facciate anche voi».
    Credo
    OFFERTORIUM
    Ps 117:16 et 17.
    Déxtera Dómini fecit virtútem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.
    La destra del Signore ha mostrato la sua potenza; la destra del Signore mi ha esaltato: non morrò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.
    SECRETA
    Ipse tibi, quaesumus, Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus, sacrifícium nostrum reddat accéptum, qui discípulis suis in sui commemoratiónem hoc fíeri hodiérna traditióne monstrávit, Iesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.
    O Signore santo, Padre onnipotente, eterno Dio, ti renda accetto questo nostro sacrificio quegli stesso, che con l'odierna istituzione insegnò ai suoi discepoli di offrirlo in sua memoria, Gesù Cristo, Figlio tuo, Signore nostro; il quale con te vive e regna. Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
    PRÆFATIO DE SANCTA CRUCE
    Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui salútem humáni géneris in ligno Crucis constituísti: ut, unde mors oriebátur, inde vita resúrgeret: et, qui in ligno vincébat, in ligno quoque vincerétur: per Christum, Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes
    È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai procurato la salvezza del genere umano col legno della Croce: così che da dove venne la morte, di là risorgesse la vita, e chi col legno vinse, dal legno fosse vinto: per Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo
    INFRA ACTIONEM
    Communicántes et diem sacratíssimum celebrántes, quo Dóminus noster Iesus Christus pro nobis est tráditus: sed et memóriam venerántes, in primis gloriósæ semper Vírginis Maríæ, Genetrícis eiúsdem Dei et Dómini nostri Iesu Christi: sed et beati Ioseph, eiusdem Virginis Sponsi, et beatórum Apostolórum ac Mártyrum tuórum, Petri et Pauli, Andréæ, Iacóbi, Ioánnis, Thomæ, Iacóbi, Philíppi, Bartholomaei, Matthaei, Simónis et Thaddaei: Lini, Cleti, Cleméntis, Xysti, Cornélii, Cypriáni, Lauréntii, Chrysógoni, Ioánnis et Pauli, Cosmæ et Damiáni: et ómnium Sanctórum tuórum; quorum méritis precibúsque concédas, ut in ómnibus protectiónis tuæ muniámur auxílio. Iungit manus. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
    Uniti in una stessa comunione celebriamo il giorno santissimo nel quale nostro Signore Gesù Cristo fu consegnato per noi; e veneriamo anzitutto la memoria della stessa gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del medesimo nostro Dio e Signore Gesù Cristo: e di quella del beato Giuseppe, Sposo della medesima Vergine e dei tuoi beati Apostoli e Martiri: Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo, Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio, Cipriano, Lorenzo, Crisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano, e di tutti i tuoi Santi; per i meriti e per le preghiere dei quali concedi che in ogni cosa siamo assistiti dall'aiuto della tua protezione. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.
    Hanc ígitur oblatiónem servitútis nostræ, sed et cunctæ famíliæ tuæ, quam tibi offérimus ob diem, in qua Dóminus noster Iesus Christus trádidit discípulis suis Córporis et Sánguinis sui mystéria celebránda: quaesumus, Dómine, ut placátus accípias: diésque nostros in tua pace dispónas, atque ab ætérna damnatióne nos éripi et in electórum tuórum iúbeas grege numerári. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.
    Ti preghiamo, dunque, o Signore, di accettare placato questa offerta di noi tuoi servi e di tutta la tua famiglia, che ti offriamo per il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo affidò ai suoi discepoli di celebrare i misteri del Corpo e del Sangue: ti preghiamo, o Signore, fa che i nostri giorni scorrano nella tua pace e che noi veniamo liberati dall’eterna dannazione e annoverati nel gregge dei tuoi eletti. Per Cristo nostro Signore. Amen.
    Quam oblatiónem tu, Deus, in ómnibus, quaesumus, bene ☩ díctam, adscríp ☩ tam, ra ☩ tam, rationábilem acceptabilémque fácere dignéris: ut nobis Cor ☩ pus, et San ☩ guis fiat dilectíssimi Fílii tui, Dómini nostri Iesu Christi.
    La quale offerta Tu, o Dio, degnati, te ne supplichiamo, di rendere in tutto e per tutto benedetta, ascritta, ratificata, ragionevole e accettabile affinché diventi per noi il Corpo e il Sangue del tuo dilettissimo Figlio nostro Signore Gesù Cristo.
    Qui prídie, quam pro nostra omniúmque salúte paterétur, hoc est hódie, accépit panem in sanctas ac venerábiles manus suas, et elevátis óculis in coelum ad te Deum, Patrem suum omnipoténtem, tibi grátias agens, bene ☩ dixit, fregit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et manducáte ex hoc omnes.
    HOC EST ENIM CORPUS MEUM.
    Il Quale nella vigilia della Passione, cioè oggi, preso del pane nelle sue sante e venerabili mani , alzati gli occhi al cielo, a Te Dio Padre suo onnipotente rendendoti grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete e mangiatene tutti: QUESTO È IL MIO CORPO.
    Il resto del Canone è come al solito. All’ Agnus Dei si risponde tutte e tre le volte “miserere nobis”. Non si dà il bacio di pace e si omette l’orazione “Domine Iesu Christe qui dixisti”.
    COMMUNIO
    Ioann 13:12, 13 et 15.
    Dóminus Iesus, postquam coenávit cum discípulis suis, lavit pedes eórum, et ait illis: Scitis, quid fécerim vobis ego, Dóminus et Magíster? Exemplum dedi vobis, ut et vos ita faciátis.
    Il Signore Gesù, come ebbe cenato con i suoi discepoli, lavò loro i piedi, e disse: comprendete quel che io, Signore e maestro ho fatto a voi? Io vi ho dato l'esempio, perché cosi facciate anche voi.
    POSTCOMMUNIO
    Orémus.
    Refécti vitálibus aliméntis, quaesumus, Dómine, Deus noster: ut, quod témpore nostræ mortalitátis exséquimur, immortalitátis tuæ múnere consequámur. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.
    Preghiamo.
    O Signore Dio nostro, ristorati da questi vitali alimenti, concedici di conseguire, col dono della tua immortalità, ciò che celebriamo durante la nostra vita mortale. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
  25. Valerio
    Il più importante dovere di ogni persona è compiere fedelmente i doveri del proprio stato di vita, e generalmente ciò comporta molte sofferenze. Santa Teresina era una religiosa, e quindi prediligeva quelle sofferenze che erano legate alla perfetta fedeltà interiore ed esteriore alla sua Regola. Osservava i voti con una delicatezza ed una precisione che poteva ben essere chiamata eroica.
    Il grado con cui osservava il voto di povertà avrebbe conquistato l'ammirazione di san Francesco d'Assisi, perché non si contentava di scegliere volontariamente ciò che era più vecchio, più brutto e più usato, ma provava un vero piacere anche nell'essere privata di ciò che era strettamente necessario nel cibo, nel vestito e in tutto.
    Per una speciale grazia di Dio, la piccola Santa fu preservata dalle tentazioni contro la castità corporale, ma la sua castità di cuore - la purezza degli affetti - che le costava molto, fu elevatissima. Le sue sorelle, infatti, si lamentavano perché si sentivano da lei trascurate, o avvertivano da parte sua una certa freddezza nei loro riguardi. Ma con il suo sguardo soprannaturale, la Santa capiva che la vita religiosa non doveva essere un mezzo per soddisfare le gioie della vita familiare, ma piuttosto un mezzo per sacrificarle.
    Nella sua obbedienza, santa Teresina fu una perfetta copia di Colui che "fu obbediente fino alla morte, e alla morte di Croce".
    Considerandosi come una alla quale "chiunque ha il diritto di comandare", obbediva a tutti senza distinzione: alle sue consorelle, alla rotara, all'infermiera, ecc..., come avrebbe obbedito a Dio stesso, e ciò anche nei comandi più difficili e irragionevoli, o anche nei semplici desideri non espressi. I suoi principi erano: "Anche se qualcuno dovesse infrangere la Regola, ciò non mi giustificherebbe", e "ognuna dovrebbe comportarsi come se la perfezione dell'Intero Ordine dipendesse dalla sua condotta personale".
    Quando la perfetta osservanza della Regola o un proprio dovere comporta qualche piccolo inconveniente o difficoltà, è facile presumere, o almeno cercare, una legittima dispensa. Anche santa Teresina sentiva questa tentazione, ma la respingeva coraggiosamente. "Questi nonnulla sono un vero martirio, è vero, ma bisogna ben guardarsi dal diminuirli, permettendosi, o facendosi permettere, mille cose che renderebbero la vita religiosa comoda e gradevole".
    Di conseguenza, non solo non cercò mai la dispensa da qualche atto comunitario, anche nella sua estrema infermità, ma usava tali favori solo quando l'obbedienza l'obbligava a farlo. La sua massima era: "Io posso ancora camminare: ebbene, devo trovarmi a compiere il mio dovere!".
    E noi facciamo lo stesso? 
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