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Anselmo Liturgo: Indietristi?


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Davvero impressionante notare quanto spazio abbia il tema della Messa tradizionale e delle comunità che la celebrano, in questo periodo, da parte dell’Autorità della Chiesa. La Santa Sede ne ha parlato più in questo ultimo anno che nei precedenti decenni messi insieme: da Traditionis Custodes in poi il Papa e gli organismi vaticani sono ritornati ripetutamente su tale ‘problema’ tanto da apparire quasi un’ossessione. Ancora qualche giorno fa, per l’ennesima volta, in un pur breve indirizzo di saluto ai membri dell’Associazione dei liturgisti italiani, papa Bergoglio è tornato sulla questione con parole appuntite. Ma andiamo con ordine.
Troviamo subito l’interessante affermazione: “La liturgia è opera di Cristo e della Chiesa, e in quanto tale è un organismo vivente, come una pianta, non può essere trascurata o maltrattata”. E ancora: “La liturgia è viva come una pianta, e va coltivata con cura”.
Nulla di più vero. Si tratta infatti di una pianta cresciuta in duemila anni: le sue radici sono nella preghiera degli Apostoli e dei Martiri dei primi secoli; la sua struttura portante, il suo ‘tronco’, è nell’opera dei Pontefici e dei Padri della Chiesa, con particolare fecondità nell’epoca che va da Damaso a Gregorio Magno; la grandiosità e lo splendore ineguagliabile dei suoi fiori e dei suoi frutti pervade e trasfigura il Medioevo e l’Età moderna, con una produzione rigogliosa di santità e di civiltà cristiana, di carità e di bellezza, di cultura e di eroismo, che solo Dio può generare. Questa è la vera pianta della liturgia cattolica.
Tutt’altra cosa è un rito costruito a tavolino - parola di Joseph Ratzinger - oltre cinquant’anni fa, il prodotto della sperimentazione di studiosi da laboratorio, che hanno reciso la pianta viva, piena di fiori e frutti, cresciuta nei secoli, e l’hanno sostituita con una di plastica: non basta appoggiarla sulle medesime radici per farle prendere vita!
Poco dopo si legge: “Una liturgia non mondana, ma che faccia alzare gli occhi al cielo” come è ovvio che sia; ma poi precisa: “Rivolgere lo sguardo al Signore senza girare le spalle al mondo”. Quale scoordinata piroetta sia fisica che teologica potrebbe consentire all’orante di essere rivolto sia a Dio sia al mondo, in un sacrilego compromesso tra Cristo e Beliar, in una sorprendente sottovalutazione dell’inevitabile incompatibilità di questa doppia appartenenza. Quale esigenza liturgica o pastorale ci richiede di diventare, nella preghiera e quindi nella vita, dei ‘Giano bifronte’?!
E finalmente arriviamo dove, con tutta evidenza, si voleva arrivare: “C’è uno spirito che non è quello della vera tradizione: lo spirito mondano dell’ ’indietrismo’, oggi alla moda: pensare che andare alle radici significa andare indietro...  È una tentazione nella vita della Chiesa che ti porta a un restaurazionismo mondano, travestito di liturgia e teologia, ma è mondano. E l’indietrismo sempre è mondanità …”.
Molto simpatico il neologismo appositamente coniato e più volte ripetuto nell’ultima parte di questo discorso, per squalificare con uno slogan, qualunque riflessione critica circa la vigente ‘riforma’ liturgica.
Forse “indietristi” si addice più a quegli archeologi della liturgia che vagheggiano una “mistica” (e perciò tendenzialmente gnostica) Chiesa delle origini, saltando venti secoli di storia.
Se dovessimo andare oltre gli slogan e parlare seriamente, dovremmo dire che identificare il recupero della bimillenaria liturgia tradizionale da parte di piccole e perseguitate comunità cattoliche con la ‘moda’ e la ‘mondanità’ è decisamente surreale: questa liturgia si distingue ed è bersagliata o derisa proprio perché usa una lingua fuori moda e incomprensibile al mondo, si accompagna a melodie fuori moda e incomprensibili al mondo, i suoi testi contengono una dottrina e una sapienza decisamente fuori moda e incomprensibile al mondo. Al contrario, è nella ‘nuova’ liturgia post conciliare che troviamo le canzonette che sentiamo anche alla radio, il linguaggio politicamente corretto dei sociologi e della tv, la banalità rituale e la gestualità infantile di tanti intrattenimenti mondani.
Ma non è finita: “Ci sono tanti che si dicono ‘secondo la tradizione’, ma non è così: al massimo saranno tradizionalisti”. Indubbiamente accattivante questa contrapposizione tra Tradizione (la minuscola nel testo papale speriamo sia un refuso) e tradizionalisti, ma non molto aderente ai fatti. Cos’altro può significare la fedeltà alla Tradizione vivente della Chiesa se non vivere, nell’oggi e con le modalità di oggi, ciò che le passate generazioni hanno vissuto: cioè credere ciò che loro hanno sempre creduto, poiché la salvezza viene dalla fede, dalla vera fede, se la manteniamo in quella forma in cui ci è stata trasmessa (1 Cor 15, 1-2); celebrare come essi hanno sempre celebrato, poiché questo hanno ricevuto e questo ci hanno trasmesso (1 Cor 11, 23), insegnare ciò che essi hanno sempre insegnato, poiché il Signore dice anche a noi come agli antichi profeti: ascoltino o non ascoltino, tu dì loro tutte le parole che io ti ho detto di dire (Ez 2, 5.7).
La liturgia è una cosa seria e non possiamo che augurarci che venga trattata un po più seriamente, anche da quelle sedi che, abusando della propria eco mediatica, ripetono inconsistenti sciocchezze a difesa di chissà quali indicibili disegni.
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