Vai al contenuto

Claudio C.

Administrators
  • Contenuti

    255
  • Iscritto

  • Ultima visita

Tutte le attività di Claudio C.

  1. A cura del Prof. Nunzio Lozito. Nella rubrica il direttore risponde su Avvenire del 4 giugno, Marco Tarquinio risponde nel modo che potete leggere direttamente dalla fonte che allego * https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/nessuno-mai-pu-espropriare-i-simboli-e-i-volti-della-nostra-fede. Il lettore si riferiva alla manifestazione di atti e simboli religiosi resi spesso pubblici da politici e, nello specifico, alle fotografie che ritraevano il Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, con la Bibbia in mano o in preghiera. A voler dare una risposta veramente evangelica, avrei risposto con le parole del Maestro: “va e anche tu fa’ lo stesso”. Invece il buon direttore di Avvenire non poteva perdere un’occasione così ghiotta, offerta dal suo lettore, per fare il suo atto di “fede” politico. Si avete capito bene, politico! Perché a parte il richiamo, a parole come “Verità” (a proposito, caro direttore non basta la “maiuscola” per dare autorevolezza a quello che si vuol dire. Soprattutto non basta per distinguere la Verità dalla propria verità), “Bibbia tutta intera”, “Giovanni Paolo II servitore della Parola”, in sostanza l’obiettivo, non molto velato, è attaccare alcuni politici per osannarne altri. Sappiamo bene, che il contesto conta molto di più che le parole. E il contesto è che, secondo una certa vulgata cattolica, ci sono politici che meritano rispetto, e se possibile anche il voto dei cattolici, perché non sono così rozzi da strumentalizzare la propria fede e i relativi simboli, in pubblico e politici da denigrare. Politici che, proprio in virtù della loro equidistanza dal Vangelo, possono aspirare a diventare, a pieno titolo, uomini delle Istituzioni che, secondo la lezioncina di taluni, sono laiche. Guai quindi a chi si permettesse di richiamare in luoghi pubblici, che non siano le chiese, parole, simboli o persone sacre. Per costoro, i simboli religiosi, non si capisce per quale ragione devono rimanere nascosti nell’ambito privato (sarà perché, così nessuno li vede?). Ma il Signore non aveva detto: “quello che ascoltate sottovoce, gridatelo dai tetti”? Comunque senza voler scomodare il Signore Gesù, qual è quell’azienda che voglia vendere i suoi prodotti, senza sentire prima il bisogno di presentarli, magari sottolineandone gli aspetti benefici? Fuor di metafora. I simboli, in genere, hanno lo scopo di veicolare un messaggio in modo semplice ed immediato. Questo lo è ancor di più per quelli cristiani che, essendo la religione del Verbo incarnato, ha fatto della comunicazione il suo punto di forza. Quindi, a maggior ragione, nell’epoca in cui viviamo, fondato essenzialmente sulle immagini, noi cristiani dovremmo “approfittare” di questa congiuntura favorevole per veicolare il messaggio contenuto nei nostri simboli. Certo, le parole di Gesù, la sua vita, la sua morte e risurrezione ci insegnano che brandire un simbolo, o un’appartenenza formale ad un consesso, non basta a che, come d’incanto i contenuti a cui essi rimandano, si realizzino. Tuttavia in un tempo nel quale, il politicamente corretto monopolizza la scena culturale, sociale, politica e mediatica, esporre un simbolo può fare la differenza per riscaldare il cuore di molti. Tanto più se, certi messaggi, mediatici, oltre essere una legittima bandiera per confermare i propri consensi elettorali (non facciamo le anime candide, perché in campo politico ognuno utilizza le proprie bandiere), possano indicare una strada per uscire da questo clima da guerra civile permanente. E poi se fossi libero fino in fondo al lettore avrei risposto: finché siamo liberi di farlo facciamolo pure, perché se dovesse arrivare qualche norma dello Zan di turno (parlamentare che ha promosso la proposta di legge contro l’omofobia) ci sarà meno libertà per tutti. Oppure, meglio esporre i simboli religiosi, anche a rischio di “strumentalizzarli”, che rimanere silenti nei confronti di chi li abbatte con violenza. *
  2. Già nei giorni passati abbiamo riportato la ricca meditazione di Padre Massimo Malfer esorcista della Diocesi di Verona, tenuta su Radio Kolbe che ritrovate qui L'Esorcista P. Malfer: “L’Eucaristia salva il mondo, altro che sospendere le Messe!”. Riprendiamo una nuova intervista del giovanissimo Marco Chiaramonte rilasciata dall'esorcista P. Massimo ripreso dalla testata internet Ermes Verona dal titolo La quarantena e la lunga astinenza dai Sacramenti. MC Abbiamo appena trascorso quasi 3 mesi di totale astinenza, dai sacramenti, come pensa che questo abbia influito sui fedeli? pMM. Se è vero che i Sacramenti donano la Grazia dobbiamo dire che questo è stato un forte indebolimento della vita spirituale. La Grazia sacramentale è la Grazia necessaria per la vita umana, per la vita di tutti i giorni non solo per la vita spirituale. Perché noi pensiamo ai Sacramenti solo come qualcosa di spirituale, qualcosa che riguarda una sfera, ma noi sappiamo molto bene che se i Sacramenti sono materia e forma, vuol dire che hanno un’attinenza anche con la materia stessa cioè con l’uomo, e quindi, mancando i Sacramenti, ci mancano tutte quelle grazie necessarie per poter vivere profondamente. Quindi c’è un indebolimento della nostra vita, un indebolimento della forza, e una crescita molto forte ad esempio della tentazione: quando uno è debole chiaramente la tentazione è più forte. Credo che tutto questo abbia influito molto negativamente nella vita spirituale dei cristiani, o almeno di quelli che assiduamente partecipavano, coloro che avevano intrapreso una vita di Fede, perché molti magari non andando a Messa nemmeno alla domenica non hanno sentito questa difficoltà, ma per il cristiano impegnato diciamo, per il cristiano praticante, credo che sia stato molto difficile vivere questo, ma soprattutto per le conseguenze che questo può portare nella vita spirituale. MC Molti fedeli si sono chiesti se fosse possibile ricevere benedizioni o addirittura confessarsi per via telefonica. Altri invece ritengono che la Messa in streaming, o la comunione spirituale valgano come quella in presenza. Cosa ne pensa? E qual è la differenza fra queste? pMM. Beh, per quanto riguarda la confessione sappiamo che non è possibile fare la confessione via telefono, questo per vari motivi di privacy soprattutto, ma prima di tutto perché il Sacramento ha bisogno di una presenza reale. Se il Sacramento è materia e forma, come dicevo prima, non è possibile avere un Sacramento nella maniera virtuale, come usiamo oggi questo termine. Quindi in primis possiamo dire che il Sacramento in sé per sé a livello virtuale, nel senso moderno del termine, questo non è possibile. Secondariamente per una benedizione, io credo poco alle benedizione vial telefono, altri miei amici sacerdoti esorcisti ci credono, io poco. Almeno io non vedo una grande efficacia delle benedizioni via telefono. Per quanto riguarda la Santa Messa credo che la Messa via streaming non serva assolutamente a nulla. Serve magari per aiutarci a riflettere, ma sarebbe sufficiente una bella riflessione, fatta dal sacerdote, sul Vangelo del giorno, sulla parola di Dio, su alcuni brani del Vangelo, e questa sarebbe già sufficiente per poter vivere una comunione tra tutti, cioè meditare lo stesso brano del Vangelo, vivere profondamente uno stesso cammino, com’è quello che abbiamo vissuto in maniera particolare durante tutta la Quaresima, e durante il tempo di Pasqua. Quindi credo che la differenza sostanziale della messa in streaming, dico spesso io, è come la differenza che c’è tra un innamorato e un’innamorata che si sentono sempre per telefono. E’ una bellissima cosa e possiamo anche accontentarci per un momento di questo, ma l’innamorato vuole vedere la sua innamorata, vuole toccarla, vuole baciarla, ha voglia di stare insieme, vuole darle momenti di affetto, e credo che la vita spirituale abbia bisogno soprattutto… Forse questa dimensione eccessivamente spiritualistica, potremmo dire anche usando la terminologia più corretta: quasi gnostica, della della vita spirituale che abbiamo oggi, ci fa accontentare anche di questo, ma credo che sia veramente un grave sbaglio, perché noi abbiamo bisogno di concretezza, di realtà: di toccare, di sentire. E l’economia sacramentale se noi guardiamo, è proprio la necessità dell’uomo di incontrare qualcuno. Ad esempio quando vado alla confessione, io incontro nel sacerdote Cristo stesso, non per nulla il Sacerdote quando mi dà l’assoluzione Sacramentale, la dice, l’assoluzione in prima persona: “Io ti assolvo”. Per quale motivo? Perché è Cristo stesso, che assolve nella persona del ministro. La stessa prima persona che si usa nelle parole consacratorie della Messa: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue”, quindi la Messa in streaming diciamo, può essere anche utile tra virgolette, ma non sostituisce, mai e comunque, la Messa vissuta nella celebrazione con tutto il popolo e con il Sacerdote MC Mentre per quanto riguarda la Comunione spirituale ha valore come quella Sacramentale? pMM Beh, sicuramente no. La comunione spirituale è utilissima, soprattutto nei momenti in cui questo non lo possiamo fare. Ad esempio durante la settimana, magari una persona che lavora 12 ore al giorno, dubito, ma comunque ci sono anche persone che lavorano tanto, e magari non possono partecipare alla Santa Messa. Benissimo, noi possiamo fare, tutte le volte che vogliamo, la Comunione spirituale. Pensate il passare davanti ad una chiesa, il fermarsi un attimo a pranzo o a cena. Chi desidera Gesù, desidera di vivere la comunione spirituale. Io credo che la Comunione spirituale sia come per un innamorato, usando la terminologia di prima, l’esempio di prima, come il desiderio di stare con la persona amata e più io desidero Gesù, più desidero compiere la Comunione spirituale. La differenza è sostanziale: la Comunione spirituale è qualcosa che ci aiuta molto, ci dà forza, ci dà coraggio, ma la Comunione, quella reale, quella con il Pane Eucaristico, è la Comunione in cui noi, come dice Sant’Agostino, ci trasformiamo in Lui. Potremmo dire che: la Comunione spirituale serve solo ed esclusivamente quando noi non possiamo ricevere l’Eucaristia reale. Quando questo lo possiamo, chiaramente, la Comunione spirituale viene messa da una parte. Quindi la differenza è sostanziale non più che sostanziale MC Un’ultima domanda: che insegnamenti possiamo trarre da questa situazione? pMM Ma, ce ne sarebbero molti di insegnamenti da trarre. Ecco il primo insegnamento, ascoltavo questa mattina alla radio, è quello di non avere troppa fiducia nella scienza: la scienza ha fatto una gran brutta figura in questo tempo di Covid, perché c’è chi dice una cosa e chi dice un’altra. E chi è lo scienziato che ha ragione? Ecco abbiamo scoperto, ci siamo un po’ svegliati da un sonno, che ci aveva fatto un po’ addormentare: la scienza è qualcosa di perfetto, e quindi di conseguenza noi siamo forti, basta fidarsi della scienza e noi andremo avanti. E il primo grande insegnamento è questo: fidarsi della scienza è bene, ma non fidarsi è meglio. Perché la scienza, come tutte le altre cose, sono un po’ così, ondivaghe. Il secondo insegnamento, a mio avviso, è quello di… camminare in modo molto più attento nella nostra vita spirituale. Abbiamo un po’ esagerato, diciamo la verità. Abbiamo esagerato in tutto, abbiamo esagerato a livello economico, a livello finanziario. Abbiamo esagerato, la nostra società era, perché adesso bisogna usare il passato, era una società esagerata in tutto. Questa pandemia c’ha un po’ fatto riflettere su tutto, e però come terzo insegnamento, un po’ critico se volete, è che in questi momenti di crisi, come in tutti i momenti di crisi,le persone si distinguono, si dividono, e c’è una specie di iato tra coloro che sono buoni e divengono più buoni, e coloro che sono cattivi e divengono più cattivi. E’ la crisi, in sé, ma la crisi nel senso greco del termine, che vuol dire fondamentalmente che: i momenti di prova, di qualsiasi tipo di prova, temprano l’uomo, però o lo costringono a valutare le cose secondo ciò che è la verità cioè secondo Dio, o lo costringono a vivere secondo ciò che ha dentro nel cuore una persona: ognuno dà ciò che ha. Se noi abbiamo dentro nel cuore sentimenti positivi buoni, questi emergono nel momento della prova: la generosità, la bontà. Pensate a quanti atti positivi, buoni, di solidarietà, di bontà, abbiamo visto in questi giorni. Ma d’altronde anche il contrario: quante persone che invece si sono arrabbiate di più e lo sono ancora oggi arrabbiate col mondo, arrabbiate con tutto. Insomma come ultimo grande insegnamento: quello di mai abbassare la guardia. Come esorcista posso dire che il diavolo ha lavorato moltissimo in questo periodo. E dove ha lavorato? Ha lavorato soprattutto per l’Eucaristia, permettete che lo dica. Se il diavolo ha come primo scopo quello di distruggere Cristo, e l’Eucaristia è Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, è chiaro che chi va a colpire è primariamente l’Eucaristia. Siamo stati orfani della Messa, orfani dell’Eucaristia, orfani di tutto ciò che ci è necessario per vivere come cristiani. Credo che sia stato, in un certo qual modo, un insegnamento profondo di fare attenzione a tutto ciò che ci circonda, affinchè la modalità con cui noi dobbiamo vivere l’Eucaristia da oggi in poi deve essere diversa: più forte, più vera. Perchè? Perché l’Eucaristia è Lui, è Gesù Cristo, e quindi il Cristiano deve avere questa consapevolezza profonda, che deve riguardare sempre di più e amare sempre di più la presenza di Cristo qui in mezzo a noi che è la presenza di Lui nell’Eucaristia.
  3. Libera traduzione da ACI Prensa, articolo ¿El Cristo Milagroso lo hizo de nuevo? Cifras de coronavirus en Italia impactan las redes . E' interessante, a prescindere che possa o meno esserci relazione tra il "Cristo miracoloso" che placò la epidemia del 1522 e la discesa della nuova epidemia del 2020, perché ci ricorda che sta a noi, con la nostra preghiera, con le nostre opere tese ad ottenere la salvezza della nostra anima, possiamo chiedere a Cristo di ri-posare il suo sguardo benevolo su di noi. ***** Un prete dell'arcidiocesi di Milwaukee (Stati Uniti) ha attirato l'attenzione di molti durante il passato fine settimana dopo aver analizzato il bilancio delle vittime del coronavirus in Italia ed identificato il 27 marzo come il giorno in cui tutto è cambiato. Quel giorno Papa Francesco ha presieduto in Piazza San Pietro un extra-ordinario momento di preghiera alla presenza del "Cristo Miracoloso", un'immagine di Gesù crocifisso a cui i romani attribuirono la fine dell'epidemia del 1522. In tale occasione impartì anche la benedizione di Urbi et Orbi e pregò davanti all'immagine del Signore crocifisso. Nel suo account Twitter, P. John LoCoco ha identificato quel venerdì come quello di maggior picco in Italia. Infatti è stato il giorno in cui furono registrate ben 919 vittime. Da allora è iniziato un graduale declino, fino a ieri [qualche giorno fa] quando sono stati registrati 50 morti in Italia. Come è noto, l'Italia è stato il primo paese europeo in cui la pandemia ha causato il caos dopo che il virus ha lasciato la Cina, causando, secondo i dati della Johns Hopkins University, oltre 230.000 infezioni e 32.800 morti. Alcuni giorni fa sono inoltre state revocate diverse misure restrittive in Italia ed è stato possibile anche tornare a celebrare messe con i fedeli, ma mantenendo le raccomandazioni sanitarie per evitare nuovi focolai di coronavirus. In quell'extra-ordinario giorno di preghiera, anche Papa Francesco ha pregato davanti all'immagine mariana della Salus Populi Romani. Di fronte a una piazza vuota di San Pietro e nel mezzo della pioggia, il Pontefice rifletté sul passaggio del Vangelo in cui Cristo calma la tempesta sul Mare di Galilea. "Ci troviamo spaventati e persi. Come i discepoli del Vangelo, siamo stati colpiti da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto che eravamo nella stessa barca, tutti fragili e disorientati; ma, allo stesso tempo, importante e necessario, tutti chiamati a remare insieme, tutti dovevano confortarsi a vicenda ", ha detto. Tuttavia, ha ricordato che “il Signore si sveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale". Per questo motivo, ci ha incoraggiato ad abbracciare la Croce di Cristo, poiché in essa “siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciarla essere quella che rafforza e sostiene tutte le possibili misure e vie che ci aiutano a prenderci cura di noi stessi. Abbraccia il Signore per abbracciare la speranza. Questa è la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza ". Dopo la sua riflessione, il Santo Padre è andato all'ingresso della Basilica di San Pietro, dove ha celebrato l'adorazione del Santissimo Sacramento in silenzio per diversi minuti, accompagnato da alcuni funzionari vaticani, e quindi ha presieduto alcune preghiere come la supplica nelle litanie. Tradotto da Claudio
  4. Libera traduzione da Lifesitenews dell'articolo "Water-gun baptisms may be valid, but they’re certainly sacrilegious di Joseph Shaw. In questi giorni hanno avuto un certo risalto sul web le fotografie di chierici che puntano delle pistole ad acqua verso i bambini per "battezzarli". Alcune di queste foto sembrano essere posticce, se supponiamo che i Sacerdoti prima abbiano impartito il battesimo in modo ordinario, ma poi si siano messi in posa subito dopo per queste foto "scherzose" . Questo potrebbe comportare, forse in parte, la differenza, ma non ritengo che possa variare il nocciolo della questione chissà di quanto. La domanda infatti è: perché dei sacerdoti dovrebbero atteggiarsi a fare il clown, in Chiesa, dopo aver battezzato un bambino? In un altro caso, ad esempio, in una foto viene ritratto un prete che, indossando degli abiti liturgici, usa una pistola ad acqua per benedire gli adulti con l'Acqua Santa. Se fosse vera, è grave ma, qualora sia stata una messa in scena, la situazione potrebbe addirittura essere peggiore. Alcuni ritenevano che fossero finiti i tempi della "Messa da clown", in voga qualche anno fa, e di altri esempi estremi di mancanza di rispetto per la Liturgia, ma sembrerebbe che questo spirito sopravviva, sia tra cattolici che non cattolici. Non è peregrino ritenere che coloro che hanno pubblicato queste fotografie e le persone in esse impresse, possano pensare chiaramente che sia tutto terribilmente divertente e che tutto vada bene. Prima che a qualcuno possa venire in mente che l'uso delle pistole ad acqua sia una risposta seria al coronavirus, permettetemi di essere la millesima persona a sottolineare che non è così. Tramite gli "asperges", le persone sono state benedette a distanza per secoli, con un attrezzo liturgico chiamato aspergillum, senza alcun tipo di problema. Questa è forse una piccola sfaccettatura di un approccio alla liturgia oramai diffuso, e in particolare di un approccio consolidato alla "liturgia" in uso per battesimi e matrimoni, che tende a vedere questi riti come un qualcosa che debba essere animato con battute e parole sentimentali. Anche i "servizi matrimoniali civili" oramai si ritrovano con questa impostazione. È come se un apprezzamento ed una sottolineatura forte della gravità, intesa come importanza, dell'occasione sia una sorta di disastro che possa mettere le persone a disagio. La guida ufficiale ai sacramenti invece sottolinea quanto essi siano invece momenti da vivere seriamente, proprio per l'importante differenza che fanno i Sacramenti nella realtà di un'anima. Realizzarli in modo burlesco è prima di tutto sacrilego, inteso come un abuso di una cosa santa. Ma è anche un'offesa contro tutti coloro che ne sono testimoni, perché rende difficile per loro prenderlo sul serio. Se non prendi sul serio un Sacramento, non puoi parteciparvi proficuamente, né come candidato al Sacramento né come spettatore. Si potrebbe obiettare che almeno il Sacramento è valido. Il resto potrebbe non essere della massima importanza, e ...... perché non divertirsi? Forse (?) potrebbe essere così nel caso del Battesimo con la pistola ad acqua, ma un matrimonio in cui la coppia non prende sul serio quello che sta facendo potrebbe non essere valido, e anche se lo fosse, la coppia non otterrà facilmente le grazie del Sacramento ed in modo abbondante come farebbero altrimenti. L'appello liturgico degli "anarchici della validità" (coloro che affermano che comunque il Sacramento è valido e possono fare quello che vogliono) non è tuttavia un argomento con fondamenta solide. Accanto ad un clown sacramentalmente valido, infatti, troviamo un clown sacramentalmente invalido. In uno dei miei momenti da "pillola rossa", mentre riflettevo sulla importanza del problema dell'anarchia liturgica, ho approfondito l'argomento della materia non valida usata in alcune diocesi americane negli anni '70 per diversi anni (ndr materia, forma e intenzione servono ai fini della validità dei Sacramenti). Dopo diverso tempo, questo abuso finì, ma la piaga dei matrimoni invalidi non sembra attenuarsi. Nel 2016, anche Papa Francesco ha affermato che forse ben la metà di tutti i matrimoni cattolici potrebbe essere annullata. Persistono anche problemi relativi a formule non valide utilizzate per il battesimo; ma persistono anche problemi importanti circa l'uso dell'assoluzione generale per il sacramento della penitenza senza preoccuparci delle condizioni per la validità, e così via. Non mi risulta ci siano molti "progressisti" liturgici impegnati su questi problemi; forse alcuno. Pertanto quindi, il motivo per cui si sentono liberi di giocare in fretta e in libertà con la liturgia non è perché sentono fortemente la validità sacramentale e non si preoccupano di nient'altro, ma perché non si preoccupano molto della validità sacramentale. Potrebbero forse ritenere che i Vescovi e la Santa Sede abbiano forte contezza circa la validità e ci permettono di confortarci con il pensiero, quando è possibile, che il Sacramento possa comunque essere valido in questo o quel caso. Ma se si preoccupassero davvero della validità, prenderebbero seriamente la liturgia, e questo è evidentemente qualcosa che non molti stanno realmente mettendo in atto. Gli abusi liturgici sono un'offesa a Dio, come l'abuso di qualcosa di santo. Sono anche un'offesa contro i fedeli, il cui impegno spirituale nella liturgia è impedito. Ancora una volta, sono un'offesa contro nostro Signore, che ha istituito i Sacramenti per la nostra salvezza, e contro la Santa Madre Chiesa, che li ha circondati con cerimonie e testi intesi a dare gloria a Dio e ad aiutarci nella nostra partecipazione. Infine, sono un'offesa contro il sacerdozio stesso, che dovrebbe proteggere la liturgia dalla profanazione e la cui funzione è quella di fornirla agli altri per il bene delle anime. Traduzione di Claudio.
  5. La Congregazione per la  Dottrina della Fede, cui ormai fa direttamente capo il Motu Proprio Summorum Pontificum ed una sezione che svolge ora i compiti prima di competenza della Commissione Ecclesai Dei, ha inviato a tutti i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo una lettera datata 7 marzo 2020, firmata dal cardinal Ladaria, Prefetto della Congregazione (e già presidente della Commissione Ecclesia Dei, in virtù della ristrutturazione voluta da Benedetto XVI), da trasmettere a tutti i Vescovi del mondo. Cui viene chiesto di rispondere ad un sondaggio in 9 domande circa l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum nelle loro Diocesi. La CEF-Conferenza Episcopale Francese lo ha comunicato ai Vescovi lo scorso 30 aprile 2020. Questa lettera è stata resa pubblica dal sito americano Rorate Coeli lo scorso 24 aprile ( https://rorate-caeli.blogspot.com/2020/04/breaking-important-summorum-under.html ) ed ha immediatamente infiammato gli animi dell’intero mondo tradizionale in tutti i Continenti – mondo, bisogna dirlo, facilmente infiammabile -, il quale vi ha subito visto una minaccia al Summorum Pontificum. Papa Francesco ha finito per rendersi conto che questa liturgia marginale esiste realmente, provocando così tante irritazioni esasperate. Il che, tutto sommato, non gli dispiace. Nel suo modo di governare, ci tiene a fare in modo che quanti pensino di essergli più vicini, non si immaginino accomodati in una situazione ideologica tranquilla. Così, i favori accordati alla FSSPX e lo status mantenuto alla forma extraordinaria sono là per ricordarlo loro. Ma lui o la sua segreteria personale hanno pensato che sarebbe stato bene avere informazioni esaustive su questa Messa tradizionale, che provoca tanta rabbia, e sulla sua percezione reale, non per qualche vescovo, ma per tutti i vescovi del mondo. La lettera del cardinal Ladaria chiede che le risposte dei vescovi – nella misura in cui essi si prenderanno la briga di rispondere – devono arrivare prima del 31 luglio. Ovvero quando la Curia entra nel suo profondo sonno estivo. In seguito, al rientro, la piccola sezione della CDF incaricata del Summorum Pontificum, a priori favorevole al Vetus Ordo, dovrà per molti, lunghi mesi classificare, studiare, riassumere un’enorme mole di risposte in tutte le lingue (supponendo che 2.500 dei 3.100 Ordinari di tutto il mondo rispondano alle 9 domande, si avrebbero oltre 20 mila risposte da elaborare, alcune delle quali potrebbero anche essere lunghe). Ecco il questionario: 1. Qual è la situazione nella Sua diocesi per quanto concerne la forma extraordinaria del rito romano? 2. Se la forma extraordinaria vi è praticata, essa risponde ad un’autentica esigenza pastorale o viene promossa da un solo prete? 3. Secondo Lei, quali sono gli aspetti positivi e negativi del ricorso alla forma extraordinaria? 4. Le norme e le condizioni stabilite dal Summorum Pontificum vengono rispettate? 5. Le sembra che, nella Sua diocesi, la forma ordinaria abbia adottato elementi della forma extraordinaria? 6. Per la celebrazione della Messa, utilizza il Messale promulgato da papa Giovanni XXIII nel 1962? 7. Oltre alla celebrazione della Messa nella forma extraordinaria, vi sono altre celebrazioni (ad esempio, battesimo, cresima, matrimonio, penitenza, unzione degli infermi, ordinazioni, ufficio divino, Triduo pasquale, funerali) secondo i libri liturgici anteriori al Concilio Vaticano II? 8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum ha avuto un’influenza sulla vita dei seminari (il seminario diocesano) e delle altre case di formazione? 9. Tredici anni dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum, quel è il Suo giudizio sulla forma extraordinaria del rito romano? La liturgia tradizionale non ha bisogno di permessi per esistere Quando si accenna a queste argomentazioni sulle autorizzazioni romane per celebrare la liturgia tradizionale, è sempre importante non cadere nel gioco del «è permesso, potrebbe non esserlo più», pensando che la sua esistenza dipenda da tali permessi. Di fatto, la Messa tridentina era stata proibita dalla riforma di Paolo VI. Malgrado questo divieto, grazie ai fedeli, ai preti, a due vescovi essa è vissuta e si è sviluppata al punto che la Roma conciliare «moderata», rappresentata specialmente dal cardinale Ratzinger, più tardi Benedetto XVI, ne ha riconosciuto, per tappe, nel 1984, 1988, 2007, la legittimità. È dunque per il fatto che i suoi fruitori siano stati convinti, in nome del senso della fede, della legittimità della liturgia tradizionale che le autorità del dopo-Concilio l’hanno alla fine riconosciuta come legittima. Naturalmente, questi testi successivi le hanno permesso di svilupparsi ancor più, in particolare il Summorum Pontificum, che ha cambiato l’utilizzo del messale tridentino dallo status mal definito di privilegio a quello di diritto. Da allora, in dieci anni, fino al 2017 - Paix Liturgique l’ha stabilito nel dettaglio – il numero dei luoghi di culto tradizionali «autorizzati» è raddoppiato nel mondo: negli Stati Uniti, 530 luoghi di culto tradizionale nel 2019 contro i circa 230 del 2017; in Germania 153 contro 54; in Polonia, 45 contro 5; in Inghilterra e nel Galles, 147 luoghi di culto per la forma extraordinaria nel 2017 contro i 26 del 2007; in Francia, 104 luoghi di culto tradizionale nel 2007, 235 nel 2019, ai quali si aggiungono oltre 200 luoghi di culto della Fraternità San Pio X (fonte: la nostra Lettera n.601, 16 luglio 2017 + i dati più recenti). Di questo libero sviluppo v’è da render grazie a Benedetto XVI, ma v’è da render grazie anche a chi l’ha preceduto e che l’ha reso possibile per la folla di fedeli «resistenti», grazie alla coorte dei preti tradizionali, a mons. Lefebvre, a mons. de Castro Mayer. Questo mondo - per non parlare che della sola Francia, ma si potrebbe anche richiamare la sua affermazione negli Stati Uniti con l’1% dei luoghi di culto, dei fedeli di età nettamente più bassa della media - «produce» ogni anno tra il 15 ed il 20% delle ordinazioni di preti assimilabili ai sacerdoti diocesani. A questo si devono aggiungere le comunità religiose di uomini e donne caratterizzate da questa liturgia ed una rete di scuole fuori contratto, le cui cappellanie sono assicurate da preti che celebrano la Messa tradizionale. Quanto alle sue possibilità di futura estensione, possono essere valutate da una serie di sondaggi commissionati da Paix liturgique tra il 2006 ed il 2016 (11 sondaggi per la storia, Les Dossiers d’Oremus – Paix Liturgique, 2018). Se dunque le risposte dei vescovi del mondo al questionario della CDF saranno oneste, esse confermeranno – ed, a dire il vero, il solo fatto che tale inchiesta sia stata lanciata, lo conferma – un fatto imponente: 50 anni dopo la riforma liturgica, il culto tradizionale, certamente minoritario, fa parte del paesaggio. Coesiste con il rito nuovo con una vitalità sorprendente. Con una irriducibile vitalità. Tratto da Paix Liturgique .
  6. Esce in questi giorni il nuovo libro di padre Giovanni Cavalcoli: Perché peccando ho meritato i tuoi castighi. Un teologo davanti al coronavirus (Chorabooks). Oggi, alle ore 17, padre Cavalcoli parlerà del suo libro con padre Serafino Lanzetta e Aurelio Porfiri. Diretta Facebook nel gruppo Theologia e diretta Youtube nel canale Ritorno a Itaca. *** «Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi». Queste sagge parole ispirate alle Scritture ed alla più genuina ascetica cristiana sono messe a repentaglio, per non dire respinte dall’ondata fangosa del buonismo, che minaccia di sommergerci tutti, con la sua falsa carità, e invece è un virus ancora più pericoloso del coronavirus, perché questo è stato inventato dalla natura, mentre quello è un’invenzione del demonio. Diciamo allora che nei momenti di pubblica calamità, come questo del coronavirus, momenti nei quali gli animi sono spaventati e angosciati, momenti che vedono nella natura una dea crudele, dubitano della bontà e dell’onnipotenza divina, pensano che Dio non s’interessi di loro, o si interrogano su quale messaggio Dio vuol darci con questa sventura, i pastori, da buoni medici dello spirito, sono più che mai chiamati, insieme con i medici del corpo, ad approntare per i fedeli e tutti gli uomini di buona volontà adeguate cure mediche ricavate dalla prassi di Gesù Cristo, Medico celeste, e da quella meravigliosa e miracolosa farmacia che è la Sacra Scrittura. Hanno pertanto l’obbligo di conoscerla e interpretarla bene, respingendo le false interpretazioni, e facendo attenzione a non scambiare farmaci per veleni e veleni per farmaci. È un compito delicato, perché alcuni farmaci biblici sembrano veleni e alcuni apparenti veleni sono in realtà farmaci; certe cure dolorose in realtà fanno bene, mentre certi palliativi piacevoli o apparentemente saggi lasciano il malato com’è o addirittura peggiorano il male. In queste circostanze, pertanto, i pastori sono chiamati, insieme con i medici del corpo, a un sommo impegno nelle opere della misericordia: i medici in quella corporale, i pastori in quella spirituale. E in particolare sono chiamati a istruire con la Parola di Dio circa le medicine da assumere e gli espedienti da adottare per istruire coloro che non capiscono che cosa sta succedendo o si illudono di poter risolvere tutto con mezzi semplicemente umani. Sono chiamati a consigliare i dubbiosi, che dubitano della divina Provvidenza, o addirittura della stessa esistenza di Dio, o comunque si sentono abbandonati da Dio, sono tentati di maledirlo e di lasciarsi andare alla disperazione, facendo loro capire che in realtà Dio è sempre presente con la sua misericordia, anche se la sua giustizia esige che ci purifichiamo dai nostri peccati col sangue di Cristo. Sono chiamati altresì ad ammonire i peccatori, a far loro presente che Dio castiga il peccato, esortandoli quindi a tornare a lui, con l’approfittare di questo periodo di sofferenza, per scontare i loro peccati, unendosi alla croce di Cristo, e avvertendoli che se non si convertono capiterà loro anche qualcosa di peggio e anzi finiranno nel fuoco eterno. Sono chiamati altresì a consolare gli afflitti con una medicina che a tutta prima sembra fatta apposta per suscitare l’indignazione contro Dio piuttosto che a favorire la rassegnazione e la confidenza in lui. Ricordare infatti a chi è già sotto il peso della sventura che essa è un castigo divino dei peccati può essere troppo per chi, innocente già sofferente, può ricevere l’impressione che ciò che egli patisce è il castigo per i suoi peccati. I predicatori devono avere allora cura di precisare che Dio punisce i peccatori e non gli innocenti e che, se li fa soffrire, è per unirli alla croce di Cristo. La medicina consolatrice è allora appunto la coscienza di patire con Cristo. Occorre che i predicatori spieghino ai fedeli sofferenti, ma bisognosi di conversione, che Cristo, Medico delle anime e dei corpi, offre a loro per mezzo dei sacerdoti, medici dello spirito, una cura, che a somiglianza di quella del corpo potrebbe essere chiamata «terapia di supporto», come in medicina viene definita una cura formata da una composizione di più farmaci, tutti finalizzati alla cura di una medesima patologia. Noi diciamo che un medico è un buon medico non quando lascia il malato com’è per non somministragli una cura dolorosa, ma quello che lo guarisce con una cura dolorosa. Ebbene, Dio con la presente pandemia si sta comportando come buon medico, in un modo simile. Dio ci parla e ci cura per mezzo della Scrittura; ed essa, infatti, mediata dalla dottrina della Chiesa, ci offre un insieme organico di farmaci, che sono concetti di fede i quali, assunti e messi in pratica dal fedele, costituiscono una cura dello spirito tale da consentirci di superare la prova presente, senza che ciò debba affatto escludere l’adozione di tutti i mezzi umani possibili per sconfiggere il male. Questa terapia di supporto è costituita dalla composizione logica e consequenziale dei seguenti concetti: bontà divina, giustizia e misericordia divine, concetto di peccato, peccato originale, castigo del peccato, pentimento, penitenza, sacrificio di Cristo, perdono divino, salvezza. Giovanni Cavalcoli, O.P.
  7. Come è possibile adempiere al comando che Gesù Cristo diede (Mc 16,15-15) "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato"? Egli stesso lo ripete nuovamente (Mt 28,19-20) "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Esso è un chiaro invito al proselitismo, alla missione, al vivere, mostrare e narrare il Vangelo non privatamente, non anonimamente, bensì senza nascondersi, luminosamente. Questa opera non potrà mai essere improvvisata, non potrà avvenire se si ha una fede acerba, se non si ha una radice profonda nella propria anima. Questo non vuol dire che dobbiamo essere tutti dotti o accumulare titoli ed onori prima di poter presentare ad altri la nostra Fede. Sappiamo che la Grazia opera per vie a noi imperscrutabili ed inimmaginabili. L'invito è invece a guardare prima di tutto verso noi stessi nella opera di conversione; il cammino può essere molto lungo, a volte doloroso, a volte breve e gioioso, ma mai potremo guardare verso gli altri se i primi ad essere convertiti non siamo noi stessi. Cristo stesso ha lasciato in eredità mezzi in abbondanza alla Sua Chiesa, a partire dalla Preghiera ed i Sacramenti, i Suoi Vescovi, Sacerdoti e Dottori che, nei secoli, ci hanno lasciato cotanto Magistero ed il Catechismo e, per chi è in grado di affrontarle con umiltà, le Sacre Scritture e tanto altro. Ognuno ha il proprio percorso, ma non possiamo tenerlo per noi stessi, è un dono che va condiviso, è una richiesta, quella di Cristo, che va In Jesu et Maria, Claudio Ci sembra utile riportare parte del "Messaggio di Benedetto XVI per la Gmg 2013", ove si rivolgeva alle giovani generazioni, cui affidava il seme della Fede. "Andate! Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All’inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L’evangelizzazione parte sempre dall’incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui. Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell’amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio. 4. Raggiungete tutti i popoli Cristo risorto ha mandato i suoi discepoli a testimoniare la sua presenza salvifica a tutti i popoli, perché Dio nel suo amore sovrabbondante, vuole che tutti siano salvi e nessuno sia perduto. Con il sacrificio di amore della Croce, Gesù ha aperto la strada affinché ogni uomo e ogni donna possa conoscere Dio ed entrare in comunione di amore con Lui. E ha costituito una comunità di discepoli per portare l’annuncio di salvezza del Vangelo fino ai confini della terra, per raggiungere gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo. Facciamo nostro questo desiderio di Dio! Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L’annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite. Vorrei sottolineare due campi in cui il vostro impegno missionario deve farsi ancora più attento. Il primo è quello delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet. Come ho già avuto modo di dirvi, cari giovani, «sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! [...] A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo “continente digitale”» (Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 maggio 2009). Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l’incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete. Il secondo ambito è quello della mobilità. Oggi sono sempre più numerosi i giovani che viaggiano, sia per motivi di studio o di lavoro, sia per divertimento. Ma penso anche a tutti i movimenti migratori, con cui milioni di persone, spesso giovani, si trasferiscono e cambiano Regione o Paese per motivi economici o sociali. Anche questi fenomeni possono diventare occasioni provvidenziali per la diffusione del Vangelo. Cari giovani, non abbiate paura di testimoniare la vostra fede anche in questi contesti: è un dono prezioso per chi incontrate comunicare la gioia dell’incontro con Cristo. 5. Fate discepoli! Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell’esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L’annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L’essere evangelizzatori nasce dall’amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c’è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l’hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l’incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell’amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo. 6. Saldi nella fede Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell’annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L’evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l’apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7). Per questo vi invito a radicarvi nella preghiera e nei Sacramenti. L’evangelizzazione autentica nasce sempre dalla preghiera ed è sostenuta da essa: dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio. E nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati, supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore. E, più in generale, preghiamo per la missione di tutta la Chiesa, secondo la richiesta esplicita di Gesù: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Sappiate trovare nell’Eucaristia la sorgente della vostra vita di fede e della vostra testimonianza cristiana, partecipando con fedeltà alla Messa domenicale e ogni volta che potete nella settimana. Ricorrete frequentemente al Sacramento della Riconciliazione: è un incontro prezioso con la misericordia di Dio che ci accoglie, ci perdona e rinnova i nostri cuori nella carità. E non esitate a ricevere il Sacramento della Confermazione o Cresima se non l’avete ricevuto, preparandovi con cura e impegno. Con l’Eucaristia, esso è il Sacramento della missione, perché ci dona la forza e l’amore dello Spirito Santo per professare senza paura la fede. Vi incoraggio inoltre a praticare l’adorazione eucaristica: sostare in ascolto e dialogo con Gesù presente nel Sacramento diventa punto di partenza di nuovo slancio missionario. Se seguirete questo cammino, Cristo stesso vi donerà la capacità di essere pienamente fedeli alla sua Parola e di testimoniarlo con lealtà e coraggio. A volte sarete chiamati a dare prova di perseveranza, in particolare quando la Parola di Dio susciterà chiusure od opposizioni. In certe regioni del mondo, alcuni di voi vivono la sofferenza di non poter testimoniare pubblicamente la fede in Cristo, per mancanza di libertà religiosa. E c’è chi ha già pagato anche con la vita il prezzo della propria appartenenza alla Chiesa. Vi incoraggio a restare saldi nella fede, sicuri che Cristo è accanto a voi in ogni prova. Egli vi ripete: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12). 7. Con tutta la Chiesa Cari giovani, per restare saldi nella confessione della fede cristiana là dove siete inviati, avete bisogno della Chiesa. Nessuno può essere testimone del Vangelo da solo. Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione insieme: «fate discepoli» è rivolto al plurale. È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testimonianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall’unità e dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35). Sono grato al Signore per la preziosa opera di evangelizzazione che svolgono le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, i nostri movimenti ecclesiali. I frutti di questa evangelizzazione appartengono a tutta la Chiesa: «uno semina e l’altro miete», diceva Gesù (Gv 4,37). A tale proposito, non posso che rendere grazie per il grande dono dei missionari, che dedicano tutta la loro vita ad annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Allo stesso modo benedico il Signore per i sacerdoti e i consacrati, che offrono interamente se stessi affinché Gesù Cristo sia annunciato e amato. Desidero qui incoraggiare i giovani che sono chiamati da Dio, a impegnarsi con entusiasmo in queste vocazioni: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). A coloro che lasciano tutto per seguirlo, Gesù ha promesso il centuplo e la vita eterna! (cfr Mt 19,29). Rendo grazie anche per tutti i fedeli laici che si adoperano per vivere il loro quotidiano come missione là dove sono, in famiglia o sul lavoro, affinché Cristo sia amato e servito e cresca il Regno di Dio. Penso in particolare a quanti operano nel campo dell’educazione, della sanità, dell’impresa, della politica e dell’economia e in tanti altri ambiti dell’apostolato dei laici. Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell’evangelizzazione! 8. «Eccomi, Signore!» In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all’amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall’amore e dall’accoglienza! Seguite l’esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri."
  8. Vi proponiamo di seguito la libera traduzione Mexican priest who survived COVID: God acts in the midst of suffering dal sito CNA. Qui la sua Parrocchia San Rafael Arcangel. Città del Messico, Messico- Quando p. Antonio Pérez Hernández, sacerdote della Arcidiocesi de Tlanepantla è stato recentemente ricoverato in ospedale con COVID-19, ha affermato di essere stato in grado di testimoniare in prima persona come Dio è presente nel mezzo della sofferenza. Il sacerdote ha infatti condiviso la sua esperienza in un recente video pubblicato dall'arcidiocesi di Tlanepantla, in Messico, dove attualmente presta servizio. Dopo che Pérez si ammalò del virus, fu ricoverato in un ospedale pubblico dove condivise una stanza con altri pazienti, alcuni dei quali morirono. "Quando ero lì, è venuto un momento in cui sentivo come se Dio stesse per chiamarmi alla sua presenza", ha detto. “Ed è allora che scopri l'abbandono, l'abbandono totale che proviene dal dire al Signore: 'Eccomi, se vuoi chiamarmi, sono pronto; se vuoi lasciarmi qui, sono disponibile secondo la Tua Volontà. Ti chiedo solo per favore di darmi la forza di dare l'assoluzione e di occuparmi di questi miei fratelli che soffrono della malattia proprio come me. " Il sacerdote ha affermato che, nonostante la malattia, la sua esperienza in ospedale è stata bella e libera, perché "ha sentito l'amorevole presenza di Dio". Mentre era in ospedale, Fr. Pérez si è presentato sempre come sacerdote ed ha confessato e dato l'assoluzione ai malati che lo richiedevano. Ha detto di aver trovato Cristo nei pazienti malati e questo gli ha ricordato che "tutti abbiamo bisogno di Gesù". Ha assistito anche alla morte di quattro pazienti, ma ha detto che dopo aver dato loro l'assoluzione, ha potuto vedere che "erano confortati, erano in pace". Attraverso una preghiera costante , il sacerdote ha detto di aver percepito come le stanze dell'ospedale si trasformassero in luoghi di pace dove si poteva sentire e incontrare la presenza di Dio. Quando Fr. Pérez stava per essere dimesso, alcune persone gli dissero: "Padre, ci mancherai, perché ci hai dato una nuova speranza, ci hai fatto sentire Cristo in mezzo a tutto questo". Ed ha quindi detto loro: 'Cristo rimarrà sempre con voi. Io me ne vado, ma Cristo rimane. Dio non vi lascerà mai da soli ", ha continuato. Fr. Pérez è convinto che Dio stia usando la pandemia per guarire i cuori. "Dio ci sta facendo vedere ciò che è veramente importante", ha detto. “Quelli di noi che erano lì non potevano avere alcun contatto con la famiglia. Coloro che sono morti, sono morti senza avere il conforto neppure dei familiari", ha raccontato Pérez, sottolineando l'importanza di" valorizzare la presenza della famiglia, valorizzare gli amici, valorizzare la vita ". "Arriva un momento in cui hai solo l'abito da ospedale e non hai più nulla", ha detto, "ma è proprio in quel momento che si sperimenta quell'abbandono alla Volontà del Signore essendo pronti a dire: " Signore, ho te. Cosa voglio di più se ho te? '" Qui la sua storia in lingua spagnola.
  9. Riportiamo di seguito la libera traduzione dell'articolo del Catholic Herald - Around the globe, Catholics hope papal Mass online will continue di Courtney Mares/CNA. Ci è sembrato interessante rilevare e condividere con voi questo fenomeno di particolare affetto per la figura del Papa. Tale figura rappresenta la naturale sintesi della Cristianità ed, oltre il compito divino che gli è stato affidato (Mt 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»), ha un ruolo di riferimento emotivo costante soprattutto per chi è lontano da Roma. Il cattolicesimo, che ha la universalità nella sua missione e nel suo nome, non può prescindere da Roma e dalla figura del Papa, chiunque egli sia. D'altro canto, vogliamo ricordare che la via ordinaria della Salvezza in tempi ordinari è la partecipazione fisica e reale alla Eucaristia, in Chiesa. La "Liturgia della Parola" o la Santa Messa trasmessa in streaming non potrà mai essere sostitutiva della presenza reale davanti al Corpo e Sanque di Cristo. In Jesu et Maria, Claudio ********** Dopo che il Vaticano ha smesso di trasmettere in diretta le Messe quotidiane di Papa Francesco a partire da questa settimana, i cattolici da tutto il mondo hanno esortato il Papa a riprendere la trasmissione. Il livestream della messa del Papa si è concluso il 18 maggio, giorno in cui le diocesi di tutta Italia sono state in grado di riprendere le messe pubbliche. Ma molti cattolici in altri paesi rimangono senza accesso alla Messa. Questo è il caso dei Missionari Francescani di Maria a Nairobi, in Kenya, dove un blocco è stato esteso fino al 6 giugno, chiudendo tutti i luoghi di culto pubblico. Suor Mary Anne Williamson ha scritto una lettera a nome della sua comunità religiosa, chiedendo se fosse possibile ripristinare la trasmissione di massa in diretta di Papa Francesco. Ha detto alla CNA che le suore sono state "sgomenti" quando hanno saputo che la trasmissione della Messa del Papa sarebbe stata interrotta. “Quando le nostre chiese sono state chiuse circa otto settimane fa, abbiamo iniziato ad ascoltare e recitare la liturgia della Parola nella nostra cappella. Ma poi abbiamo sentito che le nostre sorelle nella nostra casa generalizia a Roma, anch'esse chiuse a chiave, stavano seguendo la messa del Santo Padre dalla loro casa. Abbiamo cercato il canale internet EWTN (media cattolico) sul nostro server di canali TV Zuku ed abbiamo iniziato a riunirci alle 8 di mattina a Nairobi ”, ha detto. Le suore si sono radunate per assistere alla messa del Papa dopo la preghiera del mattino nella loro cappella. Williamson ha detto che le suore missionarie hanno trovato significativo pregare in questo modo in unione con il papa e i cristiani di tutto il mondo. "Abbiamo davvero apprezzato l'omelia del Santo Padre e le traduzioni fatte da Suor Bernadette", ha detto. "Abbiamo anche apprezzato i momenti di adorazione eucaristica al termine della Messa mattutina a Santa Marta". “Sappiamo che la Messa di Papa Francesco è stata apprezzata da altri e probabilmente da molti in tutto il mondo. Continueremo a sperare che i media vaticani saranno in grado di trasmetterlo di nuovo ”. Mentre alcuni paesi in Europa stanno allentando i loro blocchi, i cattolici in India, Nigeria, Sudafrica, Kenya, Inghilterra, Svizzera e altri paesi rimangono senza accesso alla Messa pubblica. In Irlanda, le chiese non dovrebbero riaprire fino a luglio. Papa Francesco ha iniziato a trasmettere in streaming la sua Messa mattutina dalla cappella di Casa Santa Marta, la sua residenza nella Città del Vaticano, il 9 marzo, il giorno dopo che le diocesi di tutta Italia sospesero le messe pubbliche in seguito a un'ordinanza del governo. Il portavoce del Vaticano ha affermato che il live streaming è stato offerto per "consentire a coloro che desiderano seguire le celebrazioni in unione di preghiera con il vescovo di Roma". All'inizio della Messa ogni giorno, il Papa ha offerto una diversa intenzione di preghiera, spesso correlata alla sofferenza inflitta dalla pandemia di coronavirus. Annunciando la fine delle trasmissioni in diretta della Messa del Papa, il portavoce del Vaticano ha dichiarato: “Il Papa desidera che il Popolo di Dio possa così tornare alla familiarità comunitaria con il Signore nei sacramenti, partecipando alla liturgia domenicale e riprendendo, anche nelle chiese, il quotidiano visita del Signore e della sua Parola ”. Un articolo dell'ACI Prensa che riporta la conclusione della trasmissione di massa quotidiana dal Vaticano ha ricevuto oltre 1.900 commenti sui social media, con persone che esprimono gratitudine per il livestream e chiedono perché è stato cancellato quando le diocesi in alcune parti dell'America Latina sono ancora sotto blocco . “Grazie mille, Santo Padre, ma spero che consideri per i paesi del Messico e dell'America che restiamo in quarantena ed è molto prezioso vibrare con la tua presenza e guida. Che il Signore ti benedica e sia sempre con te ”, scrisse Carmen Vazquez in spagnolo. Dal Costa Rica, Sandra Fernandez Es ha scritto: “È una grande perdita, che tristezza. Mi ero già abituato a guardarlo la mattina presto ed è stato molto buono per me. " “Sono arrivato a pensare di essere il solo a cui mancherebbe la Messa con il Papa. A Puerto Rico, siamo ancora in quarantena ", ha detto Iris Lugo. Mary Grenada ha scritto dall'Argentina: “Peccato !!! È stato molto importante per noi ogni giorno avere una messa a casa. Spero che mandino la nostra richiesta di continuare al Papa. Grazie!!! Dall'argentina." Catherine Addington ha scritto su Twitter il 19 maggio: "Mi manca il livestream quotidiano di @Pontifex". Il Vaticano ha riferito il 20 maggio che migliaia di persone in Cina avevano visto un live streaming tradotto della messa del Papa tramite WeChat e che la notizia che la trasmissione in diretta sarebbe finita è stata "accolta con un po 'di sofferenza e anche con alcune lacrime". Vatican News ha affermato di aver ricevuto messaggi da migliaia di persone che esprimono apprezzamento per il livestream della messa del Papa durante la pandemia. La sorella Mary Anne ha detto alla CNA che crede che anche nei luoghi in cui le chiese saranno riaperte, come l'Italia, i fedeli e altri cattolici apprezzerebbero probabilmente l'opportunità di vedere le Messe del Papa e ascoltare le sue omelie. Ha detto che durante la quarantena le suore in Kenya hanno insegnato agli studenti usando Zoom, ma i tagli di Internet ed elettricità nelle case di alcuni studenti hanno reso difficile. “Sappiamo di essere tra i fortunati con una cappella, accesso a Internet, cibo e riparo. La nostra vita di preghiera e di lavoro può continuare, anche se in modi nuovi ", ha detto. "I nostri giorni, in particolare la nostra adorazione eucaristica a turno, sono offerti per il nostro mondo sofferente e la fine di questa pandemia." Man mano che le Messe pubbliche riprenderanno in alcune parti del mondo, le parrocchie decideranno anche se continuare i livestream di massa offerti durante la pandemia. P. Gregory Apparcel, rettore della chiesa di San Patrizio, la parrocchia di lingua inglese di Roma, ha detto a CNA che il livestream della parrocchia aveva guadagnato un pubblico molto più vasto di quanto si aspettasse. “Abbiamo anche molte, molte persone che partecipano a queste messe dagli Stati Uniti e da altri paesi in cui le messe pubbliche non sono ancora disponibili. E, anche da molte persone che sono costrette a casa per molte altre ragioni ", ha detto. Il sacerdote ha detto di aver ricevuto richieste per continuare le messe nonostante la fine del blocco. "Sperano che continueremo a farlo, cosa che cercheremo di fare durante l'estate e oltre, se necessario", ha detto. "Ha aperto un nuovo ministero che non avremmo mai pensato di dover fare."
  10. Dopo il contributo di d.Nicola Bux sulla preghiera multireligiosa, eccone un altro, in occasione del Centenario della nascita di san Giovanni Paolo II. Il prof. Nunzio Lozito ha discusso la tesi sul Beato Raimondo Lullo, che ebbe a che fare con i musulmani tra XIII e XIV secolo. Un estratto è stato pubblicato dal Centro di Studi Cristiani Orientali del Cairo (qui un approfondimento nel Europe Near East Centre ). E' desiderio degli autori, che quanti volessero entrare in dibattito, lo facciano indicando i punti a loro avviso critici, nonché le ragioni per cui lo sarebbero. Potete scrivere nei commenti o inviare una email a segreteria@ilpensierocattolico.it . Varcare la soglia della speranza “Ma se il Dio che è nei cieli – e che ha salvato e salva il mondo – è Uno solo, ed è Quello che si è rivelato in Gesù Cristo, perché ha permesso tante religioni? Perché renderci così ardua la ricerca della verità, in mezzo alla foresta dei culti, delle credenze, delle rivelazioni, delle fedi che sempre- e oggi ancora- vigoreggiano tra ogni popolo?”[1]. È la domanda che lo scrittore Vittorio Messori, pone a Giovanni Paolo II all’inizio del 13° capitolo del libro Varcare la soglia della speranza. Il libro-intervista, passa in rassegna una serie di domande su vari temi: da quelli più strettamente dottrinali a quelli a carattere sociale. La domanda riguarda il rapporto tra Cristianesimo e le altre religioni. Un tema sempre attuale, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Ma che ha tuttavia interessato la Chiesa sin dalle origini. Da quando cioè l’annuncio cristiano è venuto a contatto con le diverse culture, religioni, filosofie. È un tema delicato, di fronte al quale la prudenza, delle parole e soprattutto degli atteggiamenti, è un obbligo. Lo è ancor di più oggi, in un’epoca in cui i media, nel bene e nel male ne amplificano la portata dei gesti e delle dichiarazioni ufficiali. Soprattutto quando riguardano questioni di questo tipo. A ciò si aggiunga il clima culturale, sempre più superficiale e alla ricerca di semplificazioni, poco incline alla riflessione razionale. Un clima che esalta l’emotività, che tende a far proprio l’assioma hegeliano secondo il quale “la notte tutte le vacche sono nere”. Nella risposta alla domanda del giornalista-scrittore Messori, citata sopra, il Pontefice ribalta la questione: “Lei parla di tante religioni. Io invece tenterò di mostrare che cosa costituisce per queste religioni il comune elemento fondamentale e la comune radice”[2]. Giovanni Paolo II nel prosieguo della risposta, piuttosto articolata, si mantiene nel solco del Concilio Vaticano II, in particolare da quello tracciato dalla breve Dichiarazione Nostra Aetate[3]. Sappiamo, e ne stiamo ricevendo sempre più prova in questo frangente storico, che i testi conciliari sono passati e continuano a passare attraverso la lente interpretativa, talvolta piuttosto deformata, del cosiddetto “spirito del concilio”. Tra coloro che invocano questo, è spesso evidente una censura della lettera stessa del Concilio. Per cui si finisce, andando di interpretazione in interpretazione per deformare il dettato conciliare. Probabilmente, proprio per questa ragione il pontefice polacco, nel fornire la risposta allo scrittore, cita quasi integralmente Nostra Aetate. Evitando in tal modo che il metodo comunicativo, basato su slogan, allora come ora, fosse neutralizzato. Qual è questo comune elemento fondamentale, questa comune radice che accomuna le religioni, o meglio gli uomini che appartengono alle varie religioni di cui parla il Pontefice echeggiando Nostra Aetate? Primo fra tutti l’appartenenza al genere umano: la natura umana, il senso profondo della vita, il bene, il male, la vera felicità, la morte, l’aldilà. Il Concilio avrebbe potuto affermare: “essendo queste le comuni aspettative degli uomini, i comuni enigmi che inquietano il cuore degli uomini, costruiamo una sorta di super-religione, che prenda gli elementi essenziali di ciascuna di esse per favorire una fratellanza umana universale”. Tentazione sempre presente nell’uomo, dalla Torre di Babele in poi. Nel buio della ragione che stiamo attraversando, è facile cadere nella trappola di un progetto del genere: sembrerebbe altamente auspicabile, condivisibile, ridurrebbe i conflitti. Invece no, Nostra Aetate, sulla scia della Tradizione, delude quanti auspicherebbero tutto ciò. Anche coloro che, invocano il Concilio Vaticano II ad ogni piè sospinto. Allora, cosa afferma Nostra Aetate? “La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni…” (Nostra Aetate 2). Questo approccio valorizzatore che la Chiesa mostra nei confronti delle religioni non cristiane, richiede uno sforzo missionario ancora più intenso così come la Dichiarazione afferma appena dopo: “Essa- riferendosi alla Chiesa- però annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è <<via, verita e vita>> (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con Sé tutte le cose” (Nostra Aetate, 2). “Le parole del Concilio - commenta il Papa polacco- si richiamano alla convinzione da tanto tempo radicata nella tradizione, dell’esistenza dei cosiddetti semina Verbi, presenti in tutte le religioni”. Solo, una cronica superficialità, può sorvolare sulla necessità della missione di annunciare. Solo questo, può arrivare al punto da paragonare il vitale anelito missionario della Chiesa ad un’azione proselitistica da stigmatizzare. Certo, continua, Giovanni Paolo II, l’azione missionaria della Chiesa, soprattutto nell’estremo oriente, non è stata efficace perché la società occidentale ha dato un’antitestimonianza, mostrando un cristianesimo incapace di incidere “nella vita politica e sociale delle nazioni”. È in questa traccia del Concilio che il santo Pontefice si è mosso nei suoi viaggi “interreligiosi”, mai dimentico che, in qualità di successore di Pietro, il cui mandato, per esplicito comando del divin Maestro è: “ ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19). C’è l’eco di quest’ansia missionaria nei discorsi tenuti nei vari paesi, compresi quelli a maggioranza islamica. Convinto com’era che Cristo è l’unico redentore dell’uomo, capace di valorizzare in modo compiuto le profonde aspirazioni dell’uomo. Continuando a ripercorrere le pagine del libro intervista succitato ci si imbatte nei capitoli relativi ai fondatori di alcune delle più importanti religioni. Al capitolo 15° troviamo quella riferita a Maometto e all’Islam. Afferma il Papa: “Chiunque conoscendo l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, legga il Corano, vede con chiarezza il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso si è compiuto. È impossibile non notare l’allontanamento da ciò che Dio ha detto di Sé stesso, prima nell’Antico Testamento per mezzo dei profeti, e poi in modo definitivo nel Nuovo per mezzo di Suo Figlio. Tutta questa ricchezza dell’autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell’Antico e del Nuovo Testamento, nell’Islamismo è stato di fatto accantonata”[4]. Dopo quanto scritto diventa assai arduo, come da più parti avviene, affermare “in fondo crediamo tutti nello stesso Dio” come pure l’espressione “siamo tutti fratelli”. Tutto questo, che per amore di verità va affermato, non toglie nulla alla serietà e alla convinzione con cui milioni di musulmani (così come i tanti fedeli delle religioni presenti nel mondo), vivono la loro fede. Quindi, continua il Papa “la religiosità dei musulmani merita rispetto” a motivo della “loro fedeltà alla preghiera” e, indipendentemente dal luogo nel quale si trovano, si prostrano in ginocchio. Anzi, “rimane un modello per i confessori del vero Dio, in particolare per quei cristiani che, disertando le loro meravigliose cattedrali, pregano poco o non pregano per niente”[5]. [1] Giovanni Paolo II intervistato da Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza, A. Mondadori, Milano, 1994, pag. 86 [2] Ibidem, pag. 87 [3] È il titolo della Dichiarazione conciliare su “le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” [4] Ibidem pagg. 103, 104 [5] Ibidem pag 104
  11. Dal blog Duc inAltum di Aldo Maria Valli, riprendiamo questa considerazione di un lettore della provincia di Milano che ha inviato al famoso giornalista RAI il testo di un foglietto che è stato distribuito giorni fa nella sua parrocchia. Apparso in spagnolo nel sito religiondigital e in italiano in adista.it, è teso a screditare la Comunione in bocca come “usanza arcaica” che forse, grazie all’occasione offerta dalla pandemia, potrà essere eliminata per sempre. Il lettore che ha trovato il foglio sulle panche della sua chiesa è rimasto sconcertato. Aldo Maria Valli ha chiesto un commento a monsignor Nicola Bux. Viene proposto prima il testo del volantino e poi il commento di monsignor Bux. ** DAL VOLANTINO** La comunione in bocca è un’abitudine che (a causa di forza maggiore) potremmo (finalmente) abbandonare Il Covid-19 sta incidendo in tutti i settori della nostra vita. Anche la nostra preghiera è cambiata, almeno quella liturgica. La nostra Messa si vive, ora più che mai, nell’intimo. E forse ci stiamo rendendo conto che l’Eucaristia inizia e ruota intorno alla lavanda dei piedi, alla solidarietà e al servizio ai nostri fratelli. Non a caso le parole di Gesù nell’Ultima Cena sono state: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Noi credenti sappiamo bene che d’ora in poi dovremo cambiare alcune delle nostre usanze liturgiche. La cosa più curiosa è che alcune di esse, anche se le abbiamo con noi da molti secoli, non sono così “cristiane” o così sacre. La comunione in bocca, per esempio; la sua origine non deriva né dall’epoca della Chiesa dei primi cristiani o dal tempo dei Padri della Chiesa. Al momento stiamo guardando le Messe in TV e ricevendo la comunione in modo spirituale. È già stato annunciato che, con il coronavirus nel mondo, non sarà possibile tornare all’usanza di riceverla in bocca, anche se in alcuni ambienti conservatori difendono quest’usanza a tutti i costi. Ma in realtà quando è stata introdotta la comunione in bocca nella storia della Chiesa? Lo “spezzare il pane” era ed è il centro di ogni comunità cristiana. Lo era al tempo degli apostoli, lo è oggi. È ben noto il bellissimo testo della catechesi ai catecumeni (IV sec.), che raccomanda loro di fare “della mano sinistra un trono per la mano destra, poiché questa deve ricevere il Re” (VI catechesi mistagogica di Gerusalemme, n. 21: PG 33, col. 1125). I cristiani ricevevano la comunione in mano fino al Medioevo, e più precisamente fino all’epoca carolingia. Ricordo come il prof. Klaus Schatz S.J., docente di storia ecclesiastica di Sankt Georgen a Francoforte, ci abbia raccontato che all’epoca dell’impero carolingio nelle abitudini della gente si era infiltrato un senso magico della religione. La comunione in bocca fu introdotta proprio per evitare questo senso magico dell’Eucaristia. Molti contadini germanici, quando ricevevano la comunione in mano, nascondevano la particola consacrata e se la portavano a casa, per darla alla loro mucca o ad un altro animale domestico malato. Per evitare queste cattive usanze, fu introdotta l’abitudine della comunione in bocca, che è rimasta con noi, in parte, fino ai giorni nostri. Oggi non sappiamo quando potremo ricevere la comunione. È certo che sarà in mano, e inoltre in mano per tutti. Potremmo almeno approfittare di questa crisi per lasciarci alle spalle la “comunione in bocca”, una pratica che è nata in una maniera un pò arcaica. Prepariamo, tuttavia, il trono delle nostre mani per il Signore, per il Re … E non dimentichiamoci di usare le nostre mani per servire, che è la cosa principale: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). **FINE VOLANTINO** Commento di monsignor Nicola Bux Renderemo conto allo stesso nostro Signore Gesù Cristo dello scandalo, ovvero l’ostacolo che tanti ministri sacri pongono ai fedeli, con i loro atteggiamenti dissacranti e persino sacrileghi verso il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, sintomo della grave crisi di fede che attraversiamo (crisi di fede = mancato riconoscimento della Presenza di Dio nella liturgia, che per questo è chiamata sacra). Certo, la causa prima è la secolarizzazione, determinata innanzitutto dai chierici, secondo Charles Peguy, per l’eccessiva enfasi sul simbolismo liturgico, ma ancor più per il venir meno del senso del sacro, sempre a causa della crisi di fede. Di questa crisi fa parte la riduzione dell’Eucaristia a espressione di solidarietà umana. Così, nel volantino trovato sui banchi di una parrocchia del Milanese, si afferma che “la comunione in bocca è un’abitudine da abbandonare”, perché addirittura non “cristiana” e non sacra, e anche perché non risalirebbe al cristianesimo primitivo e ai Padri: ritorna l’eresia archeologista, per cui dall’antichità si prende quel che si vuole e si lascia quel che non conviene (per esempio, l’orientamento ad Deum di sacerdoti e fedeli durante la celebrazione, di origine apostolica). Da altri l’abolizione è proposta in nome di una presunta maggiore contagiosità della bocca rispetto alla mano, sulla quale non pochi esperti dissentono. Lo “spezzare il pane”, da cui il nome dato alla Messa dagli Atti degli Apostoli, non significa che il Sacramento sia stato dato in mano ai discepoli, ma, come attesa Giovanni (cfr 13,26-27), che fu come il boccone porto da Gesù a Giuda, uso ancora invalso presso gli orientali, che ancora fanno la Comunione imboccando i fedeli. Un boccone di pane intinto non può essere dato in mano, ma solo in bocca. In altra sede abbiamo portato a sostegno il codice purpureo di Rossano del V secolo, quindi ben prima dell’epoca carolingia, e interpretato l’invito di san Cirillo, vescovo di Gerusalemme, a fare delle mani come un trono, con l’esigenza di protenderle sotto la nostra bocca, affinché, ricevendo il “boccone” eucaristico, nessun frammento andasse disperso. Si veda pure il tema della Comunione degli Apostoli, nell’iconografia bizantina, che non attinge ex post, come tutte le testimonianze orientali, fino agli occidentali Beato Angelico, Tintoretto eccetera. Perciò l’attribuzione del gesto, da parte del gesuita Schatz, all’infiltrazione tra i fedeli di “un senso magico della religione”, portando alla Comunione in bocca, è evidentemente ideologica. L’autore del volantino non può ignorare che, ai nostri giorni, non è la Comunione in bocca a essere a rischio di profanazione – posto che distingua il sacro dal profano – ma quella sulla mano: non sa che vi sono fedeli che, ricevuta la particola sulla mano, la portano con sé? Per quali usi? Non sa che è stato accertato persino l’uso per riti satanici? Quindi, il senso per dir così magico di cui si accusa la Comunione in bocca non è sparito, e ritorna con quella in mano. Nella conclusione, l’autore del volantino si contraddice, in quanto, dopo aver affermato che la pratica della Comunione in bocca non c’era nel cristianesimo primitivo, afferma che tale “pratica è nata in una maniera più arcaica” e insiste di nuovo sulla riduzione dell’Eucaristia a servizio dei fratelli. In verità, l’autore non vuole riconoscere che Cristo ha istituito il sacramento affinché diventassimo un solo corpo con lui, proprio mediante la Comunione al suo corpo e al suo sangue; solo così diventiamo sue membra e, nella misura in cui altri lo fanno, ci riconosciamo fratelli. Questa è l’agàpe (greco) e la charitas (latino) dei cristiani, vero nome della solidarietà. Non c’è bisogno di alcun Alto comitato per la fratellanza umana, perché questa scaturisce come conseguenza solo dal riconoscimento dell’unico Signore Gesù Cristo, del cui corpo e sangue si nutrono, mediante iniziazione cristiana, quanti si convertono e sono battezzati. Così pure si comprende il noto assioma: “È l’Eucaristia che fa la Chiesa” e, di conseguenza, la Chiesa può fare l’Eucaristia (cfr Giovanni Paolo II, enciclica Ecclesia de Eucharistia, n.26). Dunque, nonostante la crisi della fede, è l’insopprimibile senso del sacro – che il Verbo, con la sua Incarnazione, non ha cancellato dal cuore dell’uomo, anzi fatto avanzare – a spingere tanti sacerdoti e fedeli a non accettare di amministrare e rispettivamente ricevere la Comunione mediante un guanto profano. È necessaria la fede per riconoscere il Corpo e il Sangue di Cristo veramente, realmente, sostanzialmente presenti sotto le specie del pane e del vino – apparenze che san Tommaso con termine aristotelico chiama “accidenti” – tant’è che quando una particola eucaristica cade per terra il celebrante non la usa per la Comunione, ma la immette in un vasetto, il “purifichino”, dove si dissolve, quindi finisce la presenza reale. Nell’attuale contagio, se si ritenesse insufficiente il lavabo delle mani prima della Messa e dopo l’offertorio, magari con aggiunta di detergente, si potrebbe ricorrere alla pinza o a quanto avviene nel rito romano antico, nella Messa celebrata dal vescovo: questi usa le chiroteche, ossia i guanti in stoffa pregiata, ornati con croci; egli li usa durante tutta la Messa, ma li toglie per fare l’Offertorio, la Consacrazione e la Comunione. Insomma, il contrario di quanto si sta facendo adesso, toccando a mani nude tutto ciò che occorre (messale, microfono, eccetera), e mettendosi il guanto alla Comunione. È paradossale! Sono soprattutto le sacre offerte che il ministro sacro dovrebbe toccare con mani pure, salvaguardando invece codeste mediante le chiroteche per il resto della celebrazione. Non solo i vescovi usavano le chiroteche, ma anche i sacerdoti dei Capitoli canonicali le avevano tra le loro insegne. Perché non riproporre tale modalità d’uso di questi guanti liturgici da parte dei sacerdoti, non solo dei vescovi, almeno in questo tempo eccezionale? Chissà perché quei preti, così ecumenici con gli ortodossi d’Oriente, che sono inflessibili nell’amministrare la Comunione col cucchiaio e in bocca, smettono di affermare che bisogna imparare da questi, e diventano arroganti e inflessibili con i loro fedeli latini (romani e ambrosiani) che vogliono comunicarsi in ginocchio e sulla lingua, o porgono un piccolo lino per ricevere l’Eucaristia sul palmo della mano e assumerla direttamente con la bocca. Non sono queste le disposizioni della Chiesa? Non resta che riaffermarle con coraggio di fronte ai preti e ai vescovi, memori di quanto affermava Giovanni Paolo II: “Chi ha timore di Dio non ha paura degli uomini”. Nicola Bux
  12. Traduzione libera della meditazione rilasciata da SER Cardinal Sarah per Le Figarò, dal titolo Robert Sarah: «L’épidémie du Covid-19 ramène l’Église à sa responsabilité première: la foi» Troppo spesso la Chiesa ha voluto dimostrare che era "di questo mondo" dedicandosi alle cause consensuali piuttosto che all'apostolato, deplora il cardinale guineano *. La Chiesa ha ancora un posto in un'epidemia nel 21 ° secolo? A differenza di secoli fa, la maggior parte delle cure mediche è ora fornita dallo stato e dal personale sanitario. La modernità ha i suoi eroi secolarizzati in camice bianco e sono ammirevoli. Non ha più bisogno di battaglioni di beneficenza di cristiani per prendersi cura dei malati e seppellire i morti. La Chiesa è diventata inutile per la società? Il virus Covid-19 riporta i cristiani alle origini. In effetti, la Chiesa è da tempo entrata in una relazione distorta con il mondo. Di fronte a una società che affermava di non averne bisogno, i cristiani, attraverso la pedagogia, cercavano di dimostrare che potevano esservi utili. La Chiesa si è dimostrata educatrice, madre dei poveri, "esperta di umanità" nelle parole di Paolo VI. Aveva ragione a farlo. Ma a poco a poco i cristiani finirono per dimenticare il motivo di questa competenza. Hanno finito per dimenticare che se la Chiesa può aiutare l'uomo ad essere più umano, alla fine è perché ha ricevuto da Dio le parole della vita eterna. La Chiesa è impegnata nella lotta per un mondo migliore. Ha giustamente sostenuto l'ecologia, la pace, il dialogo, la solidarietà e l'equa distribuzione della ricchezza. Tutti questi combattimenti sono giusti. Ma potrebbero far dimenticare la parola di Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo". La Chiesa ha messaggi per questo mondo, ma solo perché ha le chiavi dell'altro mondo. I cristiani a volte hanno pensato alla Chiesa come aiuto dato da Dio all'umanità per migliorare la loro vita qui sulla terra. E non mancavano di argomenti poiché la fede nella vita eterna fa luce sul modo giusto di vivere in questo secolo. Il virus Covid-19 ha esposto una malattia insidiosa che stava divorando la Chiesa: pensava di essere "di questo mondo". Voleva sentirsi legittima ai suoi occhi e secondo i suoi criteri. Ma è emerso un fatto radicalmente nuovo. La modernità trionfante è crollata prima della morte. Questo virus ha rivelato che, nonostante le sue assicurazioni e la sua sicurezza, il mondo sottostante rimane paralizzato dalla paura della morte. Il mondo può risolvere le crisi sanitarie. Arriverà sicuramente alla fine della crisi economica. Ma non risolverà mai l'enigma della morte. La sola fede ha la risposta. Illustriamo questo punto in modo molto concreto. In Francia, come in Italia, la questione delle case di riposo, il famoso Ehpad, era un punto cruciale. Perché? Perché la questione della morte è nata direttamente. I residenti anziani dovrebbero essere confinati nelle loro stanze a rischio di morire di disperazione e solitudine? Dovrebbero rimanere in contatto con le loro famiglie a rischio di morire di virus? Non sapevamo come rispondere. Lo stato, immerso in un secolarismo che sceglie in linea di principio di ignorare la speranza e di restituire i culti al dominio privato, è stato condannato al silenzio. Per lui, l'unica soluzione era fuggire la morte fisica ad ogni costo, anche se ciò significava condannare la morte morale. La risposta potrebbe essere solo una risposta di fede: accompagnare gli anziani verso una probabile morte, con dignità e soprattutto con la speranza della vita eterna. L'epidemia ha colpito le società occidentali nel punto più vulnerabile. Erano organizzati per negare la morte, nasconderla, ignorarla. È entrata dalla grande porta! Chi non ha visto questi giganteschi obitori a Bergamo o Madrid? Queste sono le immagini di una società che recentemente ha promesso un uomo aumentato e immortale. Le promesse della tecnologia consentono di dimenticare la paura per un momento, ma finiscono per essere illusorie quando colpisce la morte. Perfino la filosofia dà solo un po 'di dignità a una ragione umana sommersa dall'assurdità della morte. Ma non è in grado di consolare i cuori e dare un significato a ciò che sembra esserne definitivamente privato. Di fronte alla morte, non esiste una risposta umana che regga. Solo la speranza di una vita eterna può superare lo scandalo. Ma quale uomo oserà predicare la speranza? Ci vuole la parola rivelata di Dio per osare di credere in una vita senza fine. Hai bisogno di una parola di fede per osare di sperare in te stesso e nella tua famiglia. La Chiesa cattolica si rinnova quindi con la sua responsabilità primaria. Il mondo si aspetta da lei una parola di fede che le permetterà di superare il trauma di questo faccia a faccia con la morte che ha appena vissuto. Senza una chiara parola di fede e speranza, il mondo può sprofondare in una morbosa colpa o rabbia indifesa per l'assurdità della sua condizione. Solo questo può permettergli di dare un senso a queste morti di persone care, che sono morte in solitudine e sono state sepolte in fretta. Ma poi la Chiesa deve cambiare. Deve smettere di avere paura di scioccare. Deve rinunciare a pensare a se stesso come a un'istituzione del mondo. Deve tornare alla sua unica ragion d'essere: la fede. La Chiesa è lì per annunciare che Gesù ha vinto la morte con la sua risurrezione. Questo è il cuore del suo messaggio: "Se Cristo non è stato risuscitato, la nostra predicazione è vana, la nostra fede è ingannevole e noi siamo il più miserabile di tutti gli uomini". (1 Corinzi 15, 14-19). Tutto il resto è solo una conseguenza. Le nostre società emergeranno indebolite da questa crisi. Avranno bisogno di psicologi per superare il trauma di non poter accompagnare gli anziani e i morenti nella loro tomba, ma avranno ancora più bisogno di sacerdoti che insegneranno loro a pregare e sperare. La crisi rivela che le nostre società, senza saperlo, soffrono profondamente di un male spirituale: non sanno dare senso alla sofferenza, alla finitudine e alla morte. * Il cardinale Sarah è prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti all'interno della Curia romana.
  13. Il 24 settembre 2019, il patrono del Sovrano Ordine di Malta, SER Cardinale R. Burke ed il vescovo ausiliare di Astana (Kazakistan), Mons. A. Schneider hanno rilasciato dichiarazione intitolata Un chiarimento sul significato della fedeltà al Sommo Pontefice (vedi il testo completo di seguito). Essi si riferiscono in particolare all’indissolubilità del matrimonio e all’ammissione alla Santa Comunione di coloro che “convivono in unioni irregolari”, alla “crescente approvazione di atti omosessuali” e a ciò che dicono sono errori dottrinali sia nel recente documento sulla "Fratellanza umana" firmato dal Papa sia nell’ Instrumentum laboris sul Sinodo sull’Amazzonia, tenutosi dal 6 al 27 Ottobre 2019 e poi sfociato nei riti di Pachamama nei Giardini Vaticani. Il cardinale e il vescovo, ricordando come San Paolo ammonì il primo Papa, San Pietro, “a causa del suo comportamento ipocrita”, ipotizzano che anche San Paolo avrebbe reagito al documento sulla Fraternità umana, firmato dal Papa e dal Grande Imam dell’Università di Al-Azhar, a Abu Dhabi, lo scorso febbraio, in cui si afferma che tutte le religioni sono volute da Dio, o gli errori dottrinali riportati nel documento di lavoro del sinodo sull’Amazzonia (il cardinale e il vescovo li hanno elencati di recente in un appello a pregare e digiunare per impedire che vengano approvati). È “impossibile”, dicono, pensare che San Paolo o Sant’Atanasio “rimarrebbero in silenzio” in tali circostanze e si lascerebbero “intimidire” dalle false accuse di “parlare contro il Papa”. Ricordano anche che fu Papa Francesco a chiedere la parresia, per parlare con coraggio e franchezza. Affermando che è Dio “che ci giudicherà”, Burke e Schneider dicono che sono “veri amici di Papa Francesco” che hanno una “stima soprannaturale della sua persona” e l’ufficio di Pietro, e “pregano molto” per Francesco e incoraggiano i fedeli a fare lo stesso. Ricordando gli esempi di fedeltà mostrati dai Santi Giovanni Fisher e Tommaso More e altri santi, invitano tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli laici a “difendere l’integrità del deposito della fede” e a “sostenere il Papa nel suo ministero petrino”. Qui il testo integrale. *** Un chiarimento sul significato di fedeltà al Sommo Pontefice Nessuna persona onesta può più negare la confusione dottrinale – quasi generale – che ai nostri giorni regna nella vita della Chiesa. Ciò è dovuto in particolare alle ambiguità riguardanti l’indissolubilità del matrimonio, relativizzata attraverso la pratica dell’ammissione alla Santa Comunione di persone che convivono in unioni irregolari; a causa della crescente approvazione degli atti omosessuali, che sono intrinsecamente contrari alla natura e alla volontà rivelata di Dio; a causa di errori riguardanti l’unicità di Nostro Signore Gesù Cristo e la sua opera redentrice, relativizzata attraverso affermazioni erronee sulla diversità delle religioni e in particolar modo a causa del riconoscimento di diverse forme di paganesimo e delle loro pratiche rituali tramite l’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica. Alla luce di questa realtà, la nostra coscienza non ci permette di rimanere in silenzio. Noi, come fratelli del Collegio episcopale, parliamo con rispetto e amore, in modo che il Santo Padre possa inequivocabilmente rifiutare gli evidenti errori dottrinali dell’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica e ricusare l’abolizione pratica del celibato sacerdotale nella Chiesa latina attraverso l’approvazione dell’ordinazione dei cosiddetti “viri probati”. Con il nostro intervento noi, pastori del gregge, esprimiamo il nostro grande amore per le anime, per la persona di papa Francesco stesso e per il dono divino dell’Ufficio Petrino. Se non lo facessimo, commetteremmo un grande peccato di omissione e di egoismo. Se rimanessimo in silenzio, avremmo una vita più tranquilla e forse riceveremmo persino onori e riconoscimenti. Tuttavia, se tacessimo, violeremmo la nostra coscienza. In questo contesto pensiamo alle note parole del futuro Santo Cardinale John Henry Newman (che sarà canonizzato il 13 ottobre 2019): “Brinderò, se volete, al papa; tuttavia, prima alla coscienza, poi al papa” (Lettera al Duca di Norfolk in occasione della recente rimostranza del Sig. Gladstone). Pensiamo anche a queste parole memorabili e sincere di Melchior Cano, uno dei vescovi più colti al Concilio di Trento: “Pietro non ha bisogno della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l’autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta”. In tempi recenti, si è creata un’atmosfera di quasi totale infallibilità delle dichiarazioni del Romano Pontefice, vale a dire di ogni parola del Papa, di ogni suo pronunciamento e dei documenti meramente pastorali della Santa Sede. In pratica, non si osserva più quella regola tradizionale che distingue i diversi livelli delle dichiarazioni del Papa e dei suoi uffici con le loro note teologiche e con il corrispondente obbligo di aderenza da parte dei fedeli. Nonostante il dialogo e i dibattiti teologici siano stati incoraggiati e promossi nella vita della Chiesa negli ultimi decenni dopo il Concilio Vaticano II, ai nostri giorni non sembra esserci più alcuna possibilità di un sincero dibattito intellettuale e teologico o la possibilità di esprimere dei dubbi su affermazioni e pratiche che offuscano e danneggiano gravemente l’integrità del Deposito della Fede e della Tradizione Apostolica. Tale situazione porta al disprezzo della ragione e, quindi, della verità. Coloro che criticano le nostre espressioni di preoccupazione usano sostanzialmente solo argomenti sentimentali o di potere. Apparentemente non vogliono impegnarsi in una seria discussione teologica sull’argomento. A questo proposito, sembra che spesso la ragione sia semplicemente ignorata e il ragionamento soppresso. Un’espressione sincera e rispettosa di preoccupazione riguardo a questioni di grande importanza teologica e pastorale per la vita della Chiesa di oggi, indirizzata anche al Sommo Pontefice, viene immediatamente schiacciata e proiettata sotto una luce negativa con rimproveri diffamatori di “seminare dubbi”, di essere “contro il papa” o addirittura di essere “scismatici”. La Parola di Dio ci insegna, attraverso gli Apostoli, ad essere certi, fermi e senza compromessi riguardo alle verità universali e immutabili della nostra Fede e a mantenere e proteggere la Fede di fronte agli errori, come ebbe a scrivere San Pietro, il primo Papa: “State in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi” (2 Pt. 3,17). Ed anche san Paolo lasciò scritto: “Affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” (Ef 4, 14-15). Bisogna tenere presente il fatto che l’apostolo Paolo, ad Antiochia, rimproverò pubblicamente il primo papa su una questione meno grave rispetto agli errori che ai nostri giorni si diffondono nella vita della Chiesa. San Paolo ammonì pubblicamente il primo Papa a causa del suo comportamento ipocrita e del conseguente pericolo di mettere in discussione la verità secondo cui le prescrizioni della legge mosaica non sono più vincolanti per i cristiani. Come reagirebbe oggi l’apostolo Paolo se leggesse la frase del documento di Abu Dhabi che afferma che Dio vuole nella sua saggezza ugualmente la diversità di sessi, nazioni e religioni (tra le quali ve ne sono talune che praticano l’idolatria e bestemmiano Gesù Cristo)!? Tale affermazione produce, in effetti, una relativizzazione dell’unicità di Gesù Cristo e della sua opera redentrice! Cosa direbbero San Paolo, Sant’Atanasio e le altre grandi figure del cristianesimo se leggessero una frase del genere e gli errori contenuti nell’Instrumentum laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica? È impossibile pensare che rimarrebbero in silenzio o si lascerebbero intimidire da chi li rimproverasse e accusasse di parlare “contro il Papa”. Quando papa Onorio I nel VII secolo ebbe un atteggiamento ambiguo e pericoloso riguardo alla diffusione dell’eresia del monotelismo, che negava la volontà umana di Cristo, San Sofronio, patriarca di Gerusalemme, mandò un vescovo della Palestina a Roma, istruendolo di parlare, pregare e non tacere fino a quando il Papa non avesse condannato l’eresia. Se San Sofronio vivesse oggi, sarebbe certamente accusato di parlare “contro il Papa”. L’affermazione sulla diversità delle religioni del documento di Abu Dhabi e in particolare gli errori nell’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica, contribuiscono al tradimento dell’incomparabile unicità della Persona di Gesù Cristo e dell’integrità della fede cattolica. E questo accade davanti agli occhi di tutta la Chiesa e del mondo. Una situazione simile si ebbe nel IV secolo, quando complice il silenzio di quasi tutto l’episcopato, la consustanzialità del Figlio di Dio fu tradita a favore di ambigue affermazioni dottrinali del semi-arianesimo, un tradimento a cui anche Papa Liberio partecipò per un breve tempo. Sant’Atanasio non si stancò mai di denunciare pubblicamente tale ambiguità. Papa Liberio lo scomunicò nell’anno 357 “pro bono pacis”, vale a dire “per il bene della pace”, per vivere in pace con l’imperatore Costanzo e con i vescovi semi-ariani d’Oriente. Sant’Ilario di Poitiers riferì questo fatto e rimproverò Papa Liberio per il suo atteggiamento ambiguo. È significativo che papa Liberio, a differenza di tutti i suoi predecessori, fu il primo papa il cui nome non venne incluso nel Martirologio Romano. La nostra dichiarazione pubblica corrisponde alle seguenti parole del nostro Santo Padre Papa Francesco: «Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica: “Questo non si può dire; penserà di me così o così…”. Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un Cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni Cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità» (Saluto ai Padri sinodali durante la Prima Congregazione Generale della Terza Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 6 ottobre 2014). Alla presenza di Dio che ci giudicherà affermiamo: siamo veri amici di Papa Francesco. Abbiamo una stima soprannaturale della sua persona e del supremo ufficio pastorale del Successore di Pietro. Preghiamo molto per Papa Francesco e incoraggiamo i fedeli a fare lo stesso. Con la grazia di Dio, siamo pronti a dare la nostra vita per la verità della fede cattolica sul primato di San Pietro e dei suoi successori, qualora i persecutori della Chiesa ci chiedessero di negare questa verità. Guardiamo ai grandi esempi di fedeltà alla verità cattolica del primato petrino, come San Giovanni Fisher, vescovo e cardinale della Chiesa, e San Tommaso Moro, un laico, e molti altri santi e confessori, e invochiamo la loro intercessione. Più fedeli laici, sacerdoti e vescovi si atterranno all’integrità del Deposito della Fede e lo difenderanno, più, di fatto, sosterranno il Papa nel suo ministero Petrino. Perché il Papa è il primo nella Chiesa a cui si applica questa ammonizione della Sacra Scrittura: “Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2 Tim. 1, 13-14).
  14. Riportiamo di seguito le riflessioni di Padre Marcelo Bravo Pereira, docente presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum sulle modalità in cui si possa "criticare" il Papa o i Vescovi, nel senso inteso cattolicamente parlando, di giudizio legato al discernimento, alla giusta comprensione con retta ragione. Egli ci dice che, prima di rapportarci a Vescovi o Sacerdoti, dobbiamo chiederci con quale atteggiamento ci stiamo ponendo: di superiorità, di rancore o per il bene della Chiesa e della Verità? Per un miglior discernimento o per "spirito del mondo"? E poi, in quello che noi stiamo criticando, si stanno valutando delle interviste o atti di Magistero? Il fedele si pone nell'atteggiamento di comprendere qual è il contesto in cui viene riportata una affermazione? Tali riflessioni nascono spontanee rilevando il numero oramai endemico di fedeli che in questi tempi sono confusi, smarriti, e che sono alla ricerca di punti di riferimento forti, invece che fluidi, solidamente ancorati alla Tradizione, e non in continuo movimento. Molti sono impauriti, e cercano nella Chiesa un supporto, spirituale e morale, solido e fermo, in un periodo in cui le forze mondane portano a prevaricare sui più deboli in maniera sempre più pressante. Questa confusione e questo smarrimento sfociano a volte in giudizi, prima che critiche, attacchi frontali ai propri pastori che, anche qualora possano essere giustificabili, devono essere correttamente motivati ed indirizzati, fatti pesare, anche come macigni, ma sempre per amore della Verità. E' il Santo Padre Francesco stesso a invitarci più volte alla parresìa, alla franchezza. Qui in una sua omelia " I capi, gli anziani, gli scribi, vedendo questi uomini e la franchezza con la quale parlavano, e sapendo che era gente senza istruzione, forse non sapevano scrivere, rimanevano stupiti. Non capivano: “Ma è una cosa che non possiamo capire, come questa gente sia così coraggiosa, abbia questa franchezza” (cfr At 4,13). Questa parola è una parola molto importante che diviene lo stile proprio dei predicatori cristiani, anche nel Libro degli Atti degli Apostoli: franchezza. Coraggio. Vuol dire tutto quello. Dire chiaramente. Viene dalla radice greca di dire tutto, e anche noi usiamo tante volte questa parola, proprio la parola greca, per indicare questo: parresìa, franchezza, coraggio. E vedevano questa franchezza, questo coraggio, questa parresìa in loro e non capivano. Franchezza. Il coraggio e la franchezza con i quali i primi apostoli predicavano … Per esempio, il Libro degli Atti è pieno di questo: dice che Paolo e Barnaba cercavano di spiegare agli ebrei con franchezza il mistero di Gesù e predicavano il Vangelo con franchezza (cfr At 13,46)." Dobbiamo quindi, con atteggiamento umile, costruttivo e per il bene della Verità, portare i nostri dubbi, le affermazioni che possono sembrare distanti dal Magistero perenne della Chiesa ai nostri Vescovi, ai nostri Sacerdoti, ai Preti e chiederne ragione. Come battezzati è un diritto di chiunque portare le nostre critiche. Ma bisogna essere sempre rispettosi di coloro che, per diretta volontà divina, sono i nostri Pastori e guide, dall'"ultimo" dei Sacerdoti, fino al Papa. Fatelo oggi, fatelo subito! In Jesu et Maria, Claudio **************************** Dal libero canale Youtube di Padre Marcelo: Si possono criticare il Papa e i Vescovi? di seguito testualmente il trascritto e poi il video. Una domanda che molti cristiani si fanno e se è lecito criticare il Papa, ma vediamo che ci sono tanti che si scandalizzano quando uno critica il Papa; ho sentito qualcuno che diceva che chi criticava il Papa [sarebbe] meglio uscisse dalla Chiesa, mentre ci sono altri che costantemente sembrano prendere di mira il Papa e criticare ogni cosa che fa, ogni cosa che dice in virtù di una cosiddetta fedeltà al Vangelo o fedeltà alla Tradizione. Papa Francesco aveva recentemente pensato[al]la Chiesa come un fiume [dove] si può stare più a sinistra si può stare più a destra ma ciò che conta è stare dentro quel fiume, [ma] non uscire dal fiume perché dal momento in cui si esce dal fiume, sia da destra sia da sinistra, si perde questo flusso [ovvero] si esce da questo flusso benefico che è quello della Chiesa; allora possiamo [o] non possiamo criticare il Papa? Partiamo con una definizione di tipo etimologico, che cosa significa giudicare e può significare due cose; [criticare] viene dal verbo κρίνω, “crino” e il primo significato di criticare [corrisponde a] quello di giudicare, [ovvero] condannare; il secondo significato è quello di discernere Allora la prima domanda è: io posso giudicare il Papa? Chi giudica è un giudice ed il giudice deve stabilire se la persona che è giudicata è reo di una pena o si deve fare con lui (applicare a lui ndr) un certo tipo di giustizia, [quindi] se io giudico il papa mi sto collocando in un certo senso come un giudice; non dimentichiamo anche quello che dice Gesù: con la stessa misura con cui giudicherete sarete giudicati quindi io personalmente starei ben lontano da mettermi nella posizione di uno che giudica i Vescovi o giudica il Papa, perché le mie competenze sono si sono competenze teologiche, ma io non sono un Vescovo ed io non sono un Papa; [inoltr]e sappiamo benissimo che la Chiesa ha ricevuto un dono, che [è] il dono della infallibilità che si esprime in due forme a livello magisteriale con il dogma dell'infallibilità con il quale sono rivestiti i nostri pastori quando insegnano in temi di morale e di fede e poi c'è l'altro carisma che riceve tutta la Chiesa che il sensus fidei, il senso della fede, il senso soprannaturale della fede . Il secondo significato di κρίνω, “crino” è quello di discernere e, a questo punto, ogni volta che io ricevo un insegnamento, ma anche il Vangelo stesso, io lo ricevo secondo quello che io sono: io sono una persona quindi devo utilizzare la mia intelligenza, la mia capacità di comprensione per penetrare il mistero che mi viene presentato non per tentar di spiegarlo ,non per tentare di esaurire il significato del mistero perché altrimenti non sarebbe un mistero, ma affinché io possa aderire alla fede, possa aderire a una verità o possa aderire a una indicazione o a un un'enciclica una disposizione del papa o dei vescovi io la devo comprendere con la mia intelligenza proprio perché questo è ciò che mi fa essere umano che mi fa essere persona; la fede trascende la ragione, però la fede non va contro la ragione quindi anche le disposizioni che riceviamo dai nostri Vescovi, da Papa la dobbiamo ricevere con la capacità di riflettere su di essa e, in questa capacità di discernimento, di separare quello che appartiene alla fede e quello che potrebbe essere una proiezione piuttosto culturale del papa o dei vescovi che in questo momento guidano la Chiesa io potrei essere in disaccordo e a questo punto io devo discernere ciò che appartiene all'essenza della fede e ciò che potrebbe essere circostanziale e che potrebbe essere perfino dovuto a un errore di percezione da parte dei nostri Vescovi, da parte del Papa. Non dimentichiamo che anche negli Atti degli Apostoli noi vediamo questi momenti in cui per esempio Paolo se la prende contro Pietro perché Pietro che prima mangiava con i con i pagani con i cristiani che venivano da mezzo ai pagani, poi si si ritira e non mangia più con loro. Paolo si mette di fronte a lui e gli rimprovera il fatto di non vivere secondo il messaggio che abbiamo ricevuto Ma la stessa cosa capita con Paolo dopo che il Concilio di Gerusalemme aveva stabilito che non c'era bisogno di costringere i pagani che venivano la fede di essere circoncisi, Paolo in qualche modo cedendo alla pressione dei cristiani di origine ebraica fa circoncidere Timoteo. Ci può servire a questo punto fare questa riflessione partendo da un documento molto importante della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1990 che si chiama Donum Veritatis e che è riferito al rapporto tra magistero e i teologi e soprattutto affronta il tema del dissenso quando un teologo si rende conto di non essere in accordo con l'insegnamento del Papa o con l’insegnamento dei Vescovi; come si deve comportare questo teologo quando, nella sua riflessione, nel suo approfondire la fede, si rende conto di non essere in accordo con il Papa? Prend[endo] alcuni spunti da questo documento, li applichiamo alla situazione che stiamo affrontando [e che è] appunto il tema del dissenso, [ovvero] posso [o] non posso criticare il Papa? Posso o non posso criticare i Vescovi? Ho separato alcuni paragrafi che leggo è commento con voi; all'inizio del documento firmato dal Cardinal Ratzinger che allora era il prefetto per la dottrina della fede si legge: “il teologo deve discernere in sé stesso l'origine e le motivazioni del suo atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla fede” ; l'impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di santificazione molto bello, come sta espresso qui: quando il teologo si trova in una situazione di dissenso la prima cosa che deve fare [è] discernere, appunto quello che dicevamo giudicare, ma prima di giudicare riguardo a ciò che dice il Papa [egli] deve giudicare sulle proprie intenzioni, su ciò che ha nel suo cuore [chiedendomi]: per quale motivo io non riesco ad aderire a quello che dice il Papa? Qual è l'origine? Quali sono le motivazioni dell'atteggiamento critico? Perché il motivo può essere giusto e lo dice anche il documento: in ciò che corrisponde non temi di fede o di morale il magistero nell'insegnamento quando non sta insegnando temi di fede e di morale potrebbe commettere degli errori; questo è umano: la Chiesa è stata fondata su Dio in Cristo però è stata data agli uomini che sono perfettibili che hanno errori di percezione e può darsi che in un momento, in alcune atteggiamenti soprattutto pratici, i nostri Vescovi o il Papa commettono degli errori quindi potrebbe essere giustificato [e] comprensibile Ma la mia domanda è: cosa mi muove a criticare? Ed io ho visto nella mia esperienza come teologo che alle volte ci sono alcune persone che sono d'accordo con il Papa perché il Papa è in accordo con loro; nel momento [invece] in cui il Papa insegna una dottrina che non corrisponde a ciò che io penso che dovrebbe essere la dottrina della fede o [ne] insegno una nel mio insegnamento non ufficiale o non solenne, [io] insegno qualcosa che corrisponde piuttosto a una corrente di tipo di pensiero più che al alla dottrina della fede: immediatamente scatta qualcosa dentro di me, come se non si non fossi o preoccupato tanto dalla correttezza della dottrina ma piuttosto del fatto che mi sta contraddicendo e allora è importante fare un discernimento per vedere cosa c'e nel mio cuore quando io non riesco ad aderire a quello che insegna il Papa cosa c'è nel mio cuore. Ho aderito alla fede o ho aderito alla mia versione di fede, alla mia [personale] posizione di fede; questa è la prima cosa che bisogna fare [e] che molti non fanno. Un altro passo di questo documento dice: “la volontà di ossequio leale a questo insegnamento del magistero in materia per sé non irreformabile deve essere la regola” ; qui sta parlando di tutti quegli insegnamenti che non sono insegnamenti di fede [ma] che sono insegnamenti di tipo prudenziale; noi abbiamo sentito tante cose ultimamente riguardo per esempio come affrontare dal punto di vista ecclesiale il problema della pandemia [che] quindi non sono temi di per sé irriformabili o definitivi o fondamentali per la fede, [ma] riguardano piuttosto scelte prudenziali; però il documento sta dicendo che io devo avere la volontà di ossequio leale, come fedele cristiano, come teologo, come sacerdote nei confronti dei nostri vescovi devo avere un atteggiamento di ossequio leale cioè di apertura di benevolenza ; non è possibile che un fedele ogni volta che un Vescovo parli, immediatamente andiamo a trovare dove sbaglia perché non partire [invece] da quello che positivo, da quello che è costruttivo? E poi in un secondo momento forse se io trovo delle cose da migliorare. “L'uomo buono vede tutto con occhi di bontà”, continua la lettura; qui si sta parlando del momento in cui sorgono le tensioni e dice il documento, se le tensione non nascono da un sentimento di ostilità e di opposizione possono rappresentare un fattore di dinamismo e uno stimolo che sospinge il magistero e di teologi ad adempiere le loro rispettive funzioni praticando il dialogo. Questo si riferisce al [rapporto] tra magistero e i teologi, ma potrebbe essere riferito a qualunque cristiano. I fedeli nei confronti dei propri vescovi sono persone attive, sono persone intelligenti. Magari tutti i cristiani avessero la formazione sufficiente per poter proporre anche ai nostri vescovi dei miglioramenti, delle osservazioni di approfondimento; magari potesse essere così, perché questo spinge i pastori a un dialogo proficuo. Ogni cristiano potrebbe essere un profeta e parlare in nome di Dio, sempre d'accordo con la fede [che] è sempre in virtù di quel dono che ha ricevuto ogni cristiano nel sensus fidei; quando tu veramente vivi la tua fede, il Signore ti d[ona] questa [capacità] spirituale di poter capire la fede e qui si crea un rapporto di dialogo abbastanza interessante, che arricchisce la Chiesa, ma sempre in atteggiamento costruttivo; se io [mi pongo] con un atteggiamento di superiorità, [avendo magari] fatto semplicemente degli studi del catechismo, e ho seguito qualche sacerdote, ho letto qualche libro [e] già mi sento il maestro di teologia e comincio a giudicare quello che si deve fare o non si deve fare senza conoscere in profondità la teologia, senza conoscere neanche la storia della Chiesa, la storia della teologia, la storia dei dogmi, che conosce dei momenti di andare in avanti ed andare indietro*, quindi mettermi in una posizione di superiorità non funziona; però una posizione di dialogo costruttivo è sempre utile, sempre importante. C'è un ultimo paragrafo di questo documento Donum Veritatis, che vi leggo per intero (numero 30), e che mi sembra molto importante proprio in queste circostanze, quando il teologo ma anche quando il fedele si trova nella situazione in cui non capisce e pensa che non riesce a conciliare la propria visione della Chiesa o la visione tradizionale della chiesa con quello che è l'insegnamento Magisteriale: “se malgrado un leale sforzo le difficoltà persistono, è dovere del teologo”, e io direi di ogni cristiano “far conoscere alle autorità magisteriale i problemi suscitati dall'insegnamento in sé stesso nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato, egli lo farà in uno spirito evangelico con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà; le sue obiezioni potranno allora contribuire a un reale progresso stimolando il Magistero a proporre l'insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato, in questi casi il teologo eviterà di ricordi ricorrere ai mass media invece di rivolgersi alle autorità responsabile perché non è esercitando in tal modo una pressione sull'opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità”. Quindi secondo me dobbiamo bandire articoli video, commenti, lettere aperte che l'unica cosa che riescono a fare è gettare fango sul ministero episcopale, sul ministero del Papa se io devo presentare la verità lo dovrò presentare nel modo giusto, offrire delle soluzioni, parlare senz'altro, parlare. Ma nel momento in cui io comincio a mettere in dubbio la fede dei Vescovi, a mettere in dubbio la loro competenza teologica, la loro competenza pastorale, a pensare che il Papa ormai e non è più il Papa gettare fango sulla persona dei nostri Vescovi non è un servizio che si fa alla Chiesa. Torno al primo punto che ho commentato di questa lettera: non c'è lo Spirito di Dio lì dove c'è una critica non cristiana, una critica insultante, una critica dove io mi metto al di sopra dell'altro e divento giudice del Papa, divento il giudice dei Vescovi. Lì non c'è lo Spirito di Dio e non c'è verso perché lo Spirito Santo è lo spirito che costruisce e lo spirito che porta alla pace e lo spirito di unione, non lo spirito di divisione. Io posso avere tutte le giustificazioni possibili e pensare che sto facendo un servizio alla Chiesa, ma invece sto aiutando alla decomposizione della stessa e soprattutto se questi sono Sacerdoti devono rispondere a Dio di questo, di lasciarsi guidare non dallo spirito di Dio ma dallo spirito di questo mondo, dallo spirito di divisione. Quindi il soggetto, le parole che utilizza, il contesto in cui lo dice, non è la stessa cosa a dirlo nel Concilio o dirlo in un'Enciclica che dirlo in un'intervista mentre si sta andando in aereo o un incontro puramente casuale L'oggetto di Magistero, la Verità che viene pronunciata ha un valore diverso a seconda del contesto in cui viene detto quindi a questo punto noi possiamo vivere che anche con serenità questo momento un'ultima cosa quando noi dobbiamo discernere sul valore di fede o l'obbligatorietà dell'adesione al Magistero dobbiamo prendere in considerazione alcuni punti: In primo luogo: chi lo dice? Il soggetto del magistero: lo dice il Papa, lo dicono i Vescovi, con quali parole parla. Per esempio Amoris Laetitia** al numero 8: all'inizio di questa esortazione apostolica il Papa ha detto: io non intendo cambiare la dottrina e questo è molto importante perché getta luce su tutto il documento. NOTE. * Probabilmente trattasi di un problema linguistico che ha causato un errore nel parlato; come ben noto a qualunque fedele cattolico questa è la definizione di dògma (raro dòmma) s. m. [dal lat. dogma -ătis, gr. δόγμα -ατος «decreto, decisione», der. di δοκέω «mi sembra»] (pl. -i). – Principio fondamentale, verità universale e indiscutibile o affermata come tale: d. filosofici, politici; i d. della scienza; d. giuridico, principio teorico di un istituto giuridico, del quale costituisce il sostrato fondamentale. In partic., nella teologia cattolica, dogma di fede, o assol. dogma, verità soprannaturale contenuta, in modo implicito e esplicito, nella Rivelazione, e proposta dalla Chiesa come verità di fede, oggettiva e immutabile: d. della Trinità; d. dell’Immacolata Concezione; sancire, proclamare un dogma. Per estens.: questo per me è un d., è un d. di fede, ritenere un d., accettare come un d., e sim., di cosa a cui si crede ciecamente e che non si pone in discussion ** A riguardo della esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, alcuni cardinali hanno richiesto chiarimenti sulle ritenute incongruenze della esortazione con Spirito di Verità ed umiltà, con parresìa. Testo completo qui --> http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2016/08/testo-integrale-in-lingua-italiana.html
  15. Riportiamo di seguito l'articolo che trovate sul numero della Quotidiano - La Verità a doppia firma di Mons. Nicola Bux (qui la biografia ) ed Ettore Gotti Tedeschi (qui la sua biografia). La paura di perdere la vita grazie alla pandemia e l’isolamento forzato per evitare contagi, avrebbero potuto essere due grandi opportunità per la nostra amata Chiesa per far riflettere sul valore e sul senso della vita e sul valore della libertà. Questo è un compito primario della Chiesa, come peraltro la prima Enciclica di questo pontificato, Lumen Fidei, chiaramente indica. La Chiesa dovrebbe infatti imitare Cristo : “Io sto in mezzo a voi ,come colui che serve" ( Lc,22-27) Avendolo forse fatto così discretamente, e con tale “rispetto umano”, che pochi se ne sono accorti, la nostra Chiesa ha perso una grande opportunità di confortare spiritualmente chi ne aveva bisogno, rischiando anche di perdere credibilità nella sua missione soprannaturale. L’Autorità morale in questo periodo sembrerebbe voler comunicare all’esterno una tiepida “neutralità morale”. Non è stata colta una forte ed eroica proposta di voler esser utile alla sofferenza spirituale , riaffermando in ogni modo ed occasione la Verità . Non è stata notata una eroica volontà di voler cogliere questa occasione per proporre efficacemente la ricerca di conversione personale ed il desiderio di Dio . Non è stato notato un grande ed opportuno sforzo eroico per cercar di spiegare in queste circostanze cosa è moralmente vero o falso, moralmente giusto ingiusto, bene o male. In compenso si sono lasciati intendere tentativi di banalizzazione della scienza e della ragione, quando si è tentato di spiegare la cause della pandemia. Certo per nostra scarsa diligenza o pregiudizi, non abbiamo ben percepito indicazioni spirituali per beneficiare di questi momenti di paura ed isolamento. Son stati invece intesi auspici per una misteriosa “fratellanza" umana ( senza riferimenti a Dio che la giustifichi ) e sollecitazioni per un non definito dialogo inter-religioso, con vaghe indicazioni di un Dio unico per tutte le religioni, accompagnato da una altrettanto vaga preghiera universale. Ma attenzione! Questi sono i concetti fondanti di sincretismo religioso fra fedi, prima inconciliabili , miranti a forme di unità religiosa al di là di dogmi di fede. Abbiamo anche inteso l’annuncio di una proposta di <nuovo umanesimo>. Nuovo perché si pensa di considerare superato l’antico umanesimo cristiano fondato sulla natura umana fatta di anima, corpo, intelletto, ferita dal peccato originale, redenta da Dio incarnato? Come si può pensare di umanizzare qualcuno o qualcosa se prima non si riconosce chi è il Creatore di ciò che è umano? Ma c’è un fatto più misterioso che va compreso. Se la Chiesa ormai si presenta e propone come istituzione operante nel sociale, e nei fatti lascia intuire che la Santa Messa, anziché “santo sacrificio divino” è solo una “assemblea”, come tale deve esser regolata dalle disposizioni del governo per le riunioni pubbliche. Perché lamentarsene allora? Per queste ragioni temiamo che il maggior cambiamento post-Covid possa riguardare proprio l’Autorità Morale. L’Autorità Morale rischia infatti di esser dis-intermediata non solo da religioni pragmatiche, ma persino dal filantropismo. Il filantropismo (o carità senza Verità) vorrebbe esser proprio il competitore laico della carità cristiana. Grazie alle lusinghe e all'influenza del filantropismo l’Autorità Morale rischia di convertirsi in alfiere della nuova religione universale, l’ambientalismo, destinato ad accomunare tutte le culture verso un unico valore universale. A volte la Chiesa sembra esser stata profetica per il post-Covid, avendo persino anticipato il riconoscimento di un ruolo dominate dello stato, cercando appoggi geopolitici fuori da quelli tradizionali occidentali, lasciando immaginare fusioni fra religioni ( come fossero imprese ), permettendo fossero sviliti gli ostacoli a questa trasformazione ( dogmi, famiglia, sovranità, tradizione ..). Fino a qualche tempo fa la Chiesa non doveva occuparsi di economia di scienze e di politica, doveva limitarsi a pensare solo alle coscienze . Oggi viene imposto alla Chiesa di occuparsi di economia, scienze, politica, ma non di coscienze.E lei sembra aver accettato . E’ ineluttabile la sua disintermediazione conseguente. Oggi, in questa situazione, la Chiesa dovrebbe ingegnarsi nel proporre e spiegare “il mistero trascendente” di quanto è accaduto e potrà accadere, non proporre soluzioni che prescindono da Cristo e illudono e basta. La Chiesa oggi deve riaccendere e dare speranza a tutti e lo può fare dialogando, ma dialogando per far trovare Cristo, evangelizzando, perché oggi la vera fame e sete è anzitutto di Dio . La vera soluzione sta nel ritrovare Dio. Così soltanto, "andrà tutto bene" , in questo mondo e nell'altro.
  16. Riportiamo di seguito un estratto della riflessione dell'Avv. Francesco Patruno per il blog STILVM CVRIAE dal titolo PATRUNO. CHE ACCADE DA LUNEDÌ CON IL PROTOCOLLO CEI-GOVERNO? sulla interpretazione da darsi al protocollo tra CEI e Governo italiano e circa la distribuzione della Santa Eucaristia. Invitiamo, per chi volesse approfondire compiutamente, a leggere l'articolo integrale sopra riportato. Di seguito riportiamo l'essenziale, a mo' di manualetto. "E quindi chi risponderà per eventuali violazioni del Protocollo? Ed a quali sanzioni andrà incontro? Si tratta di quesiti di difficile risposta. Senz'altro ci sembra che non possano ascriversi particolari responsabilità – di là di quella generale che ricade su ogni cittadino in questo periodo, che impone il distanziamento sociale e l’uso di dispositivi di sicurezza – sui fedeli. Ed a ben vedere anche per lo stesso legale rappresentante dell’ente sembra escludersi la possibilità di sanzioni – dal punto di vista statale e, direi, pure canonico – per eventuali violazioni, salvo che le condotte non siano sussumibili in violazioni di leggi e prescrizioni statali in questo periodo. Del resto, dal tenore del Protocollo, emerge come lo stesso non contenga, a ben vedere, vere e proprie norme vincolanti tranne alcune (ad es., i punti 1.1, 1.2, 1.5, 3.2, 3.3, 3.10, 4.2), mentre la maggior parte di queste hanno indubbio carattere esortativo, quasi a livello di raccomandazione, di suggerimento per una celebrazione eucaristica “in sicurezza”. Altro interrogativo è se le diocesi o le singole conferenze episcopali regionali possano adottare ulteriori prescrizioni rispetto a quelle indicate dal Protocollo. Ciò è senz’altro possibile, nell’ambito di quanto statuito da quest’atto, prevedendo eventualmente delle cautele maggiori se lo esigono le circostanze territoriali (penso, ad es., alle zone lombarde) ovvero lo richiedano le specificità dei riti praticati (come è stato, ad es., per l’Eparchia di Lungro). Veniamo al punto controverso che concerne propriamente la distribuzione della Comunione. Il punto 3.4 stabilisce: «La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi – indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli». Quel che emerge, in primo luogo, è il carattere esortativo della disposizione de qua. I verbi adoperati “avvenga” e “abbiano cura” esprimono l’idea di una raccomandazione, di un suggerimento, di esortazione paternalistica, ben diversa, dunque, da quella dell’obbligo stringente (non dice, infatti, “deve avvenire” né si adoperano forme verbali similari a questa). Avendo, dunque, valore esortativo, il celebrante potrebbe eventualmente anche decidere di non avvalersi di questo suggerimento, anche perché – come detto – non è prevista ex se alcuna sanzione in caso di sua violazione né potrebbe intervenire alcun’autorità dello Stato ad esigere il rispetto di quella specifica prescrizione, non essendo il Protocollo fatto proprio dallo Stato in un atto normativo o regolamentare/amministrativo. Taluno (specie sacerdote), in effetti, si è lamentato, che non prenderà mai il Corpo di Cristo con un “preservativo” (v. qui), anche perché, per quei guanti monouso, essendo venuti in contatto con le sacre specie e nel timore, che possano conservarne dei frammenti, si porrebbe la questione liturgico-canonica del loro smaltimento. Questo, infatti, non potrebbe avvenire nel fuoco o nella terra in luogo appropriato o nel c.d. sacrario (essendo i guanti solitamente in materiale non biodegradabile ed anzi inquinante) e, d’altro canto, si pone il problema, quantomeno morale, di evitare di incorrere nel delitto di cui al can. 1367 del codice di diritto canonico («chi profana le specie consacrate, […] incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale»). La codificazione del 1917 (can. 1306), non a caso, prescriveva che tutto ciò che fosse venuto in contatto con le sacre specie fosse accuratamente lavato da ecclesiastici e versata la relativa acqua nel sacrario o nel fuoco («calici, patene, purificatoi, palle e corporali […] se furono adibiti per la Messa, e questi ultimi tre prima del bucato [fossero] lavati da ecclesiastici, versandone l’acqua nel sacrario o nel fuoco»). Disposizione simile oggi si trova nel § 120 dell’Istruzione Redemptionis sacramentum («I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto»). Per cui, è più che legittimo porsi la questione dello smaltimento dei guanti monouso, che dovessero venire in contatto con le specie eucaristiche così come con gli oli santi, nel caso della celebrazione dei Battesimi e dell’Unzione degli Infermi (una nota al punto 3.8 precisa: «Nelle unzioni previste nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo e dell’Unzione degli infermi, il ministro indossi, oltre alla mascherina, guanti monouso»). Tornando al punto in discussione, a parte la circostanza che esso, per come è formulato, si atteggia più ad una raccomandazione che non ad un obbligo, vi è la circostanza innegabile che nel Protocollo non si dica affatto che il sacerdote debba prendere il Corpo di Cristo, da distribuire ai fedeli, con i guanti monouso, ben potendo adoperarsi, per la distribuzione della Comunione, le c.d. pinze eucaristiche, vale a dire un utensile liturgico, da secoli utilizzato dalla Chiesa in tempi di pestilenze (v. qui), come suggeriva, del resto, anche la diocesi di Milano (v. qui). Nulla di scandaloso, quindi, che il sacerdote, preoccupato di frammenti, sia pur minimali, di Ostia sul guanto monouso, possa, per precauzione, adoperare quest’utensile liturgico, avendo cura, ovviamente, della sua sterilizzazione dopo ogni celebrazione. Nel Protocollo, per di più, non si legge neppure – a stretto rigore – che l’Ostia sia distribuita solo sulla mano. La disposizione, in effetti, afferma solo che sia evitato il contatto con le mani dei fedeli – per coloro che prendono l’Ostia in mano – ma nulla si legge circa quei fedeli che assumono l’Ostia sulla lingua. Non essendoci, perciò, un divieto in tal senso, sembra potersi affermare che l’Ostia ben possa essere presa sulla lingua da parte dei fedeli. In questo caso, secondo buon senso, bisognerà evitare che la mano del celebrante o dell’eventuale ministro straordinario, ovvero le c.d. pinze eucaristiche, vengano in contatto con la bocca o la lingua del fedele. Per questo, i vescovi non potrebbero né imporre la Comunione sulla mano né vietare quella sulla lingua (v. qui), come invece disposto da alcuni, come ad es., il vescovo pugliese di Conversano-Monopoli (v. qui) senza che, nella sua diocesi, ci siano particolari esigenze sanitarie. Taluno, inoltre, preso da devoto zelo, si spinge a suggerire che, al termine della distribuzione della Comunione, essendo le dita del sacerdote venute in contatto con il Corpo di Cristo, siano nettate, anziché con un qualche detergente, bensì ponendo «le dita su una piccola fiamma come indicava San Carlo Borromeo durante la peste che colpì Milano» (v. qui). Preferiamo sorvolare su questa misura proposta, che va, evidentemente, storicizzata ed inserita nel suo contesto storico-sociale e culturale, tanto più che, in alternativa, a questo metodo “ustionante”, lo stesso Santo proponeva di lavare le dita in aceto preparato a tal fine, che si dovrà poi consumare nel fuoco (v. qui). Ancora un interrogativo. Qualcuno ha affermato che il Protocollo sarebbe applicabile solo alla distribuzione della Comunione all’interno della messa, mentre extra Missam, il sacerdote non sarebbe tenuto al rispetto di quanto stabilito dal punto 3.4. In realtà, a parte la circostanza che – va ribadito – questo punto anche all’interno della celebrazione eucaristica ha un mero valore di raccomandazione, sembra, comunque, potersi escludere che il punto 3.4 riguardi solo le celebrazioni eucaristiche. Esso – per come è formulato – concerne, infatti, tutte le ipotesi di distribuzione della Comunione. Ce lo conferma il punto 3.8, secondo cui: «Il richiamo al pieno rispetto delle disposizioni sopraindicate, relative al distanziamento e all’uso di idonei dispositivi di protezione personale, si applica anche nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica o inserite in essa», come nel caso, ad es., di Battesimi, Matrimoni, ecc. Quelle misure, dunque, valgono pure «nelle celebrazioni diverse da quella eucaristica», come potrebbe essere la Comunione al di fuori della S. Messa. Basterà adoperare, in fondo, le disposizioni cum grano salis e secondo buon senso. Vedete anche questi collegamenti: https://rorate-caeli.blogspot.com/2009/11/it-is-not-licit-to-deny-communion-on.html e http://blog.messainlatino.it/2009/11/la-comunione-al-tempo-del-colera.html Buona lettura…
  17. Riportiamo qui di seguito le riflessioni inviateci da Mons. Nicola Bux (qui la sua Biografia) sulla giornata del 14 Maggio 2020, promossa dal Pontefice per la "liberazione da tutte le pandemie". Eccole di seguito. La specificità cristiana non impedisce, sebbene non tutto nelle religioni sia ugualmente valido, di convivere e rispettare coloro che le seguono, in specie se sono coscienti di intendere e adorare Dio in modo diverso. Invece si è fatta strada l’idea che il cristiano debba giungere ad ospitare nella sua chiesa il musulmano che prega Allah secondo le sue usanze, e che a sua volta il musulmano nella sua moschea dovrebbe ospitare il cristiano che pregherà secondo il suo credo. Alcuni episodi sono interpretati come attuazione di tale auspicato desiderio: le riunioni convocate da Papa Giovanni Paolo II proprio in Assisi dei leaders delle religioni a pregare per la pace, l’afflusso di induisti e altri uomini religiosi avvenuto a Calcutta per i funerali di madre Teresa, i meetings della comunità di Sant’Egidio. E’ vista con entusiasmo la preghiera dei partecipanti a questi incontri, eseguita secondo i diversi modi e i diversi costumi, ma avente ugual fine: adorare il Signore, comunque lo si voglia immaginare. Si ritiene infatti che non vi sia alcuna differenza se un uomo adora una icona o un totem, una qualsiasi sembianza del dio in cui crede: può sembrare che adori un essere supremo diverso da quello adorato da altri, ma nella sostanza adora lo stesso Dio, diversamente raffigurato, in base a diversi attributi e dogmi. Si deve premettere che solo tra i cristiani si è diffusa tale opinione, che per la sua apparente capacità di valorizzare il diverso, paradossalmente finisce per avallare proprio la differenza e la superiorità del cristianesimo. Ciò non toglie che sia una distorsione, innanzitutto perché l’esistenza di tante religioni con lo stesso grado di validità non spiega la loro molteplicità; poi, perché nel caso del cristianesimo non sono i cristiani a farsi l’immagine di Dio ma è Dio a aver dato la sua immagine in Gesù Cristo; noi abbiamo un’idea di Dio come persona, che non è propria delle altre religioni, salvo in certo modo il giudaismo. A questo punto dobbiamo ricorrere all’approfondimento che Ratzinger offre sulla preghiera multireligiosa e quella interreligiosa (Fede.Verità.Tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p 110 s.): una volta assodato che ci sono almeno due modi di intendere il divino, quello di un Dio impersonale, lontano e quello di un Dio vicino, personale, egli indica per il primo tipo di preghiera due condizioni per svolgerla: 1.che debba rimanere eccezionale; 2. che ad evitare confusione sia dichiarato in partenza che non esista appunto una comune idea di Dio e una comune fede in lui. Quanto alla preghiera interreligiosa, dubitando che si possa fare in verità e onestà, il cardinale pone tre condizioni elementari da garantire, senza le quali diventa una negazione della fede: 1.Deve esservi unanimità su cosa sia Dio e cosa il pregare; ancora, che Dio è persona, cioè può conoscere e amare, ascoltare e rispondere, e il male non gli appartiene. 2.Deve essere chiaro che cosa è degno di preghiera. Non possono essere oggetto di preghiera, richieste opposte a quelle contenute nel Padre nostro. 3.Deve escludere ogni impressione relativistica circa l’unicità di Dio e di Cristo davanti ai non cristiani, o l’idea dell’interscambiabilità delle religioni. Devo supporre che nostro Signore quando ha insegnato a rivolgersi al Padre celeste non immaginasse che i suoi sarebbero ritornati ad usare verso Dio, in parallelo, nomi ed espressioni enigmatiche e non vere, magari pensando di convincere le altre religioni della bontà dell’obbiettivo salvifico assegnato alla sua Chiesa! La liturgia è cattolica in quanto adorazione della paternità universale di Dio, quindi prevede l’arrivo di altri popoli alla fede, abbracciati proprio dalla cattolicità della preghiera: ricorrere ordinariamente a forme interreligiose vuol dire non credere che la nostra preghiera sia cattolica o, come si dice nella Messa, preghiera universale. Potrebbe esserci qualcosa di più universale e “interreligioso” della croce di Gesù Cristo da cui viene l’efficacia stessa della preghiera filiale? E’ nel Figlio che possiamo rivolgerci al Padre. Ogni altra preghiera è al più un surrogato non cattolico. Anzi, secondo Paolo, è idolatria da rifuggire, perché <ciò che i Gentili sacrificano agli idoli, è sacrificato ai demoni e non a Dio>. Non si può dai cristiani <partecipare della mensa del Signore e della mensa dei demoni>(1 Cor 10,14.20-21). Il Signore è uno solo e non tollera concorrenti. A questo punto mi sembra che, meglio del sacramento dell’altare, nulla aiuti a distinguere il Dio personale cristiano dagli altri dèi (cfr Es 20,3; Dt 5,7), e soprattutto ad orientare chi non lo è all’adorazione dell’unico vero Dio; Gesù dovette ricordarlo a Satana: “Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo servirai “(Mt 4,10). Qui si giunge all’Essere e alla linea di demarcazione della storia delle religioni, perché dinanzi a Cristo si manifesta tutta l’originalità cristiana dell’invito alla conversione: infatti significa anche che l’uomo, con libertà di coscienza, deve poter cambiare religione. Mentre per buona parte delle religioni politeiste è ritenuto indifferente il passaggio da una religione all’altra quando addirittura non si tollera la doppia appartenenza, per il monoteismo giudeo-cristiano, imitato da quello islamico, l’abbandono o distacco (in greco apostasia) è considerato una colpa grave. Ciò nonostante, il passaggio da una religione all’altra – per il cristianesimo deve essere una metanoia, una trasformazione del nous, la mente - è sintomo del fatto che nella religione c’è un fattore di movimento, opposto ad una concezione statica che porta a rifiutare la missione. Se la catechesi odierna prova imbarazzo o censura la conversione da un’altra religione a Cristo, proprio la dinamica interna ad ogni religione dimostra che la missione conserva tutta la sua urgenza, il dialogo non può sostituirla, perché, nonostante certe ambiguità nell’ecumenismo, al dono di Cristo hanno diritto tutti e sempre nel mondo.
  18. Il 22 Maggio si ricorda Santa Rita. Nel nostro omaggio a lei, nell'ultimo giorno della Novena a Lei dedicata, chiediamo che possa intercedere, come santa delle cause impossibili, per la conversione di coloro che non credono, oggi più che mai. Redazione #IPC. Claudio Preghiera a Santa Rita, modello di vita. Santa Rita da Cascia, modello delle spose, delle madri di famiglia e delle religiose, io ricorro alla tua intercessione nei momenti più difficili della mia vita. Tu sai che spesso la tristezza mi opprime, perché non so trovare la via d'uscita in tante situazioni dolorose, sia materiali che spirituali. Ottienimi dal Signore le grazie di cui ho bisogno, specialmente la serena fiducia in Dio e la calma interiore. Fa' che io imiti la tua dolce mitezza, la tua forza nelle prove e la tua eroica carità e chiedi al Signore che le mie sofferenze possano giovare a tutti i miei cari e che tutti possano essere salvi per l'eternità. Preghiera per i casi impossibili e disperati. O cara Santa Rita, nostra Patrona anche nei casi impossibili e Avvocata nei casi disperati, fate che Dio mi liberi dalla mia presente afflizione......., e allontani l'ansietà, che preme così forte sopra il mio cuore. Per l'angoscia, che voi sperimentaste in tante simili occasioni, abbiate compassione della mia persona a voi devota, che confidentemente domanda il vostro intervento presso il Divin Cuore del nostro Gesù Crocifisso. O cara Santa Rita, guidate le mie intenzioni in queste mie umili preghiere e ferventi desideri. Emendando la mia passata vita peccatrice e ottenendo il perdono di tutti i miei peccati, ho la dolce speranza di godere un giorno Dio in paradiso insieme con voi per tutta l'eternità. Così sia. Santa Rita, Patrona dei casi disperati, pregate per noi. Santa Rita, Avvocata dei casi impossibili, intercedete per noi. 3 Pater, Ave e Gloria. Alcuni miracoli Il miracolo della Spina. Era il Venerdì Santo del 1432, S. Rita tornò in Convento profondamente turbata, dopo aver sentito un predicatore rievocare con ardore le sofferenze della morte di Gesù e rimase a pregare davanti al crocefisso in contemplazione. In uno slancio di amore S. Rita chiese a Gesù di condividere almeno in parte la Sue sofferenze. Avvenne allora il prodigio: S. Rita fu trafitta da una delle spine della corona di Gesù, che la colpi alla fronte. Fu uno spasimo senza fine. S. Rita portò in fronte la piaga per 15 anni come sigillo di amore. Il Prodigio della rosa. A circa 5 mesi dal trapasso di Rita, un giorno di inverno con la temperatura rigida e un manto nevoso copriva ogni cosa, una parente le fece visita e nel congedarsi chiese alla Santa se desiderava qualche cosa, Rita rispose che avrebbe desiderato una rosa dal suo orto. Tornata a Roccaporena la parente si reco nell'orticello e grande fu la meraviglia quando vide una bellissima rosa sbocciata, la colse e la portò a Rita. Cosi S. Rita divenne la Santa della "Spina" e la Santa della "Rosa". Il corpo di Santa Rita. Il corpo di Rita non è mai stato sepolto, proprio per il forte culto nato immediatamente dopo la sua morte. Da subito, infatti, grazie alle sue virtù, cominciano ad arrivare gli ex voto portati dai devoti. Vedendo tanta venerazione, le monache, decidono di riporre il santo corpo in una cassa. È a questo punto che Mastro Cecco Barbari s’incarica di costruire (più probabile: far costruire) la prima bara detta “cassa umile”. Tra le carte del processo, si legge che: «dopo morta, dovendosi fare una cassa per riporre il corpo della Beata per li tanti miracoli che faceva, né trovandosi chi la facesse, un certo mastro Cicco Barbaro da Cascia, concorso se con le altre genti in detta chiesa per vedere il corpo della beata, ch’era struppio delle mani, disse “o’ se io non fussi struppiato, la farei io questa cassa”, e che dopo dette parole restò sano delle mani e fece la cassa…».Mastro Cecco, nel vedere il corpo di Rita, immediatamente guarisce. Questa testimonianza ha un grande rilievo storico perché ci fa capire con chiarezza che la Beata, appena morta, viene portata nella chiesa senza cassa, sicuramente avvolta in un lenzuolo, per essere poi sepolta nel loculo delle monache. Ma la gente accorre continuamente per venerarla, impedendo così che le sue consorelle procedano al rito della sepoltura. Il corpo, quindi, resta così per qualche tempo e, intanto, si diffonde la voce che Rita compia dei miracoli. Sempre nel 1457, a causa di un incendio divampato nell’oratorio, la cassa e il corpo rimasti intatti, vengono messi nel sarcofago, conosciuto come “cassa solenne”. Probabilmente, anche questa cassa viene fatta dallo stesso Cecco Barbari come ex voto oppure su commissione della sua famiglia, devotissima alla Beata. Questa cassa solenne, fatta a soli dieci anni di distanza dal trapasso di Rita, mostra la sua fama di santità già diffusa. Sopra, viene inserito un epitaffio commemorativo. Il corpo di Santa Rita viene poi spostato ulteriormente, fino a giungere nella bellissima cappella dentro la Basilica a lei intitolata. Oggi, la cassa umile si trova custodita all’interno della cassa solenne, nella cella di Santa Rita, visibile durante le visite al Monastero. (1) Vita di Santa Rita. Santa Rita da Cascia, al secolo Margherita Lotti, nata a Roccaporena (Cascia) attorno al 1380, è forse la donna più amata della Cristianità, seconda soltanto a Maria SS., la Madre di Dio. Santa Rita è così amata e venerata dal popolo forse perché la gente la sente molto vicina a sé, per la "normalità" dell'esistenza quotidiana da lei vissuta (pur costellata da molti eventi straordinari), prima come sposa e madre, poi come vedova e infine come monaca agostiniana. Gli ultimi 40 anni della sua vita Rita li visse proprio come monaca, in assidua contemplazione, penitenza e preghiera, completamente dedita al Signore. S. Rita prima di chiudere gli occhi per sempre, ebbe la visione di Gesù e della Vergine Maria che la invitavano in Paradiso. Una sua consorella vide la sua anima salire al cielo accompagnata dagli Angeli e contemporaneamente le campane della chiesa si misero a suonare da sole, mentre un profumo soavissimo si spanse per tutto il Monastero e dalla sua camera si vide risplendere una luce luminosa come se vi fosse entrato il Sole. Era il 22 Maggio del 1447. Dopo la sua morte, la venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli crebbe vertiginosamente, sopratutto grazie al grandissimo numero e alla "qualità" degli eventi prodigiosi riferiti alla sua intercessione, tanto da acquisirsi l'allocuzione di "Santa degli impossibili". La sua Beatificazione è avvenuta nel 1628 e la sua Canonizzazione nel 1900 per mano di Papa Leone XIII. (1) https://santaritadacascia.org/la-santa/vita/
  19. Le ultime parole che Gesù disse ai suoi discepoli furono: “Fate miei discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). E al momento della Pentecoste gli Apostoli parlarono in tutte le lingue, potendo così manifestare, per la forza dello Spirito Santo, tutta l’ampiezza della loro fede. Ma vale davvero ancora? – si chiedono in molti, oggi, dentro e fuori la Chiesa – davvero la missione è ancora attuale? Non sarebbe più appropriato incontrarsi nel dialogo tra le religioni e servire insieme la causa della pace nel mondo? La contro-domanda è: il dialogo può sostituire la missione? Oggi in molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà. La questione della verità, quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi. Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo. E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino. La gioia esige di essere comunicata. L’amore esige di essere comunicato. La verità esige di essere comunicata. Chi ha ricevuto una grande gioia, non può tenerla semplicemente per sé, deve trasmetterla. Lo stesso vale per il dono dell’amore, per il dono del riconoscimento della verità che si manifesta. * Oggi noi pregheremo come i cristiani hanno sempre fatto, perché la Luce di Cristo arrivi a illuminare le menti ed a santificare le anime di coloro che non credono, di coloro che non conoscono Gesù Cristo . ETERNO Iddio, Creatore di Tutte le cose, ricordatevi che Voi solo creaste le anime degli infedeli e le faceste ad immagine e similitudine vostra. Mirate, o Signore, come si riempie di quelle l'inferno e ricordatevi che il vostro Figliuolo Gesù Cristo sparse tutto il Suo Sangue e tanto patì per esse. Non permettete che il vostro Figliolo e Signor nostro sia più lungamente sprezzato dagli infedeli e dai peccatori, ma, anzi placato dalle orazioni della Chiesa, che del benedetto vostro Figliuolo è la carissima Sposa, movetevi a pietà di loro, e, dimenticando la loro idolatria, infedeltà e malizia, fate che amino anch'essi di tutto cuore il comun Redentore Gesù Cristo, che è la nostra vita e la nostra resurrezione, l'autore e il conservatore della nostra libertà e di ogni nostro bene a cui sia gloria e benedizione per tutti i secoli dei secoli. Così sia *Benedetto XVI. Messaggio per l’intitolazione dell’Aula Magna ristrutturata della Pontificia Università Urbaniana, il 21 ottobre 2014
  20. Mons. Nicola Bux (qui Profilo Wikipedia) rilascia una intervista a Il Giornale. Già stretto collaboratore di Papa Benedetto XVI, è stato per lunghi anni a Gerusalemme ed ha conosciuto da vicino la cultura orientale. Mons. Bux, possibile che Silvia Romano sia stata convertita o magari sia stata manipolata dagli islamici? La giovane sostiene che la sua adesione all'islam sia stata una scelta spontanea.. Il concilio ricorda che la libertà religiosa riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile. Ma anche che ciò lascia intatta la Dottrina Cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la Vera religione e l'unica chiesa di Cristo. Una persona cosciente del suo battesimo conosce tutto questo. Le risulta normale che una persona finita nelle mani di estremisti islamici finisca per convertirsi? Dipende dal soggetto. Un cattolico dalla coscienza ben formata sa qual è la vera religione e, di conseguenza, che il suo abbandono, cioè l'apostasia è uno dei peccati più gravi. Si badi che l'islam punisce l'apostasia con la morte. Pertanto, il vero cristiano non teme il martirio per Gesù Cristo. Se invece la coscienza non fosse ben formata o facesse ciò per ignoranza, esiste l'attenuante davanti a Dio. Quale messaggio per l'identità europea arriva dalla storia di Silvia Romano? Ricordo un documentario prodotto dalla Rai dieci anni fa. L'indimenticabile Luca De Mata lo intitolò Dio: pace o dominio, perché dal reportage in giro per l'Europa aveva ricavato che l'islam stesse avanzando scaltramente, presentandosi come religione di pace, in realtà puntando al dominio del continente. Celebre l'avvertimento dell'allora vescovo di Izmir (Smirne, ndr) agli europei: i promotori islamici dell'immigrazione in Europa pensano: con le vostre leggi vi invaderemo, con la sharia vi sottometteremo. Che vi cooperino gli europei, è masochismo. La Rai dovrebbe riproporre quel documentario in cinque puntate. Teme per i cattolici in giro per il mondo? Dalle statistiche è noto che il cristianesimo cattolico è la religione più perseguitata al globo. Ma i cristiani non temono la persecuzione, perché è la condizione ordinaria del cristianesimo. Gesù Cristo ha detto: "Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". Perciò il cristianesimo vince sempre quando è sconfitto. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli lo dovrebbero sapere a memoria, non solo, ma anche che alla fine solo la croce di Cristo vince. Lo ricorda Giovanni Paolo II nell'enciclica missionaria Redemptoris missio. Quindi? Quindi, i programmi di neo-umanesimo, di fratellanza universale, di dialogo interreligioso senza Cristo, sono destinati al fallimento. Meglio farebbero le chiese europee a spendere tutte le forze, anche finanziarie, anzi la loro vita, nell'unico compito che Cristo ha affidato loro: far conoscere il Vangelo a tutte le genti e chiamarle a conversione. Solo l'estensione della fede cattolica può compattare il globo secondo i tempi di Dio. Questo passerà attraverso la persecuzione, la Croce, la vera "teologia della liberazione". Esistono fenomeni di proselitismo studiati ad hoc? Magari adatti pure per gli europei che fanno cooperazione all'estero? Circa vent'anni fa, ho conosciuto ad Amman dei giovani sauditi che ogni tre mesi, muniti di visto, uscivano dall'Arabia per venire a catechizzarsi per diventare cristiani. Mi mostrarono il materiale propagandistico stampato in arabo, che dal loro paese veniva inviato fino a Londra, documentando il piano di dominio islamico in Europa. Per attuarlo è necessaria l'immigrazione ma anche il proselitismo tra gli europei, specialmente delle Ong, in cui l'identità cristiana o è inesistente o è annacquata. Oggi sappiamo che Londra è in gran parte musulmana, complice anche la pressoché totale sparizione degli anglicani. Ma c'è una pattuglia di cattolici che resiste e vincerà, a costo del martirio. Silvia ha scelto di chiamarsi Aisha, come una delle mogli di Maometto... Chissà se prima di cambiar nome e credo, sapeva che Santa Silvia è la madre di San Gregorio Magno. E chissà se conosce quanto conclude uno studioso di prima grandezza, dell'islam e della tradizione araba cristiana, della cui amicizia mi onoro, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir - citando il Corano al versetto 228 della sura della Vacca e al 34 di quella delle Donne: "Mentre nella concezione cristiana l'uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità,in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani, che presentano il ruolo della donna nell'Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all'uomo e deve sottostare a lui".
  21. Dal 18 maggio si potrà tornare a messa con una minuziosa regolamentazione degli ingressi e delle fasi della celebrazione: la misurazione della temperatura all’ingresso, l’obbligo di mascherina, i posti contingentati e l’ostia da distribuire con i guanti. Don Leoni non ci sta e dal pulpito della chiesa di Pozzo, che diventa anche una tribuna virtuale, tuona: "Premetto che rispetterò quelle che saranno le disposizioni del nostro Vescovo ma mi rifiuto di pensare che la Comunione si possa dare con i guanti – ha scandito nell’omelia di domenica – l’Ostia è il corpo di Cristo, non si può pensare che un prete si debba comportare come chi prepara un panino all’alimentari". Il capitano Leoni diventato don Daniele affida alle dirette delle ultime omelie, ancora visibili sul social network (qui il profilo Facebook), il suo pensiero. “Il ministero dell’Interno – afferma il parroco di Pozzo e Cesa in un altro passaggio – non può stabilire, anche con il via libera della Cei, cosa si può fare e cosa no durante le celebrazioni”. Don Daniele Leoni è stato nell’ esercito per 19 anni, partecipando a missioni all’ estero in Albania, Kosovo, Serbia e Iraq. Poi si è arreso alla chiamata ricevuta: «Mi sono accorto che i momenti di pace vera li trascorrevo con il Signore». Trovate la sua storia su Famiglia Cristiana. Qui un estratto significativo della intervista. “La mia vita era bellissima, ma i momenti di pace vera li sperimentavo solo quando stavo con il Signore. Allora mi arresi ed entrai nuovamente in seminario. Adesso eccomi qua. Prima offrivo servizio a una nazione, adesso a tutti gli uomini. Non è più un aiuto relegato a questa vita, ma che punta alla vita eterna, dove fonte di ogni forza è Cristo. Il nostro combattimento adesso non è contro le potenze della terra, ma contro le potenze del male. Satana è più che mai attivo e porta avanti la sua strategia agendo contro la fede e contro la famiglia”. Se si chiede a don Daniele cosa direbbe alle persone scandalizzate del suo passato di militare, risponde: “Dovrebbero leggere il Vangelo. L’esempio di fede più grande che il Signore trova in tutto Israele è quello di un centurione romano. Un soldato che ferisce Gesù al petto come segno di rispetto. Lui, esperto della morte, riconosce nella morte di Cristo la sua dignità e regalità. Cristo agli occhi del centurione è morto come un eroe”. Fonte La Nazione
  22. Scriviamo questo pezzo a poche ore dalla sottoscrizione del Protocollo tra Governo Italiano e Conferenza Episcopale Italiana. Lo trovate qui Protocollo Governo-CEI Ci limiteremo inoltre alla parte essenziale, per non perderci su altro, che invece non lo sarebbe, sebbene di rilievo. Ci focalizzeremo sulla Santa Eucarestia, il motivo principale per cui ci rechiamo alla Santa Messa e tanto attendiamo il ritorno alla "normalità". Ricordiamo a tutti che la Santa Eucaristia è essenziale, primo fra tutti i Sacramenti, che sono la Via di ordinaria Salvezza dell'anima. Dal Catechismo della Chiesa Cattolica "1331 [...] mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo; viene inoltre chiamato le cose sante – è il significato originale dell'espressione « comunione dei santi » di cui parla il Simbolo degli Apostoli –, pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d'immortalità, viatico [...]". In particolare, i cattolici sanno che è nella Transustanziazione che tutto è incardinato; sempre dal Catechismo della Chiesa Cattolica: "1377 La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo." Detto questo, ha lasciato basiti leggere il testo del protocollo, sottoscritto dal Presidente della CEI, Cardinal Bassetti, che qui si riporta: "3.4. La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso; gli stessi — indossando la mascherina, avendo massima attenzione a coprirsi naso e bocca e mantenendo un’adeguata distanza di sicurezza – abbiano cura di offrire l’ostia senza venire a contatto con le mani dei fedeli." Non vogliamo ritenere, come alcuni fanno, che ricevere la Santa Comunione in bocca sia vietato, non viene scritto e non lo crediamo. Ma leggiamo che si vuole profanare il Corpo e Sangue di Cristo con dei "guanti monouso"; in primis, la tipologia di oggetto è quanto di più miseramente freddo ed meccanico si possa pensare, desacralizzante alla sola vista, quasi fossimo di fronte a dei sanitari, burocrati della consumazione di Ostie. Ma, cosa ancor più grave è che i guanti sono "usa e getta", il che implica che un oggetto che è venuto a diretto contatto con il Corpo e Sangue di Cristo verrà preso e buttato nel cestino dell'immondizia, dove il Catechismo dice: "Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo". Cosa si sta buttando quindi in quel cestino? Cosa va in discarica insieme ai guanti monouso? Razionalmente non farebbe, forse, una piega in tempi di epidemia questo "kit" . Ma la domanda è: la Transustanziazione è vera o no? Il clero che sottoscrive quel protocollo è consapevole della domanda che si erge come un macigno? Io credo nella Transustanziazione solo per fede, essendo qualcosa che va oltre la ragione. Se Essa viene meno, viene meno un pilastro della Fede e quindi viene giù tutto. Altrimenti, se è Vera, come lo è, abbiamo un grosso problema. Eppure la Chiesa ha affrontato per duemila anni le medesime problematiche. Nel Medioevo, ad esempio, erano presenti le "pinze liturgiche". A Roma esse sono ricordate nell’Ordo del vescovo Pietro Amelio, nella seconda metà del XIV secolo, che conferma l’uso papale di trasferire le ostie consacrate dal calice alla pisside mediante le pinze d’oro e precisa che è stato introdotto per rispetto verso le sacre specie e per non toccarle direttamente. Probabilmente era anche strumento per dare la comunione ai lebbrosi. Ma tanti altri strumenti sono stati valutati proprio in funzione della Presenza Reale. Vi invitiamo a leggere anche Utensili eucaristici in tempi di covid-19 dal blog della Scuola Ecclesia Mater dove sono riportati svariati modi, degni e decorosi; Con la volontà, se si ha desiderio profondo, le soluzioni si possono trovare. I tempi per affrontare questa situazione fino al giorno della "riapertura" ci sono tutti. I Santi Sacerdoti che avranno questi stessi timori, ci sono, e non sono pochi. La richiesta va a loro terrenamente e, siccome nulla si ottiene se non per Grazia di Dio, a Lui va la nostra e, speriamo la vostra preghiera, che illumini le menti e muova i cuori. In Corde Jesu, Claudio
  23. Libera traduzione da Catholic News Agency del 5 Maggio 2020. (Claudio) Una parrocchia nel West End di Londra offre l'Adorazione ai senzatetto, l'accesso ai Sacramenti e [la recita del] Santo Rosario, insieme al cibo fornito da un ristorante a cinque stelle. La Chiesa di San Patrizio a Soho, una zona nota per la sua vita notturna e il quartiere a luci rosse, offre un Ministero di riguardo ai senzatetto, mentre la capitale lotta per far fronte alla pandemia di coronavirus. P. Alexander Sherbrooke ha affermato di avere "una forte percezione del fatto che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade" in risposta alla crisi. Quando la città ha iniziato a chiudere tutte le proprie attività a metà marzo, il Consiglio comunale di Westminster si è rivolto a P. Sherbrooke, che coordina il servizio quotidiano di servizio ai senzatetto sin da quando giunse in parrocchia nel 2001, e gli ha chiesto, come responsabile della parrocchia di St. Patrick, di aumentare significativamente la fornitura di cibo per i senzatetto, cercando anche di ospitare coloro che vivevano per le strade. La parrocchia, fondata nel 1792, aveva già in precedenza sfamato i senzatetto nel suo centro parrocchiale. Ma dopo che alle chiese cattoliche di tutto il paese è stato ordinato di chiudere a causa del virus, la stessa parrocchia di St. Patrick è stata costretta ad improvvisare. Inizialmente ha cominciato a servire il cibo per senzatetto due volte al giorno, dal lunedì alla domenica. "Nella maggior parte dei giorni forniamo fino a 320 pasti", ha spiegato P. Sherbrooke. "In media, probabilmente vediamo 220 persone al giorno, alcune delle quali vengono sia a pranzo che a cena.". Il cibo caldo viene fornito dal Connaught Hotel, un ristorante a cinque stelle nel ricco quartiere di Mayfair a Londra, nonché dal ristorante Wiltons in Jermyn Street. La catena Pret a Manger fornisce sandwich. "È un'operazione molto complessa e ci impegniamo ad essere molto diligenti nel preservare le distanze sociali, l'igiene personale, l'igiene alimentare, ecc.", ha detto il sacerdote. “Abbiamo un buon numero di volontari. Continuiamo anche a fornire una doccia e servizi igienici". P. Sherbrooke ha anche spiegato che i senzatetto nel West End vivono di carità, nei pressi dei flussi di persone generati da aziende, ristoranti e teatri locali. "Non c'è nulla di tutto ciò adesso", ha detto. "È incredibilmente vuoto e può essere abbastanza pericoloso, soprattutto di notte.". "Il West End ha molte persone dipendenti dall'alcool e dalle droghe e senza la loro normale fonte di reddito, questo può creare una situazione instabile. La polizia è molto presente, ma il West End è molto inospitale, a volte minaccioso e non molto piacevole. ". "Sono stato in parrocchia per circa 17 anni, durante i quali gran parte del mio tempo è stato dedicato alla pastorale per i bisognosi. Ma nulla mi ha davvero preparato ad affrontare quello che viviamo in questo momento. " I volontari di San Patrizio sono determinati ad alleviare la privazione sia spirituale che fisica. Man mano che il cibo viene distribuito, pregano davanti al Santissimo Sacramento in una vicina tenda per l'Adorazione, osservando le distanze di sicurezza. P. Sherbrooke è sempre disponibile per i visitatori che cercano un incontro sacramentale, seduti a distanza di sicurezza e dietro un lenzuolo bianco. C'è anche una tenda in cui viene offerta la lectio divina. "Questa organizzazione è arrivata in gran parte come risposta alla richiesta delle autorità locali", ha detto P. Sherbrooke. “Abbiamo una lunga tradizione di carità e sostegno alimentare alle persone. Ma, in una maniera molto strana, la Chiesa, dall'essere una realtà fisica dietro quattro mura, è ora diventata una realtà per strada. ” P. Sherbrooke, che cita come fonte di ispirazione San Damiano di Molokai e Madre Teresa, ed ha continuato: "Stiamo contribuendo a dare una cura spirituale e pastorale, ed ho la netta sensazione che lo Spirito Santo stia letteralmente costruendo una Chiesa per le strade. C'è la lectio divina. C'è Adorazione, Confessione, Santo Rosario, ecc. Andiamo dalle persone, parliamo con loro, distribuendo Coroncine del Rosario e condividendo il Vangelo. Quindi c'è una vera opera di evangelizzazione in corso ”. I volontari distribuiscono anche un foglio ogni settimana con riflessioni, letture delle Scritture e consigli su come pregare. "Quindi stiamo mettendo in atto una vera e propria catechesi dei poveri", ha detto P. Sherbrooke. “È proprio vero che in questa terribile situazione emergenziale di contagio, Dio sta permettendo di vivere la Chiesa in maniera evangelica e semplice. Tutto ciò non è avvenuto attraverso pianificazione, ma attraverso la Provvidenza di Dio ”. Ha osservato anche che, nonostante gli attuali pericoli, i volontari hanno provato un forte senso di protezione soprannaturale. "Personalmente, direi che anche il non aver contratto [il virus] - data la realtà della situazione qui nel quartiere - è che ogni giorno prego che il Preziosissimo Sangue di Gesù venga nel mio cuore, nelle mie vene , nei miei polmoni e proteggimi dal virus in modo che io possa fare questo lavoro ", ha aggiunto P. Sherbrooke. Nel 2011, San Patrizio ha riaperto dopo un progetto di restauro da 4 milioni di sterline, che includeva lo scavo del seminterrato e la creazione del centro parrocchiale, situato sotto la chiesa. Il cibo per i senzatetto viene ora preparato lì ogni giorno. "È quasi come se Dio avesse creato questa parrocchia per quest'opera in questo momento", ha detto Sherbrooke.
  24. di Manuela Antonacci su Europa Cristiana. L’arte, pur non appartenendo alle scienze esatte, può avere valore assoluto? Ci sono opere che costituiscono la risposta a questa domanda: l’arte che pone al centro Dio pone le sue fondamenta nell’Assoluto per eccellenza e diventa intuizione pura e immediata di quel «motore immobile», per dirla con Aristotele, quel polo di attrazione dell’universo, oggetto d’amore, principio e fine di ogni cosa, diventando così una porta verso l’Infinito, secondo la concezione di Bellezza, incarnata anche in questo splendido filmato sulla Messa in rito romano antico, ritratta in tutta la sua solennità e in tutto il suo splendore. Stiamo parlando dell’ultimo video di Roberto Bonaventura – maestro d’arte, compositore di Luciano Pavarotti, scrittore, editore musicale e interprete – Deus Caritas Est. La S. Messa: il Miracolo dei miracoli, la cui sinfonia venne composta oltre 10 anni fa per un progetto musicale inciso in uno degli studi di registrazione più famosi del mondo, l’Air Studios di Londra con una delle orchestre più importanti a livello internazionale e ora facilmente reperibile in rete: Girato a Ferrara, a Santa Maria in Vado, santuario eucaristico e mariano con la partecipazione e l’aiuto della fraternità Familia Christi – il sacerdote che, nel video, celebra insieme ai ministranti e agli altri sacerdoti sono stati commissariati di recente – il bel lavoro del maestro, intende rappresentare l’effetto, il valore salvifico e il Miracolo che avviene nella Santa Messa, con particolare riferimento a quella in rito romano antico che, come sottolinea Bonaventura, rappresenta il sublime incontro della indefettibile Teologia e della Bellezza. Ma il lavoro del maestro intende evidenziare anche la grandezza e la maestosità del sacerdozio che, nella liturgia vetus ordo, sottolinea; si può riscoprire veramente nel suo agire in persona Christi e che nel video viene eloquentemente rappresentato attraverso le piaghe con il segno dei chiodi che improvvisamente si aprono sulle mani del celebrante, al momento della consacrazione, scena che osserva attonito uno dei fedeli che assiste anche alla trasfigurazione del volto del sacerdote in quello di Cristo coronato di spine. Ed è proprio contemplando Gesù Cristo nella persona del celebrante, attraverso cui vede rinnovarsi, sotto i suoi occhi, il sacrificio compiuto sul Calvario, che avviene in lui una profonda trasformazione interiore, fino al punto da spingerlo ad abbracciare la vocazione sacerdotale, a sua volta. Il senso di questo filmato è quello di rappresentare un contesto “mediatico” particolare nel quale far emergere ancora una volta che, per dirla con Corrado Gnerre, la Messa tridentina non è vera perché è bella, ma è bella perché è vera e indubbiamente dall’esprimere la verità di Dio deriva tutto il suo splendore e che essa è il rito per eccellenza in quanto poggia l’armonia e l’unità di tutti i suoi elementi sulla realtà del Sacrificio della Croce, verso cui essi tendono in modo visibile e “sensibile” (gesti, parole, silenzio…). Insomma, sulla base di queste considerazioni, possiamo veramente dire che il lavoro di Roberto Bonaventura è un esempio di come l’arte, se messa al servizio di Dio, non può che risultare innervata di questo suo slancio trascendente, conservando ed esprimendo la sua naturale tensione razionale verso un Tu capace di plasmarla e darle significato. Un’impresa audace, oggigiorno, che merita di essere diffusa e conosciuta.
  25. “Il successo di Pinocchio è un enigma straordinario. Nacque per caso, scritto di malavoglia per un giornale di bambini, a puntate irregolari e interrotto due volte, la prima con la convinzione di concluderlo per sempre. E invece è l'unico libro uscito in Italia dopo l'unità che abbia avuto un successo mondiale. La spiegazione è una sola. Contiene un messaggio eterno, che tocca le fibre del cuore di tutti gli uomini di ogni cultura”. Secondo il Card. Biffi, passato a vita eterna il 2 Maggio di qualche anno fa, il messaggio di Pinocchio era profondamente cattolico. La Fata Turchina? «È la salvezza donata dall'alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna». Lucignolo? «È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L'inferno c'è, anche se oggi lo si predica poco». E il diavolo dov'è? «Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l'Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio». «Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana – spiega il cardinale Biffi – comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero”. La storia del racconto-fiaba è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino. Le avventure di Pinocchio raccontano la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza. La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti, è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo ed esiste un’oggettiva concordanza di struttura tra la fiaba e l’ortodossia cattolica. Le sette verità fondamentali di Pinocchio illuminano tutta la vicenda umana dall’origine dell’artefice creatore. Pinocchio, creatura legnosa, è costruito come una cosa ma è chiamato subito “figlio” dal suo creatore. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da un gratuito, imprevedibile amore. 1) Il mistero di un creatore che vuole essere padre Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore. Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità. 2) Il mistero del male interioreIn questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21). Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19). 3) Il mistero del male esteriore all’uomo La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico: «Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31). 4) Il mistero della mediazione redentiva L’ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l’orgogliosa affermazione dell’autoredenzione dell’uomo: l’uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto. Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l’illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle. 5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà. Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore. Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo. 6) Il mistero della trasnaturazione Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia. Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo. 7) Il mistero del duplice destino La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due: se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione. Verità cristiane Queste sette convinzioni, si è visto, sono affermate e concIamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne.Orbene, è anche fuori dubbio che esse siano sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè: La nostra origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli Il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male Il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina La mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza Il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione Il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio I due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere. Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell’esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino. Ascoltate dalle sue parole e pregate per la sua anima. Ne sarà contento.
×
×
  • Crea Nuovo...

Important Information

Informativa Privacy