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  1. Don Alberto Strumia:

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  3. Non ci accorgiamo più che abbiamo messo Dio sotto i piedi - Omelia don Nicola Bux Corpus Domini 2022

    Sia lodato Gesù Cristo. Nel Vangelo (Gv 6,56-59), Gesù richiama l'episodio dell'Antico Testamento quando, nel deserto, gli ebrei affamati, non avendo possibilità di confezionare il pane, videro cadere dal Cielo un alimento simile al pane che suscitò in loro la domanda Man hu? - cos'è questo? Di qui viene il termine manna. 
    Quindi, la questione di come potesse Gesù apprestare un pane celeste, se l’erano già posta gli israeliti, non riuscendo a comprendere come dal cielo potesse scendere qualcosa di simile al pane; grazie a quell'alimento, gli ebrei sopravvissero per quarant'anni dopo la liberazione in Egitto, finché non giunsero alla Terra Promessa. Questo fatto è simbolo di che cosa? Della nostra traversata, della nostra vita; a volte viviamo più di quarant'anni, ma non è molto diverso: ogni giorno è una traversata del deserto, con tutte le tentazioni che il deserto riserva. Nel posto di lavoro, nella famiglia, nel mondo: le opinioni più variopinte cui sei sottoposto sono spesso tentazioni e, per poter resistere ad esse, il Signore ci dà un pane, disceso dal cielo che, a guardarlo, sembra banale. Infatti, l'ostia che noi riceviamo nella Comunione, in apparenza, non dice quasi nulla, eppure il Signore ha detto - e qui si è giocato tutto perché come sappiamo, molti dei suoi discepoli se ne andarono dopo averlo ascoltato – “Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita”. Il discorso che l'evangelista Giovanni riporta nel capitolo sesto, riprende e approfondisce le parole del Signore: per oltrepassare la morte, bisogna nutrirsi di Lui; chi non mangia di questo Corpo e di questo Sangue rimarrà nella morte ovvero risusciterà per la dannazione eterna. Chi, invece, se ne nutrirà, Egli lo risusciterà per la Vita Eterna; qui la promessa del Signore ha raggiunto il culmine. 
    Ma, non è altro che la conseguenza ultima del fatto che Dio è venuto nel mondo, si è fatto carne, è entrato nella nostra condizione umana; quindi, la Carne e il Sangue assunti da Dio, non sono come la carne e il sangue nostri: sono la Carne e il Sangue divinizzati da Dio. In definitiva, quando noi assumiamo questa Carne e questo Sangue, noi immettiamo la divinità in noi e questa divinità pian piano ci trasforma e ci farà resuscitare nel giorno del Giudizio. Pensate un po': come si può superare la morte!  
    Giustamente, i Santi e i dottori che hanno riflettuto su queste parole di Cristo, su questa promessa di Cristo, hanno definito la Carne e il Sangue del Signore farmaco d’immortalità. E’ un alimento che estende a tutto il nostro essere l’immortalità, non solo l’anima ma anche il corpo. Pertanto, come tutti i farmaci speciali che noi in questo mondo assumiamo quando siamo malati, dobbiamo stare molto attenti: i farmaci, si chiamano così perché derivano dalla parola greca pharmakon che vuol dire veleno - anche se noi oggi la intendiamo come rimedio curativo. 
    Naturalmente, può accadere che un farmaco diventi veleno. Lo dicono le avvertenze del foglietto illustrativo. Bisogna stare attenti quando si assume. Ci sono delle condizioni affinché faccia effetto. Analogamente il Sacramento Eucaristico che Cristo ha istituito ha i suoi effetti: l'effetto fondamentale è che ci trasforma pian piano in Lui medesimo. Quindi ci fa passare pian piano quasi senz’accorgercene dalla morte alla vita, già in questo mondo, a condizione che ci lasciamo trasformare e non resistiamo o addirittura assumiamo questo Sacramento in situazioni controindicate che finiscono per trasformarlo in veleno, come dice San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver descritto come egli ha ricevuto questo Sacramento e come lo trasmette. L'Apostolo, è come se dicesse: non sono il padrone del Sacramento, non lo posso manipolare, in nessun senso: come l'ho ricevuto così lo devo trasmettere. Ricorda le parole che Gesù ha detto sul pane sul vino: “questo è il mio Corpo”, “questo è il mio Sangue” e poi aggiunge: “state attenti a come lo ricevete, perché se lo riceverete in modo indegno”, cioè in stato di peccato, “assumerete la vostra condanna. Ed è per questo che tra voi molti sono malati e tanti muoiono” (11,29-30). Allora, non è un pane qualsiasi, non è una bevanda usuale: è qualcosa di inusitato, di divino, anche se a noi si presenta sotto l'apparenza abbastanza semplice, del pane e del vino. 
    La sequenza che abbiamo cantato, composta da San Tommaso d'Aquino, Lauda Sion, in una strofa lo dice con chiarezza:  “sotto quello che vedi si nasconde qualcosa di sublime”. Poi, sta’ attento, perché l'esito di chi assume la stessa Comunione è opposto: se la assume il malvagio, l’esito è cattivo, se la assume il buono, l’esito è salutare. Quindi non prenderlo come se fosse un pezzo di pane comune; non appena è un alimento, è “panis vivus et vitalis”, cioè rimedio alla morte, appunto un farmaco: può avere un effetto negativo se tu lo assumi in condizioni negative, in disgrazia di Dio, non hai confessato i tuoi peccati, non hai fatto penitenza, quindi non sei riconciliato con Lui. Un esempio ricorrente: mentre assisti alla Messa, il tuo cellulare squilla e corri fuori per rispondere. Che hai fatto? Hai interrotto il tuo ascolto, il tuo colloquio col Signore per rispondere ad un’altro. Questo è uno dei peccati più gravi che si possa fare: peccato d’idolatria - contro il primo comandamento: “Io sono  il Signore Dio tuo, non altri”. Noi, invece, abbiamo anteposto l’uomo a Dio! Il contrario di ciò che prescrivono Cipriano e Benedetto. Non ci accorgiamo che abbiamo messo Dio sotto i piedi. E quindi diamo spazio all'umano, che è ciò che ci conduce alla morte e alla dannazione. L'idolatria, di cui i profeti spesso accusavano gli israeliti, è qualcosa di terribile perché si attacca a noi senza accorgersene, perché viviamo condizionati dal materialismo e dall’edonismo e quindi si è attaccato a noi questo virus che, giorno dopo giorno, ci corrode fino a che non moriamo; anche se apparentemente viviamo, siamo  ‘biologici’, esistiamo fisicamente, come zombies; non siamo ‘zoofori’ cioè anime viventi e portatori di vita: ecco il dramma della società contemporanea, da cui dobbiamo stare in guardia, se vogliamo salvare la nostra anima. 
    Gesù Cristo ha voluto giungere al supremo Sacrificio di sé per farci comprendere a cosa dobbiamo rinunciare, se vogliamo vivere. Dobbiamo rinunciare al nostro io se vogliamo che Dio viva in noi ma, se andremo dietro al nostro io, volessimo salvare il nostro io, allora noi moriremo, ma non della morte temporanea, quella che viene quando chiudiamo gli occhi, ma della morte eterna: la dannazione dell’inferno. Sono le parole del Signore che condanna chi mangia la Carne e beve il Sangue in maniera indegna. 
    Cari fratelli e sorelle, questa festa del Corpus Domini, come sapete, è nata dall’atto di un incredulo, di un prete - guardate un po’ -, uno potrebbe dire: “i preti sono increduli?” Beh, è accaduto e accade che siamo i primi che non hanno fede. Non c'è da stupirsi. Il sacerdote boemo, Pietro da Praga, aveva dubbi sulla presenza reale; mentre celebrava la Messa, quei dubbi lo assalirono, nel momento culminante, quando il celebrante dice le parole di Cristo. Non sono parole sue: sono parole di Cristo, noi semplicemente prestiamo a Cristo la voce, niente altro; a quelle parole i dubbi di quel prete sulla reale possibilità che il pane fosse la Carne di Cristo e che il vino fosse il suo Sangue, lo assalirono. Però accadde l'imprevisto: vide nelle sue mani l’ostia sanguinare e macchiare il corporale - il lino quadrato che si ripiega in quattro parti e si mette sotto le sacre specie, e i gradini dell’altare e il pavimento. Era il 1263. Mensa e Corporale si ammirano a Bolsena e a Orvieto, nello stupendo duomo edificato oltre vent’anni dopo nel 1290, e che costituisce una sorta di grande reliquiario. 
    La notizia si diffuse e, secondo la tradizione, il sacerdote che, spaventato, aveva avvolto tutto nel corporale per nascondere l’accaduto, si recò dal papa Urbano IV che si trovava a Orvieto in quel momento; questi mandò il vescovo a Bolsena per verificarlo. Così si constatò il miracolo eucaristico e, per celebrarlo - non era il primo e non è stato nemmeno l'ultimo – ma il più celebre, un anno dopo, con Bolla dell’11 agosto 1264, il papa estese alla Chiesa universale la festa del Corpus Domini. Papa Urbano IV incaricò Tommaso D’Aquino, di comporre la Messa e l'Ufficio del Corpus Domini. Egli non era solo un grande teologo, ma anche un uomo di grande fede, di mistica devozione, che faceva teologia in ginocchio, cioè in adorazione. 
    In conclusione, ricordiamoci che noi non viviamo per noi stessi, ma per Uno che è morto e risorto per noi, come dice l’Apostolo. E che il senso della nostra vita e il nostro destino dipende dal nostro dire “Tu” a Gesù Cristo. Se noi impareremo a dire “Tu” a Gesù Cristo e a trarne le conseguenze, la nostra vita cambierà, metteremo da parte tante cose dietro cui andiamo ogni giorno, che sono frutto spesso di psicologismi, capricci, velleità: niente altro che le tentazioni del demonio; da quel momento, cominceremo a vivere non appena in modo ‘biologico’ ma ‘zooforico’: avvertiremo, avendo messo da parte il nostro io, che comincia in noi a vivere Cristo, esattamente come è successo a san Paolo. Questi, era stato un persecutore dei cristiani, e giunse ad affermare: “vivo, ma non io, vive invece Cristo in me… che mi ha amato e ha sacrificato sé stesso per me” (Gal 2,20). E’ il vertice a cui deve giungere la nostra fede. Se non arriviamo a questo vertice, stiamo perdendo tempo. La morte incombe - non importa quanti anni vivremo -  e si rischia la dannazione. Ma se apriamo gli occhi in tempo, convertiremo la nostra vita dicendo ogni giorno “Tu” a Gesù Cristo, luce e vita del mondo. Sia lodato Gesù Cristo.

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