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Pietro De Marco: La cura per la verità è più che un atto penitenziale


SEM IPC

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Ho molto apprezzato l’intervento di Roberto De Mattei A proposito del mea culpa di papa Francesco in Canada del 27 u.s. e mi permetto qualche riflessione aggiuntiva. Sul viaggio di papa Francesco in Canada, chiederei un giudizio articolato; non può esserne ignorata, oltre allo slancio di carità, una sapienza politica (lo ha osservato persino il vaticanista di una TV italiana al seguito del viaggio). È stato tolto di mano, o almeno spuntato, al Primo Ministro Trudeau e al suo anticattolicesimo lo strumento infamante della Chiesa sempre inumana, razzista ecc. Bene. Ma quello che dispiace, al solito, è il disinteresse del papa per una verità delle cose che non sia quella dei media. Disinteresse non solo dovuto (come dirò) alla considerazione che le verità che non arrivano ai media, anche non ostili, sono comunque troppo complicate (si presume) da argomentare; non ce ne possiamo occupare. Nel nostro caso le verità complicate sono ad es. le prassi ottocentesche di assimilazione attraverso la scolarizzazione delle popolazioni non urbane (ovunque, anche di quelle rurali europee), ovvero delle sacche di ‘primitivi’ illetterati culturalmente estranee allo stato nazionale, all'ethos pubblico. Prassi ‘emancipatrici’ generalmente promosse e approvate.  In più, vi sono i rapporti particolari con le culture indiane in tutto il continente americano (del Nord, ma anche nel Messico e altrove in America Latina dopo le rivoluzioni anti-spagnole e 'borghesi'); poi, per il Canada e la questione delle scuole residenziali, i problemi emergenti, dalla qualità del personale e delle strutture, alle epidemie. Al centro di tutto, insomma, la domanda: come e cosa è successo di quanto si afferma? Quali sono i dati, i documenti? Le metodologie e i dati esibiti dal Final Report of the Truth and Reconciliation Commission of Canada (accessibile online digitando questo titolo) appaiono, curiosamente, non meno labili di quelli dei Reports tedesco e francese sugli abusi del clero sui minori: mescolanza di qualitativo e quantitativo, casualità negli spogli archivistici, assenza di contraddittorio all’interno dei comitati, troppi apriori.  In più la deduzione di ‘fosse comuni’ da foto aree è mera ipotesi (non sarebbero comunque ‘fosse comuni’) senza riscontri.  Il lavoro di Scott Hamilton (2014-2015) resta su questo il più completo e cauto (online, digitare Where are buried children?).  Come, per la varietà del quadro storico-ecclesiastico, la monografia di Goulet sui pensionnats indiens dei Missionari Oblati nel Québec, citata da De Mattei.

Dobbiamo sempre diffidare delle alleanze recenti e non, tra stati e organizzazioni indigeniste (da una di queste è nata la ‘denuncia’ pubblica del 27 marzo u.s. e il battage mondiale, cfr. ad es. Terry O'Neil, ‘Mass grave’ narrative misses need for answers and action: researcher online), poiché i partiti progressisti al potere cercano consensi a buon prezzo sul terreno delle emancipazioni e riconciliazioni, e l’intelligencija indigenista (ovunque nel mondo) vi cerca visibilità, potere politico e denaro. Tutto legittimo, ma senza riguardo ai mezzi, come in questo caso, dove si rasenta il falso. Un falso, o un quadro grossolano e tendenzioso (quello del massacro di generazioni di bambini nativi), che le formule penitenziali del santo Padre finiscono, al contrario, per autenticare. La consueta svendita progressista del passato della Chiesa. 

Si possono deprecare (comunque col senno di poi) le campagne di de-etnicizzazione, sentite come civilizzatrici dai governi coloniali specialmente delle culture anglosassoni (naturalmente nel XIX secolo, i governi canadesi non erano più coloniali, come non era coloniale il governo federale degli Stati Uniti), ovunque; ma non si devono accettare descrizioni affrettate e distorte, 'politiche', dei fatti e delle loro ragioni. La vocazione cattolica alla scuola operò estesamente; sappiamo veramente, nel caso particolare delle residential schools, come, in che condizioni, con quali risorse con quali idee? Che ne è oggi degli eredi dei nativi alfabetizzati e cristianizzati per legge? Insomma, non è assolutamente secondaria la questione cui si applica De Mattei con preziose indicazioni di cose da sapere e pagine da leggere prima di agitarsi scompostamente, come è avvenuto a qualche deputato cattolico e qualche vescovo canadese, caratteri e intelligenze evidentemente tenuti sotto scacco dalla aggressività governativa e, nel caso, dall’impostura decoloniale, come la definisce Taguieff.

Papa Bergoglio non ha mai e su nessun terreno sentito questo problema, ovvero che le (auto)condanne quindi le “richieste di perdono” non debbono, pure nel loro slancio sincero, ignorare il principio dell'accertamento della verità, come la accerterebbe un giudice, non come la maneggia l’ideologo. Il fustigarsi dei 'progressisti' è eredità diretta della autocritica ecclesiale (qualsiasi, pur che fosse) delle culture critiche e riformatrici degli anni Sessanta. Si trattava, allora, di indebolire l'istituzione per ‘aprire nuovi spazi’ alla fede, e di più all’azione. E, come avviene ai riformatori entusiasti e poco accorti (la maggior parte), fu alla fine un "avvelenare i pozzi"; funziona così anche ora. Purtroppo la dipendenza mimetica dei cattolici (e teologi e vescovi) 'critici' dalla critica e politica anticattolica, anticlericale, anticristiana, è ora come allora vistosa quanto poco avvertita; o, se cosciente, è ritenuta coraggiosa, 'laica'.

Questa dipendenza mimetica si mescola alla retta volontà di contrastare con viaggi e atti pubblici (che fu anche la prassi politica di s. Giovanni Paolo) ciò che i media mondiali propongono sul loro terreno; e tale mescolanza, assieme alla fretta e all'individualismo delle decisioni, finisce per inquinare l'azione generosamente deliberata. E la carità impedisce di criticare per l'ennesima volta i cedimenti di papa Francesco di fronte alla mitologia (di invenzione occidentale) del Nativo in arcadica comunione con la Natura. Il tutto appare la cifra immodificabile di questo pontificato.

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